Innovatore/Innovatrice: il Quiz
Dopo i Quiz dedicati ai Profili Pop:
Visionario/Visionaria in Prolegomeni 119,
Empatica/Empatico in Prolegomeni 221,
ne propongo oggi uno dedicato al profilo Innovatore/Innovatrice, su cui ci si può esercitare cliccando su questo link e rispondendo alle 10 domande previste.
Come icone Pop del test ho scelto Steve Jobs e Madonna. Scelte quasi scontate, ma vale la pena di ricapitolare i motivi che fanno di loro vere icone Pop.
Steve Jobs
Visione rivoluzionaria. Jobs non si è limitato a migliorare ciò che esisteva: ha reinventato interi settori, dall’informatica alla musica, dalla telefonia al design industriale.
Pensiero laterale e anticonvenzionale. Il suo celebre motto “Think Different” è quasi un manifesto dell’Innovatore. Jobs ha sempre cercato soluzioni fuori dagli schemi, sfidando le convenzioni del mercato e della tecnologia.
Estetica e funzionalità unite. Anche se l’Esteta e l’Innovatore sono profili distinti, Jobs ha saputo coniugare bellezza e innovazione, rendendo l’esperienza utente un elemento centrale del prodotto.
Leadership carismatica e ispiratrice. L’Innovatore non è solo un creativo solitario: è spesso un trascinatore, capace di coinvolgere e motivare team interi verso una visione nuova. Jobs era noto per la sua capacità di ispirare e pretendere il massimo.
Cultura del rischio e del fallimento. Jobs è stato anche un esempio di resilienza: licenziato dalla sua stessa azienda, ha saputo reinventarsi con NeXT e Pixar, per poi tornare in Apple e guidarla verso una nuova era.
Madonna
Reinvenzione continua. Madonna ha fatto dell’innovazione identitaria la sua cifra stilistica. Come un vero Pop Manager, ha saputo reinventarsi in ogni decade, anticipando mode, linguaggi e sensibilità culturali. Ogni sua trasformazione è stata una forma di storytelling strategico.
Transmedialità e contaminazione. Ha attraversato musica, cinema, moda, arte e attivismo, costruendo un ecosistema narrativo coerente e multicanale. È un esempio vivente di creatività transmediale, uno dei tratti distintivi dell’Innovatore.
Intelligenza collaborativa. Madonna ha sempre saputo circondarsi di talenti, valorizzando coreografi, registi, designer, musicisti. Come un vero leader convocativo, ha saputo attivare reti creative e farle convergere in progetti iconici.
Visione anticipatrice. Ha portato temi come la sessualità, la religione e l’identità queer nel mainstream prima che fosse “accettabile”. Ha rotto tabù con grazia e provocazione, incarnando l’idea di innovazione culturale.
Etica relazionale e provocazione consapevole. Madonna ha sempre usato la sua voce per stimolare il dibattito, anche a costo di essere controversa. La sua innovazione non è mai stata neutra: è sempre stata posizionata, politica, relazionale.
In sintesi
Se Steve Jobs ha innovato il modo in cui usiamo la tecnologia, Madonna ha innovato il modo in cui costruiamo e raccontiamo la nostra identità. È un’architetta di senso, una designer di immaginari collettivi, una manager della trasformazione culturale. In questo senso, è una figura perfettamente coerente con il profilo dell’Innovatore nel Pop Management.
Librare
Per elaborare le 10 domande del Quiz ho ripreso in mano la serie di post Da leggere a librare.
Se il libro diventa un librare – 10 conversazioni sul futuro del libro: questo il titolo/quesito/ipotesi al centro dei ragionamenti condotti su cos’è oggi e cosa sarà domani il libro, attraverso dieci Conversazioni metadisciplinari con scrittori, editori, agenti, esperti pubblicate sul blog di NOVA100-Il Sole 24 Ore in collaborazione con AIE (Associazione Italiana Editori, il cui attuale Presidente Vincenzo Cipolletta, ha fra l’altro partecipato alla scrittura del romanzo collaborativo Le Aziende InVisibili – la sua Fillide, trasfigurata nel discorso di Bill. H. Fordgates Jr. nell’Episodio n. 75, è una azienda – scrive – “che esiste solo quando serve, non occupa spazi e si avvale di tutto quello che altri hanno accumulato. È un’azienda ideale per un imprenditore che vuole restare libero e che ricerca il massimo della flessibilità. È un’azienda irresponsabile che vorrebbe replicare il modo di operare di un artista, solitario nel concepire l’opera e legato ad altri nel realizzarla. Come gli stilisti della moda o i disegnatori industriali che nella loro mente elaborano mondi e visioni da realizzare senza per questo rimanere vincolati a essi. Non esiste e non esisterà mai in questo modo: resta un’utopia”.
Come guida per orientarci in questo cammino abbiamo scelto la rilettura di tre testi visionari: uno del passato, Alice nel Paese delle meraviglie, riprendendo alcune riflessioni sviluppate nell’ambito del progetto Alice Postmoderna – lungo questo asse si collocano alcuni elementi di vicinanza con il profilo Empatico/Empatica;
uno del presente, L’inevitabile, scritto dal cofondatore di Wired Kevin Kelly. «Nel regno digitale immateriale», scrive Kevin Kelly, «dove nulla è statico o fisso, tutto è in divenire, anche il libro diventa un librare, evolvendo da cartaceo a digitale, confrontandosi con altri sistemi di comunicazione e apprendimento»: una prospettiva che svilupperemo anche trattando di un altro profilo manageriale Pop, l’Alchimista;
uno del futuro, il romanzo-videogioco-graphic novel transmediale Ariminum Circus, di Federico D. Fellini – torneremo ad Ariminum anche analizzando il profilo dell’Esploratore/Esploratrice.
Il progetto è stato illustrato da Marcello Minghetti, autore anche delle immagini per Ariminum Circus, sia nella versione analogica sia di quella videoludica. L’ebook Dal libro analogico agli ecosistemi digitali, sintesi del progetto #Librare, scaricabile gratuitamente sul sito dell’Associazione Italiana Editori[i], individua dieci questioni chiave per interpretare la contemporaneità, che ho sintetizzato nelle dieci domande del test. Vediamone qualcuna in dettaglio, rimandando al corpo complessivo delle dieci Conversazioni per tutti gli approfondimenti ulteriori.
L’iconicità perduta: tra neoluddismo e tecnoentusiasmo
Nella Prima Conversazione del progetto Librare (Se il libro è un divenire) si pone la domanda: Il libro deve rimanere un oggetto fisico “perfetto”, come sosteneva Umberto Eco, o evolversi in un’esperienza crossmediale che mescola scrittura, immagini, video e interazioni digitali?
La risposta in sintesi è: occorre ripensare il ruolo degli scrittori, degli editori e dei lettori, se il libro vuole vincere il confronto con centinaia di format nuovi che nascono ogni giorno soprattutto grazie alla tecnologia, che disgrega quelli tradizionali (l’articolo di giornale, la sitcom tv di mezz’ora, la canzone di quattro minuti), ricombinandone gli elementi in modi che verranno a loro volta disgregati e ricombinati: una tempesta di tweet, un romanzo collaborativo scritto a più mani su Facebook, una sceneggiatura prodotta da un’intelligenza artificiale.
Approfondiamo il punto, assai controverso. Umberto Eco, in molte sue opere e interventi pubblici, ha difeso il libro come oggetto “perfetto”, un simbolo di stabilità culturale e di profondità intellettuale. In Apocalittici e integrati, pur riconoscendo il valore della cultura di massa, Eco tende comunque a preservare una certa aura sacrale attorno al libro, inteso come veicolo privilegiato di sapere, riflessione e memoria. Ma nel mondo del Pop Management, questa visione rischia di diventare un ostacolo all’innovazione. Il libro non è più (solo) un oggetto da venerare: è un dispositivo narrativo, un ecosistema relazionale, un medium fluido che può assumere forme diverse – podcast, video, esperienze immersive, conversazioni distribuite. «Il libro non è più un oggetto chiuso, ma un processo aperto, un’interfaccia tra linguaggi e sensibilità diverse» scrivo nella Prima Conversazione di Librare.
Il Pop Manager non difende il libro come reliquia, ma lo reinventa come interfaccia di senso. Non si oppone alla trasformazione digitale per nostalgia, ma la abbraccia con consapevolezza critica. Il libro è oggi «una piattaforma generativa», capace di attivare intelligenza collaborativa, contaminazione disciplinare e partecipazione emotiva. In questo contesto, la sacralità del libro rischia di diventare una forma di neoluddismo culturale, che confonde la profondità con la staticità, la qualità con la resistenza al cambiamento, senza considerare che «ci stiamo allontanando da un mondo di nomi fissi verso un mondo di verbi fluidi».
Anche il libro, come qualsiasi altro manufatto, da oggetto diventa processo. Da prodotto, diventa servizio. Da testo, diventa esperienza. E l’Innovatore è colui che abita questo divenire, che non si limita a difendere il passato né a idolatrare il futuro, ma che sa costruire ponti tra linguaggi, media, generazioni. Siamo inoltre di fronte a una evoluzione del libro anche come oggetto artistico e culturale: lo dimostra il fatto che l’arte moderna e contemporanea ha trasformato il libro da semplice contenitore di testo a opera autonoma, manipolata, deformata, reinventata. Dai libri bullonati futuristi ai capolavori grafici dei costruttivisti russi, fino al “libro d’artista”, il testo diventa materia plastica, esperienza visiva, dispositivo concettuale. Il libro insomma è già da tempo un territorio di sperimentazione, dove forma e contenuto si contaminano, anticipando le trasformazioni digitali.
In questo contesto, la riflessione di George Ritzer sulla “McDonaldizzazione della società” (1993) offre ancora un monito importante: l’innovazione rischia di diventare una forma di razionalizzazione estrema, fondata su efficienza, calcolabilità, prevedibilità e controllo. Il Pop Manager, invece, cerca l’equilibrio tra standardizzazione e immaginazione, tra algoritmi e narrazione, tra automazione e umanità. Soprattutto l’Innovatore Pop è anche un curatore di conversazioni: sa che ogni progetto è un dialogo tra discipline, tecnologie e sensibilità. Come Madonna, reinventa continuamente la propria identità narrativa; come Jobs, trasforma la tecnologia in esperienza. Ma soprattutto, è colui che non si accontenta di cambiare i processi, ma vuole trasformare i significati. L’innovazione, per lui (o per lei), non è solo funzionale: è culturale, relazionale, etica.
Doctor Book e Mr. Digital: la lettura nell’era della fluidità
La Conversazione “Se il libro si fluidifica”, propone una riflessione sul concetto di libro liquido, che diventa il punto di partenza per una più ampia esplorazione delle trasformazioni culturali e organizzative contemporanee. Qui il paradigma del Pop Management offre una chiave interpretativa per comprendere come le narrazioni, i ruoli e le strutture si stiano riconfigurando in modo fluido, partecipativo e transmediale.
Il libro liquido è un contenuto che si emancipa dalla sua forma fisica per diventare esperienza narrativa dinamica, adattabile a diversi supporti e contesti. «Il libro si fa ‘librare’, verbo che indica un movimento, un’apertura, una trasformazione continua». Questa visione era già stata anticipata ad esempio nell’articolo di Bertram Niessen, “I dead media ed il futuro del libro aumentato”, dove si legge: «Il libro non è più un oggetto, ma un’interfaccia. Non è più un contenitore, ma un nodo in una rete di relazioni cognitive e affettive.»
Allargando la vista, il Pop Management si fonda sull’idea che le organizzazioni siano ecosistemi narrativi, in cui la cultura aziendale si costruisce attraverso storie condivise, simboli e pratiche partecipative. In questo senso, il libro liquido diventa una metafora operativa per descrivere l’impresa come organismo fluido, capace di adattarsi, evolvere e coinvolgere. Il libro liquido è un modello per pensare l’organizzazione liquida: aperta, dialogica, transmediale.
Da segnalare che nel 2023, Canon ha introdotto e discusso ampiamente il concetto di “liquid design” per l’editoria in occasione del suo Future Book Forum 2023. Il tema principale dell’evento era “Fai crescere il tuo pubblico con il Liquid Design”. Il concetto di “libro liquido” si riferisce a un contenuto editoriale che può adattarsi e cambiare forma a seconda del dispositivo o del “contenitore” in cui viene letto. Ciò include la possibilità di modificare dimensioni e caratteri del testo, sfogliare le pagine digitalmente, sottolineare, evidenziare e adattarsi a schermi di diverse dimensioni. L’idea è quella di unire il mondo fisico e digitale in un’esperienza di lettura integrata, con un’attenzione particolare alla sostenibilità (ad esempio, attraverso servizi di “book on demand” e la creazione di una rete globale di tipografie per ridurre le distanze di trasporto). In sintesi, Canon ha promosso il “liquid design” come una vera e propria rivoluzione nel mercato dell’editoria, ponendo l’accento sulla flessibilità e l’adattabilità dei contenuti per migliorare l’esperienza del lettore nell’era digitale.
Intelligenza Artificiale e scrittura
A tutto questo si aggiunge l’emergere dell’Intelligenza Artificiale nel campo della scrittura, che ha scatenato un dibattito acceso: l’IA è destinata a diventare un prezioso alleato per gli scrittori o un temibile rivale che ne minaccia l’esistenza? La questione è complessa e le risposte non sono univoche, ma si orientano verso una coesistenza che, se ben gestita, può portare a nuove frontiere creative.
Sempre più spesso, l’IA si sta affermando come uno strumento in grado di supportare gli scrittori in diverse fasi del processo creativo e produttivo. Pensiamo, ad esempio, ai generatori di idee e sinossi: un’IA può processare una vasta mole di dati, analizzare trend narrativi e suggerire spunti originali o varianti su temi esistenti. Questo può essere particolarmente utile per superare il blocco dello scrittore o per esplorare direzioni inaspettate. Un altro ambito cruciale è l’ottimizzazione del linguaggio e lo stile. Strumenti basati sull’IA possono analizzare un testo per rilevarne incongruenze stilistiche, ripetizioni, errori grammaticali o sintattici complessi, proponendo alternative che migliorano la fluidità e la chiarezza. Non si tratta di una mera correzione automatica, ma di un’analisi profonda che tiene conto del contesto e del tono.
Inoltre, l’IA può rivelarsi un assistente prezioso per la ricerca. Per gli scrittori che si dedicano a opere storiche, scientifiche o comunque basate su un’ampia documentazione, l’IA può setacciare rapidamente archivi digitali, articoli e testi accademici, estraendo informazioni pertinenti e organizzandole in modo coerente. Questo riduce drasticamente i tempi di ricerca, permettendo allo scrittore di concentrarsi sulla narrazione. Infine, per chi lavora nel mondo dell’editoria, l’IA può facilitare la traduzione e l’adattamento di testi per diversi pubblici o piattaforme, aprendo nuove opportunità di diffusione e raggiungimento di lettori su scala globale.
La paura più grande, e legittima, è che l’IA possa sostituire completamente la figura dello scrittore. Le preoccupazioni ruotano principalmente attorno a due aspetti: l’originalità e la paternità dell’opera. Se un’IA è in grado di generare storie coerenti e ben strutturate, chi detiene i diritti d’autore? E, soprattutto, la creatività generata da una macchina può essere considerata “originale” nello stesso modo in cui lo è quella umana? Il tentativo di Ariminum Circus Stagione 1 è proprio quello di scrivere un romanzo mettendosi nei panni di una ipotetica intelligenza artificiale senziente del prossimo futuro.
Un’altra questione critica è la perdita dell’unicità della voce narrativa. Sebbene l’IA possa emulare stili diversi, è difficile che possa riprodurre la profondità emotiva, le sfumature culturali e l’esperienza vissuta che contraddistinguono la scrittura umana. La scrittura è espressione dell’anima, e al momento, l’IA non ha un’anima da esprimere. Il rischio è una certa omologazione dei contenuti, dove le opere, pur tecnicamente perfette, mancano di quel “quid” ineffabile che solo la sensibilità umana può conferire. Last but not least, vi è anche la preoccupazione per la riduzione delle opportunità professionali per gli scrittori emergenti. Se le case editrici o i media dovessero optare per contenuti generati dall’IA per ridurre i costi, il percorso per i nuovi talenti potrebbe diventare ancora più arduo.
La visione più realistica e promettente per il futuro è quella di una collaborazione simbiotica tra scrittori e IA. L’Intelligenza Artificiale non dovrebbe essere vista come un sostituto, ma come un acceleratore delle capacità umane. Lo scrittore manterrà il ruolo di “direttore d’orchestra”, colui che ha la visione, l’ispirazione e la capacità di infondere emozione e significato nel testo. L’IA, invece, sarà il suo “strumentista” più efficiente, in grado di gestire i compiti più ripetitivi, la ricerca e l’ottimizzazione tecnica.
In questo scenario, gli scrittori saranno chiamati a sviluppare nuove competenze: non solo l’arte della narrazione, ma anche la capacità di interagire efficacemente con gli strumenti IA, di guidarli e di interpretare i loro output. Sarà fondamentale saper formulare le giuste domande, dare i giusti input e, soprattutto, saper revisionare e rifinire il materiale generato, infondendovi la propria impronta inconfondibile. La chiave come sempre sarà l’etica e la trasparenza. È fondamentale stabilire linee guida chiare sull’uso dell’IA nella scrittura, distinguendo tra opere interamente umane e quelle che hanno beneficiato di un supporto AI, soprattutto in ambito giornalistico o accademico. La protezione del diritto d’autore e la definizione di nuove normative saranno passaggi cruciali per navigare in questo panorama in evoluzione.
In conclusione, il libro liquido non è solo una trasformazione editoriale, ma un modello epistemologico per comprendere il cambiamento culturale e organizzativo in atto. Il Pop Management coglie questo elemento, proponendo un approccio fondato su narrazione, partecipazione e fluidità. In un mondo in cui i confini tra autore e lettore, manager e collaboratore, testo e contesto si fanno sempre più porosi, la capacità di raccontare, ascoltare e co-creare diventa la competenza chiave per il futuro.
Il mezzo e il messaggio: l’ibridazione di strumenti e generi
Riassumendo: il libro non è più un oggetto chiuso, ma un modello aperto a continue evoluzioni e contaminazioni. Formati narrativi come fanfiction, graphic novel, podcast e realtà virtuale offrono nuovi modi di raccontare storie.
Prendiamo ad esempio Moby Dick City Blues di Marco “GK” Gnaccolini e Cosimo Miorelli (il capolavoro di Melville essendo al centro delle nostre riflessioni fin dalla pubblicazione del numero di Hamlet intitolato Achab o Bartebly? nel maggio 1999 (il testo dell’editoriale è ancora recuperabile grazie a Internet Archive): qui Achab e Bartleby, leggendari personaggi melvilliani, suggerivano percorsi diversi per cogliere le motivazioni che i singoli possono mettere in atto in azienda). La graphic novel (Eris Edizioni, 2024) rappresenta una decostruzione radicale del Moby Dick di Melville, trasportata in un universo urbano che riflette le contraddizioni del capitalismo contemporaneo. Non è tanto una distopia quanto un ritratto acido della civiltà capitalista, dove la caccia alla balena bianca diventa metafora di ribellione e utopia.
Con una sceneggiatura essenziale e immagini dense e oniriche, l’opera reinterpreta l’epos melvilliano in chiave steampunk, trasformando la nave Pequod in un palazzone occupato e i balenieri in rider metropolitani su vecchi scooter e Fiat Panda. I capodogli, invece, si librano nel cielo come dirigibili, simboli del desiderio di evasione. Il protagonista Ismaele è un everyman suburbano, schiacciato dalla precarietà lavorativa. La sua narrazione in seconda persona crea un effetto di coinvolgimento alienato, mentre la sua decisione di “partire” lo porta in un viaggio verso il sottomondo di Nantucket, rifugio per i naufraghi della Storia. Ma quello che qui più interessa è che l’opera ingloba linguaggi e codici diversi: mappe concettuali, dizionari, QR code, recensioni web. Una stratificazione grafica che riflette la tensione tra il bisogno moderno di definire la realtà e la natura sfuggente del mito della balena bianca, che continua a chiedere di essere inseguito e ricantato.
Questo esempio è utile per riconsiderare le riflessioni contenute nella Conversazione Se il libro è remixato. Viviamo in un’epoca in cui la creatività ha smesso di coincidere con l’idea romantica di creazione ex novo. Oggi, essere creativi significa soprattutto saper rimescolare in modo intelligente ciò che già esiste. Kevin Kelly, uno dei più lucidi interpreti della cultura digitale, ha individuato proprio nel verbo “rimescolare” una delle azioni fondamentali del nostro tempo. Non si tratta solo di una pratica artistica o editoriale, ma di un vero e proprio mindset trasversale, che attraversa la cultura, l’economia, la leadership e il management.
In un mondo dove tutto è già stato detto, scritto, cantato o filmato, l’originalità non risiede più nell’invenzione pura, ma nella capacità di combinare elementi esistenti in modi nuovi e significativi. Il remix, dunque, non è solo una tecnica, ma una forma di pensiero. È il modo in cui oggi apprendiamo, comunichiamo, creiamo valore. Lo dimostra il progetto Le Aziende InVisibili, ispirato alle Città Invisibili di Calvino, dove il remix diventa una narrazione collettiva e transdisciplinare, capace di unire manager, artisti, filosofi, economisti e designer in un’unica opera fluida e ipertestuale per dare vita a nuovi universi narrativi in Second Life o sottoforma di blog (quello che state leggendo adesso!).
Per inciso, nel Pop Management il remix assume anche il valore di intelligenza organizzativa. Le aziende che sanno rimescolare competenze, linguaggi e visioni sono quelle che riescono a innovare davvero. Il remix diventa così una metafora potente per descrivere la trasformazione delle imprese in ecosistemi narrativi, dove ogni stakeholder contribuisce alla costruzione di senso.
Ma torniamo al punto. Uno dei campi in cui il remix ha mostrato con maggiore evidenza la sua forza trasformativa è il mondo del libro. Il libro non è più un oggetto chiuso, ma un processo aperto, un librare che si espande in direzioni imprevedibili: podcast, video, social media, realtà aumentata. L’editoria contemporanea è chiamata a ripensare se stessa come industria culturale fluida, capace di produrre contenuti transmediali e di dialogare con pubblici sempre più frammentati e partecipativi.
Come sottolinea Paola Dubini, il remix editoriale può assumere tre forme: il riutilizzo, ovvero la ripubblicazione di testi in nuove vesti grafiche o con nuovi apparati; il riciclo, che consiste nel combinare contenuti diversi per creare nuovi prodotti; e infine la rigenerazione, che trasforma il libro in un’esperienza multimediale e interattiva. Queste pratiche non sono solo strategie di marketing, ma modalità di costruzione del valore culturale. Il libro diventa così un oggetto performativo, un nodo di reti simboliche e affettive, un artefatto relazionale.
Nel mondo aziendale, il remix si traduce in una nuova idea di leadership (vedi anche Prolegomeni 91). Il manager non è più solo un decisore o un controllore, ma un curatore di significati, un facilitatore di connessioni, un narratore di visioni. Come un DJ che seleziona e mixa tracce per creare un’esperienza unica, il leader remix contemporaneo sa combinare elementi eterogenei – dati, emozioni, storie, tecnologie – per generare innovazione. È una figura profondamente umanistica, che non si limita a gestire risorse, ma coltiva talenti, stimola l’immaginazione, promuove la diversità. In questo senso, il remix diventa anche una pratica etica, perché implica ascolto, rispetto, apertura all’altro.
Nel marketing e nella comunicazione, in particolare, il remix è ormai una prassi consolidata. I brand più efficaci sono quelli che sanno rimescolare linguaggi, simboli e riferimenti culturali per costruire narrazioni coinvolgenti e memorabili. Pensiamo al successo dei listicles di Buzzfeed, ai reportage transmediali del New York Times, o ai crossover tra musica, moda e gaming. Il remix permette ai brand di dialogare con le culture giovanili, di appropriarsi di codici estetici emergenti, di costruire identità fluide e polifoniche. Ma attenzione: il remix non è solo una questione di stile. È una strategia di posizionamento che richiede coerenza, autenticità e capacità di ascolto. Un remix ben riuscito è quello che riesce a trasformare la citazione in creazione, la contaminazione in valore.
Si aggiunga a tutto ciò il fatto che la creatività, oggi, non è più vista come un dono individuale, ma come una competenza collettiva. Come afferma Riccardo Gasperina Geroni, “l’originalità non sta nel contenuto, ma nella forma, nel modo in cui si rielabora l’esperienza”. In azienda, questo significa promuovere ambienti di lavoro aperti e ibridi, dove le idee possono circolare liberamente, contaminarsi, evolvere. Significa anche valorizzare la diversità come risorsa creativa, e adottare metodologie agili e iterative, come il design thinking o lo storytelling strategico. Il remix è anche una risposta alla complessità del mondo contemporaneo: invece di cercare soluzioni lineari, propone approcci reticolari, sistemici, adattivi. È una forma di pensiero laterale che permette di vedere connessioni dove altri vedono compartimenti stagni.
Tutto ciò, nel mondo della formazione e del knowledge management, apre scenari radicalmente nuovi. L’apprendimento non è più trasmissione lineare di contenuti, ma costruzione partecipata di significati. Le piattaforme digitali, le fanfiction, i video-saggi, i podcast, i meme: tutto diventa occasione di apprendimento, se inserito in un contesto di senso. Come sottolinea Anna Caterina Dalmasso, il remix implica una riattivazione critica del sapere, una capacità di navigare tra linguaggi diversi, di integrare testo, immagine, suono. È una competenza ermeneutica, ma anche una forma di agency: il lettore diventa autore, il consumatore diventa prosumer, il collaboratore diventa co-creatore. In questo scenario, anche il libro cambia natura: da oggetto chiuso a interfaccia dinamica, da testo a contesto, da prodotto a processo. Il libro remixato è un dispositivo di apprendimento esperienziale, che stimola l’intelligenza emotiva, la riflessione critica, la creatività narrativa.
Ancora: il remix non è solo una strategia di innovazione, ma anche una pratica di sostenibilità culturale. In un mondo saturo di contenuti, rimescolare significa valorizzare l’esistente, dare nuova vita a materiali dimenticati, costruire ponti tra passato e futuro. È una forma di economia circolare applicata alla cultura. Come dimostrano le esperienze di archivi digitali partecipativi, il remix può diventare uno strumento di democratizzazione della conoscenza, di inclusione sociale, di empowerment delle comunità. È un modo per rendere visibili le voci invisibili, per produrre nuove narrazioni a partire da patrimoni culturali condivisi. In questo senso, il remix è anche una forma di cura del passato, un modo per mantenerlo vivo e rilevante nel presente.
Ma il remix non riguarda solo i contenuti: riguarda anche le identità. Nell’era dei social media, ognuno di noi è chiamato a costruire e raccontare sé stesso attraverso un continuo rimescolamento di immagini, parole, riferimenti culturali. Il profilo Instagram, il curriculum su LinkedIn, la bio su X (ex Twitter) sono tutti esempi di autorappresentazioni remixate, in cui il sé si costruisce per frammenti, citazioni, collage. Questa dinamica ha profonde implicazioni anche per il mondo del lavoro e della leadership. Il manager contemporaneo non è più una figura monolitica, ma un nodo di reti, un’identità fluida che si adatta ai contesti, che sa parlare linguaggi diversi, che costruisce la propria autorevolezza attraverso la coerenza narrativa più che attraverso la gerarchia.
Con l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa, infine, il remix ha assunto una nuova dimensione. Gli algoritmi non sono più solo strumenti, ma co-autori. Generano testi, immagini, musica, video. Rimescolano dati, stili, pattern. Ma questo solleva interrogativi cruciali: cosa significa creare in un mondo in cui le macchine possono imitare la creatività umana? Qual è il ruolo dell’autore? E dove si colloca l’autenticità? Come osserva ancora Paola Dubini, un contenuto generato da un algoritmo può essere originale, ma non necessariamente autentico. L’autenticità richiede intenzionalità, visione, responsabilità.
Se l’AI può produrre remix infiniti, la sfida non è più solo tecnica, ma profondamente culturale. La quantità non garantisce qualità, e la novità non equivale a significato. L’autenticità non si misura nella capacità di generare contenuti, ma nella responsabilità di attribuire loro un senso. In questo scenario, il ruolo dell’autore si trasforma: da creatore solitario a curatore, orchestratore, selezionatore di possibilità. L’autore del futuro potrebbe essere colui che sa scegliere tra le infinite varianti offerte dall’algoritmo, che sa imprimere una direzione, un’intenzione, una visione. La creatività, allora, non scompare, ma si sposta: dal gesto originario alla capacità di dare forma, coerenza e profondità a ciò che è potenzialmente illimitato. In questo senso, l’autenticità non è un dato, ma una pratica. È il risultato di una relazione consapevole tra umano e macchina, tra memoria e innovazione, tra tradizione e sperimentazione. E forse è proprio in questa tensione che il libro – o meglio, il “librare” – può trovare una nuova vitalità, continuando a essere, anche nell’era degli algoritmi, uno spazio di senso, di resistenza e di immaginazione.
Wattpad e la narrazione collettiva
La Conversazione Collaborativa Se il libro è condiviso è incentrata sul fatto che piattaforme come Wattpad ( su cui ho pubblicato la versione multimediale di Ariminum Circus Stagione 1) mostrano il potenziale della scrittura collaborativa e della narrazione distribuita su più media. Il modello economico dell’editoria si sposta da un processo lineare (autore-editore-lettore) a un sistema rizomatico e partecipativo.
Credo sia interessante rileggerla alla luce di S.O.S. dalla Terra, editoriale pubblicato su Robinson de La repubblica il 29 giugno 2025, in cui Gabriele Romagnoli descrive un mondo in cui i supereroi hanno perso il loro potere simbolico. Non sono più figure invincibili, ma esseri umani schiacciati dalla realtà. L’Uomo Ragno, licenziato da un datore di lavoro arabo e minacciato di sfratto da un padrone di casa slavo, non combatte più supercriminali, ma affronta le ingiustizie quotidiane. Il supereroe non è più un’icona di speranza, ma un simbolo di fallibilità e disillusione.
Romagnoli ci invita a spostare lo sguardo: il vero superpotere non è la forza sovrumana, ma la capacità di riscatto. Il supereroe moderno è chi riesce a trasformare una perdita in una rinascita, come Martina Caironi o Alex Zanardi. In un mondo dove “hanno vinto i cattivi”, il supereroe non è più uno, ma un miliardo: una moltitudine di persone comuni che resistono, si rialzano, si reinventano. Questa crisi del supereroe riflette una più ampia crisi della narrazione tradizionale. Il mito dell’eroe solitario, lineare, predestinato, non regge più. Abbiamo bisogno di storie corali, complesse, plurali, che rispecchino la frammentazione e l’interconnessione del nostro tempo.
Riprendiamo qualche esempio fatto da Romagnoli con dei rapidi take away popmanageriali:
- In The Boys, i supereroi sono strumenti di marketing, manipolati da una multinazionale. Allo stesso modo, con i miei interlocutori di Se il libro è condiviso (Barile, Calabrò, Costa, Limosani, Roncaglia, Sassoon) riflettiamo su come anche il libro, se ridotto a prodotto, rischia di perdere la sua funzione critica e trasformativa. 👉Pop Management Insight: la cultura aziendale deve evitare la “brandizzazione” del sapere. Condividere non significa solo distribuire contenuti, ma attivare processi di co-creazione autentica.
- Gli Incredibili e la normalizzazione del talento. La famiglia di supereroi costretta a vivere una vita ordinaria richiama il rischio di appiattire il sapere in formati standardizzati. Il libro condiviso, invece, è un librare che si nutre di contaminazioni, ibridazioni, esperienze. 👉 Pop Management Insight: le organizzazioni devono valorizzare la diversità dei talenti, creando spazi per l’espressione creativa e non solo per l’efficienza.
- Spider-Man e la precarietà del sapere. Peter Parker, eroe precario, riflette la condizione del sapere oggi: frammentato, instabile, continuamente messo alla prova. Una possibile risposta: la condivisione come infrastruttura cognitiva, dove il sapere non è più proprietà ma relazione. 👉 Pop Management Insight: in un mondo incerto, la resilienza organizzativa nasce dalla capacità di apprendere insieme, di costruire reti di senso e di supporto.
- Dal supereroe al superorganismo. Romagnoli chiude con un’immagine potente: non serve un supereroe, ne servono un miliardo. Il Pop management lo anticipa: il libro condiviso è il frutto di una intelligenza collettiva, dove ogni lettore è anche autore, ogni manager anche narratore. 👉 Pop Management Insight: il futuro del management è post-eroico. Non si tratta più di guidare da soli, ma di facilitare ecosistemi di apprendimento e innovazione.
Romagnoli, dunque, ci racconta di supereroi sconfitti, umanizzati, spesso corrotti da logiche di potere e mercato. Qui parliamo del libro che si trasforma in librare, un oggetto fluido, digitale, condiviso, che evolve grazie alla partecipazione collettiva. In apparenza due mondi lontani – fumetti e saggistica – ma in realtà uniti da un filo rosso: la crisi dell’individualismo eroico e l’emergere di una nuova intelligenza collettiva.
Se infatti torniamo ora a Se il libro diventa uno schermo, vediamo come la trasformazione del libro nell’era digitale viene raccontata presentando libro non è più come un oggetto chiuso, ma un processo aperto, un librare che si espande in ambienti digitali, si ibrida con altri media, si fa esperienza immersiva. Viviamo in un’epoca in cui la cultura dello schermo ha soppiantato quella del libro. Il testo si fonde con immagini, suoni, video. Il lettore diventa spettatore, il libro diventa ambiente, interfaccia, piattaforma. La narrazione si fa transmediale, interattiva, sinestetica. Questa trasformazione non è solo tecnologica, ma culturale. Cambia il modo in cui pensiamo, apprendiamo, ci relazioniamo. Il libro-schermo non è solo un supporto, ma un ecosistema narrativo. E in questo ecosistema, la narrazione collettiva trova il suo terreno fertile.
Wattpad è una delle piattaforme più emblematiche di questa nuova ecologia narrativa. Nata come spazio per scrittori emergenti, è diventata un fenomeno globale con milioni di utenti che scrivono, leggono, commentano e modificano storie in tempo reale. Su Wattpad, il confine tra autore e lettore si dissolve. Ogni lettore può diventare co-autore, ogni storia può essere riscritta, ampliata, remixata. La narrazione diventa un processo collettivo, un’opera aperta in continua evoluzione.
Il concetto di “convocare”, in questo contesto, assume un significato profondo. Non si tratta solo di chiamare a raccolta, ma di creare uno spazio di senso condiviso. Un luogo dove le persone si sentono parte attiva di un progetto narrativo, dove le storie diventano comunità, identità, resistenza. Wattpad è un laboratorio di democrazia narrativa. Qui la scrittura è un atto sociale, la lettura è un’esperienza partecipativa, la storia è un bene comune. È un esempio concreto di come la narrazione possa diventare pratica di cittadinanza, strumento di empowerment, forma di co-creazione del reale.
A dimostrazione che nel tempo della narrazione collettiva, “convocare” non è solo un atto organizzativo, ma un gesto poetico e politico. Significa dare voce, dare spazio, dare forma. Significa costruire ambienti narrativi in cui le persone possano riconoscersi, esprimersi, trasformarsi. Convocare è ciò che fa un autore su Wattpad quando invita i lettori a commentare, suggerire, partecipare. È ciò che fa un insegnante quando trasforma la lettura in un dialogo. È ciò che fa un brand quando costruisce una campagna narrativa partecipativa. È ciò che fa una comunità quando racconta la propria storia per resistere all’oblio.
In questo senso, la narrazione collettiva è anche una pratica di cura. Cura delle storie, delle memorie, delle relazioni. È un modo per abitare il mondo insieme, per costruire futuri condivisi, per resistere alla solitudine e alla frammentazione.
La narrazione collettiva nell’era digitale non è solo una moda, ma una trasformazione profonda del nostro modo di pensare, comunicare, immaginare. La crisi del supereroe, la metamorfosi del libro in schermo, l’ascesa di piattaforme come Wattpad sono sintomi di un cambiamento culturale più ampio. In questo nuovo scenario, la narrazione non è più un atto individuale, ma un processo sociale, fluido, ibrido, partecipativo. È un modo per convocare comunità, per costruire senso, per immaginare alternative. Abbiamo bisogno di storie che non ci dicano solo chi siamo, ma chi possiamo diventare. Storie che non siano solo specchi, ma mappe. Storie che non siano solo intrattenimento, ma trasformazione. E per raccontare queste storie, non ci serve un altro supereroe. Ci serve una comunità narrativa. Una moltitudine di voci che, insieme, possano scrivere il prossimo capitolo della nostra umanità.
Algoritmi, filtri e piattaforme: il ruolo delle nuove tecnologie
Viviamo in un’epoca in cui la nostra attenzione è diventata una risorsa scarsa, contesa e continuamente sollecitata. Secondo un recente studio dell’Università dell’Ohio, oggi la soglia media dell’attenzione si ferma a otto secondi, contro i dodici del 2000. Controlliamo il telefono ottanta volte al giorno, spesso senza rendercene conto, e ricordiamo il 95% delle parole di un video, ma solo il 10% se le leggiamo su carta. In questo scenario, la capacità di concentrazione è minacciata da una molteplicità di fattori: stress, ansia, mancanza di sonno, noia, multitasking.
Come osserva la psichiatra Evita Singh, «quando si fa multitasking la mente è costretta a pensare a così tante cose contemporaneamente da esserne esaurita». La conseguenza è una crescente difficoltà a focalizzarsi, che si traduce in ansia, depressione e perdita di senso. Ma questa crisi dell’attenzione non è solo un problema individuale: è un sintomo di una trasformazione culturale più ampia, che coinvolge il modo in cui produciamo, consumiamo e filtriamo contenuti.
Cosimo Accoto, nella conversazione Se il libro è filtrato, parla di “inflazione del catalogo del reale”: viviamo in un’era in cui la produzione di contenuti è esplosa, e i filtri – cognitivi, algoritmici, culturali – diventano strumenti indispensabili per orientarsi. “I filtri sono la strategia antropica adottata per la produzione di senso dentro ondate mediali inflattive”, afferma. In questo contesto, il libro non è più solo un oggetto, ma un’interfaccia, un nodo in una rete di significati da navigare.
Maria Gabriella Ambrosioni, dal punto di vista degli agenti letterari, evidenzia come il filtro dell’intermediazione sia oggi più che mai necessario: “Il filtro dell’agente letterario si calibra in base alle richieste degli editori, ma anche alle preferenze letterarie e ai gusti estetici personali”. E aggiunge: “Rappresentare un autore significa accompagnarlo nel suo percorso creativo”. Il filtro, quindi, non è solo selezione, ma relazione, cura, accompagnamento.
Alessandro Zaccuri, con uno sguardo più culturale, osserva: “Un libro agisce sempre, e da sempre, come un filtro tra noi e la realtà”. E avverte: “Un’eventuale assenza di filtri non comporterebbe la piena disponibilità dei testi, ma la totale irrilevanza del singolo testo nella sua unicità”. In un mondo dove tutto compete per la nostra attenzione, il vero valore sta nella capacità di generare attenzione significativa, non nel rumore.
Giovanni Francesio distingue tra filtri subiti e filtri agiti: “Il filtro dell’intermediario è fuori dalla sfera di controllo del lettore, ma altri filtri – come quello degli amici o di noi stessi – possono essere attivati criticamente”. È qui che entra in gioco la responsabilità individuale e collettiva nella costruzione del senso. Lea Iandiorio aggiunge: “Il filtro non blocca il contenuto, ma funziona come atto di fiducia in chi il filtro lo mette”. E cita Martha Nussbaum: “Essere in grado di usare il proprio senso critico in modo protetto dalle garanzie di libertà d’espressione” è una capacità umana fondamentale. In un’epoca di sovraccarico informativo, la fiducia nei filtri – e in chi li esercita – diventa un atto politico e culturale.
Ivan Ortenzi propone un nuovo filtro: quello delle competenze. “A imparare si impara. Mai come in questo decennio è necessario aggiornare le proprie competenze per aggiornare le proprie competenze”. E rilancia: “Il libro è totemico nella cultura dell’essere umano. E continuerà a presidiare questo ruolo per sempre”. In un mondo che cambia alla velocità di un click, il libro resta un’ancora di senso, un oggetto che resiste, si trasforma, ma non scompare.
Dal punto di vista del Pop Management, questa crisi dell’attenzione è una sfida organizzativa e culturale. Le aziende devono imparare a progettare esperienze narrative che rispettino il tempo e la mente delle persone. Non basta più comunicare: occorre convocare, creare spazi di senso condivisi. Il Pop Management ci invita a rimescolare linguaggi, tecnologie e sensibilità per costruire un nuovo patto narrativo tra individui, organizzazioni e società. Un patto fondato non sulla quantità, ma sulla qualità dell’attenzione. Perché, come ci ricorda Borges, “la vita stessa è una citazione”. E ogni filtro, se ben progettato, può diventare un atto di bellezza, di conoscenza, di trasformazione.
Fantasmi nella macchina: Intelligenza Artificiale e scrittura automatizzata
Il tema centrale della Conversazione Se cambia l’accesso al libro è appunto l’accesso, inteso non solo come modalità tecnica di fruizione, ma come paradigma culturale della contemporaneità. L’accesso sostituisce il possesso, l’abbonamento prende il posto dell’acquisto, e il libro si inserisce in un ecosistema di servizi digitali che ridefiniscono il rapporto tra autore, editore e lettore.
Ma questa trasformazione è tutt’altro che lineare o pacifica. Carlo Bordoni, ad esempio, esprime una visione critica: l’accesso, lungi dall’essere una forma di libertà, rischia di diventare una nuova dipendenza, una relazione contrattuale che lega il fruitore al produttore in modo quasi matrimoniale. Giovanni Iozzia, invece, invita a non cedere né all’entusiasmo cieco né al rifiuto nostalgico: il cambiamento va governato, non subito. L’accesso, se ben gestito, può diventare uno strumento di democratizzazione della conoscenza, ma richiede nuove competenze, nuove responsabilità, una nuova alfabetizzazione digitale.
Paolo Repetti, da parte sua, rifiuta il feticismo della carta ma riconosce che l’ebook, nella sua forma attuale, è ancora tecnologicamente immaturo. La lettura digitale manca di spessore fisico rende difficile l’orientamento nel testo, la memorizzazione, l’interazione manuale. Non è solo una questione di nostalgia, ma di abitudini cognitive radicate. Cristina Gerosa aggiunge un interrogativo cruciale: se oggi abbiamo accesso a una biblioteca illimitata, perché non leggiamo di più? L’accessibilità non si traduce automaticamente in fruizione, e questo pone interrogativi profondi sul nostro rapporto con la cultura. Kindle Unlimited, simbolo dell’accesso illimitato, è al centro di molte critiche. Il catalogo è limitato, i titoli di qualità scarseggiano, i lettori forti non si sentono rappresentati.
Il problema per Leonardo Taiuti è il monopolio dei grandi gruppi editoriali e propone alternative come Bookdealer, piattaforma indipendente che valorizza le librerie locali. Ma il problema non è solo economico o distributivo: è culturale. Il libro digitale non è semplicemente un libro senza carta, è un oggetto nuovo, con potenzialità ancora inespresse. Perciò, Francesco La Trofa propone il modello del “Book as a Service”, particolarmente adatto per manuali, testi tecnici, contenuti in continua evoluzione. In questo quadro, il paratesto – quell’apparato che accompagna il testo e ne facilita l’accesso – assume un ruolo centrale. Ricordiamoci le categorie di Gérard Genette: paratesto, intertesto, metatesto, architesto, ipertesto. Nell’era digitale, il paratesto non può più limitarsi a copertina, quarta e indice. Deve diventare interattivo, dinamico, personalizzabile. Francesco La Trofa sottolinea l’importanza del design e delle interfacce: l’esperienza di lettura deve essere fluida, intuitiva, coinvolgente.
Ma attenzione: l’abbondanza di possibilità può disorientare. L’utile non coincide sempre con l’indispensabile. In questo senso, una tavola rotonda dell’Università degli Studi di Milano del 2023 ha offerto spunti illuminanti. Paola Italia ha parlato di “scrittura aumentata”, Gino Roncaglia ha invitato a superare la semplice digitalizzazione per reinventare il libro. Il libro digitale non è una copia del cartaceo, ma un nuovo oggetto culturale, che richiede nuove forme di scrittura, nuove modalità di fruizione, nuove relazioni tra autore e lettore.
E qui entra in gioco anche la dimensione transmediale. Audible, Perlego, esperienze ibride come quella di Morgan, mostrano come il libro possa diventare audio, video, performance. E se Tolkien scrivesse oggi, probabilmente userebbe una piattaforma digitale per integrare testo, mappe, genealogie, mitologie. Ariminum Circus, il romanzo online-videogioco-graphic novel di Federico D. Fellini, è un esempio di questa nuova narrativa espansa, che si muove tra letteratura, serie tv, fan fiction, intelligenza artificiale.
E ancora una volta è l’Intelligenza Artificiale a rappresentare oggi una delle frontiere più affascinanti e controverse. L’IA sta già influenzando la produzione di contenuti: dall’analisi testuale alla generazione automatica di articoli, dalla traduzione automatica alla sintesi vocale, fino alla scrittura creativa. In futuro, potrebbe essere impiegata per selezionare manoscritti, suggerire modifiche stilistiche, personalizzare l’esperienza di lettura in base ai gusti del lettore. Ma questa evoluzione pone interrogativi profondi sul ruolo dell’autore e sulla natura della creatività. Se un algoritmo può scrivere un romanzo coerente, chi è il vero autore? E quale valore attribuiamo all’intenzionalità umana, all’esperienza vissuta, all’originalità?
La creatività algoritmica è una sfida non solo tecnica, ma filosofica, etica, culturale. Alcuni vedono nell’IA uno strumento di potenziamento, altri una minaccia all’autenticità. In ogni caso, il libro del futuro sarà sempre più il risultato di una collaborazione tra intelligenze: umane e artificiali. Paolo Repetti e Cristina Gerosa mettono in dubbio l’efficacia dell’interattività nei romanzi: la lettura è un’attività immersiva, che richiede silenzio, concentrazione, disponibilità al perdersi. L’eccesso di stimoli può diventare rumore. Tuttavia, per altri generi – saggistica, manualistica, testi scolastici – l’arricchimento digitale può essere una risorsa preziosa. Il problema, semmai, è economico: produrre contenuti multimediali costa, e pochi editori possono permetterselo. Serve un cambio di paradigma produttivo, una nuova alleanza tra editori, designer, sviluppatori.
Carlo Bordoni propone una distinzione netta: libro ed ebook sono due prodotti diversi, come teatro e cinema. La lettura digitale è più rapida, visiva, frammentata. Non è peggiore, è diversa. E questa diversità va riconosciuta, valorizzata, esplorata. Giovanni Iozzia invita a non guardare al futuro con le lenti del passato. Il digitale non è solo una minaccia, è una possibilità. Ma per coglierla servono visione, coraggio, investimenti. Non basta creare la versione digitale di un prodotto fisico: bisogna reinventarlo.
E intanto, molte delle emozioni e delle conoscenze un tempo affidate ai libri oggi circolano sotto altre forme: video, podcast, giochi, social network. Leonardo Taiuti conclude con una metafora gastronomica: perché scegliere tra un panino al prosciutto e uno al formaggio, se possiamo averli entrambi? Il cartaceo e il digitale non sono in competizione, sono complementari. Il futuro del libro sarà ibrido, fluido, multiforme. Ma per costruirlo serve una nuova generazione di autori, editori, lettori. Serve una cultura dell’innovazione che non rinunci alla profondità. Serve, in definitiva, una nuova idea di libro.
Le altre Conversazioni di Librare
Mi fermo qui, ricordando solo per punti i temi delle altre Conversazioni di Librare (e delle domande del test):
Io, Robot: l’automazione della lettura e dell’apprendimento Le macchine creative possono già affiancare gli scrittori umani e la lettura assistita da AI potrebbe rivoluzionare il modo in cui apprendiamo e interagiamo con i testi. Occorre dunque porsi seriamente la domanda: come evolveranno le competenze necessarie per scrivere e leggere nel futuro?
Overlook Hotel: realtà virtuale e aumentata nell’editoria La realtà virtuale e aumentata offrono nuove opportunità per l’editoria, trasformando il libro in un’esperienza immersiva. Esperimenti come la trasposizione in VR di Wolves in the Walls di Neil Gaiman mostrano come la narrazione possa diventare interattiva.
I Barbari: i nuovi lettori digitali I nativi digitali crescono in un ambiente dominato da social media, videogiochi e piattaforme interattive. L’editoria tradizionale fatica a adattarsi a questi nuovi modelli di fruizione, mentre Netflix, Amazon e Wattpad comprendono meglio le esigenze delle nuove generazioni.
Ethica more digitale demonstrata: le sfide del futuro Occorre trovare soluzioni a questioni quali il diritto d’autore nell’era digitale, il ruolo degli algoritmi nel controllo della cultura e la necessità di sviluppare un’Intelligenza Collaborativa diffusa che valorizzi la co-creazione di contenuti.
L’Innovatore: il profilo
Hai fatto il test? Se hai totalizzato 10 o più punti ecco chi sei.
Sei un architetto di possibilità capace di attivare ecosistemi narrativi e organizzativi. Per te l’innovazione non è un obiettivo, ma un modo di abitare il presente con lo sguardo rivolto al futuro. Non ti limiti a introdurre nuove tecnologie: le umanizzi, le ibridi, le metti in dialogo con le persone, le storie e i contesti.
Come Steve Jobs, reinventi i paradigmi, coniugando visione rivoluzionaria, pensiero laterale e design esperienziale. Come Madonna, trasformi l’identità in un linguaggio narrativo, attraversi media e culture con audacia, coerenza e provocazione consapevole.
Vedi l’organizzazione come un laboratorio relazionale, dove si sperimentano forme di lavoro fluide, esperienze immersive e narrazioni collettive. La tua leadership è convocativa, la tua creatività è diffusa, la tua etica è relazionale. Sei un designer di senso in un mondo che cambia.
Tratti distintivi
- Empatia sistemica: Leggi le dinamiche organizzative come un direttore d’orchestra legge una partitura collettiva. Sai ascoltare, connettere e armonizzare.
- Creatività transmediale: Usi linguaggi diversi – scrittura, immagini, AI, VR – per costruire esperienze che coinvolgono mente, corpo ed emozioni.
- Attivazione di intelligenza collaborativa: Non lavori mai da solo. Sai convocare, facilitare, far emergere il potenziale creativo di ogni persona.
- Apertura alla diversità: Vedi ogni identità come una risorsa narrativa. Progetti spazi dove le differenze generano valore non frizioni.
- Etica relazionale: Ogni tua scelta è un atto di coerenza tra visione, azione e relazione. L’innovazione, per te, è anche responsabilità.
Punti di forza
- Generi cultura, non solo cambiamento: Le tue innovazioni trasformano i significati, non solo i processi.
- Disegni esperienze immersive e partecipative: Ogni progetto è un viaggio sensoriale e collettivo.
- Costruisci piattaforme generative: Sai creare ambienti dove la co-creazione è continua, distribuita e sostenibile.
- Rompi gli schemi con grazia: Sai essere radicale senza essere respingente. La tua visione è audace, ma accessibile.
Attenzione a…
- Non perdere il contatto con il ritmo delle persone: L’innovazione ha bisogno di radici, non solo di ali.
- Tradurre la visione in linguaggi condivisi: La tua immaginazione è potente, ma va resa comprensibile e praticabile.
- Bilanciare spinta creativa e sostenibilità organizzativa: Ogni trasformazione ha bisogno di tempo, ascolto e cura.
[i] Minghetti, Marco Dal libro analogico agli ecosistemi digitali, AIE, dicembre 2020 https://giornaledellalibreria.mediabiblos.it//archivio/Librare_MarcoMinghetti_2020.pdf
123 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
Puntate precedenti