#DigitalTransformation: da Kevin Kelly una sintesi inevitabile

Utopie tecnoentusiaste e distopie neoluddiste

Da qualche mese è disponibile la traduzione italiana dell’ultima opera di Kevin Kelly, L’inevitabile. Un testo che, a ben vedere, non dice nulla di nuovo, ma sintetizza bene i trend in atto rispetto a quella che, con un termine sintetico, generalmente indichiamo come ‘Digital Transformation’. Io l’ho letto subito dopo avere divorato un romanzo, Il cerchio, di Dave Eggers, che, simbolicamente, ne rappresenta la controparte. Kelly è un inguaribile tecnoentusiasta, Eggers esprime con lucidità una distopia neoluddista non troppo lontana dalla realtà attuale. Propongo quindi di seguito una silloge del libro di Kelly, con la raccomandazione di valutarne i contenuti super-ottimistici dopo essersi immersi nelle visioni apocalittiche di Eggers, per ottenere una sorta di calibrazione fra le due prospettive.

L’Autore parte dal presupposto che la tecnologia è l’accelerante dell’umanità. È grazie a essa se ogni cosa che facciamo è sempre nella dimensione del divenire: ogni cosa sta diventando qualcos’altro, mentre si rimescola passando da «può» a «è». Tutto è flusso, niente è finito, niente è compiuto; questo cambiamento perpetuo è l’asse centrale del mondo moderno. Flusso costante implica più che un semplice «Le cose cambieranno», significa che ora i processi – i motori del flusso – sono più importanti dei prodotti: la nostra più grande invenzione negli ultimi duecento anni non è stata un oggetto o uno strumento particolare, bensì l’invenzione del processo scientifico stesso. Una volta inventato il metodo scientifico, abbiamo potuto immediatamente creare migliaia di altre cose incredibili che non avremmo mai potuto scoprire diversamente. Questo processo sistematico di cambiamento costante e miglioramento si è rivelato milioni di volte più efficiente dell’invenzione di qualunque prodotto specifico, poiché ha generato milioni di nuovi prodotti nell’arco dei secoli trascorsi da quando è stato messo a punto. Se il processo in corso si avvia sui binari giusti, proseguirà a generare benefici continui. Nella nostra epoca nuova, i processi surclassano i prodotti. Questo spostamento verso i processi significa anche che il cambiamento incessante è il destino di qualunque cosa facciamo. Ci stiamo allontanando da un mondo di nomi fissi verso un mondo di verbi fluidi: nei prossimi trent’anni continueremo a prendere oggetti solidi (un’automobile, una scarpa) e a trasformarli in verbi astratti. I prodotti diventeranno servizi e processi: integrata con dosi elevate di tecnologia, un’automobile diventerà un servizio di trasporto, una sequenza di materiali costantemente aggiornata in grado di adattarsi rapidamente all’uso del cliente, alla sua risposta, alla concorrenza, all’innovazione e all’usura. Che si tratti di un’automobile senza autista o di una che si può guidare, un simile servizio di trasporto garantisce flessibilità, personalizzazione, aggiornamenti, connessioni e nuovi benefici. Anche una scarpa non sarà più un prodotto finito ma un processo infinito di reinvenzione delle estensioni dei nostri piedi, magari con coperture monouso, sandali che si trasformano mentre si cammina, suole che cambiano, oppure pavimenti che fungono da scarpe. «Scarpare» diventa un servizio e non un nome. Nel regno digitale immateriale nulla è statico o fisso, tutto è in divenire.

Nei dodici capitoli che compongono il libro e che corrispondono ai 12 verbi che connotano questo flusso del divenire, Kelly individua e analizza le forze motrici del nostro presente, che stanno già plasmando l’umanità.

1 Divenire Cose e persone sono in costante divenire, anche se non ce ne accorgiamo. Ad esempio il web come lo conosciamo ora, un luogo da navigare, muterà per trasformarsi in una presenza cui relazionarsi. In futuro, la vita tecnologica consisterà di una serie infinita di aggiornamenti, in progressione ascendente. Le funzioni cambiano, spariscono gli standard, i menù si trasformano: aprirò un software che non uso quotidianamente aspettandomi determinate scelte per scoprire che interi menù sono scomparsi. Non importa da quanto tempo si stia usando un particolare strumento, gli aggiornamenti infiniti inevitabilmente ci rendono niubbi (novellini) – spesso si pensa che siano i nuovi utenti a non sapere dove mettere le mani. Nell’epoca del «divenire» tutti diventeremo niubbi o, peggio, saremo niubbi per sempre; il che dovrebbe mantenerci umili. Vale la pena di ripeterlo: in futuro tutti noi, nessuno escluso, saremo eterni niubbi, che cercano semplicemente di tenere il passo. Ecco il perché: primo, la maggior parte delle tecnologie fondamentali che prevarranno nella vita a trent’anni da oggi non è ancora stata inventata, perciò è ovvio che saremo dei niubbi a riguardo; secondo, manterremo lo status di niubbi perché le nuove tecnologie richiedono continui aggiornamenti; e, terzo, dato che il ciclo di invecchiamento sta accelerando sempre più (la vita media di un’applicazione del telefono è di soli trenta giorni!), e che quindi non ci sarà tempo per acquisire la padronanza di alcunché prima che venga sostituito, saremo destinati a rimanere nella modalità niubbo per sempre. «Eterno niubbo» è il nuovo standard per tutti, a prescindere dall’età o dal livello di esperienza.

La natura conversazionale della Rete si mostrerà sempre più evidente, come già preconizzato dal Cluetrain Manifesto del 1999 (I mercati sono conversazioni) e dall’Alice carrolliana. Fin dalla sveglia, la Rete cerca di anticipare le nostre intenzioni, di precederci nelle nostre azioni, dal momento che conosce la nostra routine quotidiana, di rispondere alle nostre domande quasi prima che gliele possiamo rivolgere. È progettata in modo da fornirci i file che ci servono in tempo per la riunione, da suggerirci il posto perfetto per pranzare con un amico in base alla nostra posizione, alle condizioni meteo, a quello che abbiamo mangiato nei giorni scorsi, a dove siamo stati la volta precedente con quello stesso amico, e molti altri possibili fattori. È come una conversazione con Internet. Invece di scorrere sul telefono montagne di scatti di un amico, basta chiedere di lui e la Rete anticipa quali foto potremmo voler vedere. Inoltre, basandosi sulla nostra reazione, può farcene visualizzare ancora, oppure altre di un’altra persona. Nel caso di un’importante riunione che sta per iniziare, può invece mostrarci esattamente quelle due e-mail che ci servono. Internet sembrerà sempre più una presenza con la quale relazionarsi piuttosto che un luogo in cui muoversi, vale a dire il famoso cyberspazio degli anni ottanta; sarà una presenza costante e inosservata, come l’elettricità: sempre presente, sempre intorno a noi e sottotraccia. Entro il 2050 arriveremo a considerare Internet come una modalità di conversazione onnipresente.

2 Cognitivizzare  E’ la forza che sta dietro ai progressi dell’Intelligenza Artificiale. Gli oggetti diventeranno intelligenti e l’intelligenza del futuro non sarà generalista, ma molto specializzata nell’esecuzione di compiti specifici. Per l’autore quella che ci attende non è una corsa contro le macchine, ma con le macchine. In questo rapporto cooperativo ci aiuteranno a definire meglio cosa siamo e a capire quale sarà il nostro nuovo ruolo nella società. Interessante la lista esemplificativa delle possibili cognitivizzazioni:

– Musica cognitivizzata: è quella che viene generata in tempo reale da algoritmi, che può essere utilizzata come colonna sonora di un videogame o di un mondo virtuale, in grado di adattarsi a seconda delle azioni compiute. Centinaia di ore di musica nuova e personalizzata possono essere composte dalla IA per ogni singolo ascoltatore.

– Bucato cognitivizzato: sono gli stessi vestiti a dire alla lavatrice come vogliono essere lavati. Il ciclo di lavaggio si adatta automaticamente al contenuto di ogni carico seguendo le istruzioni dei vestiti intelligenti.

– Marketing cognitivizzato: la quantità di tempo che un singolo lettore o spettatore trascorre a seguire gli spot pubblicitari può essere moltiplicata per la loro influenza sociale (quante persone li seguono e quale è stata la loro influenza) in modo da ottimizzare il guadagno pro capite in termini di attenzione e influenza. Realizzato su scala globale, è un lavoro perfetto per una IA.

– Agenzie immobiliari cognitivizzate: incrociare compratori e acquirenti attraverso una IA può portare alla formula «A chi piace questo appartamento piacciono anche questi…». Sarebbe quindi possibile creare dei piani di finanziamento che si adattino a ogni situazione specifica.

– Clinica cognitivizzata: monitorare i parametri biologici dei pazienti ventiquattro ore al giorno attraverso sensori che, venendo indossati, risultano in grado di generare trattamenti altamente personalizzati che possono essere affinati e aggiustati quotidianamente.

– Edilizia cognitivizzata: si immaginino dei software gestionali che siano abbastanza intelligenti da tenere in considerazione le previsioni meteo, i ritardi nelle spedizioni portuali, i tassi di cambio tra valute, gli incidenti sul lavoro, il tutto in aggiunta alle modifiche sul progetto.

– Etica cognitivizzata: le automobili robot hanno bisogno di assimilare delle linee guida sulle priorità e il comportamento, dal momento che la sicurezza dei pedoni potrebbe venire prima di quella dei guidatori stessi. Qualunque cosa provvista di un certo grado di autonomia che dipenda da un software ne esigerà anche uno che sia intelligente da un punto di vista etico.

– Giocattoli cognitivizzati: assomiglieranno sempre più ad animali domestici. I Furby appariranno primitivi, se paragonati all’immensa attrattiva che eserciteranno degli animali giocattolo intelligenti in grado di trasmettere e suscitare emozioni. Le bambole potrebbero essere i primi veri robot di successo.

– Sport cognitivizzati: i sensori intelligenti e l’IA possono creare nuovi modi di tenere i punteggi e arbitrare le partite sportive, semplicemente registrando e interpretando movimenti impercettibili e collisioni. Tutti questi dati statistici potranno addirittura essere prelevati in tempo reale dall’attività di ogni atleta a supporto dell’organizzazione di campionati di sport virtuali.

– Lavoro a maglia cognitivizzato: chi può dirlo? Ma arriverà anche quello!

Cognitivizzare il mondo attraverso l’IA è l’evento principale, e sta accadendo in questo momento.

Sono tre le svolte significative che hanno consentito l’avvento a lungo atteso dell’Intelligenza Artificiale:

  1. Calcolo parallelo a basso costo Per sua natura, il pensiero stesso è un processo in parallelo: miliardi di neuroni nel nostro cervello inviano simultaneamente dei segnali in modo da generare delle onde computazionali. Anche per creare una rete neurale, l’architettura primaria alla base del software dell’IA, servono molti processi diversi che si svolgono all’unisono, e ogni nodo di questa rete imita con una certa approssimazione il singolo neurone del cervello, cercando di interagire simultaneamente con gli altri nodi adiacenti, al fine di processare il segnale ricevuto. Per riconoscere una parola in un discorso parlato, un programma deve essere in grado di acquisire tutti i fonemi in relazione tra loro, mentre per identificare un’immagine deve individuare ogni pixel nel contesto degli altri che lo circondano. Entrambe le situazioni sono caratterizzate da calcoli eseguiti in parallelo, mentre normalmente, fino a non molto tempo fa, il processore di un computer tipico era in grado di eseguire un calcolo alla volta. Questo cambiamento è iniziato circa dieci anni fa, con l’introduzione di un nuovo tipo di chip, chiamato GPU (Graphic Processing Unit, unità di elaborazione grafica), dettata dall’esigenza di far fronte alle necessità grafiche dei videogiochi, i quali richiedono che per un’immagine vengano ricalcolati in parallelo milioni di pixel parecchie volte al secondo. Tale funzione necessitava di un chip specializzato, aggiunto in un secondo momento alla scheda madre come supplemento. Il successo di questi processori è stato fantastico, e la popolarità del settore dei videogiochi è schizzata alle stelle. Nel 2005 le GPU erano prodotte in numero talmente elevato che i prezzi erano scesi a un punto tale da renderle praticamente un bene di prima necessità. È stato Andrew Ng, insieme a un gruppo di Stanford, a scoprire, nel 2009, di poter realizzare delle reti neurali in parallelo utilizzando i processori grafici. Questa scoperta ha aperto nuove strade per le reti neurali, che possono ora includere centinaia di milioni di connessioni tra i loro nodi.
  2. Big Data Ogni intelligenza va istruita: anche il cervello umano, che è geneticamente progettato per catalogare, ha comunque bisogno di una dozzina di esempi, durante l’infanzia, prima di essere in grado di distinguere un cane da un gatto.16 Ciò è vero, a maggior ragione, se si tratta di una mente artificiale: persino il computer migliore ha bisogno di giocare almeno un migliaio di partite a scacchi17 prima di ottenere buoni risultati. Parte della svolta dell’IA è dovuta all’incredibile mole di dati raccolti da tutto il mondo, che consentono di istruirla: database giganteschi, autotracciamento, cookies del Web, impronte online, terabyte di archivi, decenni di ricerche, Wikipedia e l’intero mondo digitale sono diventati gli insegnanti che hanno reso intelligenti queste menti artificiali. Andrew Ng l’ha spiegato in questo modo: «L’IA è simile a una nave spaziale: bisogna costruire un motore enorme e serve tantissimo carburante. Il motore è l’algoritmo di apprendimento, mentre il carburante è rappresentato dall’enorme quantità di dati che bisogna dargli in pasto».
  3. Algoritmi migliori Le reti neurali digitali sono state inventate negli anni cinquanta, ma sono serviti decenni perché i ricercatori informatici imparassero a domare le relazioni combinatorie, di dimensioni astronomiche, tra le centinaia di milioni di neuroni: la chiave stava nell’organizzazione in livelli impilati. Prendiamo una funzione relativamente semplice, come il riconoscimento facciale: quando un gruppo di bit in una rete neurale viene riconosciuto come parte di uno schema, per esempio l’immagine di un occhio, questo risultato («È un occhio!») viene trasferito a un livello superiore all’interno della rete per successive analisi. In questo stadio potrebbero venir riconosciuti due occhi come ulteriore parte significativa, e passati al livello successivo della struttura gerarchica che associa anche il motivo del naso e così via. Per riconoscere una faccia potrebbero servire milioni di questi nodi, ognuno dei quali produce calcoli che producono ulteriori calcoli, impilati su quindici strati diversi. Nel 2006, Geoff Hintonsi trovava all’Università di Toronto, dove ha apportato una modifica fondamentale a questo metodo, che poi chiamerà «deep learning» (apprendimento approfondito), ottimizzando matematicamente i risultati di ogni livello in modo che l’apprendimento si accumulasse più rapidamente durante il procedere tra gli strati. E dopo pochi anni il passaggio sui processori grafici ha reso ancor più veloce questo tipo di algoritmo. Il codice di deep-learning da solo è insufficiente a produrre un pensiero logico complesso, ma è ormai parte fondamentale di tutte le intelligenze artificiali attuali, compresi Watson di IBM, DeepMind, il motore di ricerca di Google e gli algoritmi di Facebook.

Per quanto riguarda la robotica, secondo Kelly in futuro verremo pagati in base a quanto riusciremo a cooperare sul lavoro con i robot, poiché il 90 per cento dei nostri colleghi sarà costituito da macchine invisibili, e molto di quel che faremo non sarà possibile senza di loro. Non ci sarà una linea netta di demarcazione tra cosa faremo noi e cosa i robot, e si arriverà a pensare che non si tratti nemmeno di impieghi reali perché tutto quello che sembrerà vagamente faticoso verrà portato a termine dalle macchine.

3 Fluire “Internet è la più grande macchina fotocopiatrice“. Ogni cosa che può essere dematerializzata lo sarà e fluirà liberamente in rete. Lo abbiamo visto con quello che è successo alla musica quando è diventata digitale. Quando possibile e utile, l’immateriale è destinato a prevalere sul materiale, il bit sull’atomo, il soft sull’hard. In questo quadro cambia la dimensione del tempo. Durante l’era industriale le aziende facevano tutto quello che era in loro potere per risparmiare tempo e quindi aumentare l’efficienza e la produttività, ma oggi questo stesso principio non è più sufficiente. Ora le aziende devono far risparmiare tempo ai loro clienti e ai cittadini, facendo tutto il possibile per interagire in tempo reale, cioè il tempo umano. Un bancomat è molto più veloce di un impiegato allo sportello quando si tratta di prelevare denaro, e anche più efficiente, ma quello che vorremmo è una liquidità istantanea, soldi direttamente in mano, servizi simili a quelli offerti da Square, PayPal, Alipay o Apple Pay. Affinché tutto funzionasse in tempo reale c’era bisogno di liquefare le infrastrutture tecnologiche: i nomi sono diventati verbi, gli oggetti solidi sono stati trasformati in servizi. Era impossibile immobilizzare i dati, tutto ora deve muoversi in flussi. Il cloud è l’unione di questa miriade di fiumi di informazioni che convergono mescolandosi tra loro, dalla quale i software fluiscono verso di noi sotto forma di aggiornamenti. Il cloud è anche il luogo in cui vanno a finire i flussi dei messaggi prima che arrivino sullo schermo del nostro amico, o in cui la serie di film associati a un determinato account giace in attesa di essere richiamata, o la riserva dalla quale fuggono le canzoni, oppure la seggiola su cui l’intelligenza di Siri siede, quando è in attesa così come quando ci parla; il cloud è la nuova metafora organizzativa dei computer. Le unità fondamentali di questo regime digitale sono i flussi, i tag e il cloud.

Una legge universale dell’economia dice che qualunque cosa, nel momento in cui diventa onnipresente e gratuita, inverte improvvisamente la propria posizione all’interno dell’equazione. Quando l’elettricità era una novità ed era di scarsa potenza, erano i poveri a utilizzare le candele per l’illuminazione notturna; nel momento in cui, poi, l’elettricità è diventata di facile accesso e a buon mercato, la situazione si è capovolta e le candele sono diventate un distintivo di lusso, per esempio come ornamento per la tavola. Nell’era industriale sono le copie a essere più preziose degli originali fatti a mano: nessuno vorrebbe il prototipo originale e rozzo di un frigorifero realizzato direttamente dall’inventore; preferirebbe piuttosto una copia in perfette condizioni e funzionante. Più il clone è comune più è desiderabile, dal momento che viene accompagnato da una rete di servizi e centri di riparazione. Ora l’ago della bilancia si è nuovamente spostato: fiumi di copie gratuite hanno minato l’ordine costituito, trasformandolo in questo nuovo universo supersaturo di riproduzioni digitali, onnipresenti e così economiche da essere gratuite, in cui le uniche cose veramente di valore sono quelle che non possono essere copiate. La tecnologia ci sta dicendo che le copie non hanno più importanza o, più semplicemente, sono così largamente abbondanti da essere diventate inutili, senza valore, mentre le cose che non possono essere copiate diventano scarse e acquistano pregio. Quando le copie sono gratuite, si deve vendere quello che non si può copiare. Già, ma cosa non può essere copiato? Per esempio, la fiducia. La fiducia non può essere prodotta in serie, o comprata all’ingrosso, né si può scaricare dalla Rete e custodirla in un database, e nemmeno in un magazzino; semplicemente, la fiducia che ci viene accordata da qualcuno non si può copiare, ma va guadagnata nel tempo e non può essere contraffatta o finta (almeno non per un lungo periodo). Dal momento che preferiamo avere a che fare con qualcuno di cui ci fidiamo, siamo anche disposti a pagare un sovrapprezzo per questo privilegio; è ciò che viene chiamato «marchio», che certifica l’affidabilità nel mantenere le promesse, in ragione del quale le aziende possono fissare prezzi maggiori rispetto ai concorrenti che ne sono privi. In questo modo la fiducia ha aumentato di valore in un mondo saturato dalle copie. Ci sono molte altre qualità simili che sono difficili da copiare e che per questo motivo acquistano valore nell’attuale economia del cloud. Il miglior modo per distinguerle è porsi una domanda molto semplice: perché qualcuno è disposto a pagare per qualcosa che può avere gratis? E, nel qual caso, che cosa sta comprando? In un certo senso, i valori impossibili da copiare sono migliori della loro controparte gratuita. Ecco otto qualità che sono «migliori di quelle gratuite».

Immediatezza Prima o poi si trova sempre una copia gratuita di qualunque cosa si voglia, ma riceverne una per posta nello stesso momento in cui viene immessa sul mercato, o, meglio ancora, appena viene prodotta dai suoi creatori, è un vantaggio generativo. Per esempio, molte persone vanno al cinema a vedere un film lo stesso giorno in cui esce nelle sale, pagando a volte profumatamente quel che potrebbero vedere più tardi gratuitamente, o quasi, scaricandolo dalla Rete o noleggiandolo. In un certo senso, non stanno pagando per vedere il film, che sarebbe altrimenti gratuito, ma per l’immediatezza. I libri con la copertina rigida costano di più per la loro immediatezza, nascosta sotto una diversa rilegatura; un posto in prima fila ha un costo aggiuntivo per la stessa ragione. L’immediatezza, come qualità vendibile, presenta diversi livelli, tra cui l’accesso alle versioni beta. Queste versioni di applicazioni e software erano considerate di valore inferiore perché incomplete, poi si è capito che, stante la loro immediatezza, possiedono in realtà un valore aggiunto. «Immediatezza» è un concetto relativo, che può variare da pochi minuti a mesi, ma può essere ritrovato in ogni prodotto o servizio.

Personalizzazione Una versione generica di una registrazione di un concerto può essere gratuita, ma se vogliamo una copia modificata che suoni acusticamente perfetta nel nostro salotto, come se il concerto si stesse tenendo lì, potremmo anche essere disposti a spendere molti più soldi; in questo caso, non staremmo pagando per la copia in sé ma per la personalizzazione generativa. Una copia gratuita di un libro potrebbe venire personalizzata dall’editore, a patto che rifletta l’esperienza di base di coloro a cui viene donata, a seconda delle loro precedenti letture. Un film gratuito potrebbe diventare a pagamento qualora fosse tagliato in modo da riflettere preferenze specifiche riguardo ai contenuti da vedere in famiglia (senza scene di sesso, adatto ai bambini). In entrambi questi esempi la copia è gratuita, ma si paga per la personalizzazione. L’aspirina non costa praticamente nulla oggi, ma una formulazione adeguata al DNA di ciascuno di noi potrebbe essere di grande valore e costosa. La personalizzazione richiede una comunicazione continua tra il creatore e il consumatore, l’artista e l’ammiratore, il produttore e l’utente; è profondamente generativa perché richiede molto tempo e iterazioni. Gli esperti di marketing la chiamano «viscosità», perché entrambe le parti coinvolte nella relazione sono bloccate in questa attività generativa e saranno riluttanti al cambiamento o a ricominciare. Non è possibile fare copia-e-incolla di questo tipo di rapporto.

Interpretazione Come dice una vecchia battuta: «Il software è gratis, il manuale costa 10 000 dollari». Solo che non si tratta di uno scherzo. Alcune aziende di grande rilievo, come Red Hat, Apache e molte altre, si occupano di vendere istruzioni e supporto a pagamento per il loro software gratuito: copiare il codice, costituito da banali bit, è gratuito, ma quelle linee di codice acquistano valore solo attraverso la guida e il supporto. Lo stesso accadrà per molte informazioni genetiche e mediche nei prossimi dieci anni: al momento, ottenere una copia completa del proprio DNA è molto costoso – circa 10 000 dollari – ma presto il prezzo diminuirà così velocemente che arriveremo a 100 dollari, e ci saranno compagnie di assicurazioni disponibili a sequenziarlo gratuitamente. Ma, se la copiatura sarà gratuita, la sua interpretazione, conoscere per cosa e come utilizzarla – una specie di manuale dei geni – avrà un costo elevato. Questa stessa abilità generativa può essere applicata a molti altri servizi complessi, come per esempio i viaggi e la sanità.

Autenticità Potremmo mettere le mani su una copia gratuita di un software famoso sul «mercato nero» della Rete, ma anche senza l’ausilio di un manuale vorremmo essere sicuri che non ci siano bug, malware o spam. Per questo motivo, saremmo disposti anche a pagare per averne una originale. Si tratta di una copia simile a quella gratuita, ma con un che di intangibile tranquillità; non è la copia che si paga ma la sua autenticità. Si trovano quasi infinite variazioni delle jam sessions dei Grateful Dead, ma è solo comprandone una autentica che si ha la sicurezza di possedere quella desiderata, o che sia davvero stata suonata dalla band. Gli artisti hanno cercato di affrontare questa problematica da molto tempo: le riproduzioni grafiche, come fotografie o litografie, hanno spesso un marchio di autenticità posto dell’autore, la firma, che alza il prezzo dell’opera; una filigrana digitale o altre tecnologie di segnatura non possono funzionare come schemi di protezione anticopiatura – ricordiamoci che le copie sono liquidi superconduttori – ma possono servire, per chi vi è interessato, come qualità generativa di autenticità.

Accessibilità La proprietà è spesso una seccatura: bisogna tenere tutto in ordine, aggiornato e nel caso dei contenuti digitali anche effettuare una copia di riserva; vivendo in un mondo «mobile», dobbiamo portarci tutto dietro. Molte persone preferiscono lasciare che altri si prendano cura dei propri «averi», aderendo pigramente a questi servizi su cloud. La maggior parte di quei contenuti saranno disponibili gratuitamente altrove, ma non con la stessa comodità di un servizio a pagamento col quale posso accedere a materiale gratuito ovunque, da qualunque mio dispositivo e con un’interfaccia grafica a misura di utente. In parte, è proprio quello che si ottiene con iTunes su cloud: si paga per la convenienza di poter scaricare gratuitamente musica ovunque si voglia. Non si paga il contenuto in sé quanto la convenienza di avere un accesso facilitato e senza vincoli di mantenimento.

Personificazione L’essenza di una copia digitale è che non ha un corpo. Sono contento di leggere il pdf digitale di un libro, ma talvolta sarebbe bello permettersi il lusso di leggere le stesse parole stampate su pagine di carta bianca come il cotone e rilegate in pelle: è proprio una bella sensazione. Anche i giocatori che si divertono a sfidare gli amici in Rete spesso desiderano giocare tra loro di persona, nella stessa stanza. La gente arriva a pagare migliaia di dollari per biglietti di eventi a cui vogliono assistere dal vivo, anche se sono trasmessi gratuitamente in diretta in Rete. Sono pressoché infiniti i modi in cui è possibile controbilanciare il mondo immateriale attraverso una maggiore personificazione.

Patrocinio In realtà, pubblico e ammiratori appassionati vogliono pagare i creatori di contenuti, amano premiare gli artisti, i musicisti, gli autori, gli attori con dei pegni del loro apprezzamento, perché in questo modo entrano in contatto con le persone che ammirano. Ma pagheranno solo a quattro condizioni, che spesso non sono rispettate: 1) il contributo deve essere estremamente facile da elargire; 2) l’importo deve essere ragionevole; 3) deve esserci un evidente beneficio per chi decide di pagare; 4) deve essere chiaro che i soldi andranno direttamente ai creatori.

Reperibilità Le abilità generative precedenti risiedevano entro i confini delle opere creative; la reperibilità, invece, è una qualità che si applica a un aggregato di numerose opere: qualunque sia il prezzo, se un’opera non viene vista non ha alcun valore. I capolavori non trovati sono inutili: quando ci sono milioni di libri, milioni di canzoni, milioni di film, milioni di applicazioni, milioni di qualunque cosa possa attirare la nostra attenzione – per la maggior parte gratuiti – la reperibilità diventa un valore aggiunto, soprattutto se si pensa al numero di opere che oggigiorno vengono create, rendendo il tutto ancor più difficile e improbabile. Gli ammiratori usano diversi modi per scoprire ciò che merita attenzione, fra tutto quello che viene prodotto: critiche, recensioni, marchi (di editori, case discografiche, studi), e sempre più si affidano ad altri ammiratori e amici perché raccomandino loro il meglio.

4 Visualizzare Gli schermi di qualunque dimensione continueranno a moltiplicarsi e rappresenteranno il diaframma verso l’informazione e la comunicazione (vedi anche qui). Questa evoluzione determina una dicotomia progressiva fra quelli che Kelly chiama il Popolo del Libro e il Popolo dello Schermo. Oggi siamo diventati, per la maggior parte, Popolo dello Schermo; una cultura che tende a ignorare la logica classica dei libri o la venerazione delle copie, preferendo al suo posto un flusso dinamico di pixel. Gravitiamo verso gli schermi: del cinema, della televisione, del computer, dell’iPhone, degli occhiali a realtà virtuale, dei tablet; nel prossimo futuro graviteremo verso schermi di megapixel brillanti che ricopriranno ogni superficie. La cultura dello schermo è un mondo di flussi costanti, di infiniti assaggi musicali, di tagli frettolosi e di idee incomplete; è un fluire di tweet, titoli, instagram, messaggi informali e prime impressioni fluttuanti. Le nozioni non sono indipendenti ma altamente interconnesse a tutto il resto; la verità non è trasmessa dagli autori o dalle autorità ma viene assemblata in tempo reale, pezzo per pezzo, dallo stesso pubblico. Il Popolo dello Schermo produce i propri contenuti e costruisce le proprie certezze, le copie immobili non sono rilevanti quanto lo è invece un accesso fluido. È una cultura veloce, come il trailer da trenta secondi di un film, liquida e indeterminata quanto una pagina di Wikipedia. Su uno schermo, le parole sono in movimento, si fondono in immagini, cambiano colore e forse perfino significato; a volte le parole non ci sono proprio, ma solo figure o diagrammi che potrebbero essere decifrati in significati diversi. Questa liquidità è terribilmente inquietante per qualunque civiltà basata sulla logica del testo. In questo mondo, il codice in rapido movimento (inteso come codice di programmazione informatico in continuo aggiornamento) è più importante della legge, che è fissa. Il codice che si vede su uno schermo è perennemente ridefinibile dagli utenti, mentre la legge stampata sui libri non lo è. Eppure, il codice può plasmare il comportamento tanto quanto la legge, se non di più: se si vuole modificare il comportamento in Rete delle persone, basta semplicemente alterare sullo schermo gli algoritmi che lo governano, che di fatto regolano il comportamento collettivo o spingono le persone in una direzione preferenziale. Il Popolo del Libro preferisce le soluzioni fornite dalla legge, mentre quello dello Schermo individua la tecnologia come soluzione di tutti i problemi. La verità è che siamo in una fase di transizione, e lo scontro tra queste due culture si svolgerà in mezzo a noi, intesi anche come individui. Le persone moderne e istruite vivono il conflitto tra queste due modalità, e tale tensione diventerà la nuova normalità.

La tendenza alla visualizzazione conduce al mondo del Phygital, fusione di fisico e digitale. Visualizziamo su ogni scala e dimensione, dall’IMAX all’Apple Watch. Nel prossimo futuro non saremo mai molto lontani da uno schermo di qualche tipo, a cui guarderemo per primo per cercare risposte, amici, notizie, significati, e perfino il nostro senso di appartenenza, chi siamo e chi vogliamo essere.

5 Accedere Il possesso non sarà così importante come lo è oggi. Invece sarà fondamentale l’accesso a servizi e conoscenza. Ne consegue che le aziende che lo forniranno saranno in una posizione di vantaggio sulle altre. Il passaggio da una «proprietà che si acquista» a un «accesso a cui ci si abbona» rovescia molte convenzioni: la proprietà è informale e volubile. Se esce qualcosa di migliore, prendilo. D’altra parte, un abbonamento dà luogo a un fiume interminabile di aggiornamenti, edizioni e versioni che portano a un’interazione costante tra il produttore e il consumatore. Non si tratta di un singolo episodio ma di una relazione costante. Quando accede a un servizio, spesso un utente instaura con esso un rapporto molto più stretto di quanto non avvenga quando lui o lei acquista un oggetto. Spesso si rimane bloccati in questo abbonamento – pensiamo a quello dei telefoni cellulari o delle tv satellitari –, è difficile disimpegnarsi: più a lungo si usufruisce di un servizio più quest’ultimo arriverà a conoscerci; più ci conoscerà più sarà difficile abbandonarlo per ricominciare con un altro. È quasi come essere sposati.

La modalità dell’accedere inoltre avvicina gli utenti al produttore a un punto tale che spesso l’utente si comporta da produttore, o come il futurista Alvin Toffler lo ha definito nel 1980, da «prosumer», il «produttente». Se accedessimo al software, invece di possederlo, saremmo in grado di condividerne i miglioramenti, ma ciò implicherebbe anche essere stati reclutati come nuovi prosumer e incoraggiati a identificare bug e a segnalarli (sostituendoci ai costosi reparti di controllo qualità), a richiedere supporto tecnico da altri utenti all’interno dei forum (riducendo anche il servizio d’assistenza), e a sviluppare i nostri stessi miglioramenti e «add-on» (sostituendoci al costoso reparto di ricerca e sviluppo delle aziende). Accedere amplifica le nostre interazioni con ogni parte del servizio.

L’accesso è anche un modo per fornire cose nuove quasi in tempo reale. Una ragione per cui così tanti soldi stanno fluendo in questa nuova frontiera dei servizi è che ci sono molti più modi di essere un servizio piuttosto che un prodotto. Il numero di modi diversi con cui riconfigurare il trasporto come un servizio è quasi infinito; Uber è solo una variazione ma ce ne sono dozzine già sperimentate e molte altre possibili. L’approccio generale degli imprenditori consiste nello spacchettare i vantaggi del trasporto (o di qualunque X) in beni costituenti separati per poi ricombinarli in modi nuovi. Prendiamo l’esempio del trasporto: come si arriva da un punto A a un punto B? Oggi abbiamo otto modi per farlo con un veicolo: 1. Comprare una macchina che guideremo noi stessi (la scelta predefinita). 2. Servirci di una compagnia che ci porti a destinazione con la propria macchina (taxi). 3. Affittare da una compagnia una macchina che guideremo noi (affitto Hertz). 4. Assumere un privato perché guidi lui (Uber). 5. Affittare da un privato una macchina che guideremo noi (RelayRiders). 6. Servirci di una compagnia perché porti noi e altri passeggeri a destinazione lungo un itinerario prestabilito (autobus). 7. Assumere un privato perché ci porti a destinazione insieme con altri passeggeri (Lyft Line). 8. Assumere un privato che, con altri passeggeri a bordo, guiderà fino a una destinazione prestabilita (BlaBlaCar).

6 Condividere Tutto ciò che potrà essere condiviso lo sarà: tempo, pensieri, emozioni, denaro, servizi, ecc… In particolare questo avverrà con le seguenti modalità:

  1. Condivisione pura Il pubblico in Rete ha uno straordinario desiderio di condividere. Il numero di fotografie personali pubblicate su Facebook, Flickr, Instagram e altri siti è astronomico: 1,8 miliardi al giorno.8 È facile scommettere che la stragrande maggioranza di queste fotografie digitali siano condivise in qualche modo. Poi ci sono gli aggiornamenti di stato, le posizioni geografiche, le mezze riflessioni pubblicate in Rete; al tutto vanno aggiunti i miliardi di video proposti quotidianamente da YouTube9 e i milioni di storie create dagli appassionati affidate ai siti di fanfiction.10 La lista delle organizzazioni di condivisione è quasi infinita: Yelp per le recensioni, Foursquare per le posizioni, Pinterest per gli album; condividere contenuti è diventato onnipresente. La condivisione è la forma più blanda del socialismo digitale, ma serve come base per tutti i livelli superiori dell’impegno comune; è l’ingrediente principale dell’intero mondo in Rete.
  2. Cooperazione Quando più individui lavorano insieme per raggiungere un unico obiettivo su larga scala, i risultati ottenuti emergono a livello di gruppo. Gli amatori non solo hanno condiviso miliardi di foto su Flickr e Tumblr, ma vi hanno anche aggiunto dei tag con categorie, etichette e parole chiave; altri membri della comunità selezioneranno queste immagini per creare album e collezioni. Il favore che licenze Creative Commons hanno incontrato implica in un certo senso che le immagini altrui sono le nostre: tutti possono usare una foto caricata in Rete, proprio come qualunque membro di una comune può usare la carriola della comunità. Non serve che scatti l’ennesima foto della Tour Eiffel, dal momento che la comunità può fornirmene una sicuramente migliore di quella che potrei fare io stesso. Significa che posso realizzare una presentazione, un report, un album, un sito Internet migliori perché non sto lavorando da solo.
  3. Collaborazione La collaborazione organizzata può produrre risultati che vanno oltre le conquiste delle cooperazioni ad hoc. È sufficiente pensare alle molte centinaia di progetti di software open source, come i sistemi operativi GNU/Linux, che sono alla base di molti server in Rete e di numerosi smartphone. In queste imprese, gli strumenti comunitari finemente messi a punto generano prodotti di alta qualità grazie al lavoro coordinato di migliaia o decine di migliaia di membri. Contrariamente alle categorie precedenti di cooperazione casuale, ampie collaborazioni e progetti complessi tendono ad assicurare ai partecipanti solo vantaggi indiretti, dal momento che ciascun membro del gruppo interagisce solo con una piccola parte del prodotto finito. Un appassionato può passare diversi mesi a scrivere il codice per una subroutine quando il programma raggiungerà la piena efficienza solo a distanza di molti anni.

7 Filtrare Non c’è mai stato momento migliore per essere un lettore, uno spettatore, un ascoltatore o per partecipare all’espressione umana, data la valanga stupefacente di nuove creazioni quotidiane: ogni dodici mesi produciamo 8 milioni di nuove canzoni, 1 2 milioni di nuovi libri, 16 000 nuovi film, 30 miliardi di messaggi sui blog, 182 miliardi di tweet,   400 000 nuovi prodotti.   In un mondo di abbondanza diventa fondamentale riuscire a filtrare ciò che più è interessante in un certo momento. Le aziende che sapranno creare i migliori filtri saranno in grado di offrire un’esperienza migliore ai propri clienti. Interessante la lista dei possibili filtri:

– Filtro del custode: autorità, genitori, sacerdoti e insegnanti schermano il peggio lasciando passare selettivamente solo «le cose positive».

– Filtro dell’intermediario: le cataste dei progetti rifiutati raggiungono il soffitto negli uffici delle case editrici, delle etichette discografiche e negli studi cinematografici. Dicono «no» molto più spesso di quanto rispondano «sì», svolgendo così la funzione di filtro riguardo a ciò che raggiunge la grande distribuzione. Ogni titolo in un giornale è un filtro che ha detto «sì» a quell’informazione e ignorato il resto.

– Filtro dei curatori: i punti vendita non offrono tutto, i musei non mostrano qualunque cosa, le biblioteche pubbliche non acquistano tutti i libri. Ogni curatore seleziona le proprie merci e agisce da filtro.

– Filtro del marchio: di fronte a uno scaffale pieno di merci simili, un acquirente sceglierà inizialmente il prodotto di un marchio che gli è più familiare, perché è il modo meno dispendioso per ridurre il rischio insito in un acquisto. I marchi filtrano la confusione.

– Filtro del governo: i tabù sono proibiti, l’incitamento all’odio o le critiche ai leader o alla religione vengono rimossi, mentre sono promosse questioni nazionalistiche.

– Filtro dell’ambiente culturale: ai bambini vengono dati messaggi diversi, contenuti diversi, scelte diverse in relazione alle aspettative delle scuole, delle famiglie e della società che li circonda.

– Filtro degli amici: i nostri pari hanno il potere di influenzare le nostre scelte; siamo molto propensi a scegliere quello che anche i nostri amici hanno scelto.

– Filtro di noi stessi: scegliamo sulla base delle nostre preferenze, secondo il nostro giudizio. Tradizionalmente, è il filtro più raro.

Nessuno di questi metodi è scomparso al crescere della sovrabbondanza, ma per gestire l’aumento delle opzioni nei decenni che verranno abbiamo bisogno di inventare molti altri tipi di filtri. Fra i filtri usati dai social media il più noto è il «sistema di raccomandazione» ed è largamente utilizzato, tra gli altri aggregatori, da Amazon, Netflix, Twitter, LinkedIn, Spotify, Beats e Pandora. Twitter usa questo sistema per suggerirmi chi seguire sulla base di chi seguo già; Pandora ne impiega uno simile per segnalarmi la musica che mi potrebbe piacere in base a quella che mi piace già; più della metà delle connessioni intrecciate su LinkedIn è dovuta a questo tipo di suggerimenti; il sistema di Amazon è responsabile della famosa barra «A chi è piaciuto questo articolo sono piaciuti anche»; Netflix usa lo stesso stratagemma, ma per i film. Sono tutti algoritmi intelligenti che vengono eseguiti sugli storici giganteschi delle attività che tutti noi svolgiamo, in modo da predire verosimilmente quale sarà il mio comportamento. Tuttavia, la loro predizione è basata solo in parte sulle mie abitudini passate, infatti la barra di Amazon dovrebbe dire, in realtà: «Sulla base del tuo storico e su quello di altri che si sono comportati in modo simile a te, ti dovrebbe piacere anche». I suggerimenti sono finemente tarati su quello che ho acquistato in precedenza e addirittura su quello che stavo per comprare (tracciano per quanto tempo mi soffermo su una pagina, anche se in realtà non ho scelto di farlo). Grazie all’elaborazione delle similitudini tra miliardi di acquisti passati, queste predizioni possono essere straordinariamente profetiche. I filtri per raccomandazione sono uno dei miei metodi principali di scoperta, e li trovo mediamente più affidabili dei suggerimenti di amici o anche di esperti. Infatti, così tante persone trovano utili filtri di questo tipo che un terzo delle vendite di Amazon10 è dovuto alle offerte «Simile a questo», una differenza che ha reso circa 30 miliardi di dollari nel 2014.

In generale l’obiettivo dei filtri è catturare il bene più raro in questo mondo di super disponibilità di tutto: l’attenzione delle persone. La genialità dietro l’immensa prosperità di Google, Facebook e di altre piattaforme in Rete consiste nell’enorme infrastruttura che filtra questo bene attenzione. Le piattaforme utilizzano una notevole capacità di calcolo per collegare l’universo in espansione delle inserzioni pubblicitarie all’universo altrettanto in espansione dei consumatori. Le loro IA vanno a caccia della pubblicità ottimale, nel momento ottimale, nel posto ottimale e alla frequenza ottimale con la modalità ottimale di risposta. Anche se a volte vengono chiamate semplicemente pubblicità personalizzate, sono molto più complesse di semplici inserzioni focalizzate su alcuni individui. Rappresentano un ecosistema di filtri dalle conseguenze che vanno oltre il mondo pubblicitario.

Questo ci lascia con una grande domanda in un’epoca di abbondanza economica: cosa ha veramente valore? Paradossalmente, la nostra attenzione per i beni non vale molto, e la nostra mente da scimmia è facilmente dirottabile. La risorsa scarsa rimasta in questa società dell’abbondanza è il tipo di attenzione che non deriva o si focalizza sui beni. L’unica cosa che aumenta di costo mentre tutto il resto raggiunge lo zero è l’esperienza umana, che non può essere copiata. Tutto il resto diventa mercificato e filtrabile. Il valore dell’esperienza è in aumento: l’intrattenimento di lusso cresce del 6,5 per cento annuo; le spese in ristoranti e bar sono aumentate del 9 per cento nel solo 2015; il prezzo del biglietto per un concerto è aumentato di circa il 400 per cento dal 1981 al 2012; lo stesso vale per il costo del sistema sanitario negli Stati Uniti, che è cresciuto del 400 per cento dal 1982 al 2014; il costo medio di una babysitter è 15 dollari all’ora, il doppio del salario minimo. Nelle grandi città americane, non è strano che i genitori arrivino a pagare 100 dollari, se vogliono trascorrere una serata fuori. Il personal trainer, che dedica un’attenzione altamente personalizzata a un’esperienza meramente fisica, è tra le figure professionali in più rapida crescita. Nelle case di cura, il costo dei medicinali e dei trattamenti è in calo, ma quello delle visite a domicilio – esperienziale – è in crescita. Il costo dei matrimoni non ha limiti perché non si tratta di un bene, ma di un’esperienza. Dedichiamo loro la nostra attenzione preziosa, scarsa e completamente pura. Per i creatori di queste esperienze, la nostra attenzione vale molto. Non è un caso che le persone eccellano nel creare e consumare esperienze; non c’è posto per i robot. Se si vuole un assaggio di quello che faremo quando i robot svolgeranno i nostri lavori attuali, basta guardare alle esperienze. È lì che spenderemo (perché non saranno gratuite), e sarà lì che guadagneremo i nostri soldi. Useremo la tecnologia per produrre beni, e produrremo esperienze per evitare di diventare noi stessi un bene.

8 Rimescolare Gli oggetti digitali si prestano ad essere “miscelati” tanto che per Kelly i più importanti lavori culturali e i media più potenti saranno quelli che saranno stati remixati di più. Viviamo in un’età dell’oro dei nuovi media: negli ultimi decenni sono nati centinaia di generi mediatici, rimescolati a partire da quelli vecchi. Media del passato, come un articolo di giornale, una sitcom tv di trenta minuti o una canzone pop di quattro minuti, persistono e godono tuttora di una popolarità immensa. Ma la tecnologia digitale disgrega queste forme nei loro elementi, così da poterli ricombinare in modi nuovi. Le neonate forme recenti includono un articolo in Rete concepito come una lista (listicle) o una tempesta di tweet da 140 caratteri. Alcune di queste forme ricombinate sono ora così consolidate da fungere da nuovi generi, che verranno essi stessi rimescolati, disgregati e ricombinati in centinaia di altri generi nuovi nei prossimi decenni. Alcuni sono già mainstream, comprendono almeno un milione di creatori e annoverano centinaia di milioni di persone nel loro pubblico. Questi esempi possono solo suggerire l’esplosione e la vera e propria smania di forme nuove che emergeranno nei prossimi decenni. Prendiamo uno di questi generi e moltiplichiamolo, poi fondiamo e incrociamo ciò che abbiamo ottenuto. Possiamo vedere i contorni nascenti dei nuovi generi che potrebbero sorgere. Con le dita trasciniamo oggetti fuori dai film e li rimescoliamo nelle nostre foto. Un clic della fotocamera integrata nel nostro telefono cattura un paesaggio, quindi ne mostra la storia attraverso parole, che possiamo utilizzare per annotare quella stessa immagine. I testi, i suoni, i movimenti continueranno a fondersi. Grazie ai nuovi strumenti saremo in grado di realizzare le nostre visioni su richiesta: ci vorranno solo pochi secondi per generare un’immagine credibile di una rosa turchese, scintillante di rugiada e posta in un vaso dorato.

9 Interagire Nei prossimi trent’anni ciò che non sarà intensamente interattivo verrà considerato rotto. Come esempio della massima interattività KK cita la Realtà Virtuale e Aumentata che saranno parte integrante delle nostre vite. Cita in particolare il progetto di Microsoft di costruire l’ufficio del futuro. I lavoratori, anziché star seduti in un cubicolo di fronte a una parete tappezzata di monitor, si trovano in un open space in cui ognuno, indossando gli HoloLens, guarda un’enorme parete fatta di schermi virtuali tutt’intorno a sé. Oppure, cliccano per essere teletrasportati in una sala conferenze 3D con una dozzina di collaboratori che vivono in città diverse o, ancora, per seguire un corso di aggiornamento nel quale un istruttore li accompagnerà in una lezione di primo soccorso, aiutando i loro avatar ad applicare le procedure corrette. «Hai visto questo? Ora fallo.» In molti modi, una lezione in RA sarà superiore a una lezione reale.

Secondo Kelly, nei prossimi decenni continueremo a espandere la gamma delle cose con cui interagiamo. Tale espansione procede secondo una triplice spinta.

  1. Più sensi Continueremo ad aggiungere nuovi sensori e nuovi sensi alle cose che facciamo. Naturalmente, tutto avrà occhi (la vista è quasi gratuita) e udito, ma uno per uno possiamo aggiungere dei sensi sovrumani, come sensori per la localizzazione GPS, il rilevamento di calore, la vista a raggi X, la sensibilità a molecole diverse o agli odori. Ciò permette alle nostre creazioni di risponderci, di interagire con noi e di adattarsi ai nostri usi. L’interattività, per definizione, è a due vie, perciò questi sensi elevano le nostre interazioni con la tecnologia.
  2. Più intimità La zona in cui si svolge l’interazione continuerà a marciare verso di noi. La tecnologia si avvicinerà più di un orologio o di un telefono tascabile. L’interazione sarà più intima, costante e onnipresente. La tecnologia personale è una frontiera spalancata. Pensiamo che la tecnologia abbia saturato il nostro spazio personale, ma quando tra vent’anni ripenseremo a oggi, ci renderemo conto che nel 2016 ne era ancora ben lontana.
  3. Più immersione L’interazione massima richiede un salto da parte nostra nella tecnologia stessa. Questo è ciò che la RV ci permette di fare: calcoli così vicini da esserci dentro. Dall’interno di un mondo creato tecnologicamente, interagiremo l’un l’altro (realtà virtuale) o anche con il mondo fisico (realtà aumentata) in modi nuovi. La tecnologia diventa una seconda pelle.

10 Tracciare Internet è anche la più grande e veloce macchina di monitoraggio e ogni cosa che vi transita verrà tracciata. Questo trend comprende anche l’auto-monitoraggio a scopo di salute e soprattutto l’inevitabile monitoraggio da parte delle istituzioni.

L’autotracciamento, infatti, attiene a un ambito molto più ampio della salute. È grande quanto la nostra stessa vita. Minuscoli occhi e orecchie digitali indossabili possono registrare ogni secondo della giornata, tutto quello che abbiamo visto e detto, per aiutarci a ricordare. Il nostro flusso di e-mail e di testi, quando viene salvato, costituisce un diario continuo della nostra mente. Possiamo aggiungere le registrazioni della musica che abbiamo ascoltato, i libri e gli articoli che abbiamo letto e i luoghi che abbiamo visitato, i particolari significativi dei nostri spostamenti e delle nostre riunioni abituali, così come gli eventi e le esperienze eccezionali, il tutto convogliato e fuso in un flusso di bit cronologico. Questo flusso è chiamato lifestream. Nei social media, oggi, abbiamo diversi esempi funzionanti di lifestreams: Facebook (e, in Cina, WeChat). Quello di Facebook è un flusso continuo di immagini, aggiornamenti, link, puntatori e altre documentazioni della propria vita; nuovi pezzi vengono continuamente aggiunti all’inizio del flusso. Se si vuole, è possibile aggiungere a Facebook widget che catturano la musica che si sta ascoltando o i film che si stanno guardando in streaming. Facebook offre anche un’interfaccia temporale per esaminare il passato. Oltre un miliardo di flussi di altre persone possono incrociarsi con il tuo: quando un amico (o a uno sconosciuto) mette un like su un post o segnala una persona in un’immagine, questi due flussi si mescolano. Ogni giorno Facebook aggiunge sempre più eventi, flussi di notizie e aggiornamenti aziendali al flusso globale.

In questo quadro, l’autore rileva come lo scopo dell’Internet of Things, e la natura del cloud che galleggia al suo interno, consiste nel tenere traccia dei dati: i 34 miliardi di dispositivi abilitati a Internet che prevediamo di aggiungere al cloud nei prossimi cinque anni sono costruiti per trasmettere i dati. E il cloud è costruito per mantenerli. Tutto quello che entrerà in contatto con quest’ultimo, e che può essere tracciato, verrà tracciato. Per Kelly, pertanto, la sorveglianza è inevitabile. L’unica possibilità che intravede è di lottare perché la relazione sia più simmetrica, soprattutto tra stato e cittadino. Egli prospetta uno stato futuro di cooveglianza, un po’ orwelliano (come dicevo in apertura, vedi in particolare su questo il recente romanzo distopico di Dave Eggers Il Cerchio).

11 Domandare Ogni anno, gli esseri umani rivolgono a Internet 2000 miliardi di domande, e ogni anno i motori di ricerca forniscono 2000 miliardi di risposte. La maggior parte di esse è abbastanza buona. Spesso le risposte sono incredibili. E sono gratuite! Prima dell’invenzione della ricerca immediata e gratuita di Internet, la maggior parte dei 2000 miliardi di domande non avrebbe potuto trovare risposta a un costo ragionevole.

Watson di IBM ha dimostrato che per la maggior parte dei tipi di domande attinenti ai fatti, un’intelligenza artificiale può trovare risposte in modo rapido e preciso. Parte della crescente facilità nel fornire risposte risiede nel fatto che le domande passate cui è stato risposto correttamente aumentano la probabilità di un’altra domanda. Allo stesso tempo, le risposte corrette aumentano la facilità di generare la risposta successiva e il valore del corpus delle risposte nel suo complesso. Ogni domanda che rivolgiamo a un motore di ricerca e ogni risposta che accettiamo come corretta affina l’intelligenza del processo, aumentando la qualità del motore per le domande future. Mentre cognitivizziamo libri, film e l’Internet delle cose, le risposte diventano onnipresenti. Siamo diretti verso un futuro in cui porremo diverse centinaia di domande al giorno.   Per questo in futuro assumerà maggior valore la capacità di fare le giuste domande, più che ottenere le risposte appropriate. I “question maker” saranno il motore di nuove imprese e nuove possibilità.

12 Iniziare  In chiusura, nell’ultimo breve capitolo, Kelly sottolinea che questi che stiamo vivendo sono gli anni dell’inizio di una nuova era. Quella nella quale gli uomini stanno iniettando intelligenza in oggetti inanimati e stanno connettendo tra loro le intelligenze di esseri umani e di macchine. La convergenza di tante intelligenze in una super mente viene chiamata holos. Ma più che ad una singularity di cui aver paura, Kelly pone l’accento sulle opportunità che tale sistema potrà generare per persone e imprese.