Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 4 – Which way, which way?

A qualcuno starà girando la testa, si sentirà smarrito o addirittura avrà la sensazione di sprofondare, non avendo più la terra di salde certezze sotto i piedi. Proprio come accade ad Alice, per tornare alla nostra eroina Pop preferita. Which way, which way, si chiede continuamente, davanti alle porte della hall al termine del cunicolo sotterraneo in cui è caduta, così come nel bosco dove incontra lo Stregatto e in tanti altri momenti, continuamente preda di quel disorientamento che è la cifra più emblematica della contemporaneità (giusto il titolo del celebre volume collettivo curato da Celati nel 1977,  Alice disambientata). Perché?

La risposta è semplice: nei labirinti di Wonderland così come in quelli della mondo in cui viviamo, segnato da una promiscuità fra Intelligenze naturali e Artificiali tanto spiccata da renderle quasi interscambiabili (perciò alla fine di  Ariminum Circus Stagione 1 il dubbio che non solo il Piccolo Ed, ma tutti i personaggi siano robot si tramuta in una certezza pressoché assoluta), viene a meno la possibilità di imboccare una via predefinita: in termini aziendali, la one best way del tradizionale management tayloristico che rispecchia unicamente il passato, in cui lo stesso “know” del “know how” è   appunto   un “known”, un saputo e non un sapere dischiuso al futuro.

«Ci troviamo immersi in un mondo che abbiamo reso così intricato, così misterioso – scrive P.K. Dick – che (…) potrebbe giungere un tempo in cui un uomo dovrà trattenersi dal violentare la sua macchina da cucire»[1]. Per inciso, nell’attuale era neo orwelliana dell’iperpolitically correct e della cancel culture, flagellata da puritanesimi talebani e militanze cieche, per una frase del genere Dick sarebbe bandito immediatamente dall’umano consesso… La «Banalità del Bene», come viene definita in  Ariminum Circus Stagione 1, questo cancro che sta infiltrandosi  come una metastasi in tutti i gangli della società e quindi nell’organismo delle imprese, è forse il punto più basso e letale toccato da un nazional-populismo spacciato per Pop Culture. Ma ci torneremo.

La tua strada, la strada che passa per la  definizione della tua molteplice, ma anche unica e originale, personalità, la devi costruire mentre percorri dedali in cui la contemporaneità si specchia in modi sempre diversi: ad esempio, i realizzatori del film Labyrinth – Dove tutto è possibile (regia di Jim Henson con David Bowie, 1986) ammisero diverse influenze, fra cui, oltre ad Alice nel Paese delle MeraviglieIl mago di Oz e le opere di Maurice Sendak e di M. C. Escher. «Il tema della ricerca della propria identità è frequentemente utilizzato nel genere fantasy, sia letterario che cinematografico, con risultati alterni. Non è infatti semplice sviluppare in modo interessante e profondo un viaggio, spesso finalizzato alla ricerca di un particolare oggetto dai poteri speciali, che coincida con il percorso iniziatico del protagonista. Uno dei modelli del cammino alla scoperta del Sé è quello che accosta il mondo “reale” (inteso come quotidiano) a uno “fantastico” (inteso non come “irreale”, in quanto la realtà può essere soggettiva, ma piuttosto alternativo a essa). In campo letterario, gli esempi più conosciuti di questo modello sono indubbiamente Il Mago di Oz di L. Baum e Alice nel paese delle meraviglie di L. Carroll: in entrambi la protagonista attraversa una serie di riti di passaggio, scoprendo sé stessa e alcune verità del cammino esistenziale tramite il mondo fantastico nel quale viene temporaneamente a trovarsi. È dunque evidente la similitudine fra questi classici della letteratura fantastica e la trama di Labyrinth, a essi chiaramente ispirato, che sviluppa e arricchisce temi analoghi. Lo scopo di Sarah, ragazza in bilico fra infanzia e adolescenza, è quello di attraversare il Labirinto per ritrovare il fratellino rapito da Jareth, Re dei Goblin; un’ardua impresa, dato che il Labirinto è un regno in continua trasformazione, colmo di sorprese, e la coraggiosa ragazza dovrà superare non poche prove. Raggiungere il centro del Labirinto significherà anche conquistare una nuova consapevolezza di sé stessa»[2].

Vedremo più avanti che questo obiettivo può essere realizzato grazie all’apertura verso gli altri, alla capacità di relazionarsi con il nuovo e il diverso e di impostare relazioni ispirate a quella che lo Humanistic Management definisce “empatia sistemica” (componente essenziale dell’Intelligenza Collaborativa). Anticipiamo qui solo che, sotto questo profilo, Alice è senza dubbio abilissima nel costruire relazioni empatiche. Nonostante la stranezza dei personaggi in cui si imbatte, con cui ingaggia complicati dialoghi (parafrasando il Cluetrain Manifesto, potremmo dire che le “avventure di Alice sono conversazioni”) e che in prima battuta le sono spesso ostili, la bambina impara rapidamente a evitare le situazioni di scontro (cfr. l’analisi del suo primo incontro con un abitante di Wonderland, il Topo) e dimostra di avere un talento innato nel porsi come interlocutrice: curiosità, capacità di ascolto, rispetto dell’interlocutore (che sia un Cappellaio Matto, una bislacca coppia di gemelli cantastorie o uno strampalato millepiedi) sono le caratteristiche che le consentono di trasformare ogni incontro in una ricca esperienza relazionale.

Un discorso lungo, che affronteremo a suo tempo. Credo sia bene invece a questo punto focalizzarsi sul fatto che i labirinti non sono tutti uguali. Il labirinto è una struttura antichissima: è un oggetto universale, diffuso praticamente ovunque. Il più antico degli archetipi Pop, potremmo dire. Lo dimostra l’attento studio mitologico di Kereny (Nel labirinto 1941) che ne rintraccia le coordinate geografiche con dovizia di collegamenti tesi a dimostrare la sua sostanziale archetipicità. Come oggetto simbolico, infatti, il labirinto si presta a rappresentare il mondo con una  forza ideografica  tale da poter essere applicata a più livelli dell’esistenza umana.

E’ stato Giovanni Sartori, per fare un caso, a ricordare lo straordinario virtuosismo di Norberto Bobbio nel puntualizzare il proprio modo di intendere il mondo, riassumendo in tre metafore le tre possibili interpretazioni della storia: la mosca nella bottiglia, il pesce nella rete, il labirinto. «Nella prima – ricorda Sartori – il compito della filosofia è insegnare alla mosca a uscire dalla bottiglia: questa metafora lascia intendere che una via d’uscita esiste e che c’è uno spettatore, il filosofo, che sa dove questa uscita si trova. Diversa è l’interpretazione della storia contenuta nella metafora del pesce nella rete, che si dibatte per trovare una via d’uscita, ma la via d’uscita non c’è e lui non lo sa. Noi uomini, si chiede Bobbio, siamo mosche nella bottiglia o pesci nella rete? Né l’uno, né l’altro, risponde: la condizione umana può essere raffigurata meglio con una terza immagine, da lui prediletta, quella del labirinto: crediamo di sapere che una via di uscita esista, ma non sappiamo dove sta. Non essendoci nessuno al di fuori di noi che può indicarcela, dobbiamo cercarcela da soli. Ciò che il labirinto insegna non è dove stia la via d’uscita, ma quali sono le vie che non portano da nessuna parte»[3].

Ancora, non è difficile scorgere la struttura essenzialmente labirintica della celeberrima Biblioteca di Babele borgesiana, con tanto di corridoi e incroci, disposta in modo multiplanare e infinito. E «nel racconto Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, che apre il più leggendario dei suoi libri, Finzioni (1956), Borges narra di un’enciclopedia progettata per descrivere la geografia e la cultura di un pianeta immaginario: Tlön. A un certo punto, la realtà cede e oggetti di Tlön vengono ritrovati in diversi paesi, le copie dell’enciclopedia di Tlön proliferano, le scienze e la storia vengono riformate in base a essa: “Come non sottomettersi a Tlön, alla vasta e minuziosa evidenza di un pianeta ordinato? Inutile rispondere che anche la realtà è ordinata. Sarà magari ordinata, ma secondo leggi divine – traduco: inumane – che non finiamo mai di scoprire. Tlön sarà un labirinto, ma è un labirinto ordito dagli uomini, destinato a esser decifrato dagli uomini”. Se oggi esistesse un progetto Orbis Tertius avrebbe nelle reti informatiche il suo mezzo di realizzazione. Internet è un’enciclopedia tlöniana? Senza dubbio ci troviamo di fronte al primo ambiente artificiale condiviso da milioni di persone. La realtà, come scrive Baudrillard, si sta per dissolvere in un’ultrarealtà?»[4].

La crescente importanza dell’esperienza metaversale nel panorama socioculturale attuale sembrerebbe confermare l’ipotesi. In ogni caso, analogico, digitale o ibrido che sia il mondo in cui ciascuno di noi trascorre la sua vita, qui rientra la metafora globale del mondo come libro e come labirinto su cui spesso si è soffermata l’analisi di intellettuali come Umberto Eco, che può essere estesa all’universo delle organizzazioni sociali, e a quelle aziendali in particolare.

In questo senso, labirinti, testi e imprese possono  essere ricondotti ad una  tipologia schematica come la seguente[5]:

PRIMO TIPO: unicursale, è il labirinto classico, a un solo corridoio che si avvolge a spirale e non ha biforcazioni, dove non ci si può perdere. Si può immaginare come una fune avvolta su sé stessa. L’esploratore entrerà  e uscirà  senza possibilità di errore. Dal punto di vista   narratologico un racconto o un romanzo sono unicursali: vanno dall’inizio alla fine senza possibili deviazioni. Le versioni “cartacee” dei libri di Alice non fanno eccezione. Nella storia del management, questo andamento mono-direzionale e deterministico corrisponde all’impostazione tayloristica, alla fabbrica fordista, alla catena di montaggio.

SECONDO TIPO: ad albero, è il labirinto manierista, a più corridoi che si dipartono da incroci. Anche qui una sola è  la via per giungere al centro, ma si incontrano vari rami, e il navigatore, terminata l’esplorazione del ramo, dovrà tornare indietro, proseguire fino al prossimo bivio, eventualmente esplorare il nuovo ramo e così via. E’ questo il caso del labirinto che Disneyland a dedicato ad Alice. Eco paragona questo tipo di labirinti ai libri-gioco, in cui il lettore si identifica con il protagonista e passa da un punto all’altro del libro a seconda delle scelte  che il testo gli impone di effettuare. Nelle aziende questa duplicità comincia ad affermarsi con le organizzazioni matriciali, dove di volta in volta la persona è posta davanti a una scelta fra le direttive provenienti  dal referente gerarchico e da quello funzionale, ben raramente coerenti fra loro. Tipico il caso di una multinazionale composta da più Divisioni che riportano a una Corporate. Ogni Divisione è autonoma per quanto riguarda la gestione corrente, ma deve ricevere l’approvazione della Corporate per le scelte strategiche fondamentali. In questo contesto, i responsabili delle singole funzioni di Corporate hanno autorità nei confronti delle funzioni omogenee delle Divisioni, le quali rispondono però gerarchicamente al Capo Divisione. Chiunque abbia sperimentato la realtà di questo modello (in teoria assolutamente chiaro) sa bene che moltitudine di problemi ci si trova ad affrontare quando  una Corporate con la sede a Roma o Milano, spesso senza alcuna competenza su business specifici e realtà geografiche distanti dall’Italia,  vuole assoggettare al teatrino dei piani e dei comitati per l’uniformazione di procedure unità organizzative che sono impegnate in business magari assai diversi fra loro  in Cina, in Africa  o in Australia.

TERZO TIPO: a rizoma, è il labirinto moderno, dove i corridoi sono tutti potenzialmente in collegamento in una rete di relazioni che non presuppongono l’unicità del percorso, ma la sua molteplicità. Rispetto al precedente, ha dei passaggi trasversali da un ramo all’altro. In questo labirinto ci si può perdere, l’esploratore rischia di rimanere intrappolato. Così accade nei videogiochi, che in larga misura altro non sono che labirinti interattivi: come Alice: Madness Returns, videogioco per Microsoft Windows, PlayStation 3 e Xbox 360, pubblicato nel giugno 2011, sequel del videogioco American McGee’s Alice, uscito nel 2000 per Windows e Mac, divenuto leggendario e che da anni sembra in procinto di trasformarsi una serie tv (anche se al momento il traguardo non sembra essere vicino, specie dopo la rinuncia dell’autore a realizzare un terzo capitolo del gioco).

Quella rizomatica è la struttura dell’enciclopedia secondo Eco, che si riflette anche in quelle organizzazioni che hanno proceduto a una decisa azione di appiattimento organizzativo e in cui alla gerarchia  sono  via via andate sostituendosi, almeno in parte, altre modalità di integrazione come le task force e i team di progetto. Siamo comunque anche in questo caso nell’ambito di un universo chiuso, dove ancora sono ben chiari i confini fra ciò che sta “dentro” e ciò che sta “fuori” l’impresa. In aziende di questo tipo, ad esempio, la comunicazione si identifica con il processo di creazione e scambio di messaggi, mirati al conseguimento di scopi specifici, tra unità organizzative contraddistinte da relazioni gerarchiche o funzionali (comunicazione interna) ovvero tra queste ultime e l’ambiente (comunicazione esterna).

QUARTO TIPO: polivoco. Alla tipologia  sopra esposta, la realtà del mondo contemporaneo consente di aggiungere un quarto tipo, qualitativamente diverso dagli altri, dove «il labirinto si dice in molti modi» e «non esclude i tipi precedenti, ma li contempla come fasi provvisorie e momenti parziali della propria mobile realtà»[6].  Se il pensiero che rivolgiamo al labirinto è quello che presuppone un solo viaggiatore (Teseo, nella leggenda) e un solo percorso,  il labirinto di quarto tipo si caratterizza come “polivoco”, per la  caratteristica molteplicità delle visioni possibili al suo interno.

Evidentemente il quarto modello rappresenta meglio di ogni altro lo strumento narratologico Pop tipico della contemporaneità: l’ipertesto, connotato dalla mancanza di una linea guida ben precisa, oltre che dalla scomparsa della direzionalità dell’ordinamento gerarchico. E nei modelli organizzativi, così  come in quelli sociali, politici e pedagogici, stiamo compiendo un graduale passaggio da labirinti gerarchici a labirinti diffusi, da strutture rigidamente canoniche a strutture decentrate. Quasi ogni momento della vita contemporanea (lavoro, tempo libero, informazione, fruizione della realtà urbana) è segnato infatti da una forte presenza di eventi comunicativi non organizzati, non sequenziali, dispersi: si potrebbe dire paradossalmente, ma non tanto, che la vita di ogni giorno si svolge all’interno di un macro-ipertesto, costituito da televisione, radio, giornali, Internet, Metaverso dove ognuno si affanna a orientarsi e scegliere il percorso giusto per recuperare la misura della propria posizione nel mondo.

Questo passaggio è chiaramente rilevabile nel mondo aziendale.  Rispetto alle premesse organizzative che sono comuni ai primi tre modelli descritti, oggi se ne sono affermate di nuove, quali:

  • è sempre più difficile stabilire chi sta dentro e chi sta fuori dall’organizzazione (Total Experience);
  • è necessaria la condivisione, da parte delle persone, del processo di generazione dei significati;
  • è più rilevante la socializzazione orizzontale del know-how che la divisione verticale del lavoro;
  • come negli ipertesti tutto è fluido, temporaneo e modificabile, nelle imprese attuali  strutture, ruoli, compiti non sono mai  completamente definiti, sono sempre in progress.

Per questi motivi le organizzazioni fortemente centralizzate entrano in crisi. Nelle aziende il problema diviene l’organizzazione delle conoscenze dopo la messa in crisi dei consueti metodi. Si tratta di un difficile problema di ordine strategico (poiché richiede un ripensamento integrale sia delle linee guida con cui sviluppare innovazione sia della intera cultura d’impresa, a partire dai modelli organizzativi e dalle modalità di gestione), ma che richiede anche una forte innovazione sul piano degli strumenti tecnici messi in campo.

Ecco allora che la riflessione su Alice può tornare ancora utile. John Fisher, parlando della passione per i labirinti che si manifestò precocemente in Carroll, ricorda un episodio assai significativo: «Carroll frequentemente ha disegnato percorsi intricati per le sue piccole amiche… Così Giorgina Watson, chiamata familiarmente Ina, avrebbe raccolto le indicazioni delle lettere che formavano i nomi delle due sorelline, Hartie e Mary, prima di raggiungere la meta designata dal proprio nome»[7]. Ovvero: per “conoscere te stesso” devi fare uso della tua intelligenza esplorativa, accettando, come insegnava Bobbio,  i rischi legati alla ricerca di itinerari sempre nuovi  per accedere a forme continuamente  diverse ed evolutive di conoscenza, che passano anche e soprattutto attraverso la mappatura e l’aggiornamento della tua rete di relazioni sociali (social network).

Allo stesso modo, a livello collettivo, rischio diffuso e accesso condiviso costituiscono nel mondo contemporaneo gli architravi di una organizzazione esplorativa, che, attraverso l’azione degli attori che la popolano, non conserva un ordine dato, ma che si mette in condizione di rigenerare di volta in volta – e anche pericolosamente – un ordine emergente dal basso, dalle iniziative plurali dei molti soggetti e dei molti gruppi, e soprattutto un ordine cui sono i soggetti stessi a conferire senso e validità attivando la propria Intelligenza Collaborativa.

In conclusione, il Manifesto del Pop Management sarà un labirinto polivoco, in cui sarà difficile, se non impossibile (e, forse, inutile) orientarsi. Sia pure come abbozzo, come primo tentativo, propongo alcune delle dimensioni su cui dovrà essere costituito – l’elenco di quelle che verranno delineate in questi Prolegomeni:

  • Leadership Pop
  • Collaborazione Pop
  • Organizzazione Pop
  • Marketing Pop
  • Sensemaking Pop
  • Inclusione Pop
  • Engagement Pop
  • Innovazione Pop
  • Formazione Pop
  • Storytelling Pop
  • Etica Pop.

4 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

 

[1] Carlo Francesco Conti, Dick, il tempo, il labirinto e la strategia della meraviglia neobarocca, 1985, p. 2: Cfr.: https://www.academia.edu/11921720/Dick_il_tempo_il_labirinto_e_la_strategia_della_meraviglia_neo_barocca

[2] Andrea Occhino, La strada del ritorno. Labyrinth (1986) di Jim Henson:  Cfr.

http://www.centrostudilaruna.it/occhino11.html

[3]Cfr.: http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/18/BOBBIO_verita_nel_labirinto_co_0_991018711.shtml

[4] Manifesto dello Humanistic Management, cit. Tredicesima Variazione:, pp. 38-39. Cfr.: http://www.marcominghetti.com/opere/il-manifesto-dello-humanistic-management/lunita-molteplice/tredicesima-variazione/

[5] Riprendo qui alcune osservazioni più estesamente sviluppate in L’Impresa shakespeariana, cit., pp.378-381.

[6] Carlo Francesco Conti, cit., pag. 3.

[7] La magia di Lewis Carroll, a cura di John Fisher, Theoria, 1986, pag. 26.

Puntate precedenti:

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU