Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 12 – Collaborazione Pop. L’irresistibile ascesa delle community aziendali interne

Nei Prolegomeni introduttivi e in quelli dedicati alla Leadership, abbiamo cominciato a vedere come si possa guardare a Shakespeare in una prospettiva manageriale, che è anche una prospettiva Pop. Del resto, il Rinascimento shakespeariano in ambito imprenditoriale va di pari passo con la fortuna del drammaturgo inglese al cinema, grazie a Kenneth Branagh, che ha diretto svariati adattamenti delle opere del Grande Bardo, iniziando appunto da Enrico V (1989), seguito da Molto rumore per nulla (1993), Hamlet (1996), Pene d’amor perdute (2000), As You Like It – Come vi piace (2006) e a cui sono seguiti innumerevoli adattamenti shakespeariani cinematografici e televisivi fino ai giorni nostri. L’Autore che si pone al centro del Canone letterario occidentale costituisce un’inesauribile fonte di ispirazione per conoscere meglio noi stessi, le organizzazioni in cui lavoriamo, le società in cui viviamo. Come sostiene Harold Bloom quando scrive: “Qui ci troviamo di fronte alle insuperabili difficoltà della più idiosincratica forza di Shakespeare: chiunque tu sia e ovunque ti trovi, egli è sempre davanti a te. Ti rende anacronistico perché ti contiene; non puoi sussumerlo”.[1] Lo stesso naturalmente si può dire per Dante, come ha chiarito Enrico Cerni (Head of Faculty and Mandatory Training di Generali Italia) con il suo Dante per i manager.[2]

Se integriamo tale presupposto con la visione manganelliana del linguaggio (che un personaggio di Ariminum Circus Stagione 1 riprende così: «Dubito che esistano Universi che non siano Universi di segni. Pensa… all’Ariminum stessa di oggi: occupa uno spazio del mondo proprio come una lingua, catalogo dei possibili retorici, viene organizzata in una sintassi; o un libro, articolato in capitoli, paragrafi, periodi, parole, interpunzioni, vuoti»)[3], arriviamo al concetto di cittadinanza organizzativa come testo, aperto a una pluralità di letture, di cui i singoli individui operanti in azienda sono gli autori, in quanto riflettono e agiscono sul significato del costruire una vita comune a partire dal loro essere persone concrete, che appartengono a specifici gruppi sociali, che hanno agende politiche diverse, interessi peculiari e sistemi di significati contrastanti per gli stessi concetti.

L’idea già al fondo dell’esperienza di Hamlet è che “l’impresa di persone” possa scaturire solo dal confronto fra tutti coloro che direttamente e indirettamente, a partire da ruoli istituzionali, politici, sociali e aziendali differenti, o addirittura opposti, influiscono sulla determinazione dei modelli organizzativi, dei metodi e processi di lavoro, degli strumenti di gestione e controllo. Nello stesso tempo, l’impresa non è “un mondo a parte”: nasce e si sviluppa in un contesto socioculturale assai più ampio, da cui trae senso e per il quale diviene a sua volta fonte di nuovi significati.

Per questo motivo con Hamlet si è voluto mostrare come non solo la letteratura, ma anche altre espressioni dello spirito umano – la pittura o la filosofia o la cinematografia – possono servire sia quali terreni imparziali su cui fare dialogare le differenti opinioni relative all’essere e al divenire delle imprese, sia come “lenti d’ingrandimento” che consentono di guardare all’azienda (nel suo insieme, nei suoi aspetti particolari e nei suoi rapporti con l’esterno) cogliendone le sfaccettate valenze, i numerosissimi e forse infiniti livelli di lettura. La speranza è che dall’incontro di esperienze e punti di vista anche lontani fra loro (“metadisciplinarietà”[4], nel linguaggio dello Humanistic Management) si possa pervenire a un arricchimento complessivo di tutti coloro disposti ad aprirsi agli altri: così avviene in campo artistico dai tempi delle botteghe rinascimentali, passando per esperienze come quella della Factory di Andy Warhol, il padre della Pop Art. Nelle parole di Julie Mehretu: «L’arte non è fatta di singoli protagonisti, non lo è mai stata, non può esserlo tantomeno oggi, ma nasce dalla collaborazione, da una comune sensibilità».[5]

Ecco, allora, Le Aziende In-Visibili, il “romanzo a colori”, pubblicato nel 2008: una vera e propria piattaforma (sia pure analogica) per la generazione di percorsi narrativi. Alla sua declinazione hanno lavorato un centinaio di personalità dell’economia, dell’arte e della cultura che hanno costituito la LMS, Living Mutants Society: Innocenzo Cipolletta, Paolo Savona, Walter Veltroni, Alessandro Zaccuri, Pier Aldo Rovatti, insieme a decine di altri scrittori, filosofi, registi, astronauti, cantanti, attori, sociologi, analisti finanziari. La sfida che hanno accettato: racchiudere la propria conoscenza umana e professionale in un breve apologo, che rivisita una delle Città Invisibili di Italo Calvino, divenendo al tempo stesso uno dei centoventotto episodi de Le Aziende In-Visibili. Si è così aperta la strada a una ricerca individuale e collettiva che varca, grazie alla forza dell’analogia, i confini del tradizionale modo di guardare al mondo imprenditoriale, ma che soprattutto utilizza la metafora dell’azienda per parlare della nostra contemporaneità.

Per la serie le coincidenze non sono mai casuali, vale la pena di ricordare che due anni dopo, in La carta e il territorio, Michel Houellebecq narra di Jed Martin, un artista che diviene famoso per le sue “composizioni d’impresa”, la più celebre delle quali si intitola Bill Gates e Steve Jobs parlano del futuro dell’informatica  – una sorta di Vite Parallele Pop che sarebbe piaciuta all’emulo di Cornelio Nepote (Achille Campanile) che sogna di firmare le sue Vite di uomini illustri con lo pseudonimo di Cornelio Zio. Il ciclo si concluderà con il fallimento di un quadro dal titolo Damien Hirst e Jeff Koons si spartiscono il mercato dell’arte. La passeggiata di Mondrian e Miro in  Ariminum Circus Stagione 1, durante la quale discutono l’idea che i cartoni di Wile E. Coyote  e Beep Beep rappresentino la forma più compiuta di astrattismo, sarebbe stata un soggetto degno dell’immaginifico e forse non così immaginario pittore houellebecquiano!

In ogni caso, ci dice qualcosa sulle possibilità di dialogo fra arte e Impresa Pop su cui sviluppa una riflessione Cesare Catania nel suo Opinion Piece che si inserisce in un ampio dibattito. In particolare, merita una citazione il nuovo libro di Francesco D’Isa, La rivoluzione algoritmica delle immagini. Arte e intelligenza artificiale (Luca Sossella, 2024), incentrato sui rapporti tra IA, arte e creatività. Si chiede D’Isa: «Il vento è autore del manto di foglie sul suolo? Possiamo rispondere affermativamente, ma se sposiamo questa teoria il concetto di autorialità si espande fino a divenire inutilizzabile, o meglio fino a coincidere con qualunque rapporto di causa/effetto». L’opera è tutto o quello che conta è il processo dentro la quale viene ad essere? Se la stessa opera fosse creata da un’Intelligenza Artificiale, sarebbe diversa? È una domanda simile, ha notato in una recensione Riccardo Manzotti, «a quella che si poneva il filosofo Arthur Danto. Se uno scrittore, del tutto all’oscuro di letteratura spagnola, componesse oggi un testo identico al Don Chisciotte di Cervantes, avrebbe lo stesso valore del romanzo scritto dall’autore madrileno? L’intenzionalità dell’artista è parte dell’opera? E le Intelligenze Artificiali hanno intenzionalità? Per ora no, ma se l’avessero? Estetica e filosofia della mente si intrecciano intimamente»[6]. Le stesse domande che sono al centro del celebre racconto Pierre Menard, autore del Chisciotte, contenuto in Finzioni (Borges, 1941), al netto dell’interrogativo su umano e artificiale che sarà invece centrale nella produzione del suo allievo Italo Calvino (faccio ovviamente particolare riferimento al saggio Cibernetica e fantasmi).

Tornando dunque alle sperimentazioni calviniane, proseguendo nella direzione indicata da Ariminum Circus Stagione 1 («la strada impraticabile e necessaria dell’andare oltre»)  in particolare grazie ai testi di Andrea Prencipe e Massimo Sideri L’Innovatore Rampante (2022) e Il Visconte Cibernetico (2023) il mondo del management arriverà alla scoperta del “Metodo Calvino” (che “lavorando sugli opposti, la più completa pienezza e l’assoluto vuoto, la leggerezza e la gravosità, la precisione e la più vaga inesattezza, funge da passe-partout capace di decrittare ogni complessità è anche la chiave appropriata per comprendere l’era che viviamo, anch’essa fatta di opposti»). L’operazione condotta insieme alla Living Mutants Society non ha costituito dunque un’ennesima sperimentazione di narrazione collettiva, ma un vero e proprio esercizio comunitario di Intelligenza Collaborativa, risorsa indispensabile in un mondo in cui dimensione fisica e digitale sono ormai interconnesse, ci si muove verso nuovi paradigmi di lavoro ibridi e flessibili in cui il ripensamento di logiche e modelli organizzativi coinvolge, oltre che nuove tecnologie, anche fattori esperienziali, ambientali e umani. Uno scenario fluido in cui diventa cruciale per le organizzazioni ripensare le modalità con cui le persone operano e co-operano. Per citare ancora Houellebecq, “all’interno di una specie sociale, l’individualità è solo una breve finzione”[7].

Formative, informative, di pratica o d’innovazione, interamente digitali o ibride, supportate da piattaforme diffuse come quelle M365 (Teams, Yammer) o da CMS custom, ma anche importate direttamente dal più Pop dei social media, Facebook, attraverso partnership con Meta, le community sono ormai al cuore dei processi aziendali, consentono alle aziende di progettare e accompagnare la propria evoluzione culturale, abilitando logiche partecipative di inclusione, innovazione e scambio mutuate dai social.[8] Tanto che una fonte interna della holding di Mark Zuckerberg ha riferito al sito specializzato TechCrunch[9] che Workplace (la versione di Facebook per le aziende) sarà chiusa per focalizzare gli sforzi della società sullo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale e del Metaverso. La piattaforma è stata messa in crisi dalla concorrenza soprattutto con le tante alternative nate o esplose durante la pandemia da Covid-19 quando molte persone hanno lavorato in smart working.

La ragione del loro successo è facile da capire.

Sotto il profilo della comunicazione: generano flussi di scambio bidirezionale tra i partecipanti per una raccolta continua di spunti e idee​; determinano la costruzione di relazioni professionali di valore stimolando il coinvolgimento delle persone e aumentando l’attrattività che può portare ad un eventuale diminuzione del turnover[10]​; abilitano la partecipazione attiva degli utenti ​(es. promuovendo se stessi e i propri progetti) al fine di rafforzare motivazione e commitment​.

Per quanto attiene alla sfera del knowledge management consentono: la condivisione di conoscenze e best practices esplicite e tacite attraverso il confronto continuo sulle modalità di lavoro (procedure aziendali, operatività…); lo sviluppo di competenze digitali; la valorizzazione dei talenti interni, per costruire un know how condiviso nella Direzione​; l’apprendimento di contenuti, pratiche e metodologie esterne al contesto aziendale​.

La collaborazione, infine, ne trae giovamento grazie alle interazioni dirette tra persone con competenze simili e di dipartimenti diversi, oltre che alla presenza di spazi di aggregazione dedicati e gestiti da esperti, per promuovere uno scambio aperto e costruttivo su soluzioni mirate​: di conseguenza, si ottiene un’ottimizzazione dei processi con un significativo efficientamento delle attività.

Dalle osservazioni di Tori Paulman e Matt Cain per Gartner sul 2022, inoltre, risulta che:​

  1. gli employee desiderano una Digital Worker Experience (DEX) che abiliti lo sviluppo di competenze digitali e scambi efficienti;
  2. i tool M365, in particolare con Viva, consentono di strutturare la DEX con nuovi modelli operativi, anche e soprattutto culturali​;
  3. soluzioni come le community di Viva Engage, in grado di abilitare nuovi modelli collaborativi, contribuiscono a un potenziamento del business sia in maniera diretta (ROI – return of investment) che indiretta, agendo sul livello di ingaggio (ROE – return of engagement)[11].

Per questi motivi le grandi aziende stanno puntando sempre più sulla creazione di quelle che possiamo definire “community interne d’ingaggio”, mutuate dai modelli dei social media. E l’aderenza degli strumenti esistenti di community virtuali aziendali a modelli esistenti di social media (Facebook, LinkedIn, X, Instagram, TikTok) diventa rilevante ai fini di adoption. Poter usare feature specifiche che mutuano le caratteristiche dal mondo dei social network (prima) e dei social media (ora) significa usare strumenti che hanno superato la prova del tempo, dell’adoption e dell’ingaggio di miliardi di persone nell’arco degli ultimi vent’anni. E’ un tema di ergonomia cognitiva, e quindi di strumenti disegnati e selezionati per essere intuitivamente adattati al nostro modo di agire nel quotidiano: parliamo di hashtag per indicare gli argomenti, o di menzioni (@) per richiamare l’attenzione di un/a collega, parliamo di CTA (Call for Action) per ingaggiare e di reaction per comprendere se un tema ha attratto o meno l’attenzione dei nostri lettori (like, commenti, condivisioni). Con questo meccanismo, ad esempio, sto raccogliendo su LinkedIn gli Opinion Piece che rinforzano la riflessione sul Pop Management, mentre nel 2009 è stata una CTA a produrre i video della Web Opera ispirata alle Aziende InVisibili.

Da segnalare in questo quadro il libro di Chris Anderson intitolato Generosità Contagiosa, l’idea che vale assolutamente la pena diffondere (Egea): una guida pratica per cercare di rendere virale la generosità e un positivismo così ostinato che a tratti risulta stucchevole. Anderson racconta però anche una miriade di episodi, vicende e fenomeni interessanti. Sono in parte legati ai tanti oratori che hanno calcato i palchi dei Ted, ma non necessariamente si tratta di quelle figure di primissimo piano della politica, della ricerca e della tecnologia che hanno fatto di quei cicli di brevi conferenze un punto di riferimento planetario. Un esempio: l’attore e sceneggiatore trentacinquenne Dylan Marron. Invece di combattere i tanti detrattori online che lo perseguitano, ne ha contattati alcuni dando vita al podcast Conversazioni con persone che mi odiano. O ancora Craig Watts, proprietario di un allevamento intensivo di polli. Stanco delle politiche del colosso alimentare Perdue Farm al quale si era legato, è riuscito a creare un terreno comune fra lui, un’attivista vegana e l’amministratore delegato della stessa Perdue. La parte migliore del libro sta proprio in queste storie. Gocce nel mare, vien da dire, ma comunque esempio di strategie originali per risolvere problemi che sono sotto gli occhi di tutti con Intelligenza Collaborativa, di cui la Generosità Contagiosa che anima anche le migliori community aziendali è senza dubbio una conseguenza diretta.

In altre parole è il carburante che muove il motore altrimenti immobile del collavorare: parola portmanteau genialmente inventata da Nicola Palmarini come certifica il vocabolario Treccani online, peraltro usando il sottoscritto come fonte: «Lavorare all’interno di organizzazioni aziendali strutturate o di associazioni temporanee di competenze diverse, basandosi sul modello della partecipazione, della collaborazione e delle relazioni di rete, e non sulla gerarchia, sul controllo verticistico e sulla frammentazione dei processi ideativi, organizzativi e produttivi.  Per usare il neologismo di Palmarini, la sfida è quella di “cambiare verbo”: dal “lavorare” al “collavorare”. Un verbo che non esprime più un dogma unilateralmente imposto e neppure la rivelazione di un nuovo messianico “business credo”, ma una verità collettiva emergente (o affiorante, come preferisce il Nostro). (Marco Minghetti, Sole 24 Ore.com, 1° ottobre 2012, Agorà – Nova 100)».

Anche la progettazione e messa a terra di una di queste community passa per un processo analogo a quello che determina la pubblicazione di una pagina o un gruppo su uno qualsiasi dei social media esterni, sulla base di una assessment che consenta di co-creare insieme ai futuri utenti:

  1. un’identità di community che dia un «dress code» a tutti i partecipanti e un “tono di voce” in linea con l’obiettivo di ingaggio;
  2. uno statement, un motto, da utilizzare come firma di tutti i contributi postati per la definizione di un posizionamento di valore – come Prolegomeni al Manifesto del Pop Management. Una vera e propria descrizione sintetica per far capire che non si tratta di una community classica (di pratica, di processo o formativa), ma di un vero e proprio luogo di incontro digitale costruito sulle esigenze della popolazione aziendale.
  3. nuovi format di contenuto.​ Questi possono attingere alla vasta gamma di possibilità offerta da quanto avviene sui social più in voga. Tipicamente: celebrazioni delle vittorie aziendali (come un progetto premiato a livello nazionale o internazionale) che si configurano come post, supportati da un contributo grafico; “speed date” che si traducono in “interviste doppie” di un minuto a coppie di dipendenti per offrire la possibilità a colleghi di diversi uffici o funzioni di conoscersi e scambiarsi informazioni rispetto al proprio lavoro e mansioni; poll per consentire alle persone di raccontare le loro abitudini o dinamiche d’ufficio; storie seriali, anche supportate visivamente da contenuti realizzati con l’Intelligenza Artificiale: una volta pubblicata la prima puntata, sono i colleghi della community a condividere gli input necessari al suo proseguimento. Le interazioni e le suggestioni consentono di costruire una trama avvincente e in linea con gli interessi e le esigenze della community; contenuti video realizzati da influencer professionisti o formati all’interno su spunti incentrati su cinema, letteratura, serie tv ma collegati a temi ESG (sostenibilità, inclusione, eccetera); sfide in stile Trivial Pursuit finalizzate alla diffusione della conoscenza di obiettivi e risultati aziendali da svolgere in autonomia oppure in team con piccole ricompense per i vincitori; podcast (o videopodacast) che vedano protagonisti membri della community o scelti fra il management per approfondire contenuti di specifico interesse, guidati da domande precedentemente raccolte da una “call to action” ad hoc; trend e insight dal settore economico di riferimento raccontati con taglio giornalistico o ironico; e così via.

Da un punto di vista organizzativo, per sostenere questo genere di iniziative occorre in genere un social media strategist dedicato e  incaricato della produzione (e pubblicazione in autonomia) di alcuni contenuti. Questa figura, con forti competenze verticali di content creation, è il fulcro operativo del processo, garantendo una gestione della community agile e tempestiva anche attraverso un processo editoriale semplificato, che consenta lo sviluppo di una squadra di content owner all’interno del processo creativo del palinsesto, identificati fra i dipendenti con maggiori propensione all’utilizzo dei social media e che magari li utilizzano privatamente in maniera originale.

12 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

 

[1] Harold Bloom, Il Canone occidentale, Rizzoli, 2008, p.61.

[2] Il Sole24Ore, 2021. Ricordo che la strada che porta all’introduzione dei romanzi in azienda è stata aperta da Francesco Varanini. Nel 2000 è uscita, presso Marsilio, la prima raccolta derivata dalla rubrica il Principe di Condé, apparsa sulla rivista Sviluppo & Organizzazione“, Romanzi per i manager. Sono poi seguite altre due raccolte: Leggere per lavorare bene, Marsilio, 2007; Il Principe di Condé, Este, 2010.

[3] Ariminum Circus, Stagione 1, Cit., pag. 83.

[4] Cfr.: http://www.marcominghetti.com/humanistic-management/le-parole-chiave-dello-humanistic-management/metadisciplinarita/

[5] L’arte è soltanto collettiva: l’ho appreso da Montessori, in La Lettura del Corriere della sera, 2 marzo 2024.

[6] hCfr.: ttps://www.doppiozero.com/ia-un-mondo-senza-pensiero

[7] La carta e il territorio, Bompiani, 2010, p. 100.

[8] La ricerca Microsoft The Next Great Disruption Is Hybrid Work – Are We Ready?, realizzata intervistando più di 30.000 lavoratori in 31 mercati, tra cui l’Italia, tra febbraio 2020 e febbraio 2021, mostra che con il passaggio al remote working le interazioni tra i team più piccoli si sono rafforzate, mentre le connessioni nelle cerchie più ampie sono diminuite, indebolendosi.

[9] Cfr.: https://techcrunch.com/category/social/

[10] «Le organizzazioni a basso livello di engagement in genere sopportano tassi di turnover superiori dal 18% al 43% rispetto alle organizzazioni che mantengono i livelli di coinvolgimento più alti​»: The benefits of Employee Engagement, 2023, Gallup.

[11] FONTI:​ What Employees Really Want: Top Take-Aways From the 2023 Gartner Digital Worker Survey, Tori Paulman​; Optimizing the Digital Employee Experience with Microsoft 365, Viva and Power Platform, Matt Cain​; Create a Digital Employee Experience Narrative to Boost Digital Workplace Influence and Impact, Matt Cain.

Puntate precedenti:

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME