Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 10 – Sensemaking Pop. Opinion Piece di Vanni Codeluppi

L’Opinion Piece di oggi è firmato da Vanni Codeluppi, Professore ordinario di Sociologia dei consumi presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, che ci spiega come il processo di evoluzione dei media spinge la società verso una crescente con-fusione tra il reale e l’immaginario (vetrinizzazione sociale).

Vivere nell’era dei media digitali

Vanni Codeluppi

In Prolegomeni 2 Marco Minghetti ci parla del passaggio «da un mondo vecchio basato principalmente su parole e numeri a un nuovo mondo in cui il lavoro di alto livello in tutti i campi è basato sulla visualizzazione e la manipolazione di informazioni complesse utilizzando le immagini del computer in movimento».

Ora, lo sviluppo della cultura moderna è stato reso principalmente possibile dalla comparsa di un nuovo modo di vedere la realtà. Nel Rinascimento, infatti, alcuni esseri umani hanno cominciato a pensare che potevano porsi l’obiettivo di guardare in maniera differente il mondo che avevano davanti. Vedendo diversamente il mondo, sono stati indotti a pensare anche di poterlo controllare e modificare. Vale a dire che la precisa visione offerta dal telescopio di Galileo, il punto di vista della prospettiva geometrica creata dagli artisti e la “finestra” intesa come modello per vedere il mondo che Leon Battista Alberti ha teorizzato nel suo celebre trattato De pictura hanno stabilito una presa di distanza che ha consentito di attribuire un’autonomia a ciò che veniva guardato da parte degli esseri umani. Il che ha permesso di considerare la realtà come qualcosa che esiste di fronte a chi guarda, ma anche di coltivare il sogno di poterla dominare.

I primi media hanno potentemente rafforzato questo processo. I giornali, infatti, si sono assunti da subito il compito di dare vita a delle forme di rappresentazione della realtà. La quale è diventata così non più solamente quella che viene vista direttamente dall’occhio umano, ma anche e soprattutto quella che è presentata e filtrata da parte dei media. E anche i diversi strumenti elettronici di comunicazione (la radio, la televisione, ecc.) che sono via via comparsi nel corso del Novecento hanno cercato di portare avanti quella stessa operazione di rappresentazione e astrazione della realtà che veniva sviluppata in precedenza da parte dei media cartacei.

All’inizio degli anni Sessanta, lo storico statunitense Daniel Boorstin sosteneva che i media producono degli “pseudoeventi”, cioè degli avvenimenti che sono artificiali e, anche se nascono direttamente dagli stessi media, sembrano essere più naturali e spontanei di quelli reali, i quali tendono di conseguenza a essere vissuti come delle esperienze impoverite. Diventano dunque più reali della realtà, più veri del vero. Nello stesso tempo, però, più si cerca di migliorare la loro perfezione realistica, dando vita a un eccesso di realtà, a una “super-realtà”, più si determina un effetto di progressiva disintegrazione della realtà stessa.

Dunque, siamo entrati in una nuova condizione sociale nella quale gli individui hanno scoperto che per loro era diventato impossibile esprimersi rappresentando e comunicando la realtà, come erano abituati a fare in precedenza. Il loro posto era stato preso dal mondo mediatico, dove tende sempre più a scomparire ogni differenza tra l’originale e la sua copia. È chiaro, infatti, che soprattutto negli ultimi decenni, grazie all’enorme sviluppo tecnologico che ha caratterizzato le rappresentazioni mediatiche della realtà, queste rappresentazioni hanno assunto un ruolo particolarmente significativo. Hanno cioè sostituito la vera realtà, perché considerate più affascinanti e convincenti.

Jean Baudrillard ha sostenuto nel volume L’America che ogni schermo elettronico si presenta come uno «schermo di rifrazione estatica che non ha più niente dell’immagine, della scena o della teatralità tradizionale, che non serve affatto a giocare o a contemplarsi, ma a essere innestato su se stesso» (p. 34).  È cioè uno schermo che invita a superare la distanza tra l’osservatore e la scena per immergersi al suo interno. Il processo di evoluzione dei media sembra dunque spingere le società avanzate come la nostra verso una crescente confusione tra il reale e l’immaginario (vedi su questo anche la Conversazione Se il libro diventa uno schermo).

Si tratta della modalità con la quale si presenta principalmente oggi anche quel particolare fenomeno che ho definito da tempo “vetrinizzazione sociale”. Un fenomeno che sta diventando sempre più significativo nelle attuali società ipermoderne, anche se le sue origini possono essere fatte risalire alla nascita della vetrina, la quale è comparsa per la prima volta in Inghilterra all’inizio del Settecento. Vale a dire che il modello comunicativo creato dalla vetrina, e basato sulla messa in scena spettacolare dei prodotti, si è progressivamente esteso a tutta la società. Ne deriva che gli individui, se si mettono in vetrina, si mettono nel contempo anche in scena. Imparano cioè a rappresentarsi al meglio all’interno di quegli schermi che invadono in maniera crescente la loro vita quotidiana. Si fanno “testimonial di se stessi”, assumendo sino in fondo la logica promozionale del linguaggio pubblicitario e cercando conseguentemente di massimizzare la propria audience (cfr.: Alice attraverso lo schermo parte prima e parte seconda.)

Anche perché ai nostri giorni la realtà sociale che conta maggiormente sembra essere quella che viene inquadrata da un qualche obiettivo e dunque entra dentro i numerosi schermi che gli individui hanno davanti a loro. Gli apparecchi di ripresa, infatti, si moltiplicano in tutti gli spazi sociali e rendono sempre più accettabile l’idea di essere registrati e trasmessi da qualche parte. Di entrare cioè a far parte di una qualche “vetrina digitale”.

Il mondo digitale, perciò, non si presenta solamente come reale, ma tende ad essere la “vera realtà”. Non può esistere una dimensione differente: l’unica realtà è quella che già esiste e basta inquadrarla con un obiettivo per poterla vedere e legittimarne così l’esistenza. Si tratta naturalmente di un’illusione: la “vera realtà” è quella che molto spesso le telecamere non catturano e che si trova dunque al di fuori dagli schermi. E il potere effettivo degli utenti degli schermi è decisamente modesto, anche se in apparenza può sembrare molto elevato. Gli schermi, soprattutto quelli touch, danno infatti l’impressione di poterli controllare, ma non è così. Sono i programmi informatici che li fanno funzionare a controllare gli schermi, gli utenti e le loro reazioni.

La realtà sociale contemporanea impone comunque un’esposizione continua di tutto e di tutti. È possibile allora concordare con quello che è stato affermato qualche tempo fa dagli studiosi inglesi Nicholas Abercrombie e Brian Longhurst nel volume Audiences e cioè che le società di oggi possono essere considerate “performative”, in quanto in esse gran parte delle attività che vengono svolte dagli individui sono vissute come performance e dunque sono soggette al giudizio di uno sguardo “spettatoriale” diffuso. Gli esseri umani vengono considerati dei performer e vivono sé stessi come tali.

Tutto ciò, come abbiamo detto, è reso possibile principalmente dall’instaurarsi di quel processo di intensa “mediatizzazione” della vita sociale che oggi è attivo, cioè da quell’elevato impiego dei media che caratterizza le attuali società ipermoderne. Se ciò avviene, però, è perché siamo di fronte a un processo particolarmente intenso di “digitalizzazione” del mondo. Un processo che sta profondamente modificando la struttura e l’identità delle nostre società. È il caso, pertanto, d’interrogarsi su quali siano le principali conseguenze sociali da esso prodotte, anche se non è facile arrivare a questo risultato, perché il digitale è nato di recente e il suo sviluppo è tutt’ora in corso, ma anche perché è dotato di una natura particolarmente pervasiva. Riguarda infatti sia le attività produttive delle imprese che la vita quotidiana delle persone.

Comunque, il digitale non è un universo autonomo e indipendente dall’esperienza fisica offline. È evidente, infatti, che il digitale si mescola in misura crescente con il mondo offline, in quanto rende possibile il funzionamento di apparecchiature e strumenti di vario genere. Si pensi, ad esempio, alle automobili contemporanee, strumenti concreti, ma che contengono decine di tecnologie elettroniche in grado di controllarne numerose funzioni. Insomma, è chiaro che la distinzione tra l’online e l’offline tende progressivamente a scomparire. Ciò significa che il tradizionale mondo fisico è costretto a dipendere in misura crescente dal funzionamento dei programmi informatici. Ma anche che, a sua volta, il mondo digitale non è così immateriale come può in apparenza sembrare. Si pensi soltanto a come tale mondo dipenda pressoché totalmente da giganteschi centri di calcolo, i quali hanno la necessità di consumare delle enormi quantità di energia.

Ma cos’è esattamente il “digitale”? Lo scrittore Alessandro Baricco ha affermato nel volume The Game che il termine “digitale” deriva dal latino digitus, cioè “dito”, e rimanda fondamentalmente al concetto di “numerico”, in conseguenza della capacità delle dita di una mano di consentire alle persone di contare. Per Baricco, dunque, il termine “digitale” indica anche un sistema estremamente efficace per convertire qualsiasi cosa esista nell’universo in un dato numerico. Il digitale, infatti, dev’essere considerato anche un geniale metodo grazie al quale è possibile trasformare, ad esempio, i suoni dell’universo oppure i dipinti della storia dell’arte in qualcosa che può essere reso quantificabile e calcolabile per poterlo facilmente stoccare, modificare e diffondere socialmente. Ciò spiega perché tutto oggi tenda a essere progressivamente trasformato da un processo di digitalizzazione. Perché la nostra esperienza del mondo sia sempre più mediata da forme di traduzione della realtà che non necessariamente corrispondono ad essa.

10 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti:

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA