Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 9. Sensemaking Pop. Opinion Piece di Cesare Catania

L’Opinion Piece di oggi è firmato da Cesare Catania, pittore, scultore e artista digitale che in questi giorni sta esponendo, in uno dei padiglioni nazionali della 60esima Biennale di Venezia, l’opera intitolata “L’Abbraccio”. Un’opera d’arte fisica che, grazie all’intelligenza artificiale, diventa phygital. Una scultura che permette a tutti di diventare artisti, grazie al software di scultura digitale messo a punto dallo stesso Cesare Catania, che prosegue nel suo percorso di diffusione di un’arte democratica. L’artista italiano, proprio per questa sua propensione all’abbattimento delle barriere della discriminazione e per il suo Progetto dell’Abbraccio, è stato nominato nel 2023 ambasciatore unico al Mondo per la Giornata internazionale dell’Abbraccio.

Un’artista che sa guardare al futuro con tutto il nostro background culturale del passato, che plasma la materia per restituirci emozioni sul mondo che ci circonda. Un artista che oggi esprime per noi il suo punto di vista sul Pop Management.

L’Arte Contemporanea: Un Labirinto Colorato

di Cesare Catania

Quando pensiamo all’arte contemporanea spesso ci viene in mente un mondo fantastico, una realtà dove i colori e la fantasia prevalgono rispetto alla razionalità e al pragmatismo. E in effetti la cosa sta proprio così… o meglio… sta così prevalentemente per chi vive l’arte da un punto di vista   creativo, per chi, come me finché rimango chiuso nel mio atelier, può dare spazio alla fantasia in maniera libera e genuina in un percorso produttivo che di fatto non ha regole, se non quelle del proprio cuore e della propria anima.

Ma il mondo dell’arte contemporanea non è solo cuore e sentimenti… Ci sono anche altre figure, oltre a quella dell’artista naif e creativo, che concorrono all’evoluzione artistica della società moderna. Mi riferisco in particolare a tutte quelle figure manageriali e professionali che svolgono un ruolo fondamentale nel percorso di sviluppo delle correnti artistiche che meglio riflettono il mondo che li circonda; mi riferisco a galleristi, curatori, direttori museali, art dealer, e a tutti quegli imprenditori che, in qualche modo, hanno a che fare con il mondo dell’arte. E questo è quello che succede anche all’artista più naif quando “esce dal suo atelier”…

La complessità e la fluidità del mondo moderno si riflettono soprattutto nel campo dell’arte contemporanea, che diventa così la “palestra” dove allenarsi a risolvere in maniera fantasiosa schemi di business che non hanno dei benchmarks chiari e definiti. Ci si trova spesso in una sorta di “labirinto colorato”, che mostra a chi lo percorre diverse strade e diverse combinazioni, tutte tappezzate di lustrini e paillettes, tutte potenzialmente giuste, che cambiano in continuo con il trascorrere del tempo. Quella che poteva essere una strada giusta e sicura oggi, non è detto che lo sarà domani. La consapevolezza di questa “colorata insicurezza” rende certamente vivo chi prova a districarsi in questo labirinto, senza però capire se effettivamente la strada che sta percorrendo lo stia portando nella direzione giusta. E tutto ciò con la finalità ultima di rendere l’arte fruibile e democratica, riconoscibile e popolare allo stesso tempo. Se si vuole che un dipinto o una scultura non siano un semplice esercizio di stile, bisogna necessariamente rivolgersi a tutti, in un linguaggio universale volto ad essere la base del cambiamento.

Sulla scorta di queste riflessioni mi sono imbattuto nel Pop Management, una corrente di pensiero che ritengo molto moderna e che in qualche modo abbraccia la complessità e la molteplicità delle vie possibili nell’approccio gestionale tipiche del mondo dell’arte. L’idea che il management abbia diverse dimensioni, che includono leadership, collaborazione, organizzazione, marketing, inclusione, coinvolgimento, innovazione, formazione, storytelling, etica, ecc… riflette l’approccio interdisciplinare e aperto del Pop Management, che cerca di adattarsi in un ambiente mutevole e sfaccettato.

Diciamo che in qualche modo l’arte contemporanea, se vista nell’ottica del management, può essere vissuta con “uno spirito Pop”, non riferito ovviamente solo alla cultura di massa o all’omonima musica pop, ma piuttosto all’idea di “popolare”, di essere vicini alla gente, di essere accessibili e riconoscibili.

In campo artistico, non esiste la “via migliore” da seguire per arrivare ad un risultato. Così come sintetizza il Pop Management, anche in campo artistico le regole abbracciano la complessità e la molteplicità di infinite strade, simboleggiate dai diversi tipi di labirinti in continua mutazione ed evoluzione nel raggiungimento di un obiettivo finale. A voler bene analizzare, l’unica vera caratteristica che forse in qualche modo differenzia il management artistico dagli altri settori è proprio quest’ultimo obiettivo finale. Un’azienda tradizionale sviluppa modelli di business e crea valore con una finalità ultima che molto probabilmente è quella di diventare leader nel proprio settore, e valuta il proprio risultato attraverso un numero: più zeri ha questo numero prima dei decimali e più alto è il valore che viene attribuito al risultato finale. In campo artistico invece non è esattamente così… quei numeri, se visti con una prospettiva più ampia, rientrano in un disegno che punta ad essere il motore del cambiamento. Chi lavora nel campo artistico, chiunque e a qualsiasi livello, in qualche modo sta scrivendo un pezzo di storia… e spesso lo sta facendo indipendentemente dalla propria volontà».

Marco Minghetti: Come potrebbe essere fruita la tua scultura “L’Abbraccio”  per aiutare le persone a capire meglio la crescente importanza del phygital nella vita professionale e privata?

Cesare Catania: La scultura “L’Abbraccio” è nata per caso nel 2023, la sera in un ristorante mentre disegnavo su una tovaglia di carta. Faceva e fa ancora oggi parte di un percorso, nato da una semplice opera d’arte nel 2015 e che oggi appartiene ad una collezione e soprattutto ad un progetto, il Progetto dell’Abbraccio. Un progetto artistico socio-culturale che vede l’arte non più come fine ultimo dell’operato di un artista ma come mezzo per fare del bene in maniera etica.

Al momento del suo concepimento, la scultura “L’Abbraccio” era stata pensata esclusivamente come opera fisica, come una scultura monumentale che potesse rappresentare nello spazio quello che fino ad allora avevo rappresentato in 2 dimensioni: un gesto, un messaggio, un’idea, una visione…

Nel corso dei mesi seguenti ho iniziato a maturare la convinzione che questa scultura in qualche modo dovesse muoversi e interagire con il pubblico. Sono sempre stato affascinato dall’arte cinetica, e l’arte digitale in questo sicuramente mi ha aiutato molto. Non è facile far muovere le sculture nel mondo reale, soprattutto se di grandi dimensioni. Molto più semplice invece è farlo in quello digitale, senza per questo però dover perdere la componente predominante della creazione: la fantastica esperienza di modellare e di plasmare la materia (sia essa fisica o digitale) secondo la propria sensibilità e seguendo i propri sentimenti.

Ho iniziato così a sviluppare il progetto in ambito digitale, principalmente con due obiettivi: il primo di divertirmi, il secondo di divertire chi lo osservasse. Nasce così l’idea di una scultura fisica, che cambia nel tempo grazie al mondo digitale e con la quale gli amanti d’arte, e non solo, potessero letteralmente “giocare” e divertirsi: “L’Abbraccio Phy Version”, questo il titolo dell’opera, oggi installata alla Biennale di Venezia, la cui caratteristica principale è quella dell’interazione con il pubblico, componente determinante nella costruzione di un modello artistico democratico. La componente ludica è stata una parte vincente nello sviluppo del processo sia creativo che di fruizione. Oggi le persone vengono in contatto con il messaggio universale di “necessità di contatto” e di “condivisione sentimentale” veicolato dal Progetto dell’Abbraccio sia osservando delle opere d’arte statiche che giocando con loro. Un gioco messo a punto attraverso un software elaborato all’inizio del 2024 grazie anche all’intelligenza artificiale.

Il mondo Phygital in questo senso mi ha aiutato a realizzare quindi un duplice sogno: da un lato quello di poter animare le mie opere d’arte, dall’altro di poter rendere democratica l’arte contemporanea attraverso il gioco. Se vogliamo provare ad astrarre quindi, quella che prima era una semplice opera d’arte geometrica e statica, adesso grazie al digitale è diventata un’opera d’arte in movimento, una scultura divertente, un’esperienza di avvicinamento all’idea di democratizzazione dell’arte.

Per tornare adesso alla domanda iniziale, in un contesto di formazione aziendale ritengo che il mondo phygital possa aiutare a rendere decisamente più interessante il lavoro svolto. In un contesto lavorativo ordinario, “giocare” con il proprio lavoro aiuta sicuramente a migliorare il proprio rendimento. E quando parlo di “gioco”, un termine che probabilmente ai molti risulta un ossimoro se affiancato “alla fatica del lavoro”, mi riferisco alla messa in campo di un processo creativo ed emozionale che spinge le menti a sedimentare e consolidare l’attenzione sul proprio operato in modo unico, senza quindi dover ricorrere durante la giornata alle classiche e meritate distrazioni che oggi si chiamano social networks e videogiochi. Un sistema di lavoro basato sull’esperienza phygital può aiutare a mantenere attiva l’attenzione nella vita professionale di tutti i giorni. Basti pensare che già Cicerone usava memorizzare, con la “tecnica dei loci”, i propri discorsi popolando i luoghi fisici del suo percorso dalla domus al senato. In pratica metteva in atto un semplice processo di associazione mentale per rendere vivo, divertente e coinvolgente un elemento discorsivo, elemento che in assenza di una personalizzazione attuata dalla fantasia sarebbe risultato di più difficile memorizzazione. Se fossimo in grado di phygitalizzare gran parte delle attività lavorative ordinarie, otterremmo quello che già gli antichi greci e romani, maestri nella retorica e nella memorizzazione, riuscivano a ottenere attraverso la personalizzazione del ricordo, mantenendo viva e vivida l’emozione associata ad un gesto, in maniera tale da riuscire a fissare nella mente processi aziendali che in questo caso diventerebbero protagonisti ben accetti delle esperienze di lavoro quotidiano. Non si parlerebbe più di “lavoro” ma di “esperienze lavorative”, non intese nell’accezione odierna che le Risorse Umane elencano nei curricula come “lavori passati” bensì di una “quotidiana esperienza di lavoro phygitalmente emozionale”.

E nella vita privata? Beh…. nella vita privata vale più o meno lo stesso… Ci sono oggi molte azioni che compiamo in maniera automatica e spesso noiosa. Azioni che, se riviste grazie all’interazione con un Metaverso, possono assumere una pienezza ed una rotondità emozionale senza eguali. E quando parlo di Metaverso non mi riferisco certo a quello sterile contenitore di prodotti finanziari e speculativi, impropriamente chiamati “arte digitale” che purtroppo abbiamo visto spesso negli ultimi anni. L’arte digitale deve far parte di un percorso artistico che definisce il suo creatore, l’artista per l’appunto, un percorso che passa prima dall’elaborazione dei suoi sentimenti e poi dall’esternazione al mondo esterno attraverso il medium che in quel momento gli sembra più adeguato, sia esso fisico o digitale, sia esso pittura, scultura o NFT. L’arte digitale, da questo punto di vista, può aiutare a vivere il mondo attuale con una pienezza di sentimenti che forse oggi la realtà non è più in grado di offrire.

Marco Minghetti: Se tu fossi il CEO di una grande azienda, come utilizzeresti l’arte (ed in particolare l’arte che esprime Cesare Catania) nell’ambito dei processi aziendali di comunicazione, formazione, employer branding e quant’altro?

Cesare Catania Beh…, non è necessario che sia l’arte di Cesare Catania… basta che si tratti di arte… La domanda vera è: “Perché un’azienda dovrebbe investire parte dei propri proventi in arte?” Molti imprenditori ritengono che l’arte non sia un investimento, bensì un semplice costo. Ecco…. Diciamo che io non la penso esattamente così… Un’azienda che veicola il proprio messaggio di marketing attraverso l’arte ha capito che questo è il più alto strumento di comunicazione esistente. Un CEO e un direttore MRKT che mostrano apertura della propria azienda verso l’arte, dimostrano di aver compreso pienamente gli strumenti comunicativi del futuro.

L’arte comunica in maniera efficace e trasversale e lo fa attraverso il linguaggio più forte che oggi conosciamo: quello delle immagini e delle emozioni. Nella storia troviamo diversi esempi di aziende che hanno collaborato con artisti per creare campagne pubblicitarie memorabili e coinvolgenti. Ad esempio, l’iconica campagna di Andy Warhol per Absolut Vodka, o ancora Salvador Dalí per Chupa Chups o ancora Roy Lichtenstein per Volkswagen. Utilizzare opere d’arte o affiancarsi ad artisti in campagne pubblicitarie aiuta sicuramente a conferire all’azienda un’immagine di innovazione, creatività e sensibilità culturale.

Anche nell’ambito della formazione, l’arte può essere più incisiva rispetto ad un ordinario mezzo formativo, se non altro perché può fungere da collante e da aggregatore in un ambiente che così facendo diventa collaborativo e compatto. Un’azienda che organizza workshop artistici o sessioni di team building basate sull’arte, incoraggia la creatività, la collaborazione e la risoluzione dei problemi attraverso il pensiero laterale. Questo tipo di attività non solo aiuta i dipendenti a sviluppare nuove competenze, ma contribuisce anche a costruire un ambiente di lavoro inclusivo e stimolante.

Infine, l’arte può essere utilizzata per rafforzare l’employer branding dell’azienda, cioè la sua reputazione ed in particolare quella creata dal suo datore di lavoro come persona illuminata e desiderabile. Un’azienda che sponsorizza mostre d’arte o acquista arte per decorare gli spazi aziendali, non solo crea un ambiente di lavoro ispiratore e stimolante per i dipendenti, ma anche proietta un’immagine di modernità, cultura e impegno sociale che può attrarre talenti lato HR e clienti lato sales.

Utilizzando l’arte in modo strategico, un CEO può dimostrare una visione futuristica e un impegno verso l’innovazione e l’eccellenza, migliorando allo stesso tempo l’esperienza dei dipendenti e la percezione del marchio da parte dei propri clienti.

Il CEO in pratica può quasi identificarsi nell’artista cui si affianca, e questo processo di identificazione lo valorizza agli occhi dei dipendenti e dei clienti. In pratica diventa quello che mi piace definire “lo specchio dell’artista”. Cerco di spiegarmi meglio… partendo da una delle tante definizioni che storicamente sono state date all’arte e all’artista, volendo aggiungere qualcosa in più rispetto alla famosa affermazione di Lev Tolstoj secondo il quale “L’arte non è un manufatto, è la trasmissione delle sensazioni che l’artista ha sperimentato”, potremmo dire che un artista contemporaneo, oggi chiamato ad essere allo stesso tempo artista fisico e artista digitale, è il demiurgo capace di creare nuovi mondi attraverso il proprio bagaglio culturale, tanti mondi quanti rappresentano le diverse epoche storiche in cui si trova a navigare. In questo mare di emozioni, il CEO visionario insieme all’artista può creare il mondo che meglio rispecchia la sua mission aziendale. Più la mission è chiara e ben definita nel cuore del CEO, più il mondo creato dall’artista gli sarà utile in quel processo di specchiatura.

9 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti:

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP. APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON