Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 121. Leadership Pop. Che Pop Manager sei? Empatica/Empatico

L’Empatica

Dopo i Quiz dedicati a Esteta e Visionario/Visionaria in Prolegomeni 117 e 119, ne propongo oggi uno dedicato al profilo dell’Empatica/Empatico, su cui ci si può esercitare cliccando su questo link e rispondendo alle 10 domande previste.

Come icona femminile Pop del test ho scelto Julia Roberts: l’incarnazione della calda autenticità, della presenza empatica e della capacità di tenere insieme mondi diversi con un sorriso e uno sguardo che ascolta davvero. Più in dettaglio, ecco perché Julia Roberts è l’icona ideale dell’Empatica:

  1. Ascolta con gli occhi. Julia non recita, ascolta. Nei suoi film, il suo sguardo è spesso più eloquente delle parole. Proprio come l’Empatica, che pratica un ascolto trasformativo e profondo.
  2. Parla al cuore, non solo alla testa. Che sia Erin Brockovich o Pretty Woman, Julia riesce a comunicare emozioni complesse con semplicità. L’Empatica fa lo stesso: crea senso condiviso, non solo strategie.
  3. Tiene insieme mondi diversi. Julia è pop e sofisticata, ironica e intensa. L’Empatica sa muoversi tra emozioni, obiettivi e relazioni, tenendo insieme l’ecosistema umano dell’organizzazione.
  4. Cura senza sacrificarsi. Nei suoi ruoli, Julia è spesso una figura di cura, ma mai passiva. L’Empatica sa che la cura ha bisogno di confini, e che l’empatia non è martirio.
  5. È un simbolo di apertura. Julia ha sempre interpretato personaggi che accolgono la diversità, che si mettono in gioco, che non giudicano. L’Empatica crea ambienti dove ognuno può sentirsi visto e valorizzato.

L’Empatico

Per i seguenti motivi come icona Pop dell’Empatico ho scelto il Danny Ocean interpretato da George Clooney (anche se la tentazione forte era di scegliere il Jake Blues dei Blues Brothers, che alla fine ho scartato perché la motivazione etica che ispira le sue azioni, il suo “essere in missione per conto di Dio”, per quanto sia ovviamente ironica, tende a essere la giustificazione di tutte le malefatte, grandi e piccole, perpetrate con la più assoluta serietà dall’umanità nel corso degli ultimi diecimila anni):

  1. Leadership relazionale e carismatica. Danny Ocean guida il suo team con carisma, fiducia e rispetto. Come l’Empatica, non impone, ma convoca: ogni membro del gruppo ha un ruolo, un valore, un motivo per esserci. La sua leadership è una jam session, dove ognuno ha il suo assolo ma suona in armonia (di questo Jake Blues è ovviamente un simbolo perfetto).
  2. Ascolto trasformativo. Danny non è solo uno stratega, è un ascoltatore attento. Sa leggere le emozioni, anticipare i bisogni, cogliere i segnali deboli. Come Julia Roberts, ha uno sguardo che comunica più delle parole.
  3. Empatia sistemica. Comprende le dinamiche del gruppo e dell’ambiente in cui opera. Non si limita a pianificare un colpo, ma coltiva relazioni, costruisce fiducia, tiene insieme mondi diversi (criminali, tecnici, artisti, amici).
  4. Cura senza sacrificio. Danny si prende cura del gruppo, ma non si annulla. Sa quando intervenire, quando lasciare spazio, quando proteggere.
  5. Cultura della cura e della fiducia. Il suo stile di leadership crea un ambiente dove le persone si sentono viste, ascoltate, valorizzate. Ogni membro della squadra è motivato non solo dal guadagno, ma dal senso di appartenenza e dalla causa comune.
  6. Ironia e leggerezza. Come Jake Blues, Danny affronta le sfide con cuore, ritmo e ironia. La sua empatia è anche umorismo intelligente, che alleggerisce le tensioni e rafforza il gruppo.
  7. Legame di lungo corso. Con George (e Denzel!) ho un rapporto privilegiato: abbiamo lo stesso doppiatore italiano, Francesco Pannofino, che ha prestato la sua voce al mio avatar Hamlet Queler nel cortometraggio realizzato in Second Life Test Attitudinale (facente parte della Web Opera tratta da Le Aziende InVisibili).

Alice postmoderna

Domande e risposte di questo terzo test sono state costruite riprendendo alcuni elementi della riflessione sviluppata con il progetto Alice Postmoderna attraverso i post pubblicati su questo blog.

Alice è un’icona perfetta di empatia e dialogo per molte ragioni:

  1. Alice è una conversatrice radicale. Alice non è solo una viaggiatrice tra mondi, ma una costruttrice di senso attraverso il dialogo. Le sue domande non cercano risposte definitive, ma aprono spazi di riflessione condivisa. Proprio come fa l’Empatica nelle organizzazioni: non impone, ma attiva conversazioni trasformative.
  2. Alice ascolta per comprendere, non per rispondere. La sua forza non sta nel sapere tutto, ma nel saper ascoltare tutto: persone, segnali deboli, emozioni, silenzi. È un modello di ascolto trasformativo, capace di generare insight e connessioni profonde.
  3. Alice è un nodo relazionale. In un mondo multipiattaforma e iperconnesso, l’Empatica come Alice è un’interfaccia umana: attraversa linguaggi, media e contesti mantenendo sempre una postura relazionale e accogliente. È l’archetipo della leader che crea ponti, non barriere.
  4. Alice costruisce senso attraverso la narrazione. Ogni sua interazione è un atto narrativo. Alice non comunica per informare, ma per co-costruire significati. Rappresenta la custode di una cultura organizzativa dove la parola è cura, e la conversazione è strategia.
  5. Alice coltiva, non controlla. Alice non gestisce le persone: le accompagna. Non cerca di semplificare la complessità, ma di abitare la complessità con grazia e intelligenza emotiva.

Immagini e conversazioni

La prima domanda del test richiama la frase di apertura di Alice nel Paese delle Meraviglie — «A che serve un libro senza immagini e conversazioni?» — ma non è solo una citazione letteraria: è una dichiarazione di intenti. È il punto di partenza perfetto per esaminare la mentalità del Pop Manager, perché racchiude in sé una visione rivoluzionaria della comunicazione contemporanea.

Ecco perché è così significativa:

  1. È una domanda che anticipa il nostro tempo. Alice la pronuncia nel 1865, ma sembra scritta per il 2025. In un’epoca in cui comunichiamo attraverso immagini, video, emoji, meme e conversazioni asincrone, Alice ci ricorda che la forma è parte del contenuto. Non basta cosa diciamo, conta come lo diciamo.
  2. È una metafora del pensiero visivo e narrativo. Nel mondo della Pop Organization, la comunicazione non è più lineare, ma visuale, frammentata, partecipativa. Figure e dialoghi sono gli strumenti con cui costruiamo senso, coinvolgiamo le persone e attiviamo l’intelligenza collaborativa.
  3. È un invito alla conversazione. Alice non cerca solo immagini: cerca dialogo. E il Pop Manager è, prima di tutto, un facilitatore di conversazioni. In un contesto dove la leadership si esercita anche via chat, post o commenti, saper conversare è una competenza strategica.
  4. È un ponte tra analogico e digitale. La domanda di Alice prefigura il passaggio dal libro cartaceo all’ebook interattivo, dal monologo alla narrazione condivisa. È la stessa transizione che vivono oggi le organizzazioni: da strutture rigide a ecosistemi comunicativi fluidi.
  5. È la chiave per leggere il Pop Management. Il Pop Manager, come Alice, non si accontenta di contenuti statici. Vuole esperienze, storie, immagini che parlano, conversazioni che generano senso. La domanda iniziale del test è quindi un modo per capire: sei pronta (o pronto) a comunicare come Alice?

Ecologia della parola

Aggiungo che la celebre domanda di Alice – «A che serve un libro senza immagini e conversazioni?» – appare oggi come un emblema del Pop Management, ma offre anche un chiave interpretativa di Ecologia della Parola di Anna Lisa Tota (Einaudi, 2020) che propone una riflessione profonda e interdisciplinare sul potere trasformativo del linguaggio.

Il libro parte da una domanda provocatoria: perché ci preoccupiamo dell’inquinamento ambientale, ma non di quello verbale? Le parole, sostiene Tota, non sono solo strumenti di comunicazione, ma atti performativi che plasmano la realtà, influenzano le emozioni, costruiscono identità e relazioni. Attraverso riferimenti alla sociologia, alla filosofia del linguaggio, alla semiotica e alla comunicazione interculturale, l’autrice esplora:

  • le patologie della comunicazione contemporanea (aggressività, banalizzazione, polarizzazione);
  • l’importanza del silenzio come spazio di ascolto e non come vuoto;
  • la necessità di una cura ecologica della parola, intesa come attenzione alla qualità, alla densità e alla responsabilità del dire.

Per Anna Lisa Tota come per Alice, dunque, la conversazione non è solo uno scambio di informazioni, ma un atto politico, relazionale, trasformativo. Tota ci invita a riconoscere la parola come spazio di cura e responsabilità, mentre Alice ci ricorda che, senza immagini e dialoghi, il senso si dissolve.

Nel mondo Pop, dove il manager è anche narratore e designer linguistico (svilupperemo questi punti nelle righe successive), la conversazione diventa il luogo dove si costruisce l’identità, si negozia il significato e si attiva l’intelligenza collettiva. È qui che il Pop Manager si fa ecologo della parola: coltiva ambienti comunicativi sani, protegge la biodiversità linguistica, promuove la bellezza del dialogo autentico. Conversare meglio non è un esercizio di stile, ma una pratica civile.

Il libro di Tota denuncia la diffusione di una comunicazione tossica e divisiva, e propone un approccio filosofico e metadisciplinare per risanare il modo in cui parliamo e ci relazioniamo. Conversare meglio, secondo l’autrice, non significa applicare tecniche di comunicazione efficace, ma mettere in discussione concetti fondamentali come identità, corpo, spazio e tempo (tre dimensioni fortemente presenti nel corso delle avventure di Alice). La conversazione è vista come il luogo in cui si esercita un’azione politica quotidiana e si costruisce l’identità.

Nel Pop Management, ogni emoji, ogni meme, ogni frase è un seme: può generare senso, oppure divisione. Il Pop Manager, come l’ecologo della parola di Tota, è chiamato a presidiare questo spazio con consapevolezza e responsabilità. In un’epoca in cui la comunicazione è sempre più frammentata e accelerata, la leadership si misura anche nella capacità di creare ambienti conversazionali fertili, dove la parola non è solo strumento, ma gesto di cura.

Logos e mythos

Ancora una volta, stiamo dunque mettendo l’accento sull’importanza di costituire l’azienda come comunità narrativa. Credo sia utile qui ricordare che nel contesto dei Prolegomeni per una Popsophia di Umberto Curi (Mimesis, 2013), l’idea che “logos” e “mythos” possano equivalersi o, più precisamente, non essere in una relazione di opposizione netta, deriva da una riconsiderazione profonda della filosofia e del suo rapporto con la cultura e la vita quotidiana.

Curi, proprio come noi, con il concetto di “Popsophia” intende recuperare una filosofia che non sia astratta o puramente accademica, ma che si immedesimi con un’attitudine generale, un “modo di vita”. In questa prospettiva, la filosofia alle sue origini e nel suo statuto più proprio è pop-sophia, ovvero una sapienza che è intrinsecamente legata alla vita e alla cultura “popolare” (nel senso di diffusa, vissuta).

Perché in questo quadro logos e mythos tendono a equivalersi o a fondersi? Per almeno cinque ragioni:

  1. Superamento della dicotomia tradizionale. Curi, come altri pensatori contemporanei, critica la rigida separazione tra mito (inteso come racconto fantastico, irrazionale) e logos (inteso come discorso razionale, scientifico). Questa dicotomia è spesso considerata una semplificazione che non rende giustizia alla complessità del pensiero umano.
  2. Il mito come forma di conoscenza originaria. Nella prospettiva di Curi, il mito non è semplicemente una “favola”, ma una forma originaria e potente di conoscenza e di comprensione del mondo. I miti veicolano significati profondi, valori, paure e aspirazioni che sono fondamentali per la condizione umana. Essi offrono una prima organizzazione del reale, una narrazione che dà senso all’esistenza prima ancora che intervenga la ragione analitica.
  3. Il logos radicato nel mythos. La stessa ragione (logos) non nasce dal nulla, ma si sviluppa all’interno di un contesto culturale e narrativo preesistente. Le categorie del pensiero, i concetti fondamentali, le domande filosofiche stesse possono avere le loro radici in intuizioni e narrazioni di tipo mitico. Il logos, quindi, non si oppone al mythos, ma può essere visto come una sua elaborazione, una sua articolazione più strutturata e argomentata.
  4. La Popsophia e la riappropriazione del senso. Se la filosofia deve essere “popolare” e vicina alla vita, essa non può ignorare le forme attraverso cui la cultura contemporanea produce senso. Queste forme includono spesso narrazioni, immagini, simboli che, pur non essendo miti nel senso antico, svolgono una funzione analoga nel plasmare la nostra comprensione del mondo. In questo senso, la Popsophia vede nelle espressioni della cultura popolare (cinema, musica, serie TV, ecc.) delle manifestazioni moderne di un “mythos” che il “logos” filosofico deve saper interpretare e con cui deve dialogare.
  5. Il logos come “mito” fondativo. Anche i grandi sistemi filosofici o scientifici, pur basandosi sulla ragione, possono essere visti come delle “narrazioni” complesse che cercano di dare un ordine e un significato alla realtà. Essi costruiscono delle “verità” che, in un certo senso, diventano i “miti” fondativi di una certa epoca o di una certa visione del mondo.

In conclusione, per Curi, l’equivalenza o la non-opposizione tra logos e mythos non significa che siano la stessa cosa, ma che sono due modalità intrinsecamente connesse e interdipendenti attraverso cui l’essere umano tenta di dare senso al mondo e a se stesso. Il mythos fornisce il terreno fertile e le narrazioni fondamentali, mentre il logos le elabora, le analizza e le articola in un discorso più strutturato, ma senza mai potersene completamente distaccare. La Popsophia cerca proprio di ricucire questo legame, mostrando come la sapienza profonda sia presente sia nelle forme più antiche del mito sia nelle espressioni più contemporanee della cultura.

Eccola allora che, anche nel Pop Management, come nella Popsophia, logos e mythos non si escludono, si intrecciano. Il manager non è più solo un razionalizzatore di processi, ma anche un narratore di visioni. La strategia aziendale non è solo un piano, ma una storia da raccontare. E ogni organizzazione è, in fondo, un ecosistema narrativo dove il mito (la vision, i valori, la storia del fondatore) si traduce in azione attraverso il logos (le metriche, i processi, le decisioni).

Come Alice, il Pop Manager si muove in un mondo dove la realtà è liquida, le regole cambiano, e il linguaggio è performativo. Non basta “comunicare bene”: bisogna abitare la conversazione, saperla animare, renderla fertile. Questo richiede una nuova forma di leadership: ibrida, empatica, estetica. Una leadership che sa usare il linguaggio della cultura pop – meme, reel, podcast – per attivare engagement e senso.

L’intreccio fra logos e mythos, del resto, connota tutto il modo di pensare di Lewis Carroll. Basta ricordare Una storia ingarbugliata, volume appena proposto in una nuova traduzione italiana, che è molto più di un esercizio di logica matematica: è un’opera in cui il logos – la razionalità, il calcolo, la deduzione – si intreccia profondamente con il mythos – la narrazione, l’immaginazione, il paradosso. Ogni “nodo” (knot) è un enigma da sciogliere, ma anche un racconto da abitare, un piccolo mito logico in cui il lettore è chiamato a partecipare attivamente, come in un rito iniziatico.

Come osservavo in Alice Annotata 12, Carroll non separa mai il rigore dalla fantasia: allo stesso modo, «la quintessenza dello Humanistic Management è la capacità di costruire senso condiviso attraverso la parola». In questo senso, Una storia ingarbugliata è un esempio perfetto di Popsophia: un sapere che non si accontenta della verità astratta, ma la cerca nel gioco, nella relazione, nella conversazione.

Il Pop Manager, come Carroll, non si limita a risolvere problemi: li racconta, li mette in scena, li trasforma in occasioni di apprendimento collettivo. Il linguaggio tecnico (logos) non basta: serve anche la potenza evocativa del racconto (mythos) per coinvolgere, motivare, trasformare. Ogni nodo è un microcosmo in cui si incontrano la precisione del calcolo e la libertà dell’immaginazione, la logica della soluzione e il fascino dell’enigma. E Carroll, con i suoi giochi linguistici e i suoi paradossi narrativi, ci mostra che anche la matematica può essere un atto poetico, un gesto creativo, un invito a pensare con leggerezza e profondità.

In una Pop Organization, infine, la conversazione non è un “canale” ma una piattaforma cognitiva. È il luogo dove si costruisce l’identità collettiva, si negoziano i significati, si attiva l’intelligenza collaborativa. È qui che logos e mythos si fondono: la razionalità dei dati incontra la potenza evocativa delle storie. E il Pop Manager è il regista di questo teatro organizzativo, dove ogni voce conta e ogni immagine parla.

Alice e la sorella maggiore

Il test prosegue soffermandosi sul rapporto fra Alice e la sorella maggiore, perché questa dicotomia narrativa è una buona metafora per mettere a confronto due approcci opposti (e complementari) al management contemporaneo.

Per contestualizzare il tema, può essere utile ricordare due celebri saggi di Baricco. Il primo è I Barbari. Saggio sulla mutazione (Feltrinelli, 2006) che descrive una trasformazione profonda della cultura contemporanea, definita “mutazione”. I “barbari” non sono distruttori, ma portatori di un nuovo paradigma: superficiali solo in apparenza, sono in realtà naviganti orizzontali, che preferiscono l’esperienza alla profondità, la velocità alla riflessione, la connessione al radicamento. La mutazione riguarda il gusto, il sapere, la lettura, lo sport, la religione, la politica. La tesi centrale del libro è: non stiamo assistendo a un declino della civiltà, ma a una sua trasformazione radicale, che richiede nuovi strumenti di lettura.

Il secondo saggio è The Game (Einaudi, 2018). Qui Baricco racconta la nascita e l’evoluzione del mondo digitale come un “gioco” creato da una nuova generazione per riscrivere le regole della realtà. Il Game è il sistema culturale nato con Internet, gli smartphone, i social, l’interattività. È un mondo dove tutto è accessibile, semplificato, gamificato e dove l’esperienza è più importante della conoscenza. In sintesi: il digitale non è solo tecnologia, ma una nuova forma di umanesimo, che cambia il nostro modo di essere nel mondo.

Da queste letture possiamo trarre i seguenti corollari Pop:

  1. Dal management come controllo al management come gioco. Nel Pop Management, il manager non è più un controllore di processi, ma un game designer: crea ambienti di apprendimento, esperienze coinvolgenti, percorsi di senso. Come nel Game di Baricco, il lavoro diventa interattivo, modulare, partecipativo. Il Pop Manager progetta “livelli” di esperienza, non solo obiettivi da raggiungere.
  2. Superficialità come nuova profondità. I “barbari” di Baricco non cercano la profondità verticale, ma quella orizzontale: esplorano, connettono, remixano. Questo è esattamente ciò che fa il Pop Manager: non approfondisce un solo sapere, ma naviga tra discipline, linguaggi, culture. È metadisciplinare, come suggerisce Piero Trupia (rimando per approfondimenti alla sintesi video del webinar sull’attualità del suo pensiero realizzato nel contesto degli eventi per i 50 anni di AIF – Associazione Italiana Formatori), e costruisce senso attraverso la contaminazione.
  3. Intelligenza collaborativa e mutazione culturale. La mutazione descritta da Baricco è la stessa che io interpreto come passaggio dallo Scientific Management allo Humanistic e Pop Management. In questo nuovo scenario, l’intelligenza non è più individuale e verticale, ma collaborativa, diffusa, emotiva. Il Pop Manager è un facilitatore di mutazioni, capace di leggere i segnali deboli e trasformarli in innovazione.
  4. Immagini, conversazioni e storytelling. Baricco ci dice che il nuovo umanesimo digitale è fatto di immagini, interfacce, narrazioni brevi che si inseguono in percorsi più lunghi. È lo stesso principio che guida il Pop Management: la comunicazione è estetica, la leadership è narrativa, la cultura aziendale è transmediale. Il Pop Manager sa che ogni conversazione è un atto di design, ogni slide è una scena, ogni progetto è una storia.

Alla luce delle trasformazioni culturali descritte da Alessandro Baricco in I Barbari e The Game, il confronto tra Alice e la sorella maggiore si rivela non solo un espediente narrativo, ma una metafora epistemologica che consente di analizzare due modelli opposti e complementari di leadership e cultura organizzativa.

Come risulta evidente, la sorella maggiore incarna il manager tradizionale: razionale, lineare, ancorato alla profondità come introspezione e controllo. È il custode della memoria organizzativa, della coerenza narrativa, della “gravitas” istituzionale. Alice, al contrario, rappresenta il manager contemporaneo, fluido, curioso, immerso nel cambiamento continuo. È la “nativa digitale” che, come i “barbari” di Baricco, non cerca la verità assoluta, ma l’esperienza, la connessione, la velocità.

Come scrive Baricco, i barbari non distruggono la cultura: la mutano. Allo stesso modo, Alice non rifiuta la sorella, ma la supera, incarnando un nuovo paradigma manageriale basato su surfing mentale, storytelling visivo e intelligenza collaborativa.

Ecco allora che la domanda contenuta nel test – «Ti tuffi nella tana del cambiamento o preferisci restare sulla riva della tradizione?» – non è solo retorica. È una call to action strategica per chi opera oggi nel management. In un contesto dominato dalla iperconnessione e dalla complessità, il manager non può più limitarsi a “gestire”: deve navigare, giocare, progettare esperienze. Il Pop Manager, come il giocatore del Game, è un architetto di ambienti cognitivi: crea spazi di apprendimento, attiva conversazioni, costruisce senso attraverso immagini, simboli, interazioni.

La presenza di entrambe le figure (il manager tradizionale e quello Pop) nel test consente infine al partecipante di posizionarsi lungo un continuum tra:

  • conservazione e innovazione
  • profondità e superficie
  • controllo e esplorazione.

Non si tratta di scegliere chi ha ragione, ma di riconoscere la propria postura culturale e sviluppare le competenze necessarie per muoversi tra i due mondi. Il Pop Management si configura come una forma gestionale incarnata, vissuta, capace di tenere insieme logos e mythos, razionalità e narrazione, dati e immaginazione.

Brainstorming

Una situazione proposta dal Quiz invita a riflettere sul brainstorming perché questo strumento, apparentemente semplice e “vintage”, racchiude in sé molte delle sfide e delle opportunità del management contemporaneo. Ecco perché vale la pena soffermarsi su questo tema, soprattutto alla luce del terzo capitolo di Alice in Wonderland, che lo anticipa in modo sorprendentemente attuale.

La scena con Alice, il Dodo e gli altri animali bagnati è un esempio perfetto di caos produttivo: tutti parlano, nessuno ha una soluzione chiara, ma qualcosa accade. È l’essenza della creatività collettiva. Per il Pop Manager, è un invito a non temere la confusione, ma a saperla ascoltare e valorizzare.

Il brainstorming è una forma di conversazione dove le idee si contaminano, si sovrappongono, si trasformano. Proprio come nel Pop Management, dove la connessione tra persone, saperi e linguaggi è il vero vantaggio competitivo. Nel mondo Pop, non basta più “avere un’idea geniale”. Serve trasformarla in valore condiviso, attraverso strumenti come l’Idea Management. Il brainstorming è solo l’inizio: il Pop Manager deve saper orchestrare la creatività, non solo stimolarla. Come nella scena di Alice, il brainstorming non serve solo a “risolvere un problema”, ma a costruire significato insieme. È un momento in cui le persone si riconoscono, si ascoltano, si legittimano. È cultura organizzativa in azione.

Il brainstorming è diventato un formato classico della creatività aziendale. Ma oggi, grazie alle piattaforme digitali, può evolvere in processi partecipativi strutturati, dove ogni voce conta e ogni idea può diventare progetto. Il Pop Manager deve saper navigare tra spontaneità e struttura, tra meme e metriche.

In sintesi, il brainstorming – da Alice al cloud – è molto più di una tecnica: è una metafora potente della leadership Pop, che sa ascoltare, connettere, valorizzare e trasformare.

In questo quadro, va rilevato che l’Intelligenza Artificiale può diventare una risorsa preziosa anche nei brainstorming. Non sostituisce la creatività umana, ma la amplifica: suggerisce connessioni inaspettate, stimola associazioni laterali, cataloga le idee in tempo reale. Il Pop Manager può usarla come alleata per facilitare la generazione e l’organizzazione delle idee, mantenendo però la regia umana del processo creativo. L’IA non crea al posto nostro, ma ci aiuta a pensare insieme, più velocemente e con maggiore apertura. È un acceleratore di possibilità, non un sostituto dell’immaginazione.

IA come mentore

Approfondiamo la questione. Nell’ambito della formazione aziendale, l’Intelligenza Artificiale sta assumendo un ruolo sempre più simile a quello del Gatto del Cheshire: non un coach tradizionale, ma una guida enigmatica, capace di apparire e scomparire, lasciando dietro di sé solo intuizioni essenziali. Come il Gatto, l’IA non offre risposte dirette, ma stimola domande, propone prospettive laterali e accompagna l’utente in un percorso di scoperta personale.

Tuttavia, come suggerisce il Pop Opinionist Valentino Megale e conferma il report di Anthropic, l’IA viene sempre più vissuta come confidente, coach o compagna. Anche se solo il 2,9% delle conversazioni con Claude rientra nella categoria “affettiva”, e meno dello 0,5% riguarda compagnia o roleplay, l’impatto emotivo è significativo. Le persone si rivolgono all’IA per affrontare solitudine, prendere decisioni, esplorare il senso dell’esistenza. Il Pop Manager deve vigilare: l’IA può essere guida,  ma non sostituto della relazione umana. Il rischio è che la macchina, pur non essendo progettata per supporto emotivo, venga investita di aspettative relazionali che riflettono un vuoto crescente nei contesti organizzativi. La leadership empatica deve quindi presidiare questi spazi, promuovendo connessioni autentiche tra persone, non solo tra persone e algoritmi.

Detto ciò, nelle pratiche del Pop Management l’AI può essere utilizzata come un coach invisibile, capace di adattarsi ai bisogni dell’utente, analizzare pattern nascosti e suggerire traiettorie formative personalizzate. Questo approccio si allinea perfettamente con la logica “paradossale ma funzionale” del Gatto: l’IA non impone un percorso, ma modella il contesto affinché l’utente possa trovare la propria strada.

Come il Gatto che scompare lasciando solo il sorriso, l’IA distilla la complessità, offrendo solo ciò che è rilevante, nel momento giusto. È una presenza fluida, non intrusiva, ma capace di generare impatti profondi. In questo senso, il Pop Management trova nell’IA non solo uno strumento, ma un alleato narrativo: un mentore che, come nel Paese delle Meraviglie, ci aiuta a navigare l’incertezza con ironia, intuizione e un pizzico di follia.

 Più in generale, le Popfirm, come le “Frontier Firms” di cui parla Microsoft, incarnano un nuovo paradigma: l’integrazione tra intelligenza artificiale e umanità. L’IA non sostituisce, ma potenzia: libera tempo, genera idee, garantisce continuità. Ma non può (e non deve) sostituire la gestione delle relazioni, dei conflitti, dell’empatia. Qui entra in gioco il Pop Manager, maieuta digitale, che sa convocare, ascoltare, armonizzare.

I dati del Work Trend Index 2025 parlano chiaro: i lavoratori sono stanchi, i manager chiedono di più, e l’IA sembra la soluzione. Due dati interessanti sono i seguenti: l’80% dei lavoratori intervistati dichiarano di non aver abbastanza tempo o energie per rispondere alle esigenze di produttività espresse dalle aziende; il 53% dei manager intervistati dichiara, invece, necessario un aumento di produttività dei singoli

Non è un caso, infatti, che l’IA sia utilizzata soprattutto per risultati che gli umani non possono raggiungere: disponibilità 24/7 (42%), velocità e qualità sempre altissima (30%), continua offerta di idee on demand (28%), energia infinita (23%). L’IA non è considerata utile, invece, nella gestione delle frizioni tra colleghi (collaborazione, allineamento): questo tema resta in capo esclusivamente agli umani (in breve, resta istintivo il contatto e la relazione in tutte quelle attività realmente “umane”, fatte di empatia, scambio e conversazione)

Ma attenzione: la produttività non è solo output, è anche benessere, motivazione, senso. Il Pop Management propone un’alternativa: non più controllo, ma coinvolgimento. Non più comando, ma convocazione.

In una Pop Organization, la voce è capitale. Dare voce ai collaboratori, ai clienti, agli stakeholder significa costruire un’organizzazione viva, dialogica, conviviale. Come ci insegna Trupia, la bellezza – e quindi il valore – nasce dalla relazione, dalla trasparenza, dalla claritas. E oggi, più che mai, serve un management che sappia ascoltare, interpretare, raccontare.

Chi sei… adesso?

«Chi sei tu?» chiede il Brucaliffo ad Alice. Ma oggi la domanda è: «Chi sei… adesso?». Nel Wonderland contemporaneo, dove le organizzazioni sono sempre più liquide, le tecnologie sempre più pervasive e le narrazioni sempre più frammentate, l’identità non è più un punto di partenza, ma un percorso in divenire. Non è un’essenza da scoprire, ma una costruzione continua, fatta di linguaggi, relazioni, contesti.

Il Pop Management ci insegna che il manager non è più un’autorità verticale, ma un nodo in una rete di significati. In questo scenario, l’identità non è un’etichetta, ma una performance relazionale: si ridefinisce ogni volta che cambiano le condizioni del gioco, ogni volta che si entra in una nuova stanza di Zoom, ogni volta che si scrive un messaggio su Teams o si condivide un insight su LinkedIn.

Come Alice, anche il manager cambia forma, statura, tono. Ma non per opportunismo: per coerenza con la complessità. Perché oggi essere autentici non significa essere sempre uguali a sé stessi, ma essere fedeli al proprio processo di trasformazione.

Il Pop Management ci invita a leggere l’identità come un remix: un collage di esperienze, ruoli, culture, emozioni. Un’identità che si costruisce attraverso il dialogo, che si nutre di contaminazioni, che si esprime in modo diverso a seconda del contesto — ma che mantiene un filo rosso: la capacità di dare senso.

In un mondo dove il nonsense è spesso più rivelatore del senso, il manager è prima di tutto un sensemaker (un nonsensemaker?): qualcuno che accetta l’ambiguità, che abita l’incertezza, che sa che ogni crisi è anche un’occasione per ridefinirsi. E allora, nel tuo ruolo manageriale, non chiederti solo “chi sei”. Chiediti: chi stai diventando? Domanda cruciale soprattutto considerando che per il Pop Management l’identità individuale è sempre un’identità molteplice, ovvero una  una moltiplicazione di sé che si manifesta attraverso i diversi ruoli, profili e presenze digitali che abitiamo quotidianamente.

Come scrive Valagussa (Si può vivere senza identità?), «la domanda non è se si possa vivere senza identità, ma che cosa diavolo vorrebbe dire averne una sola»: un’identità fissa risulterebbe letteralmente invivibile. «Non c’è quasi nulla di “mio” che non abbia assorbito in realtà da tutto ciò che mi circonda, anche senza volervi aderire espressamente: lacanianamente si potrebbe anche dire che l’altro è il luogo in cui ci costituiamo. E però, a mia volta, come si legge in un appunto di Valéry, “io sono l’altra faccia di tutte le cose”. Siamo senza dubbio condizionatissimi, legati mani e piedi alle persone che abbiamo frequentato, ai libri che abbiamo sfogliato, ai luoghi di cui ricordiamo e fantastichiamo, ai contesti entro i quali viviamo e abbiamo vissuto. Tutto questo non esaurisce ancora il fondo infaticabile della vita: c’è anche quel peculiare, quel singolarissimo, quell’insignificante riflesso di tutto questo che ora sta accadendo in me, o forse meglio tramite me.»

Nel mondo Pop, l’identità è un mosaico dinamico di versioni di sé, ciascuna attivata da un contesto, una piattaforma, una relazione. Il Pop Manager è consapevole di questa frammentazione e la trasforma in potenziale: sa che ogni interazione è un’occasione per indagare una nuova sfaccettatura del proprio ruolo, senza perdere il filo rosso del senso. Come l’Edipo di Valagussa, che nel gesto di accecarsi «cessa di subire passivamente ciò che gli è destinato» e vi aderisce spontaneamente, anche il manager contemporaneo partecipa attivamente alla costruzione della propria identità, trasformando ogni crisi in un’occasione di risignificazione.

Noi cerchiamo una risposta all’enigma dell’iperidentità inseguendo la singolarità molteplice, impermanente, metamorfica e metaforica di Alice. Che la rivendica esplicitamente all’inizio di Attraverso lo Specchio, contrapponendola all’identità esatta ma univoca, prescritta e monodimensionale della sorella più grande: «Alice aveva avuto il giorno prima una lunghissima discussione con la sorella, soltanto perché aveva cominciato: ‘Facciamo finta  d’essere re e regine’: sua sorella, alla quale piaceva essere sempre molto esatta, aveva risposto che non potevano perché erano soltanto in due, e Alice era stata costretta finalmente a dire: ‘Allora tu puoi essere una, e io sarò tutti gli altri’».

Ambito di elezione per eccellenza di creazione ed evoluzione dell’identità molteplice è la Rete. I percorsi delle tecnologie virtuali, infatti, si sono oggi indissolubilmente legati ai percorsi della conoscenza, (anche di sé), facendo dei nuovi computer (nelle loro varie declinazioni: pc, tablet, smartphone, eccetera) specchi sociali nei quali vivere e far vivere i propri riflessi: creare, cioè, estensioni di sé che si disseminano in tutte le direzioni. Con i rischi che ne conseguono, certo.

Nell’era dell’iperidentità, la coerenza non è uniformità, ma capacità di navigare tra le proprie molteplici espressioni con autenticità e visione. Come Alice, anche il Manager Pop attraversa specchi e metamorfosi, non per perdersi, ma per ritrovarsi in forme sempre nuove di senso. Specchi e metamorfosi che, come Alice, oggi ci si trova ad attraversare durante un percorso segnato dalle continue interrelazioni con gli altri, sia in presenza sia in Rete, soprattutto con coloro che Trupia chiama «i portatori di diversità-novità».

Conversazioni analogiche e digitali

Riflettere sulle conversazioni analogiche e digitali è fondamentale per un Pop Manager, perché oggi la leadership si esercita non solo nei corridoi dell’ufficio, ma anche nei thread di Teams, nei commenti a un post interno, nei messaggi su Slack o nelle reaction a una mail.

Nel mondo Pop, non si guida solo con obiettivi, ma con parole, tono, ascolto e presenza. Le conversazioni – analogiche o digitali – sono l’infrastruttura emotiva e cognitiva dell’organizzazione. È lì che si costruisce fiducia, senso, identità.

Le conversazioni digitali, va specificato, non sono “meno vere” di quelle in presenza: sono diverse, più veloci, più pubbliche, più permanenti. Il Pop Manager deve saper abitare entrambi i mondi, con consapevolezza e coerenza. Scorriamo per punti alcune questioni relative al tema:

  • Come ci insegna Alice, il linguaggio è un gioco serio. Le parole creano realtà. E nel digitale, ogni emoji, ogni “ciao” senza punto, ogni “grazie!” con punto esclamativo… comunica qualcosa. Il Pop Manager deve saper leggere e scrivere questi codici.
  • La netiquette non è burocrazia: è cura relazionale. È il modo in cui si protegge lo spazio comune della comunicazione. Il Pop Manager deve promuovere un clima in cui l’ascolto, il rispetto e la leggerezza possano convivere.
  • In un’organizzazione Pop, la conversazione non è top-down, ma peer-to-peer, many-to-many. È un processo di co-costruzione del senso. Il manager non è il “capo che parla”, ma il facilitatore che ascolta, rilancia, connette.
  • Nel digitale, il tono non si vede, ma si sente. Un messaggio può unire o dividere, motivare o ferire. Il Pop Manager deve saper usare il tono giusto al momento giusto, anche con una semplice emoji (ma non troppe 😅).
  • Ogni interazione lascia una traccia. Ma non è solo un log: è una relazione in atto. Il Pop Manager deve saper leggere i segnali deboli, i silenzi, le sfumature. Anche (e soprattutto) online. Come in una community, il Pop Manager deve moderare, stimolare, proteggere. Non per controllare, ma per nutrire la qualità del dialogo. Ogni scambio è un’occasione per imparare qualcosa: su sé stessi, sugli altri, sull’organizzazione. Il Pop Manager deve saper trasformare le conversazioni in insight.
  • Le piattaforme però non sono neutre. Come scrive Geert Lovink in Notes on the Platform Condition (2021, Making & Breaking), «la piattaforma è un ambiente liscio, quasi sicuro, leggermente ottimista, ma in modo sommesso: niente urla. Questo ambiente ci induce a sentire meno e a scorrere più velocemente» . In Sad by Design, Lovink approfondisce il concetto di “piattezza emotiva” indotta dai social media: la conversazione viene sostituita da metriche, notifiche e contenuti effimeri, che impediscono la riflessione e favoriscono la dipendenza. Il Pop Manager empatico deve quindi essere anche un ecologo digitale: non solo facilitatore di dialogo, ma custode della qualità relazionalenegli ambienti digitali. Deve saper leggere i segnali deboli, rallentare il ritmo, proteggere la biodiversità linguistica e affettiva. In un mondo dove “scrollare” è diventato il gesto dominante, la leadership si misura anche nella capacità di creare spazi di ascolto autentico.
  • Ogni scambio è un’occasione per imparare qualcosa: su sé stessi, sugli altri, sull’organizzazione. Il Pop Manager deve saper trasformare le conversazioni in insight.
  • Come le parole portmanteau di Carroll, anche il linguaggio aziendale deve adattarsi, contaminarsi, reinventarsi. Il Pop Manager è anche un designer linguistico, che crea spazi di senso nuovi per bisogni nuovi. Di qui la domanda:

«Parli come un Jabberwocky o come un executive summary?»

Nel Wonderland del Pop Management, le parole non sono solo strumenti, ma creature vive: si contraggono, si raddoppiano, si travestono da immagini, si fondono in parole-valigia. Come ci insegna Carroll (e Shakespeare prima di lui), il linguaggio è un gioco serio: può creare mondi, identità, visioni. Ma tra emoji, acronimi e messaggi vocali da 1.5x, siamo più vicini al Jabberwocky o al silenzio?

Gilles Deleuze, nella Logica del senso, ci invita a considerare il nonsense non come assenza di significato, ma come sua condizione di possibilità. Il senso, scrive, «non è mai dato, ma prodotto sulla superficie delle cose»; è un effetto, non una causa. Il Jabberwocky, con le sue parole-valigia e le sue immagini linguistiche ibride, non è un linguaggio privo di senso, ma un linguaggio che genera senso attraverso il paradosso e la molteplicità.

Nel percorso proposto dal progetto Alice Postmoderna (Alice Annotata 4a 4b), si approfondisce proprio questa logica delle “contrazioni e raddoppiamenti” del linguaggio carrolliano, mostrando come Alice si muova in un universo dove le parole non descrivono la realtà, ma la creano, la deformano, la moltiplicano. Il linguaggio, in questo contesto, non è uno specchio del mondo, ma un dispositivo performativo che lo trasforma. «Le parole si contraggono e si raddoppiano, si piegano su sé stesse, si rifrangono come in un gioco di specchi».

Nel Pop Management, parlare come un Jabberwocky significa accettare che il linguaggio non serve solo a trasmettere informazioni, ma a generare immaginazione, a evocare mondi possibili. L’executive summary, al contrario, rappresenta la sintesi performativa, l’ideale di chiarezza e controllo. Ma Deleuze ci mette in guardia: «Il linguaggio non è mai neutro. È sempre già preso in un gioco di forze, di desideri, di poteri».

Il Pop Manager, allora, è colui che sa oscillare tra questi due poli: la precisione dell’executive summary e la potenza evocativa del Jabberwocky. Sa che ogni parola è un evento, un atto performativo che può aprire o chiudere possibilità. E che, come in Carroll, il vero senso si trova spesso nel paradosso, nel gioco, nel nonsense che rivela.

Ma c’è di più. Cosimo Accoto nel suo ultimo libro (per approfondimenti leggi anche 119– CHE POP MANAGER SEI? VISIONARIO/VISIONARIA) descrive un passaggio epocale e ancora inavvertito: la parola umana, storicamente strumento di relazione tra esseri umani, ora dialoga con la macchina. Le parole generate dall’IA – “inumane”, ma costruite su dati umani – stanno terremotando la nostra civiltà linguistica. Questo non è solo un salto tecnologico, ma un collasso simbolico: si incrinano concetti come autorialità, responsabilità, autenticità. Non è solo la scrittura a cambiare, ma l’intero ordine del discorso, con i suoi regimi di verità. Accoto invita a non ridurre tutto a “pappagalli stocastici”, ma a leggere questa trasformazione come l’avvio di nuove istituzioni linguistiche e culturali.

Dal punto di vista del Pop Management, dove il manager è anche narratore, designer linguistico e facilitatore di senso, il monito di Accoto è cruciale. Se la parola è sempre stata il fondamento della leadership – per convocare, ispirare, costruire fiducia – ora essa è condivisa con entità non umane. Il Pop Manager non può ignorare questa “presa di parola della macchina”: deve abitare il nuovo spazio linguistico con consapevolezza, senza cedere né al feticismo tecnologico né al rifiuto nostalgico.

Come Alice che attraversa lo specchio, il Pop Manager deve imparare a conversare con l’alterità algoritmica, senza perdere il senso della propria voce. La sfida non è solo tecnica, ma istituzionale e culturale: come costruire comunità, fiducia e identità in un mondo dove anche le parole sono sintetiche?

Accoto ci invita a leggere l’IA non come uno strumento, ma come una nuova grammatica del potere e del sapere. Il Pop Manager, allora, è chiamato a diventare ecologo della parola sintetica: a coltivare ambienti dove la parola – umana o artificiale – non sia solo output, ma gesto di cura, responsabilità e senso condiviso.

Alice e la gerarchia: uscire dall’Istituzione Totale

Una nuova grammatica del potere, dicevamo. Del resto, se l’impresa è una comunità narrativa, disegnare la lingua coincide con il disegnare l’organizzazione. In questo senso è interessare notare che Alice non è solo una bambina smarrita nel Paese delle Meraviglie: è una metafora vivente dell’individuo immerso in un’organizzazione tradizionale, quella che Piero Trupia definisce Istituzione Totale, ma che in Wonderland conosce anche possibilità alternative.

Molti personaggi che Alice incontra, infatti, rappresentano un archetipo manageriale tradizionale:

  • Il Coniglio Bianco è il middle manager in crisi, sempre in ritardo, schiacciato tra ordini e scadenze.
  • La Duchessa incarna il vertice autoritario, che esercita il potere attraverso l’arbitrarietà e la paura.
  • Bill, il collaboratore traumatizzato, è il simbolo del lavoratore ridotto a ingranaggio, privo di voce e autonomia.
  • Ma soprattutto la Regina di Cuori incarna una figura manageriale estrema, dominata da tratti che richiamano dinamiche psicologiche disfunzionali fra cui: Narcisismo – manifesta un profondo egocentrismo, un bisogno ossessivo di ammirazione e una marcata mancanza di empatia. Il suo comportamento ruota attorno all’autocelebrazione e alla centralità assoluta del proprio punto di vista, tratti tipici del disturbo narcisistico di personalità; instabilità emotiva –le sue esplosioni di rabbia improvvisa e le reazioni sproporzionate a minimi contrasti suggeriscono una personalità disturbata. Ogni deviazione dalle sue aspettative viene vissuta come una minaccia personale, scatenando risposte punitive; Comportamento autoritario: il suo desiderio di controllo assoluto e la tendenza a punire chiunque osi contraddirla – esemplificata dal celebre comando «Tagliatele la testa!» – riflettono un’attitudine autoritaria, incapace di tollerare il dissenso o di gestire la frustrazione in modo costruttivo.

 Accanto a questi archetipi gerarchici, Wonderland ci offre anche figure alternative, che incarnano nuove forme di leadership e creatività nel Pop Management:

  • Lo Stregatto è l’ironic divo: enigmatico, sfuggente, ma sempre presente nei momenti chiave. Rappresenta il leader che non impone, ma suggerisce, che guida con ironia e leggerezza, lasciando spazio all’immaginazione e all’autonomia.
  • Il Cappellaio Matto è il simposiarca: maestro di cerimonie del pensiero laterale, trasforma ogni riunione in un banchetto creativo. È il simbolo della leadership conviviale, che stimola la partecipazione attraverso il gioco, il paradosso e la narrazione.
  • Il Brucaliffo è l’alchimista: enigmatico e riflessivo, pone domande che trasformano. È il mentore trasformativo, che non offre soluzioni preconfezionate, ma attiva processi di consapevolezza e cambiamento. La sua leadership è fatta di ascolto profondo e provocazione generativa.
  • Il Cavaliere Bianco è il creativo: con le sue invenzioni strampalate e poetiche, è il simbolo perfetto di una creatività che non si limita a “pensare fuori dagli schemi”, ma li reinventa.

Questi archetipi pop (che illustreremo nei prossimi Prolegomeni presentendo di volta in volta il Quiz dedicato a ciascuno) rappresentano una via d’uscita dalla logica dell’Istituzione Totale: non più ruoli rigidi, ma posture fluide, capaci di generare senso, connessione e innovazione.

Il Wonderland di Carroll, letto attraverso la lente del Pop Management, diventa dunque un laboratorio narrativo dove si confrontano due paradigmi organizzativi:

Il modello dell’Istituzione Totale. L’Istituzione Totale è un sistema chiuso, burocratico, gerarchico, dove:

  • i luoghi sostituiscono le finalità,
  • i ruoli prevalgono sulle persone,
  • la centralizzazione del potere annulla la responsabilità diffusa.

In questo modello, l’individuo è servus: un esecutore, un utente passivo, un consumatore di ordini. È il mondo del Scientific Management, dove l’efficienza è più importante del senso, e la produttività più importante della felicità.

Il paradigma Pop: convivialità e convocazione. Il Pop Management propone un’alternativa radicale: un’organizzazione conviviale, dove la comunicazione è relazionale, estetica, narrativa. Qui, Alice non è più una pedina, ma una narratrice del cambiamento. Il Pop Manager è un convocatore, non un comandante: attiva la partecipazione, valorizza la diversità, costruisce senso condiviso. “Convocare” significa riconoscere l’altro come autorevole in quanto altro. È un atto di apertura, non di imposizione. È il contrario della logica servo-padrone.

La domanda finale – “È possibile uscire dal labirinto della gerarchia e dell’ansia per abbracciare un modello più umano, creativo e partecipativo?” – è la stessa che pone Baricco in The Game: possiamo abitare il nuovo mondo senza nostalgia per il vecchio? Possiamo trasformare il lavoro in un gioco serio, dove la leggerezza non è superficialità, ma profondità vissuta in movimento?

La risposta del Pop Management è sì. Ma non è un sì ingenuo. È un sì che richiede coraggio narrativointelligenza relazionale, e la capacità di trasformare le istituzioni in comunità. Non è un sogno dentro il sogno: è un progetto possibile, se accettiamo di attraversare lo specchio.

In fondo, il Pop Management è anche un’arte del giardinaggio simbolico. Come nella scena in cui i soldati-giardinieri cercano di dipingere di rosso le rose bianche per evitare la furia della Regina di Cuori, molte organizzazioni tradizionali si affannano a correggere l’apparenza per non affrontare il cambiamento reale. È una metafora potente della cultura del controllo, dove l’errore non è occasione di apprendimento, ma colpa da nascondere.

Ma il Pop Manager non si limita a “colorare le rose”: coltiva ambienti dove la diversità fiorisce, dove anche l’assurdo ha diritto di cittadinanza. Come canta il giardiniere nella poesia The Gardener’s Song, «He thought he saw an Argument / That proved he was the Pope; / He looked again, and found it was / A Bar of Mottled Soap». Il nonsense, qui, non è solo gioco: è una forma di verità laterale, che smaschera le pretese di coerenza assoluta e invita a una visione più umile e poetica del reale.

In questo senso, il Pop Manager è anche un po’ come Chance, il protagonista del film Oltre il giardino interpretato da un Peter Sellers grandioso: un giardiniere che, con parole semplici e metafore naturali, riesce a ispirare una nazione. Non perché abbia un piano, ma perché sa stare nel presente, ascoltare, osservare. Certo è tutto giocato sulla linea sottile dell’ironia (il finale con Chance che cammina sulle acque è leggendario), ma alla fine dei conti la pellicola celebra la leadership della presenza, della cura, della leggerezza che trasforma.

Attraversare lo specchio, allora, significa anche questo: smettere di dipingere le rose e iniziare a coltivarle davvero.

Il profilo

Basta spoiler. Hai fatto il test? Se hai totalizzato 10 o più punti corrispondi al profilo Empatica/Empatico, caratterizzato da una leadership che mette al centro le persone, le relazioni e il significato. La custode relazionale del senso condiviso.

Faciliti l’ascolto profondo, medi tra le emozioni e promuovi ambienti di lavoro autentici e aperti alle diversità. Non ti limiti a gestire: coltivi. Non comandi: convochi. La tua forza è la capacità di creare spazi di fiducia dove le persone si sentono viste, ascoltate e valorizzate.

Come Danny Ocean (e Jake Blues), non ti arrendi davanti agli ostacoli. Sai che ogni missione ha bisogno di cuore, ritmo e una buona dose di ironia. Raduni le persone attorno a una causa comune, con carisma e spirito collettivo.

La tua leadership è una jam session: ognuno ha il suo assolo, ma suona in armonia.

Come Alice, non hai paura di attraversare lo specchio. Ti muovi tra mondi diversi, accogli l’imprevisto e ascolti anche ciò che non viene detto.

La tua empatia è curiosa, trasformativa, capace di vedere oltre le apparenze.

In ogni gruppo, sei tu sei la persona che apre porte, non che le chiude.

Tratti distintivi

  • Empatia sistemica: comprendi le emozioni individuali e le dinamiche collettive, leggendo l’organizzazione come un ecosistema vivo.
  • Ascolto trasformativo: pratichi un ascolto attivo e profondo, capace di generare insight e cambiamento.
  • Leadership relazionale: costruisci legami autentici, basati su fiducia, cura e reciprocità.
  • Cultura della cura: promuovi ambienti di lavoro in cui il benessere non è un benefit, ma un valore fondante.

Punti di forza

  • Generi fiducia: sei un punto di riferimento emotivo e valoriale per il tuo team.
  • Faciliti il dialogo: trasformi i conflitti in occasioni di crescita e coesione.
  • Dai senso al lavoro: aiuti le persone a riconoscere il valore di ciò che fanno, ogni giorno.
  • Coltivi comunità: attivi processi di co-creazione e partecipazione che rafforzano l’identità collettiva.

Attenzione a…

  • Non farti carico di tutto: l’empatia non è sacrificio.
  • Ricorda che anche la cura ha bisogno di confini.
  • Non temere il confronto: l’armonia non esclude il dissenso.

121 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO
62 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO LOTTO
63 – OPINION PIECE DI GIANLUCA BOTTINI
65– OPINION PIECE DI SIMONE FARINELLI
66– OPINION PIECE DI FRANCESCA ANNALISA PETRELLA
67– OPINION PIECE DI VALERIO FLAVIO GHIZZONI
68– OPINION PIECE DI STEFANO MAGNI
69– OPINION PIECE DI LUCA LA BARBERA
70 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: LA GRAPHIC NOVEL!
71 – LEADERSHIP POP. APOFATICA E CATAFATICA DELLA COMUNICAZIONE
72 – OPINION PIECE DI FEDERICA CRUDELI
73– OPINION PIECE DI MELANIA TESTI
74 – OPINION PIECE DI GIANMARCO GOVONI
75– OPINION PIECE DI MARIACHIARA TIRINZONI
76 – SENSEMAKING POP. LODE DELLA CATTIVA CONSIDERAZIONE DI SE’
77 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA CAPPELLO E ALESSANDRA MAZZEI
78 – OPINION PIECE DI JOE CASINI
79 – OPINION PIECE DI MARTA CIOFFI
80 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE PRIMA)
81 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE SECONDA)
82 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (NOTE A MARGINE)
83 – ENGAGEMENT POP. IL MANAGER INGAGGIANTE IMPARA DAI POKEMON
84 – ENGAGEMENT POP. DARE VOCE IN CAPITOLO
85 – ENGAGEMENT POP. COMUNICARE, VALUTARE, TRASFORMARE
86 – SENSEMAKING POP. MALATTIA MENTALE E BENESSERE PSICOLOGICO SUL LAVORO
87 – SENSEMAKING POP. FOLLIA O DIVERSITA’?
88 – OPINION PIECE DI LUIGIA TAURO
89 – OPINION PIECE DI NILO MISURACA
90 – OPINION PIECE DI FRANCESCO DE SANTIS
91 – INNOVAZIONE POP. REMIX, RI-USO, RETELLING
92 – STORYTELLING POP. ARIMINUM CIRCUS AL BOOK PRIDE 2025
93 – OPINION PIECE DI SIMONE VIGEVANO
94 – OPINION PIECE DI LORENZO FARISELLI
95 – OPINION PIECE DI MARTINA FRANZINI
96 – OPINION PIECE DI EMANUELA RIZZO
97 – INNOVAZIONE POP. OLTRE LA PRE-INTERPRETAZIONE
98 – INNOVAZIONE POP. FORMAZIONE: ANALOGICA, METAVERSALE, IBRIDA
99 – ARIMINUM CIRCUS: LA VISUAL NOVEL!
100 – La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE PRIMA)
101 – La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE SECONDA)
102 – La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE TERZA)
103– La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE QUARTA)
104– La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE QUINTA)
105– OPINION PIECE DI ALEXANDRA NISTOR
106– FORMAZIONE POP. PARTE PRIMA
107– FORMAZIONE POP. PARTE SECONDA
108– OPINION PIECE DI FEDERICA GRAZIA BARTOLINI
109– OPINION PIECE DI FEDERICO PLATANIA
110– OPINION PIECE DANIELA DI CIACCIO
111– OPINION PIECE DI LUCIANA MALARA E DONATELLA MONGERA
112– IL RITORNO DEL CEOPOP
113– LA VISIONE DEI CEOPOP (VOLUME 1)
114– LA VISIONE DEI CEOPOP (VOLUME 2)
115 – LA COMUNICAZIONE DEL CEOPOP
116– CEOPOP E PARTI SOCIALI
117– CHE POP MANAGER SEI? L’ESTETA
118– STORYTELLING POP. UNA COMUNICAZIONE POP PER IL NON PROFIT
119– CHE POP MANAGER SEI? VISIONARIO/VISIONARIA
120– OPINION PIECE DI REMO PONTI