La Pop Opinionist di oggi è Daniela Di Ciaccio, che ama definirsi “un’esploratrice dell’umano e una coltivatrice di possibilità”.
Sociologa e imprenditrice, è tra le principali esperte italiane di Scienza della Felicità, cultura organizzativa positiva ed evoluzione della leadership. Cofondatrice di 2BHappy, ha ideato la prima certificazione italiana per Chief Happiness Officer e contribuisce a innovare il management con modelli trasformativi e metriche di benessere generativo.
Il suo approccio integra scienza, concretezza e una profonda fiducia nella capacità delle persone di evolvere, insieme.
Dal management giurassico alle Organizzazioni Positive: la felicità come chiave generativa per l’evoluzione del lavoro
di Daniela Di Ciaccio
“Esco alle 17.30.”
“Che fai… Mezza giornata?”
2025 d.C. Benvenuti al Museo di Archeologia Manageriale.
Tra le vetrine polverose puoi ammirare antichi reperti aziendali del tempo che fu: il badge timbrato con orgoglio, le e-mail collezionate come trofei, le scrivanie piene ma i cuori vuoti. E ancora: slide sulle “people strategy” mai messe in pratica, meeting eterni senza decisioni, piani formativi che ignoravano reali bisogni, aspirazioni, competenze, emozioni.
Qui si celebra un’era in cui il dovere veniva prima del piacere, il potere prima della fiducia e l’avere prima dell’essere. Un tempo chiamato Jurassic Management.
Il problema non è solo culturale. È anche economico, sociale, umano.
Il vintage fa tendenza e il Jurassic Management vince il podio tra le piaghe post-moderne grazie alla sua chirurgica capacità di generare costi inutili per le aziende, le persone e l’intera economia.
Burnout, assenteismo, fuga di talenti, perdita di motivazione e disconnessione affettiva… sono solo alcuni dei tristi primati di cui il management giurassico può vantarsi. Il Gallup Engagement Index ci dice, inoltre, che solo il 10% dei lavoratori italiani è realmente motivato: il restante 90% lavora per inerzia o peggio, provando avversione verso colleghi e capi.
In questo 90% ci sono anche medici e infermieri che curano i nostri cari, insegnanti che educano i nostri figli, forze dell’ordine che garantiscono la nostra sicurezza. In gioco non c’è solo il benessere aziendale e il dinamismo economico ma la tenuta sociale del nostro Paese.
Nelle organizzazioni giurassiche si rimane anche stupiti di come non ci siano più idee nuove, responsabilità diffusa, collaborazione creativa, produttività; si ha la tendenza a scaricare il peso delle nuove sfide da affrontare sui “giovani che non vogliono lavorare e fare sacrifici” e a rifugiarsi nel nostalgico alibi “abbiamo sempre fatto così” per non affrontare la fatica di rimettere in discussione modelli mentali e operativi ormai fuori da ogni tempo.
Il futuro che sembra presente e il presente che è quasi passato
Se ti stai chiedendo in quale tempo stai vivendo, o se ti senti catapultato in un passato distopico che manda in cortocircuito il tuo cervello perché ciò che hai appena letto risuona ancora molto legato alla tua esperienza attuale del lavoro… non preoccuparti. È tutto normale.
Sì, siamo nel 2025 ma il Jurassic Management è ancora tra noi. È un po’ come in Stranger Things, dove il mondo reale convive con il sottosopra: due dimensioni che si intrecciano senza che ce ne rendiamo conto. Oppure come in Black Mirror, dove tecnologie avanzate si scontrano con logiche relazionali e culturali arcaiche. Un cortocircuito tra progresso e retaggi.
Eppure, la buona notizia è che davvero è iniziata una nuova era “Pop”, capace di scrivere una diversa storia per la cultura e la pratica manageriale. Una nuova era che può partire da una parola spesso fraintesa: felicità.
È tempo di restituirle la sua dignità strategica, scientifica, trasformativa. Perché se vogliamo rigenerare il modo in cui lavoriamo, viviamo e stiamo insieme nelle organizzazioni, è proprio da qui che possiamo (ri)cominciare.
La Scienza della Felicità: una base solida per il cambiamento
Dal 2015, con 2BHappy Culture Company, porto avanti un’intensa attività di ricerca, formazione e accompagnamento di persone e organizzazioni attraverso la Scienza della Felicità, emersa come una delle risposte più credibili e trasformative alla crisi di senso, motivazione ed energia che attraversa il mondo del lavoro.
Questa scienza, crocevia di linee di ricerca multidisciplinari – neuroscienze, psicologia positiva, economia civile e comportamentale, teoria dei sistemi, sociologia organizzativa e management – ha ormai dimostrato che la felicità non è un “nice to have”, un lusso o una moda manageriale, ma una leva di competitività.
La felicità, infatti, non è solo un’emozione: è anche una competenza. E come ogni competenza, può essere appresa, sviluppata, allenata, sia individualmente che a livello collettivo. Questa è la prima vera rivoluzione culturale.
Attenzione, non stiamo dicendo che la felicità non è un’emozione, stiamo dicendo che non è solo un’emozione. Vedila così, come un caso di omonimia perfetta, due parole identiche con significato differente come pesca (il frutto e il verbo pescare).
Esistono, quindi, due dimensioni della felicità:
- la dimensione edonica, legata alla soddisfazione e al piacere che proviamo. È l’emozione, ciò proviamo e sentiamo quando siamo felici e che possiamo misurare in realtà attraverso una gamma di emozioni che Barbara Fredrickson definisce positive;
- la dimensione eudaimonica, legata al senso di scopo, al modo in cui ciascuno di noi può scegliere di vivere la propria vita. È ciò che facciamo per essere felici e dipende, quindi, dai comportamenti intenzionali che mettiamo in atto ogni giorno per fiorire, autorealizzarci e contribuire.
Per allenare la felicità come competenza abbiamo distillato dalla scienza quattro pilastri fondamentali, resi accessibili e praticabili anche in contesti aziendali.
- Più chimica positiva, meno chimica negativa. Funzioniamo meglio quando il corpo produce ossitocina, dopamina, serotonina ed endorfine: ormoni che aprono i centri dell’apprendimento, della creatività, della memoria e dell’ascolto. Perché ciò accada, le persone devono sentirsi sicure, riconosciute, ascoltate e in relazione autentica. Al contrario, quando prevalgono insicurezza, solitudine, ingiustizia o aggressività, aumenta il cortisolo — l’ormone dello stress. Utile nel breve, ma dannoso se costante: ci rende meno lucidi, meno collaborativi, meno creativi. Al lavoro (ma non solo) questa chimica tossica compromette benessere e performance: aumenta l’assenteismo, riduce la capacità di apprendere, risolvere problemi, creare valore. Favorire pratiche che generano chimica positiva è una rivoluzione culturale concreta. Significa superare il vecchio schema del “prima il dovere, poi il piacere” e costruire ambienti in cui si lavora bene… perché si sta bene. E per favorire questa e ogni transizione culturale in modo efficace è necessario rimanere sintonizzati sullo spirito dei tempi, adottare nuove narrazioni anche d’impresa e organizzative, come il Pop Management, a cui ci invita Marco Minghetti nel Prolegomeno n.1
- Più Noi, meno Io. La felicità non è un’impresa solitaria: è relazionale. La scienza lo conferma: non ha vinto la specie più forte, ma quella che ha saputo cooperare meglio. Il capitale sociale – la capacità di costruire relazioni solide e fiduciarie – è alla base non solo della resilienza di comunità e Paesi, ma anche della salute emotiva, immunitaria e mentale delle persone. Il modello mentale da superare? “Vince il più forte”. È tempo di sostituirlo con “vince chi crea legami”. Sul lavoro, coltivare capitale sociale significa: cooperare, ascoltare, comunicare con rispetto, condividere sapere, prendersi cura degli altri e del pianeta. È il passaggio da visioni del mondo ego-sistemiche ad eco-sistemiche, da modelli organizzativi basati sul controllo e la pianificazione strutturata a modelli più fluidi, basati sulla partecipazione e sull’adattabilità, come ricorda anche Luigia Tauro nel Prolegomeno n.88.
- Più Essere, meno Fare e Avere. L’essere viene prima dell’azione, ma dedichiamo pochissimo tempo a conoscerci davvero. A scuola impariamo tanto, ma quasi nulla su chi siamo, cosa sentiamo, cosa ci muove. La convinzione da superare? “Contano più le cose che facciamo o possediamo di ciò che siamo.” Un’idea superata, che ci allontana da scelte consapevoli e vite significative. Senza riconoscere bisogni, valori, passioni, talenti, e senza chiederci quale contributo vogliamo dare al mondo, rischiamo di vivere al minimo del nostro potenziale. Portare al lavoro l’interezza del proprio essere, lavorare in allineamento con valori e scopo, non è un lusso: è una necessità evolutiva. Come scrive Lorenzo Fariselli nel Prolegomeno n.94, è tempo di rinnovare anche le metriche del successo, misurando ciò che conta davvero.
- Più disciplina, meno caos. Siamo biologicamente portati a notare pericoli e problemi (negativity bias), ma possiamo allenare la positività. Anche il cambiamento è scritto nel nostro cervello: si chiama neuroplasticità. Ma, come per i muscoli, richiede allenamento costante, non sforzi occasionali. Costruire la felicità richiede intenzionalità, focus e pratica quotidiana. Possiamo superare il modello mentale limitante del “sono fatto così” e scegliere, ogni giorno, chi vogliamo diventare. Nel lavoro, tutto questo si traduce in pratiche e condizioni organizzative che generano energia positiva, appartenenza, rispetto e valorizzazione dell’essere umano in tutte le sue dimensioni — cognitive, relazionali, emotive.
L’Organizzazione Positiva: la forma organizzativa della felicità generativa
Quando i principi della Scienza della Felicità vengono integrati strategicamente nel disegno culturale e operativo, nasce un nuovo modello: l’Organizzazione Positiva (ORG+).
ORG+ non è un’etichetta ma un paradigma, un modello culturale che non separa performance e umanità, ma li integra per generare impatto positivo, benessere e risultati. ORG+ significa far fiorire l’organizzazione nel suo complesso, non solo le persone; ripensare i sistemi in chiave generativa; trasformare l’identità dell’azienda da macchina produttiva a sistema vivente.
È un percorso evolutivo profondo, che coinvolge governance, leadership, processi e cultura. Le organizzazioni positive presidiano, infatti, quattro dimensioni fondamentali.
- Cultural Transformation. L’organizzazione è guidata da uno scopo evolutivo (purpose) orientato al bene comune, non più solo al profitto, e guarda al benessere non solo degli azionisti ma di tutti gli stakeholder (collaboratori, fornitori, clienti, comunità, Pianeta).
- Positive Leadership. La leadership è una risorsa dell’organizzazione, non una manifestazione del potere e una medaglia per l’individuo. È, quindi, diffusa, generativa, al servizio delle persone e della cultura, ma soprattutto coerente e capace di comunicare e allineare parole e comportamenti. Per diventare leader positivi non si può che partire da sé, dalla propria consapevolezza, dallo scegliere che segno si vuole lasciare nel mondo, come ci ricorda anche Federica Crudeli nel Prolegomeno n.72.
- Positive Organization. I processi (onboarding, feedback, valutazione, decisioni…) sono la cartina al tornasole della cultura tacita e ciò che ogni giorno ha il potere di generare o meno percezione di coerenza tra i dichiarati e gli agiti. Nelle ORG+ sono non solo efficaci ed efficienti ma anche disegnati in modo partecipato, umani, inclusivi e integrati con i KPI e KBI (key behavioral indicator) del benessere.
- Corporate Happiness. La felicità è considerata una leva competitiva ed inserita nei piani strategici: misurata, monitorata e promossa nel tempo, non lasciata ad iniziative spot e scollegate dai KPI del business.
Le pratiche, le iniziative e i progetti attraverso cui si rendono vive queste dimensioni possono essere diversi in relazione alle differenti realtà organizzative che hanno fasi evolutive, contingenze di mercato specifiche: one size doesn’t fit all! Non è detto che, ad esempio, offrire lo psicologo aziendale, organizzare due team building l’anno o inserire l’asilo nido nei sistemi di welfare siano soluzioni efficaci per tutti.
Ciò che, invece, accomuna tutti gli interventi che funzionano sono alcuni principi a cui questi si ispirano:
- Una cultura aziendale coerente basata sulla fiducia, che si costruisce giorno dopo giorno attraverso l’innesto ordinato e strutturato di metodi per garantire l’ascolto dei bisogni e la sicurezza psicologica; il coinvolgimento e la partecipazione nei processi decisionali che impattano sulle attività che le persone portano avanti.
- Gli atteggiamenti e i comportamenti individuali: in primis una leadership capace di intercettare e costruire sui punti di forza delle persone; di riconoscere e valorizzare le unicità, i talenti; di creare equità e armonia tra tutti i membri dei team.
- Relazioni positive, senso di scopo e impatto generato attraverso il proprio lavoro: sono questi i tre driver profondi dell’engagement e della motivazione duratura.
Lavorando su queste dimensioni, secondo studi Gallup, i risultati che si ottengono sono tangibili e straordinari: +29% engagement, -41% turnover, +35% motivazione percepita, +23% profitti, +66% benessere soggettivo, riduzione del 43% del turnover (in aziende a basso turnover) e del 18% (in aziende ad alto turnover).
Le Organizzazioni Positive non sono aziende perfette, ma aziende coerenti. Sono soprattutto anche aziende “non polarizzanti” che hanno visioni inclusive, adottano strumenti di pensiero e metodi che consentono di generare equilibrio di punti di vista, di prassi per adattarsi e rispondere in modo efficace e funzionale ai mutamenti del contesto esterno ed interno.
In queste aziende non c’è separazione tra performance e umanità. Sono sistemi che producono valore economico, benessere e senso.
Chief Happiness Officer: un ruolo strategico, non decorativo
Per facilitare il cambiamento culturale verso il modello dell’ORG+, dal 2019 abbiamo iniziato a formare Chief Happiness Officer (CHO) o manager della felicità, una figura professionale a cui è stata spesso riservata in ambito operativo manageriale la stessa accoglienza della parola felicità: derisioni, svilimenti, fraintendimenti, resistenze…
Il Chief Happiness Officer non è il responsabile della merenda, dei corsi di yoga o il giullare d’azienda ma una figura trasformativa, un professionista con un set di competenze che integrano neuroscienze, business design, management e psicologia organizzativa. Un complexity thinker capace di generare coerenza tra cultura, comportamenti e processi e presidiare le sfere del significato, delle relazioni e la fertilità organizzativa. Ed è già realtà in molte aziende italiane.
In coerenza con quanto precedentemente discusso sull’unicità di ogni percorso evolutivo e sull’inefficacia di soluzioni standardizzate, è essenziale condividere esempi concreti di come i Chief Happiness Officer stiano attuando cambiamenti reali all’interno delle loro organizzazioni.
- Monica Masetti, People Director della sede spagnola di Chiesi, ha avviato il percorso verso l’ORG+ partendo dall’onboarding del top management. Ha inserito l’obiettivo di diventare un’organizzazione positiva nel piano strategico 2021-2026, costituendo un team cross-funzionale di manager per definire strumenti e pratiche che associano positività e professionalità, integrando l’attitudine alla positività nei processi di assessment e recruiting.
- Eleonora D’Alessandri, Marketing Manager e CHO di CDA Cattelan, ha focalizzato l’attenzione sulla ri-assegnazione di ruoli e mansioni in base ai bisogni e alle fasi di vita dei colleghi. Ad esempio, ha assegnato il ruolo di mentor di giovani neo assunti a un collega prossimo alla pensione e demotivato, valorizzando la sua esperienza e promuovendo il benessere organizzativo.
- Antonella Ermacora ha guidato la trasformazione culturale di una cooperativa sociale, iniziando con un lavoro di chiarimento su valori e proposito dell’organizzazione. Ha allineato questi elementi con i valori e i propositi dei collaboratori, generando coerenza organizzativa e senso di scopo nelle attività quotidiane.
- Giorgia Cordella, HR di una compagnia alberghiera in Veneto, ha introdotto incontri tra colleghi denominati “non tutti sanno che”, con l’obiettivo di favorire la conoscenza reciproca e identificare le potenzialità di ciascuno, migliorando la gestione quotidiana del lavoro.
- Nunzia Giunta, “Amministratore Delicato” di Uomo e Ambiente, ha implementato misure per migliorare l’ambiente di lavoro come l’eliminazione del controllo degli orari di ingresso, la concessione di un giorno di ferie nel giorno del compleanno, l’attenzione alla bellezza e qualità dell’aria degli uffici attraverso la presenza di piante per passare poi a coinvolgere tutti i collaboratori in progetti volti al redesign partecipato dei processi di lavoro integrando i quattro pilastri della Scienza della Felicità.
- Valeria Borggian di Servizi CGN, azienda di consulenza fiscale e del lavoro, ha investito in iniziative come la piantumazione di alberi nella zona industriale di Pordenone, l’autoproduzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, la definizione collettiva del proposito aziendale, la ridefinizione dei ruoli di coordinamento in ottica facilitazione, l’introduzione del dialogo di coaching come strumento per dare e ricevere feedback…
Questi esempi sono una testimonianza preziosa per dimostrare che il ruolo del CHO si traduce in azioni concrete, adattate alle specifiche esigenze e sfide di ogni organizzazione, contribuendo a creare ambienti di lavoro più positivi e produttivi.
La lista è molto più lunga perché oggi i CHO italiani sono oltre quattrocento e molte esperienze le abbiamo già raccontate nei libri che abbiamo pubblicato e si possono approfondire anche sul blog del sito dedicato al Chief Happiness Officer.
Un futuro che valga la pena abitare
L’Organizzazione Positiva è un paradigma efficace per la trasformazione radicale della cultura organizzativa, non solo dei leader ma dei processi, dei modelli mentali, della struttura stessa del lavoro.
Consente di ri-disegnare l’intera esperienza lavorativa, in linea con la complessità e i bisogni dell’umanità del tempo presente.
È una soluzione generativa, non solo innovativa, perché supportata dalla scienza e funziona perché è così che funzioniamo noi esseri umani.
Riporta al centro fertilità, benessere e impatto sistemico: la narrativa nutriente di cui abbiamo bisogno e che delinea il DNA, il nuovo modo di essere organizzazione nel mondo contemporaneo.
La domanda non è più “Si può fare?” Ma:
“Io da che parte voglio stare?”
“Che tipo di leader voglio essere?”
“Che tipo di organizzazione voglio contribuire a costruire?”
È una domanda culturalmente rilevante e rispondere è ciò che serve ora, affinché, un giorno non molto lontano da oggi, l’unico fossile che troveremo sarà davvero solo quello di una battuta:
“Esco alle 17.30.”
“Che fai… mezza giornata?”
110 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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