Le variazioni impermanenti
«Perché dovrei fare questo ennesimo quiz? Non bastavano i primi sette?» Questa potrebbe essere la domanda posta da chi si trova ad affrontare il nuovo capitolo del percorso Che Pop Manager sei?, dedicato al profilo Pratico/Pratica.
La risposta breve? Perché viviamo in un tempo in cui serve più che mai allenarsi alla complessità.
La risposta articolata? Proviamo a costruirla insieme.
Come abbiamo visto fin dal Prolegomeno 1, il Pop management affonda le proprie radici nel Manifesto dello Humanistic Management, costituito da 15 variazioni impermanenti, che possiamo suddividere in tre aree: narrativo-culturali, relazionali, simbolico-organizzative. Sono le coordinate mobili entro cui si muove oggi ogni organizzazione. Ma attenzione: non si tratta di una tassonomia teorica, bensì di soglie esperienziali che ridefiniscono il modo di lavorare, relazionarsi, decidere, innovare.
Il test si concentra su 10 di queste Variazioni. A fare da bussola in questo scenario è il Pop Management, inteso come linguaggio operativo, capace di tradurre i principi dello Humanistic Management (senso, relazione, narrazione, responsabilità) in pratiche accessibili.
Il profilo popmanageriale Pratico/Pratica è proprio quello di chi non teorizza la partecipazione: la mette in scena. Non dichiara la centralità della persona: la abita. Non disegna mappature astratte: costruisce esperienze sensibili, condivise, agite.
Nel quiz, ogni domanda è anche una soglia narrativa: chiede non solo cosa fai, ma come lo fai. Quali scelte prendi, in quali contesti, con quali effetti collaterali.
Clint e la Sposa: le icone del Pop Management Pratico
Ogni archetipo ha bisogno di un volto. Di un corpo narrativo che lo incarni, lo renda riconoscibile, trasmissibile, memorabile.
Per il Profilo Pop Pratico/Pratica, le icone scelte sono Clint Eastwood e la Sposa, l’eroina di Kill Bill interpretata da Uma Thurman sotto la regia visionaria di Quentin Tarantino.
Due figure apparentemente lontane – un cowboy silenzioso e una guerriera vendicativa – che aiutano a delineare con precisione il carattere del Pratico. Vediamo come.
Clint Eastwood: l’efficacia silenziosa
Nei suoi ruoli più iconici – lo straniero senza nome nei western di Sergio Leone, l’Ispettore Callaghan nei polizieschi anni ’70 – Clint Eastwood incarna l’essenza della sobrietà operativa.
Non spiega, agisce. Non si lamenta, interviene. Non alza la voce, ma si fa sentire.
Ecco allora i tratti che rendono Clint il simbolo perfetto del Pop Manager Pratico:
- Concretezza: Clint non perde tempo in preamboli. Se c’è un problema, lo affronta. Se c’è un obiettivo, si concentra su quello.
- Orientamento alla soluzione: non c’è spazio per l’autocompiacimento. La domanda è sempre: come si risolve?
- Leadership silenziosa: guida con l’esempio. Non predica valori, li incarna. Non si impone, ma è impossibile ignorarlo.
- Etica del lavoro: lavora sodo, non per farsi notare, ma perché è ciò che va fatto.
Con una sintesi immaginifica potremmo dire che il Pratico “fa camminare i principi con gli stivali nel fango”. Ovvero: Clint non teorizza l’efficacia. La realizza.
La Sposa: resilienza e trasformazione
E poi c’è lei, Beatrix Kiddo, meglio conosciuta come “la Sposa”. Una donna tradita, uccisa (quasi), rinata, e determinata a concludere la propria missione.
Se Clint è l’icona della sobrietà, la Sposa è quella della trasformazione radicale vissuta in prima persona. Non una strategia astratta, ma un percorso incarnato, che richiede dolore, apprendimento, disciplina.
Per questo, la Sposa è l’altra metà – potente, dolorosa, femminile – del Pop Manager Pratico che i distingue per:
- Capacità di adattamento: la Sposa si adatta ai contesti più diversi, dagli spietati saloon giapponesi ai deserti messicani. Sempre con lucidità.
- Focus sull’obiettivo: mai un attimo di distrazione. La missione è chiara. Ogni azione, ogni gesto, ogni scelta la avvicina al suo scopo.
- Disciplina interiore: ogni ferita è una lezione. La vendetta non è cieca: è trasformativa.
- Azione concreta: la Sposa non parla di empowerment. Lo pratica, colpo dopo colpo.
Due volti, un solo profilo
Insieme, Clint e la Sposa costruiscono un profilo complesso e coerente: quello del Pop Manager Pratico. Un profilo che:
- non cerca riconoscimenti, ma efficacia;
- non rifiuta la strategia, ma la rende concreta;
- non si accontenta dell’ordinario, ma sa quando è il momento di osare.
Il Pratico non cerca effetti speciali, ma soluzioni che funzionano. Ma se serve, sa colpire con eleganza e decisione.
Vorrei chiudere su questo aspetto con una nota. Scegliere delle icone non è un gesto decorativo: è un’azione epistemologica. Perché un’immagine – un volto, un gesto, una scena – può condensare più conoscenza di molte pagine teoriche. E se vogliamo che il Pop Management non resti un’idea astratta, dobbiamo tradurlo in forme vive, accessibili, narrabili.
Clint e la Sposa lo sono. Ci mostrano che il pragmatismo non è mai solo tecnica, e che la trasformazione non è mai solo retorica. Per questo, anche nel quiz, ci guardano. E ci chiedono, con uno sguardo silenzioso e implacabile: “Che tipo di manager sei davvero?”
C’è un fantasma che si aggira nelle organizzazioni. Quello dello Humanistic Management che si insinua nelle maglie troppo strette dello Scientific Management taylorista, come Slimer nella hall dell’hotel nel primo Ghostbusters. Nessuno lo vede chiaramente, ma tutti ne sentono l’effetto.
Il management tradizionale, quello delle procedure perfette, delle catene di montaggio travestite da PowerPoint, fatica sempre più a rispondere alle sfide della contemporaneità. In un mondo segnato da complessità, molteplicità e incertezza, continuare a pensare l’impresa come una macchina ben oliata è come usare un Nokia 3310 per navigare TikTok: tecnicamente possibile, ma radicalmente fuori contesto.
La verità è che oggi le organizzazioni assomigliano più a un episodio di Black Mirror che a una fabbrica fordista. Sono ambienti attraversati da emozioni, contraddizioni, identità fluide, intelligenze ibride. Non basta più ottimizzare. Serve capire. Raccontare. Relazionarsi.
In questo scenario, lo Humanistic e quindi il Pop Manager si presenta come un “fantasma” – ma non in senso negativo. È uno spirito guida, che richiama l’impresa alla sua dimensione più umana: fatta di senso, narrazione, relazioni.
È come l’ologramma di Obi-Wan Kenobi che appare a Luke Skywalker: un messaggio del passato che invita a cambiare strada. Eppure, troppo spesso viene ancora ignorato, parcheggiato nella cartella “formazione soft skills”.
Immaginatelo come un DJ in un club aziendale: prende il vinile dello Humanistic Management e lo reinterpreta in remix transmediale. Meme, playlist, storytelling esperienziale, format collaborativi. È il metodo per portare l’umanesimo fuori dai convegni e dentro le chat aziendali.
Il Pop Management non nega la complessità, ma la attraversa con leggerezza. E soprattutto parla in modo che tutti possano capire. Come i grandi album: Thriller, The dark side of the moon, Random Access Memories. O come una serie Netflix che riesce a tenere insieme filosofia, design e algoritmi (*vedi alla voce: Black Mirror, stagione 4, episodio “Hang the DJ”).
La domanda provocatoria posta alla fine del primo quesito del test – Il Pop Management è una risposta o una moda? – è legittima. Lo sappiamo: il mondo del management è affollato di sigle scintillanti e acronimi vuoti, che brillano per una stagione e poi svaniscono come un post virale.
Il Pop Management non pretende di dire l’ultima parola, ma di offrire strumenti per agire in un mondo che cambia. È una grammatica relazionale, un kit di sopravvivenza, un codice aperto.
La sua forza è nella sua impermanenza strutturata: si adatta, si trasforma, si riscrive. Non ti dà risposte prefabbricate, ma ti aiuta a porre domande migliori. E in tempi di incertezza, questa è già una forma potente di leadership.
Se le organizzazioni non sono più macchine, sono racconti. E i manager, in fondo, non sono più ingegneri di processo, ma ghostwriter collettivi, che aiutano le persone a scrivere – ogni giorno – la loro parte in una sceneggiatura che cambia di continuo.
E allora, forse, la vera domanda non è se il Pop Management è una moda. Ma: sei pronto a riscrivere la tua storia manageriale in chiave pop? Spoiler: se hai risposto sì, hai già iniziato il tuo test.
Vorrei infine fare una ultima osservazione, esemplificativa del fatto che i quiz non vanno sperimentati singolarmente, ma come esperienza complessiva. Lo dimostra proprio la domanda intitolata “Fantasmi nella macchina”, che inaugura il test del Pop Manager Pratico: non è isolata, ma si intreccia in profondità con altri due snodi fondamentali del percorso dei Prolegomeni Pop dedicati alla serie Che Pop Manager sei?
Da un lato, con la prima domanda del test dedicato al Visionario/Visionaria, che mette a tema il passaggio dallo Humanistic al Pop Management, ma da un diverso punto di vista. Dice così: «1. Dallo Humanistic al Pop Management A vent’anni dalla redazione del Manifesto dello Humanistic Management, il Pop Management nasce dall’urgenza di riconnettere l’impresa con il mondo contemporaneo, superando modelli chiusi e autoreferenziali. Questo processo trasformativo si fonda su trasparenza, condivisione e dialogo aperto con tutti gli stakeholder, valorizzando opinioni, esperienze e saperi diffusi. Per essere davvero contemporanea, l’impresa deve adottare linguaggi e format in sintonia con la cultura pop, capaci di attivare partecipazione, senso e comunità. In questo quadro, come interpreti il passaggio dallo Humanistic al Pop Management?»
Il quesito sottolinea un salto evolutivo che non è solo semantico, ma paradigmatico. Il Visionario è colui che comprende che per essere contemporanea, l’impresa deve parlare la lingua del presente: quella della cultura pop, dei formati narrativi, della partecipazione autentica. Fantasmi e visioni, dunque, non sono in contrasto: sono due forme complementari di discontinuità, due modalità di riconoscere che il vecchio non basta più e il nuovo va costruito con coraggio e immaginazione.
Dall’altro lato, la questione posta nella sesta domanda del test dedicato all’Innovatore/Innovatrice ci porta nel cuore della riflessione sulla creatività aumentata.
In un’epoca in cui anche le macchine scrivono, l’atto creativo non è più un’esclusiva umana, ma diventa un terreno ibrido in cui conta la capacità di orchestrare linguaggi, sensibilità e tecnologie. La ricordo:«6. Fantasmi nella macchina: Intelligenza Artificiale e scrittura automatizzata In un mondo dove anche le macchine scrivono, occorre trovare nuovi modi per essere creativi. L’Intelligenza Artificiale può generare contenuti, suggerire idee, persino scrivere romanzi. Ma la creatività umana non è solo produzione: è relazione, intuizione, senso. Come immagini la creatività diffusa nella tua organizzazione ideale?»
Qui il Pop Management gioca un ruolo cruciale: insegna a usare l’AI non per sostituire, ma per amplificare la relazione, la narrazione, il senso. Creatività diffusa significa costruire organizzazioni in cui la voce di ognuno – umana o algoritmica – contribuisce a un racconto collettivo, generativo, non omologante.
In questo senso, le tre domande – al Pratico, al Visionario e all’Innovatore – formano una costellazione critica. Mettono in discussione i dogmi del passato, interrogano il presente e suggeriscono una traiettoria futura. Una traiettoria che non separa pensiero e azione, visione e tecnica, umanesimo e tecnologia, ma li riconnette attraverso il linguaggio del Pop.
Tecnologie, automatismi e responsabilità riflessiva
Nel tempo della complessità e dell’automazione, il management non può più permettersi di essere cieco di fronte agli effetti delle tecnologie che adotta. Gli automatismi e i sistemi esperti, per quanto potenti, non sono neutrali né infallibili: generano effetti collaterali, amplificano disuguaglianze, scaricano rischi su persone e territori. Lo Humanistic Management propone di riportare la tecnologia alla sua funzione originaria: mezzo e non fine.
Ma non basta. Serve un salto ulteriore: un management riflessivo, capace di interrogarsi sulle premesse e sulle conseguenze delle proprie scelte tecniche, normative, economiche.
Il Pop Management raccoglie questa sfida e la rilancia in chiave accessibile, narrativa, partecipativa. Non si limita a “gestire” la tecnologia: la racconta, la umanizza, la mette in dialogo con la cultura, la memoria, la scrittura. Perché solo chi è consapevole della propria storia può davvero innovare. E solo chi sa raccontare può davvero cambiare.
Come può il Pop Management aiutare le organizzazioni a usare la tecnologia in modo più umano, responsabile e riflessivo? È possibile coniugare automazione e consapevolezza, efficienza e memoria, algoritmi e autobiografia?
La premessa della Sesta Variazione ci pone davanti a una verità scomoda ma necessaria: la tecnologia, per quanto sofisticata, non è mai neutra. Gli automatismi e i sistemi esperti non sono solo strumenti di efficienza, ma anche produttori di effetti collaterali, spesso invisibili, che ricadono su persone, comunità e territori. In questo scenario, lo Humanistic Management propone un cambio di paradigma: non più delega cieca alla macchina, ma responsabilità riflessiva.
Il Pop Management raccoglie questa sfida e la rilancia: Non si limita a “pensare la tecnologia”, ma la racconta, la umanizza, la mette in scena. Trasforma il CMS in diario, l’algoritmo in metafora, il manager in autore della propria storia. Perché solo chi è consapevole del proprio passato può davvero progettare il futuro.
Alla domanda se sia possibile coniugare automazione e consapevolezza, il Pop Management risponde con un sì creativo e radicale: sì, se smettiamo di pensare in termini binari (uomo/macchina, efficienza/umanità) e iniziamo a costruire spazi di dialogo tra linguaggi, saperi e sensibilità. Sì, se accettiamo che la riflessività non è un freno, ma un acceleratore di senso. Sì, se riconosciamo che ogni dashboard ha bisogno di una didascalia, ogni algoritmo di una voce narrante.
In definitiva, il Pop Management mette in scena la tecnologia come parte di un racconto più grande, dove l’umano torna protagonista.
Nel mondo aziendale contemporaneo, l’identità non è più un blocco monolitico, ma una costellazione di ruoli, esperienze, linguaggi e appartenenze. L’impresa non è più un’entità chiusa e autoreferenziale, ma un organismo complesso, attraversato da narrazioni, emozioni, contraddizioni. In questo scenario, lo Humanistic Management propone una visione dell’organizzazione come “unità molteplice”: un insieme dinamico di soggettività che coesistono, si contaminano, si trasformano.
Il Pop Management raccoglie questa intuizione e la traduce in pratiche ibride, transmediali. L’identità aziendale non è più un logo o un manuale di brand, ma un racconto collettivo, un mosaico di voci, un ecosistema narrativo. L’unità non si costruisce eliminando le differenze, ma valorizzandole. La molteplicità non è un problema da gestire, ma una risorsa da attivare.
Come può il Pop Management aiutare le organizzazioni a riconoscere, valorizzare e integrare la molteplicità delle identità individuali e collettive? È possibile costruire un’unità che non cancelli le differenze, ma le celebri?
La Settima Variazione ci invita a superare l’illusione dell’identità unica e coerente, per abbracciare la realtà viva e pulsante delle organizzazioni contemporanee: comunità fluide, attraversate da storie, emozioni, contraddizioni. Il Pop Management accoglie questa molteplicità non come un problema da risolvere, ma come una risorsa da orchestrare. Non cerca di semplificare, ma di armonizzare.
L’unità molteplice non si costruisce con slogan o manuali, ma con pratiche narrative, spazi di ascolto, format partecipativi. È un’identità che si scrive insieme, giorno dopo giorno, come una serie TV corale in cui ogni personaggio ha voce, ruolo e dignità. Il Pop Manager non impone un copione: crea le condizioni perché ognuno possa contribuire alla sceneggiatura collettiva.
In un mondo che cambia in continuazione, l’unica coerenza possibile è quella che nasce dal dialogo tra le differenze. E il Pop Management è il linguaggio che rende questo dialogo possibile, accessibile, generativo.
Ancora nell’ottica di “unire i puntini” fra i vari Profili popmanageriali, è utile sottolineare come il concetto di “Unità Molteplice” viene interpretato e agito in modo distintivo dai profili Pratico/Pratica e Esploratore, pur partendo da una base comune di riconoscimento della complessità organizzativa.
Per il profilo Pratico/Pratica, l’unità molteplice è principalmente una sfida di gestione e valorizzazione. Questo profilo è chiamato a non ridurre le pluralità esistenti (linguaggi, identità, culture) a una sintesi superficiale, ma a valorizzarle nella loro “tensione creativa”. L’interpretazione qui è orientata all’azione concreta: come si traduce quotidianamente la capacità di tenere insieme le differenze senza annullarle, concentrandosi sull’efficacia e sulla funzionalità nell’ambito di una realtà già data e intrinsecamente complessa. Il Pratico/Pratica si focalizza sulla “pratica” di “come” gestire l’esistente molteplicità per raggiungere risultati concreti e migliorare l’efficienza, mantenendo un “focus sull’esperienza” delle persone all’interno di questo scenario plurale.
Al contrario, per il profilo Esploratore, (vedi la prima domanda del quiz ispirata al personaggio del Roc di Ariminum Circus) l’unità molteplice assume una connotazione più dinamica, generativa e relazionale. L’Esploratore non si limita a gestire la molteplicità esistente, ma la “abita” e la “ricostruisce” attivamente. L’Esploratore, quindi, interpreta l’unità molteplice come un terreno fertile per l’innovazione e la trasformazione, dove la leadership consiste nel connettere elementi diversi e creare nuove narrazioni che permettano alla molteplicità di esprimersi e evolvere, spingendosi oltre la mera efficienza per abbracciare la visione e la relazione.
In sintesi, mentre il Pratico/Pratica interpreta l’Unità Molteplice come un compito di gestione e valorizzazione pragmatica delle differenze già presenti, l’Esploratore la vive come un processo continuo di esplorazione, creazione e fusione di elementi disparati, trasformando la complessità in un motore di innovazione e coesione dinamica.
Tra ricerca di senso e carpe diem: il Pop Management come umanesimo accessibile
L’Ottava Variazione del Manifesto dello Humanistic Management ci invita a indagare una tensione fondamentale della contemporaneità: quella tra l’inquieta ricerca di senso e il desiderio di vivere pienamente l’attimo, il famoso carpe diem. In questo spazio di equilibrio instabile si inserisce il Pop Management, una proposta culturale e organizzativa che mira a rendere il lavoro un’esperienza autenticamente umana, accessibile e partecipativa.
Il Pop Management non è una scorciatoia superficiale, ma un linguaggio ponte: prende in prestito simboli, narrazioni e codici della cultura pop per parlare di temi profondi come il benessere, l’identità, la motivazione. È un modo per umanizzare il management, per renderlo più vicino alle persone, più capace di ascoltare e coinvolgere. In un mondo dove la complessità rischia di diventare paralisi, il Pop Management offre strumenti leggeri ma non banali, capaci di attivare riflessione e azione.
Un meme può diventare un catalizzatore di cultura aziendale. Una playlist condivisa può rafforzare il senso di appartenenza. Un rituale informale può trasformarsi in un momento di connessione autentica. In questo senso, il Pop Management traduce, connette, attiva. E se riesce a tenere insieme la profondità del senso con la leggerezza dell’esperienza, allora può davvero rappresentare una delle vie più fertili per portare l’umanesimo nel cuore delle organizzazioni.
Desidero infine segnalare che il rapporto CENSIS Lavoro, aziende e benessere dei lavoratori: un’epoca nuova (Febbraio 2025) offre una prospettiva illuminante che rafforza e amplifica la visione del Pop Management come umanesimo concreto e accessibile.
Il CENSIS sottolinea come, nell’era contemporanea, il benessere dei lavoratori si sia evoluto da una questione meramente materiale a un concetto olistico, che include la salute psicofisica, la tranquillità e un equilibrio significativo tra vita professionale e personale. Questa enfasi sul benessere olistico è in perfetta risonanza con l’idea del Pop Management di rendere il lavoro un'”esperienza autenticamente umana”, che va oltre la mera produttività per toccare le dimensioni più profonde dell’esistenza individuale. Laddove il Pop Management usa un “linguaggio ponte” per trattare temi complessi come il benessere e l’identità in modo accessibile, il rapporto CENSIS ne conferma l’urgenza e la rilevanza strategica.
Inoltre, la ricerca CENSIS evidenzia l’importanza cruciale per i dipendenti di “sentirsi valorizzati nel lavoro”. Questo aspetto è direttamente collegato alla “ricerca di senso” che il Pop Management mira a soddisfare. Un lavoro in cui ci si sente apprezzati e riconosciuti contribuisce intrinsecamente a un maggiore senso di scopo e significato. Il Pop Management, attraverso la sua capacità di “umanizzare il management”, di ascoltare e coinvolgere, crea proprio quell’ambiente in cui la valorizzazione non è un optional, ma un pilastro della cultura organizzativa. Il leader Pop Manager, in questo contesto, assume il ruolo cruciale di promotore di tale valore, facilitando un ambiente dove la realizzazione personale e professionale si intrecciano.
Infine, l’attenzione del CENSIS sull'”equilibrio” come priorità per i lavoratori riflette la tensione tra la ricerca di senso e il “carpe diem”. Il Pop Management, offrendo “strumenti leggeri ma non banali” – come l’uso di meme per la cultura aziendale o playlist condivise per il senso di appartenenza – permette di integrare la profondità del significato con la leggerezza dell’esperienza. Questi strumenti non solo attivano riflessione e azione, ma creano anche momenti di “connessione autentica” che supportano il bilanciamento tra impegno professionale e desiderio di godere appieno della vita. Così, il Pop Management si conferma come una via fertile per portare l’umanesimo nel cuore delle organizzazioni, rispondendo in modo concreto ai bisogni emergenti dei lavoratori delineati dal rapporto CENSIS.
La Nona Variazione del Manifesto dello Humanistic Management propone un’idea di organizzazione che va ben oltre la mera somma di individui e processi. La sua forza sta nel trasformare il luogo di lavoro in un vero e proprio “ecosistema” dove la generazione di senso, la narrazione e la relazione autentica diventano il motore pulsante.
Immagina l’impresa conviviale non come la solita azienda fatta di scrivanie e riunioni infinite, ma come un laboratorio creativo dove ogni giorno si co-crea qualcosa di unico, un po’ come un podcast di successo dove ognuno porta la sua storia e il suo punto di vista, o una community online di un videogioco dove l’obiettivo comune unisce persone con background diversissimi. Non si tratta solo di prendere decisioni (il classico “decision making”), ma di “costruire significati condivisi attraverso esperienze, racconti e relazioni autentiche” (il “sense making”).
In un mondo dove siamo perennemente connessi ma spesso soli, l’impresa conviviale risponde al bisogno ancestrale di appartenenza. È come un “simposio platonico” reinterpretato per il XXI secolo: non solo per filosofi, ma per tutti, dal “nerd” dei dati al “creativo” che pensa fuori dagli schemi. Qui, la conoscenza non è solo archiviata nel cloud, ma “si consolida nel faccia a faccia, nella ritualità, nella memoria collettiva”, un po’ come i rituali che si creano tra i fan di una serie TV cult, o le “leggende” condivise in una squadra sportiva. È un “luogo convocativo” che ti chiama a partecipare, non per obbligo, ma perché senti di farne parte, come quando sei al tuo “safe space” preferito.
Ma è realistico tutto questo? In un’epoca di lavoro ibrido e di complessità crescente, l’impresa conviviale non è affatto un’utopia, ma una necessità. La capacità di generare senso e relazioni autentiche è ciò che rende le organizzazioni resilienti e innovative. In fondo, anche le piattaforme social più riuscite sono “imprese conviviali” che prosperano sulla condivisione e sulla narrazione collettiva, dimostrando che l’approccio relazionale può e deve essere applicato anche alla realtà organizzativa contemporanea.
Il pensiero di Piero Trupia
Come ho più volte avuto modo di dire (ad esempio in occasione di un recente webinar svolto in occasione dei 50 anni di AIF) il pensiero di Piero Trupia è di fondamentale importanza per lo sviluppo del concetto di convivialità, specialmente nell’ambito del management e dell’organizzazione. Trupia è riconosciuto come un “pensatore eclettico” le cui opere spaziano dalla semantica alla filosofia, dalla politica all’estetica e al management. Tra i suoi titoli, spicca proprio “L’impresa conviviale” (2003), a dimostrazione della centralità di questo tema nel suo percorso intellettuale.
L’approccio di Trupia alla convivialità non è meramente teorico; egli la sviluppa come un modello di organizzazione e interazione umana che privilegia la cooperazione, il dialogo e la valorizzazione delle risorse umane. Questa visione si contrappone esplicitamente alla rigidità delle strutture gerarchiche tradizionali, promuovendo un ambiente dove le persone possono esprimersi liberamente e collaborare armoniosamente.
La via italiana allo Humanistic Management è stata profondamente influenzata dal contributo di Trupia. Questa via è fondata sull’idea che l’impresa è una comunità di persone, un’esperienza conviviale, un sistema relazionale sostenuto da empatia, intelligenza collaborativa e responsabilizzazione diffusa. È proprio Trupia a sottolineare l’importanza di sviluppare nuove forme di comunicazione e organizzazione più flessibili e adattabili ai continui cambiamenti della società contemporanea, un approccio che si riflette nel suo concetto di convivialità e nella critica alle strutture rigide.
In particolare, Trupia introduce il concetto di “Potere di convocazione”, ripreso anche nel suo libro omonimo. Per Trupia, un’azienda per essere conviviale deve essere anche convocativa, intendendo la convocazione come un “invito attivo” che suscita l’iniziativa discorsiva dell’altro, riconoscendone l’autorevolezza. Questo “potere di convocazione” è visto come un’abilità cruciale per i comunicatori efficaci, compresi i CEO che fungono da “simposiarca” socratico in grado di far emergere il talento individuale al servizio dell’intelligenza collettiva.
In sintesi, il pensiero di Piero Trupia ha fornito le basi concettuali e pratiche per un modello di impresa che non è solo un luogo di produzione, ma una vera e propria comunità relazionale, dove la convivialità è un principio fondante per la costruzione di significato e per l’affermazione di un umanesimo concreto nel mondo del lavoro. La sua eredità si manifesta nel Pop Management e nell’idea che la difficoltà nel creare e mantenere relazioni stabili e conviviali sia una “malattia sociale” per la quale la sua visione offre una “cura”.
In sintesi, l’Impresa Conviviale è un modello organizzativo che mira a trasformare il luogo di lavoro in uno spazio convocativo dove il senso si genera attraverso narrazione, relazione e condivisione. Il passaggio cruciale è dal decision making al sense making, ovvero dalla semplice scelta di opzioni alla costruzione di significati condivisi. Per comprendere appieno come questo modello prenda forma, è utile analizzare l’interpretazione e il contributo alla sua realizzazione di due diversi profili Pop Manageriali: il Simposiarca e il Pratico/Pratica.
L’Interpretazione dell’Impresa Conviviale: Simposiarca vs. Pratico/Pratica
Il Profilo Simposiarca: L’Architetto della Convivialità (Guida e Ispiratore)
Il Simposiarca Pop è l’incarnazione vivente e l’iniziatore dell’impresa conviviale, colui che ne definisce l’anima e ne cura l’atmosfera.
- Analogia (il “DNA” condiviso):
- Custode della Convivialità Trasformativa: Il Simposiarca, come l’impresa conviviale, affonda le radici nel “convivio dell’antica Grecia”, aspirando a rendere ogni incontro un'”esperienza di senso condiviso”. È il “custode della convivialità trasformativa”, che la fa nascere e la nutre.
- Maestro del Sense Making: È il “maestro” e “regista di senso” che abilita il passaggio dal “decision making” al “sense making” nell’impresa. Il Simposiarca “non dà risposte, ma pone domande che aprono mondi”, facilitando la co-generazione di significato attraverso la narrazione, la riflessione e la cura.
- Narratore e Curatore di Relazioni: Valorizza la narrazione e la relazione come strumenti primari per generare comunità e visioni collettive. È un “curatore di esperienze simboliche” e un “narratore incarnato”, costruendo l’impresa come una “comunità narrativa”.
- Creatore di Atmosfere e Riti: La convivialità è un “dispositivo poetico e politico”. Il Simposiarca, come il Cappellaio Matto, “trasforma il banchetto in rito” e “cura l’estetica come etica”, creando le atmosfere e le “ritualità” che rendono l’impresa conviviale un luogo di autentica connessione.
- Differenza (Ruolo e Scala):
- Il Simposiarca è un profilo di leadership individuale, un catalizzatore che “presiede il banchetto” e guida attivamente la conversazione e le dinamiche relazionali. La sua azione è quella di generare e trasformare gli spazi, agendo come un “DJ culturale” che “compone playlist di contenuti, persone e atmosfere” per creare esperienze memorabili. È l’anima ispiratrice e il curatore del contesto relazionale.
Il Profilo Pratico/Pratica: L’Architetto Funzionale della Convivialità (Realizzatore e Sostenitore)
Il Pratico/Pratica, pur non essendo il visionario della convivialità, è essenziale per la sua implementazione e sostenibilità nel quotidiano dell’organizzazione. La sua interpretazione è orientata alla concretezza e all’efficacia operativa.
- Interpretazione e Contributo all’Impresa Conviviale:
- Garante della Funzionalità: Il Pratico/Pratica vede l’impresa conviviale come un modello da rendere attuabile e funzionale. Si concentra su “come” tradurre i principi della convivialità in processi e pratiche concrete, assicurando che la “generazione di senso attraverso narrazione e relazione” sia efficace e non solo un’intenzione.
- Cura Organizzativa e Focus sull’Esperienza: Con la sua “cura organizzativa”, protegge l’ambiente collaborativo, riconoscendo che il “benessere è la base della performance”. Si assicura che il “laboratorio di umanità” sia ben strutturato e che l’esperienza di convivialità sia “chiara, fluida, umana” per tutti i partecipanti.
- Ponte tra Visione e Azione: Il Pratico è colui che “prende i principi del Pop Management e li fa camminare con gli stivali nel fango”. Trasforma le idee di “sense making” e “condivisione” in azioni misurabili e tangibili, garantendo che i “rituali informali” e le “narrazioni condivise” si traducano in miglioramenti concreti nella collaborazione e nell’efficienza.
- Ascolto e Miglioramento Continuo: Attraverso un attento “ascolto” e una mentalità di “miglioramento continuo”, il Pratico/Pratica affina costantemente le modalità con cui la convivialità viene vissuta, assicurando che l’impresa sia realmente un “luogo convocativo” che evolve con le esigenze delle persone, prevenendo che l’approccio diventi utopico e garantendone l’applicabilità nella realtà.
Concludendo, mentre il Simposiarca è l’ispiratore e il curatore della convivialità, che la genera e la anima con visione e arte relazionale, il Pratico/Pratica è il realizzatore e il sostenitore che ne assicura la concretezza, l’efficacia e la sostenibilità quotidiana. L’Impresa Conviviale diventa pienamente operativa e trasformativa solo quando queste due interpretazioni – l’una più “poetica” e l’altra più “pragmatica” – collaborano in un equilibrio dinamico.
Autore, Regista, Primo Attore: La Leadership in Chiave Pop
Dimenticate il boss vecchio stile, quello che sta dietro una scrivania enorme e dà ordini come un dittatore sul set di un film d’altri tempi. Il Pop Manager, l’Autore, Regista e Primo Attore, è tutta un’altra storia. Immaginatelo più come lo showrunner di una serie Netflix di successo, o il direttore artistico di un festival musicale che mette insieme talenti incredibili: non controlla ogni singola nota o battuta, ma crea la visione d’insieme, l’atmosfera, il “vibe” che rende tutto magico.
- Autore: Non scrive solo il copione, ma definisce il tema generale, il “mood” della storia dell’organizzazione. È colui che dà il senso, che tesse la trama in cui tutti si riconoscono e possono trovare il proprio spazio creativo. Pensa a un “autore” di videogiochi che crea un mondo aperto: dà le regole di base e la lore, ma lascia ai giocatori (i team) la libertà di esplorare e creare le proprie avventure.
- Regista: Non dirige ogni singola scena con ordini militari, ma orchestra i talenti, li mette nelle condizioni migliori per brillare. È come il regista di un film indipendente dove l’improvvisazione è benvenuta: offre le linee guida, ma si fida della capacità degli attori (i collaboratori) di interpretare e dare vita ai personaggi con la propria voce. È un facilitatore, un designer di esperienze, che fa in modo che il flusso creativo non si blocchi, ma si adatti e si trasformi.
- Primo Attore: Non è sul palco per prendersi tutti gli applausi, ma è il primo a metterci la faccia, a ispirare con l’esempio, con la passione. È come il frontman di una band che non solo canta, ma incarna l’energia e la visione del gruppo, motivando tutti a dare il massimo. La sua “forza non risiede nel controllo, ma nella capacità di lasciar fluire”, di essere parte del processo, non solo il suo capo.
Questo leader crea un “set” dove la conoscenza è condivisa in streaming, le idee nascono da “brainstorming dialogici” come in un podcast collaborativo, e il senso si costruisce attraverso lo storytelling collettivo e un “ascolto attivo” che è quasi da “fan accanito”. Rinuncia al comando tradizionale per scommettere sull’autonomia e sulla cooperazione, lasciando emergere un ordine interno che è dinamico e adattivo, un po’ come un’applicazione che si aggiorna costantemente per rimanere rilevante.
Un Leader che “Lascia Fluire”: Utopico o Necessario?
La domanda sorge spontanea: un leader che “lascia fluire” può davvero guidare un’organizzazione complessa, o rischia di perdere autorevolezza e controllo in un contesto competitivo e incerto?
La risposta, in chiave Pop, è che non solo può, ma deve. Nel “mondo turbolento e iperconnesso” di oggi, la rigidità è il vero rischio. Un leader che tenta di controllare ogni minimo dettaglio in un contesto in continua evoluzione è come un DJ che cerca di mettere in pausa la musica per ogni singola persona in discoteca: finirà per bloccare il ritmo e svuotare la pista.
L’autorevolezza in questo modello non deriva dal potere gerarchico o dalla capacità di imporre decisioni, ma dalla capacità di generare fiducia, ispirare una visione condivisa e abilitare l’autonomia del team. Il leader diventa un “curatore di contesto”, non un “controllore di contenuti”. “Lasciar fluire” significa avere la fiducia che la conoscenza e la creatività emergeranno spontaneamente quando le persone sono connesse, motivate e allineate con una missione chiara.
Questo approccio non è un invito al caos, ma una strategia sofisticata: il leader definisce i confini (l’autore), orchestra le risorse (il regista) e dà l’esempio (il primo attore), ma permette al “flusso” di creatività e collaborazione di auto-organizzarsi. In un mondo incerto, questa flessibilità e adattabilità intrinseche rendono l’organizzazione più resiliente e, paradossalmente, più controllata nel suo adattamento dinamico ai cambiamenti. È la differenza tra una roccia che si spezza contro la corrente e un fiume che la segue, modellando il paesaggio.
L’Impresa come Testo Spettacolare in Chiave Pop
Immaginate l’impresa contemporanea non più come una fabbrica silenziosa o un ufficio con orari fissi, ma come un gigantesco e ininterrotto “spettacolo continuo”. Ogni progetto che affrontiamo è come una nuova stagione di una serie TV di successo, ogni team è un “cast temporaneo” che si riunisce per dare vita a una storia, e ogni manager è un vero e proprio “regista-attore-autore” di questa performance che si rinnova costantemente.
Pensate a Netflix o a TikTok: il contenuto è fluido, progettuale, frammentato, ma allo stesso tempo è un flusso narrativo che ci tiene incollati. L’impresa, in questa visione Pop, è un po’ così: un “labirinto narrativo” dove ogni giorno si scrive una pagina nuova, dove ci sono personaggi (i colleghi), trame (i progetti), colpi di scena (le sfide del mercato) e soprattutto un pubblico (clienti, stakeholder, dipendenti stessi) che è parte integrante dello show.
La leadership, in questo scenario, diventa un’arte sottile, quasi da improvvisatori. Il manager non ha un copione rigido, ma un “canovaccio” su cui improvvisare, accettando che la discontinuità – i cambiamenti improvvisi, le nuove tendenze – non sia un problema, ma una forma di continuità, proprio come le pause tra le stagioni di una serie che ci lasciano col fiato sospeso per la successiva. E dietro le quinte, ciò che rende possibile questo spettacolo sono le “relazioni autentiche”, la “cura dell’altro” e il “dialogo profondo”: la “nuova educazione sentimentale” che è il vero collante di ogni grande “compagnia teatrale” di successo. È l’empatia e la connessione umana che trasformano un gruppo di attori in un vero ensemble.
Visione Illuminante o Deriva Teatrale?
La domanda cruciale è: pensare l’impresa come spettacolo e il manager come regista-attore è una visione illuminante o una deriva teatrale che rischia di banalizzare la complessità organizzativa? E quanto è praticabile tutto questo nel quotidiano aziendale?
Lungi dall’essere una banalizzazione, questa visione è profondamente illuminante e necessaria nell’era attuale. In un mondo dove la realtà è sempre più liquida e la competizione per l’attenzione è feroce, un’impresa che non sa raccontarsi, che non sa coinvolgere i suoi “spettatori” interni ed esterni, rischia di diventare irrilevante. La metafora dello spettacolo non mira a rendere il lavoro superficiale, ma a renderlo significativo, memorabile ed emotivamente risonante. È un modo per canalizzare l’energia umana in qualcosa di coinvolgente, superando la fredda logica delle “macchine” o delle “reti” che non ispirano.
La praticabilità nel quotidiano aziendale non è solo possibile, ma è già in atto, anche se non sempre riconosciuta. Le metodologie agili, i team temporanei, i progetti cross-funzionali: sono tutti esempi di come le organizzazioni stiano già operando come “compagnie teatrali” con cast che cambiano e copioni che si evolvono. La sfida è per i manager di abbracciare consapevolmente questo ruolo di autore-regista-attore.
Non si tratta di recitare, ma di agire con intenzionalità per creare un ambiente dove l’improvvisazione è una risorsa, la discontinuità è un’opportunità narrativa e le relazioni umane sono il backstage solido che sostiene l’intero show. In un contesto competitivo e incerto, un’organizzazione che sa mettere in scena uno “spettacolo” coinvolgente, capace di generare senso e curare i propri “attori”, è quella che vince, perché attrae i migliori talenti e li mantiene ingaggiati nella trama in continua evoluzione.
Il Profilo Ironic Diva/Divo: L’Artista della Rappresentazione e Decostruzione
La metafora de “L’impresa come testo spettacolare” propone una visione dell’organizzazione come una performance fluida e in continua evoluzione, dove progetti e team sono come “nuove rappresentazioni” e “cast temporanei”, e il manager è al contempo “autore, regista e primo attore”. Questa visione è interpretata in modo distintivo dai profili Ironic Diva/Divo e Pratico/Pratica, riflettendo le loro peculiarità.
Per l’Ironic Diva/Divo, l’impresa come spettacolo è un palcoscenico per la reinvenzione continua, la decostruzione critica e l’espressione autentica. Questo profilo abbraccia pienamente la teatralità e la performatività, non come un’occasione per banalizzare, ma per svelare, provocare e innovare attraverso il gioco e l’ironia.
- Finalità dello Spettacolo: L’Ironic Diva/Divo utilizza lo “spettacolo continuo” per “decostruire i codici aziendali con eleganza”, “giocare con gli stereotipi per rivelarne i limiti” e trasformare la rappresentazione in un “atto di libertà”. L’obiettivo è stimolare la riflessione, attivare conversazioni su identità e immagine, e valorizzare le intuizioni non lineari e le connessioni inaspettate che emergono dalla performance.
- Approccio all’Improvvisazione e Discontinuità: Per l’Ironic Diva/Divo, “improvvisare sul canovaccio” è un’espressione di fluidità e adattabilità, un modo per reinventarsi costantemente e accettare la discontinuità come parte integrante e creativa del processo. Essere “icona fluida” significa navigare il cambiamento con stile e intelligenza critica.
- Ruolo del Manager-Artista: Il manager, in questo caso, è un artista che non teme di mostrare le imperfezioni e le ambiguità dello spettacolo organizzativo, trasformandole in leve di senso. La sua leadership è un atto performativo che “rende visibile il potere della rappresentazione”, usando la “leggerezza” e l'”ironia” per smascherare le rigidità e promuovere una consapevolezza più profonda.
Il Profilo Pratico/Pratica: Il Regista Efficiente e Curatore dell’Esperienza
Per il Pratico/Pratica, l’impresa come spettacolo è vista attraverso una lente di efficacia, funzionalità e ottimizzazione dell’esperienza. Le metafore teatrali sono strumenti utili per rendere il processo lavorativo più chiaro, inclusivo ed efficiente, garantendo che lo “spettacolo” si svolga senza intoppi e generi valore tangibile.
- Finalità dello Spettacolo: Il Pratico/Pratica interpreta lo “spettacolo continuo” come un meccanismo per “tradurre il complesso in semplice” e per “fare sentire tutti parte della storia”. L’obiettivo è garantire che ogni “rappresentazione” (progetto) sia chiara, fluida e “umana”, contribuendo al benessere e alla performance complessiva dell’organizzazione. La “spettacolarizzazione” deve essere al servizio dell’efficacia operativa.
- Approccio all’Improvvisazione e Discontinuità: Pur accettando la necessità di “improvvisare sul canovaccio”, il Pratico/Pratica orienta l’improvvisazione verso soluzioni concrete e misurabili. La discontinuità è gestita per “migliorare l’efficienza” e mantenere un’esperienza lavorativa coerente e produttiva, agendo come “ponte tra visione e azione”.
- Ruolo del Manager-Garante: Il manager è un regista che si assicura che il “set” sia organizzato, che il “cast” sia ben supportato attraverso la “cura organizzativa” e che la “performance” sia di alta qualità. Il suo focus è garantire che lo spettacolo sia non solo coinvolgente ma anche funzionale, apportando “concretezza e senso pratico” a ogni aspetto della “produzione”.
Differenze Chiave nell’Interpretazione:
- Scopo della Spettacolarità: L’Ironic Diva/Divo usa lo spettacolo per interrogare, trasformare e esprimere l’identità fluida, spesso attraverso la critica e la reinvenzione. Il Pratico/Pratica lo usa per ottimizzare l’esperienza, facilitare la partecipazione e garantire l’efficacia dei processi.
- Modalità di Ingaggio: L’Ironic Diva/Divo ingaggia attraverso l’ambiguità, la suggestione emotiva e la decostruzione ironica delle convenzioni. Il Pratico/Pratica ingaggia attraverso la chiarezza, la praticità e il rendere il processo accessibile e funzionale per tutti.
- Focus sul Controllo: Mentre l’Ironic Diva/Divo “gioca con gli stereotipi” e “decostruisce i codici” sfidando una forma di controllo, il Pratico/Pratica mantiene un controllo pragmatico attraverso l’efficacia e il miglioramento continuo, assicurandosi che lo “spettacolo” sia sempre “ben rodato” e performante.
Se dunque l’Ironic Diva/Divo vede l’impresa come un testo da riscrivere e interpretare con libertà creativa e profondità ironica, il profilo Pratico/Pratica la vede come uno spettacolo da produrre e dirigere con maestria, garantendo che sia ben congegnato, coinvolgente e soprattutto, efficace. Entrambi contribuiscono a rendere l’impresa un “testo spettacolare”, ma con finalità e approcci distinti.
L’Organizzazione Occamista
L’organizzazione occamista, introdotta come Dodicesima Variazione, è un concetto che si inspira al celebre “rasoio di Occam”: eliminare il superfluo per concentrarsi sull’essenziale. In chiave Pop, questo si traduce in un modello aziendale che è l’antitesi della burocrazia complessa e del “troppo pieno” inutile, un vero e proprio “minimalismo smart” per il business.
Immaginate la vostra azienda non come un gigantesco ingranaggio pieno di ruote che girano a vuoto, o come un’app strapiena di funzioni che nessuno usa davvero. L’Organizzazione Occamista è l’esatto opposto: è come un’app essenziale e super intuitiva che fa poche cose, ma le fa alla perfezione, oppure come una startup lean che si concentra sul “core business” e taglia via ogni fronzolo. Il suo mantra è “Less is more”, ma non nel senso di “fare meno”, bensì di “fare meglio con meno complessità”.
In un mondo dove siamo sommersi da informazioni, tecnologie e procedure, l’azienda occamista dice basta alla “logica tayloristica della frammentazione”, quella che crea silos e processi infiniti. È come passare da una mega-band orchestrale con mille strumenti che a volte suonano stonati, a una garage band super affiatata dove ognuno sa esattamente cosa fare, i ruoli si contaminano e il risultato è potente e diretto. Qui, le “competenze dialogano, si contaminano e si relativizzano”, proprio come in un team di hacker etici che combinano le loro diverse abilità per trovare la soluzione più snella e geniale.
Questa visione non è fredda o puramente razionale; anzi, è profondamente umana. È un mix perfetto tra “empatia e attivismo, razionalità e sensibilità”. L’organizzazione occamista sa che la realtà è complessa, ma non cerca di dominarla con regole ferree o un sapere unico. Invece, è un luogo di “verità dialoganti”, dove ognuno porta il suo pezzo del puzzle e la guida non è un esercizio di potere calato dall’alto, ma una capacità di “armonizzare differenze e orientare verso fini condivisi”, come un buon game master che facilita il gioco senza imporre ogni mossa, ma assicurandosi che la missione del team sia chiara e che ognuno sia al posto giusto al momento giusto.
L’Organizzazione Occamista: Realistica o Ideale Troppo Raffinato?
La domanda è legittima: un modello basato su metadisciplinarità, essenzialità e dialogo tra saperi è realistico per il business quotidiano, o è un ideale troppo raffinato?
La risposta è che l’organizzazione occamista non è solo realistica, ma sta diventando sempre più necessaria nell’era contemporanea. In un “mondo interconnesso, fluido e metadisciplinare”, la complessità fine a sé stessa è un lusso che le aziende non possono più permettersi. Burocrazia e processi ridondanti rallentano l’innovazione e paralizzano le decisioni. Il rasoio di Occam, in questo senso, non è uno strumento per tagliare il valore, ma per eliminare il rumore e l’inefficienza.
Il “dialogo tra saperi” e la “metadisciplinarità” non sono un vezzo intellettuale, ma la chiave per risolvere problemi complessi in modo agile. Anziché ingessarsi in gerarchie rigide, le aziende che adottano questo approccio diventano più adattabili e veloci, capaci di prendere decisioni basate su un’intelligenza collettiva e non su pochi decisori isolati. Il “less is more” applicato all’organizzazione significa maggiore focus, maggiore agilità e, in ultima analisi, maggiore competitività in un mercato incerto. Non è un ideale irraggiungibile, ma una strategia di sopravvivenza e successo per le imprese che vogliono rimanere rilevanti e significative nel flusso continuo del cambiamento. È la via smart per governare la complessità, non per ignorarla.
Dall’ipercomplessità alla semplicità significativa
Tengo a sottolineare che il processo che porta all’Impresa Occamista è quello che va dall’ipercomplessità alla semplicità significativa: un pilastro del Pop Management, un vero e proprio manifesto che riconosce la complessità sistemica del mondo attuale, ma rifiuta di subirla passivamente. In un’epoca dove il “troppo” è la norma – troppe informazioni, troppi processi, troppa burocrazia – il Pop Management propone la “semplicità” non come sinonimo di superficialità, ma come la nuova frontiera della sofisticazione. Si tratta di un’arte complessa: saper “togliere, non aggiungere” per rendere l’ipercomplessità comprensibile, accessibile e, soprattutto, umana. È come passare da un’interfaccia utente confusionaria e piena di funzionalità inutili, a un design minimalista e intuitivo che rende immediato l’utilizzo di un’app potentissima.
Tengo quindi a sottolineare che l’azienda per cui lavoro, la creative agency Bip.Red, si posiziona strategicamente in perfetta sintonia con questo mantra. La nostra filosofia, riassunta efficacemente nel motto “Growth with simplicity. Simplicity is complexity resolved”, non è solo uno slogan, ma la chiave del loro approccio. Bip.Red si propone di “craft a new digital reality” non aggiungendo strati su strati di tecnologia, ma risolvendo la complessità di fondo per i loro clienti.
Questo si traduce in un approccio pragmatico e orientato al risultato: il gruppo Bip è nato libero da una tradizione professionale abituata a separare la strategia dall’esecuzione e si pone l’obiettivo di voler “fare meglio e prima” anziché “fare di più e più a lungo”.
L’ enfasi su “Design to Deliver” e sul non essere “Power Point writers” sottolinea un impegno concreto nel trasformare idee complesse in soluzioni semplici e attuabili. Bip.Red incarna l’idea che la vera innovazione risieda nella capacità di semplificare i processi (“process simplification”) e nell’offrire servizi che siano “sempre più semplici e trasparenti”, rendendo l’esperienza del cliente (e del dipendente) chiara e accessibile. Questo posizionamento strategico dimostra come la semplicità non sia una riduzione, ma una risoluzione della complessità, permettendo di navigare un mondo interconnesso con agilità e significato.
Le Risorse Immateriali
Dimenticate i magazzini pieni di prodotti o i bilanci con asset fisici: oggi il vero tesoro di un’organizzazione è fatto di pixel, bit, narrazioni e relazioni. Le risorse immateriali sono il “game-changer” del nostro tempo: parliamo di conoscenza che non è solo nei libri, ma nelle menti connesse; di creatività che non nasce in una stanza chiusa, ma da contaminazioni inaspettate; di identità multiple che fioriscono nel digitale e di esperienze memorabili che valgono più di mille benefit.
Pensate a un universo narrativo espanso come quello di Marvel o Star Wars: non sono solo film, sono un “dedalo di sabbia elettronica” fatto di storie, personaggi, fan, merchandise, teorie, discussioni online… La loro “struttura è labirintica come la trama di Pulp Fiction”, non lineare, frammentata, ma incredibilmente coesa e ricca di senso se si è disposti a esplorarla e a connettere i puntini. L’impresa, allo stesso modo, è un sistema complesso dove il valore si genera dalle interazioni, dalle intuizioni, dalla capacità di trasformare l’informazione in saggezza collettiva.
La sfida per un’organizzazione è proprio questa: creare ambienti dove la “diversità integrata” sia celebrata, dove l’unicità di ogni individuo sia una risorsa preziosa, e dove la “produzione di conoscenza” non sia proprietà di pochi, ma un “bene comune” accessibile e in costante evoluzione, come una Wikipedia collaborativa dell’ingegno aziendale.
La Direzione del Personale: Tra Esperienze Memorabili e Retorica HR
In un’organizzazione sempre più immateriale e fluida, la domanda è cruciale: la Direzione del Personale (HR) può davvero diventare un luogo di esperienze memorabili e di valorizzazione delle unicità, o rischia di perdersi nel deserto della retorica HR?
Il rischio di cadere nella “retorica HR” è reale, specialmente se la funzione rimane ancorata a processi burocratici e a un linguaggio che non sa cogliere la fluidità e l’immaterialità delle nuove risorse. Tuttavia, la Direzione del Personale ha il potenziale enorme per essere il catalizzatore di questa trasformazione.
Per diventare un luogo di “esperienze memorabili”, l’HR deve evolvere da mero gestore di “personale” a curatore di “percorsi umani”. Questo significa progettare momenti di ingaggio che vadano oltre il classico team building, puntando su esperienze che stimolino la creatività, favoriscano la connessione autentica e riconoscano le identità multiple di ogni individuo. È l’HR che può assicurarsi che il “dedalo di sabbia elettronica” sia un ambiente ispirante e non un labirinto alienante.
La “valorizzazione delle unicità” e la “produzione di conoscenza come bene comune” richiedono a HR di essere strategicamente posizionata per:
- Fungere da “regista” delle narrazioni interne: aiutando i dipendenti a co-costruire il “testo spettacolare” dell’azienda, trasformando le loro esperienze in storie significative.
- Cura delle relazioni nell’ultrarealtà: bilanciare l’efficienza degli strumenti digitali con la necessità di connessioni umane profonde, creando “spazi” (anche virtuali) dove la “diversità integrata” può prosperare.
- Facilitare la co-creazione di conoscenza: implementare piattaforme e processi che trasformino le intuizioni individuali in patrimonio collettivo, rendendo il sapere accessibile e fluido.
In un’organizzazione dove il valore risiede sempre più in ciò che è intangibile, la Direzione del Personale non può permettersi di rimanere un centro di costo o un’entità amministrativa. Deve diventare un centro nevralgico di valore umano, un vero e proprio “developer” di talenti e un “experience designer” che garantisce che le risorse immateriali fioriscano, trasformando la “ultrarealtà digitale” in un terreno fertile per l’innovazione e il benessere.
Pop Learning
Tutto questo trova piena coerenza e approfondimento nel white paper “Pop Learning”. Quest’ultimo non si limita a riconoscere l’esistenza di risorse intangibili come conoscenza e creatività, ma ne sottolinea la centralità strategica nell’era digitale.
Il white paper Pop Learning evidenzia come i mercati odierni siano conversazioni che richiedono “contenuti e format della cultura contemporanea”, dall’uso delle emoji ai videogiochi come modelli relazionali, fino alle piattaforme di lavoro ispirate ai social network e ai linguaggi della cultura Netflix. Questa descrizione si sposa perfettamente con l’idea dell’impresa come “dedalo di sabbia elettronica” e “trama di Pulp Fiction”, un’organizzazione che opera in un’ultrarealtà digitale dove narrazioni e relazioni immateriali sono il vero capitale. La capacità di navigare e sfruttare questi linguaggi e format diventa cruciale per creare le “esperienze memorabili” e valorizzare le “identità multiple” che costituiscono le risorse immateriali.
Inoltre, il Pop Learning ribadisce che per mantenere la propria rilevanza, le organizzazioni devono “competere sul terreno della cultura, della comunicazione, dell’identità”. Questo non è altro che un’affermazione diretta dell’importanza strategica delle risorse immateriali. Il white paper pone l’accento sulla necessità di garantire “la formazione, la crescita, il miglioramento continuo delle persone”, riconoscendo che la produzione di conoscenza e lo sviluppo delle unicità non sono più un costo, ma un investimento essenziale per la vitalità dell’impresa in un contesto dove il valore è sempre più intangibile e risiede nella capacità di creare, connettere e innovare a partire da queste risorse.
Etica della Responsabilità in Chiave Pop
La “Quindicesima Variazione”, l’Etica della Responsabilità, ci porta nel cuore pulsante del Pop Management: la necessità di un’impresa che sia molto più di un meccanismo efficiente. In un’era dove gli automatismi e le tecnologie rischiano di farci delegare il pensiero critico e la consapevolezza delle conseguenze, questa variazione ci chiama a un risveglio etico, non come moralismo, ma come una vera e propria “immaginazione etica”.
Se riuscite a concepire l’azienda non come una macchina che produce in automatico, ma come una “comunità riflessiva” alla stregua di un gruppo di supereroi che si riuniscono per affrontare una minaccia globale siete certamente Pop manager Pratici. Qui, ogni membro sa che le sue azioni hanno un impatto sull’intero team e sul mondo, e che il “rischio è condiviso”. Qui, il “senso è costruito insieme”, come in una sessione di brainstorming creativa dove ogni idea, anche la più folle, contribuisce a un quadro più grande.
In questo scenario, la leadership non è più quella del “capo” che dà ordini e si lava le mani, ma quella del “mentore consapevole” o del “game master” che guida il gioco sapendo che ogni mossa ha delle conseguenze. La sua forza non è nel potere, ma nella “consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni” e nella capacità di “progettare insieme il futuro”, anche quando l’incertezza è la norma. È come il regista di un film che, pur non avendo tutte le risposte, si assume la responsabilità della visione complessiva e coinvolge tutti nella realizzazione, sapendo che il fallimento o il successo dipendono da ogni singolo contributo.
L’impresa etica non è un’utopia da sognatori, ma una “necessità storica”. Pensate alle grandi battaglie del passato per diritti che oggi diamo per scontati: sembravano “pazze chimere” all’epoca, ma sono diventate la base della nostra società. Allo stesso modo, in un mondo dove la reputazione è tutto e i consumatori sono sempre più attenti ai valori, un’azienda che non si assume la responsabilità delle proprie azioni è destinata a perdere credibilità e rilevanza. Non ascoltare questa chiamata all’etica significherebbe “lasciare il mondo com’era”, con tutti i suoi cinismi e le sue ingiustizie.
Etica della Responsabilità: Principio Guida o Utopia Impraticabile?
La domanda che sorge è se l’etica della responsabilità possa davvero diventare il principio guida del management, o se resti un’utopia nobile ma impraticabile in un contesto dominato da interessi, KPI (Key Performance Indicators) e competizione spietata.
La risposta è che l’etica della responsabilità non è affatto un’utopia impraticabile, ma una condizione necessaria per la sostenibilità e il successo a lungo termine in un mercato sempre più trasparente e interconnesso.
- Non è moralismo, ma intelligenza strategica: In un’epoca di “automatismi organizzativi” e di crisi di fiducia, un’impresa che si assume la responsabilità delle proprie azioni (sociali, ambientali, economiche) costruisce un capitale reputazionale inestimabile. Questo si traduce in maggiore attrattività per i talenti, fedeltà dei clienti e resilienza di fronte alle crisi. L’etica non è un costo, ma un investimento.
- KPI e Interessi si evolvono: Se è vero che i KPI tradizionali si concentrano spesso sul profitto a breve termine, il management contemporaneo sta sviluppando metriche che includono l’impatto sociale e ambientale (ESG – Environmental, Social, and Governance). Gli “interessi” non sono più solo economici, ma includono la creazione di valore condiviso per tutti gli stakeholder. L’etica della responsabilità non ignora la competizione, ma la ridefinisce, spostando il terreno di gioco verso una competizione sui valori.
- La “Comunità Riflessiva” è più resiliente: Un’organizzazione dove il rischio è condiviso e il senso è costruito insieme è intrinsecamente più adattabile e innovativa. La “consapevolezza delle conseguenze” porta a decisioni più ponderate e a una maggiore capacità di anticipare e gestire le sfide. In un contesto incerto, la fiducia e la coesione generate da un’etica condivisa sono asset più preziosi di qualsiasi controllo rigido.
In conclusione, l’etica della responsabilità non è un lusso per pochi illuminati, ma un requisito fondamentale per le imprese che vogliono prosperare nel XXI secolo. È la capacità di guardare oltre il profitto immediato, di abbracciare l’incertezza con coraggio e di costruire un futuro che sia non solo economicamente valido, ma anche socialmente e umanamente significativo.
Il Pop Manager Pratico: L’Architetto dell’Azione
Se hai totalizzato 10 o più punti, la tua bussola punta verso il profilo del Pratico, il manager orientato all’esperienza concreta e all’adozione efficace.
Chi Sei
Sei il Clint Eastwood del Pop Management: poche parole, molta azione. Come l’Uomo senza Nome, osservi attentamente, valuti ogni dettaglio e intervieni con precisione chirurgica. Ma dentro di te pulsa anche l’inarrestabile spirito della Sposa di Kill Bill: determinazione incrollabile, resilienza ineguagliabile e la capacità di rialzarti dopo ogni colpo, portando a termine la missione con disciplina e una visione chiara. Il tuo scopo è rendere il Pop Management una realtà tangibile e utile per tutti nell’organizzazione. Non ti interessano gli effetti speciali, ma solo le soluzioni che funzionano davvero. Sei pragmatico, focalizzato sull’esperienza concreta, e il tuo lavoro mira a migliorare il quotidiano senza bisogno di rivoluzioni spettacolari. Ma, se la situazione lo richiede, sai colpire con eleganza e decisione.
Tratti Distintivi
- Concretezza e Senso Pratico: Come Clint, non perdi tempo in chiacchiere. Valuti le idee per il loro impatto reale, non per il loro suono.
- Cura Organizzativa: Come Beatrix, sei un protettore. Sai che il benessere delle persone è la base fondamentale della performance aziendale.
- Ascolto e Efficacia: Cerchi il feedback come un investigatore cerca indizi. Ogni dettaglio conta per l’ottimizzazione e il risultato.
- Miglioramento Continuo: Non ti accontenti mai. Ogni giorno è un’occasione per fare meglio, anche solo di un millimetro.
- Focus sull’Esperienza: Che si tratti di clienti o colleghi, la tua priorità è che tutti vivano un’esperienza chiara, fluida e profondamente umana.
Punti di Forza
- Traduci il Complesso in Semplice: Sei un maestro nel trasformare la teoria più intricata in scene comprensibili e coinvolgenti, come un regista Pop che rende accessibile un’opera d’arte.
- Coinvolgi Tutti nella Storia: Il tuo stile è intrinclusivo, concreto e privo di paternalismi, facendo sentire ogni persona una parte essenziale della narrazione aziendale.
- Ponte tra Visione e Azione: Sei il connettore fondamentale, colui che prende i principi del Pop Management e li traduce in passi concreti, “facendoli camminare con gli stivali nel fango”.
- Rendi Tutto più Funzionale: Ogni tuo intervento non solo migliora l’efficienza, ma lo fa senza mai perdere di vista il senso più profondo delle cose.
Attenzione a…
- Non Sacrificare l’Immaginazione per l’Efficienza: Ricorda che la creatività è un motore potente.
- Non Temere il Rischio Calcolato: Anche Clint e Beatrix sanno quando è il momento giusto per osare e spingersi oltre.
- Non Perdere di Vista la Visione d’Insieme: La strategia è la tua più grande alleata, mai un ostacolo.
133 – continua
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