Il dipendente come lettore
Nel percorso che ha condotto dallo Humanistic al Pop Management, una dimostrazione concreta della potenza dell’Intelligenza Collaborativa è stata offerta dal progetto Librare[i]: «Nel regno digitale immateriale», scrive Kevin Kelly, «dove nulla è statico o fisso, tutto è in divenire, anche il libro diventa un librare, evolvendo da cartaceo a digitale, confrontandosi con altri sistemi di comunicazione e apprendimento».
Se il libro diventa un librare: questo il titolo/quesito/ipotesi che ha guidato una sessantina di scrittori, editori, agenti, esperti nella seconda metà del 2020 in un viaggio su cosa è stato, cos’è oggi e cosa sarà domani il libro, attraverso dieci Conversazioni metadisciplinari pubblicate online.
Per orientarci in questo cammino abbiamo scelto la rilettura di tre testi visionari: uno del passato, Alice nel Paese delle meraviglie, riprendendo alcune riflessioni sviluppate nell’ambito del progetto Alice Postmoderna; uno del presente, L’inevitabile, scritto dal cofondatore di Wired Kevin Kelly[ii]; uno del futuro, il romanzo Ariminum Circus in corso di scrittura (con diverse versioni provvisorie e alternative presenti su Typee[iii] e Wattpad)[iv], firmato con lo pseudonimo di Federico D. Fellini. Il progetto è stato illustrato da Marcello Minghetti, autore anche delle meravigliose figure di Ariminum Circus Stagione 1, che vedrà la luce nel marzo 2024. L’ebook Dal libro analogico agli ecosistemi digitali, sintesi del progetto #Librare è scaricabile gratuitamente dal sito dell’AIE, Associazione degli editori italiani[v]. La scelta di usare questo formato per veicolare i ricchissimi contenuti originati dalle dieci Conversazioni non è casuale.
L’ebook è solo il vertice di un vastissimo iceberg. Format nuovi nascono ogni giorno grazie alla tecnologia, che disgrega quelli tradizionali (l’articolo di giornale, la sitcom tv di mezz’ora, la canzone di quattro minuti), ricombinandone gli elementi in modi che verranno a loro volta disgregati e ricomposti: una tempesta di tweet, un romanzo collaborativo scritto a più mani su Facebook, una sceneggiatura prodotta da un’Intelligenza Artificiale, sostiene Kelly. Nell’attuale era della convergenza e della ri- mediazione, il testo, qualsiasi forma strutturata assuma per ottenere una particolare sequenza di scopi comunicativi, non può più essere concepito solo come un oggetto chiuso e statico, ma come un modello aperto a inevitabili evoluzioni e contaminazioni, riassume Paolo Del Brocco[vi].
In questa direzione era già andato l’esperimento dei Racconti Invernali da Spiaggia[vii] (2014), evoluzione del Progetto Winter Beach Tales[viii], originalmente pensato come app per Instagram: un “Wikiromance in Instagrammi”. Una modalità di storytelling transmediale che rappresenta l’evoluzione di miei precedenti tentativi di utilizzare per finalità narrative le nuove forme di comunicazione web based: il Blogromance (con La caccia di Arthur Cab[ix]), la Web Opera, il social learning multicanale (Alice Postmoderna).
Nel Wikiromance in Instagrammi la narrazione si articola in moduli narrativi (Instagrammi) costituiti da una immagine realizzata tramite Instagram, corredata da un breve testo, in prosa o in versi. Tipicamente vengono realizzati con la tecnica del remix. Ciascun Instagramma è quindi supportato da hyperlink che consentono al lettore di approfondire i contenuti narrativi di volta in volta proposti. Il Wikiromance è anche costituito da diversi videoclip che recuperano vecchi file musicali della band di liceali dediti al rock demenziale di cui io ero il batterista: la playlist si trova su YouTube insieme all’ebook trailer[x]. Tutto questo andrà a confluire, con un voluto cortocircuito, nella versione definitiva, totalmente analogica, di Ariminum Circus Stagione 1.
I cambiamenti della forma determinano rilevanti conseguenze: a partire dal fatto che la commistione in atto fa sì che la distinzione tra generi (criticata anche da Croce, come ricorda Melandri nel libro sopra citato) oggi sia obsoleta. Del resto, già per Boccaccio la voce “Poesia” comprende anche la prosa, Carver, Bukowski e il Paterson di Jarmusch scrivono “racconti in forma di poesia”, Gogol’ definisce Le anime morte “un poema in prosa” – etichetta, per Nabokov, adatta anche a romanzi quali Madame Bovary o Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde.[xi]
Si afferma così una nuova figura di lettore, il Lettore Ideale di Ariminum Circus, che «apprezza una narrazione sviluppata non in un unico disegno lineare, ma attraverso tanti abbozzi al plurale. Individui che lottano, viaggiano, amano, inseguono chimere e desideri: i Cavalieri e le Dame nel palazzo di Atlante dell’Orlando Furioso, i dublinesi dell’Ulisse, i supereroi e i villain degli universi Marvel o DC Comics, i personaggi di un videogame»[xii]. Ma che, soprattutto, è affascinato dal modo in cui la cultura popolare ritrae, raffigura o costruisce immagini e narrazioni di manager, leader, lavoratori e organizzazioni. Pensiamo a serie TV quali The Office, Mad Men o House of Cards, o a film come Il diavolo veste Prada, Wall Street o The Social Network, che mostrano la vita organizzativa nei suoi diversi aspetti: il potere, la politica, la cultura, l’etica o la diversità.
Il Lettore Ideale coincide con l’individuo reale che oggi abita l’Hypermedia Company, alla cui progressiva affermazione già da molto tempo cercano di opporsi i difensori dell’ortodossia “scientifica”. Significativa la nota apparsa su Harvard Business Review già nel marzo 2005, dal titolo inequivocabile e perentorio – più un ordine di scuderia, uno slogan ideologico, che la sintesi evocativa di un contenuto: No more metaphors. Si ponevano qui sbrigativamente all’indice tutte le opere Pop che si fondano sul parallelismo tra business e “fra gli altri, Star Trek, il crimine organizzato, Il mago di Oz, la barca a vela, i racconti di fate e il mio preferito, Mamma Oca”. La breve requisitoria di Leigh Buchanan si chiude con un giudizio di inappellabile condanna: «I migliori libri di management parlano di management… i manager dovrebbero dedicare meno tempo a scrutare attraverso il reticolo delle discipline altrui e di più a sperimentare quelle pratiche che conferiscono loro un’identità unica».
Il manager come romanziere
Come resistere a una tale offensiva? Forse basterebbe rimandare al più bel libro mai scritto sullo sviluppo organizzativo, l’intramontabile Images. Le metafore dell’organizzazione di Gareth Morgan[xiii]. Oppure rimandare alle riflessioni pubblicate sul suo profilo LinkedIn da Cosimo Accoto sulla necessità di allargare la nostra prospettiva strategica oltre le metafore tradizionali, traslando le modellizzazioni fisico-quantistiche., per comprendere i nuovi scenari tecnologici: «Un’interpretazione della meccanica quantistica sostiene, ad es., che un sistema quantistico probabilistico collassa in uno stato determinato solo quando è oggetto di misurazione. Se in ipotesi immaginiamo, allora, l’attuale computazione planetaria (in quanto stack di infostrutture di misurazione e osservazione distribuita) come macchina astratta eminentemente misurativa, le sue operazioni di misurazione sarebbero l’atto che fa collassare in uno specifico stato d’esistenza le molte possibilità del mondo (e del business)? Ciò che è rilevante, allora, non è semplicemente il “datum” (dato) della misurazione, ma “l’actum” (atto) del misurare. Sorprendentemente, potremmo allora osare e dire che forse non esisteranno più le catene del valore con cui le imprese hanno immaginato servizi, industrie e mercati. Piuttosto, nel solco di questa suggestione filosofico-quantistica, ci saranno mondi costantemente simulati ed evocati, misurati e creati dentro e attraverso molteplici tecnoversi. Sempre più con dati, codice in runtime, algoritmi e protocolli, digital twin e simulazioni a varia scala, piattaforme in stack operazionalizzano i collassi (della funzione d’onda) del valore. Dunque, non avremmo più a che fare con ‘catene del valore’, ma con ‘collassi del valore’. In prospettiva, il valore non si produrrà più per concatenamento, ma per collassamento. Stack tecnologici, dunque, al pari di mega macchine/fabbriche quantistiche che collassano ininterrottamente e non senza vulnerabilità lo stato del mondo e con esso la creazione di valore di business».
Ma Milan Kundera offre una soluzione definitiva, quando ricorda il modo in cui Fielding definisce l’arte del romanzo, forse la più Pop delle arti: «Inventando il suo romanzo, il romanziere scopre un aspetto sino allora ignoto, nascosto, della ‘natura umana’; un’invenzione romanzesca è perciò un atto di conoscenza che Fielding definisce una rapida e sagace penetrazione della vera essenza di tutto ciò che costituisce l’oggetto della nostra contemplazione”. Come il romanziere dovrà allora comportarsi lo Humanistic Manager, che non si vergogna di essere Pop: non inseguire le ex-novità diventate “mode”, ma ricercare continuamente itinerari inesplorati per andare verso l’anima delle cose, attraverso scoperte che sono in certa misura sue proprie invenzioni. Scrive Kundera ne Il Sipario: “simile a una donna che si trucca per poi affrettarsi verso il suo primo appuntamento, il mondo …ci corre incontro già truccato, camuffato, preinterpretato».
Occorre dunque, letteralmente, svelare il trucco, ovvero, come ha fatto Cervantes, prima di Fielding, quando ha inventato l’arte del romanzo creando il Don Chisciotte, strappare “il sipario della preinterpretazione”.
In particolare, possiamo prenderci cura degli altri esseri umani, dice Heidegger, in due modi: ponendoci al loro posto, sottraendo loro il proprio prendersi cura, quindi dominandoli e rendendoli dipendenti da noi; oppure aiutandoli nel loro prendersi cura, affinché divengano trasparenti a se stessi e liberi nella propria cura. Nel primo caso si avrà una coesistenza inautentica, nel secondo caso una autentica. Nella coesistenza inautentica, tutto si livella in un mondo impersonale, dove il chi si trasforma nel si: si dice, si fa, si giudica il comportamento degli altri per essere certi che nessuno si distingua nella mediocrità generale. È il mondo del taylorismo, del management scientifico, del mobbing, in cui la cura di chi detiene il potere prescrive la Verità, accumulando «principi infrangibili» (Wislawa Szymborska, Un amore felice, in Nulla due volte).
L’atteggiamento esistenziale del “prendersi autenticamente cura” è propriamente ciò che fa di entrambi – il romanziere e il manager – dei poeti, in grado di interpretare le esigenze di un Lettore (fuor di metafora: dipendente, cliente, fornitore….) ormai assuefatto alle molte forme di esperienza multiscreeners che ne scandiscono la quotidianità, che però non sostituiranno il libro cartaceo, ma ne preciseranno il ruolo: così come il cinema non è stato sostituito dalla televisione, o come la televisione non è stata soppiantata dal web (anche se la televisione ri-mediata in Rete dà vita ai vari Vimeo e YouTube, così come un film visto in casa, sia pure con un buon home theatre, determina un’esperienza diversa da quella vissuta in sala).
Il libro, peraltro, ci ricorda Vanni Codeluppi, «è comparso in Europa fra il IV e il V secolo dell’era cristiana, ma il formato schermico esisteva da molto tempo. Perché́ gli esseri umani per esprimersi hanno sempre fatto ricorso al formato schermico, rettangolare e di dimensioni tali da consentirne una facile manovrabilità da parte del corpo (per inciso, questo è il formato scelto per le copertine di Hamlet e per L’Impresa shakespeariana, NdR). Nel corso del tempo, le tecnologie si sono radicalmente modificate, ma noi esseri umani ci troviamo da sempre a fare ricorso all’universo dello schermo per comunicare. Cambiano i supporti e le superfici, ma il formato schermico è rimasto sostanzialmente invariato». L’importante nell’epoca attuale è soprattutto la capacità degli schermi elettronici di fare circolare il flusso della comunicazione. «I tanti supporti differenti dei vari mezzi (libri, dischi, film, giornali, ecc.) si unificano tra loro e gli schermi tendono ad operare come dei semplici canali di passaggio, consentendo la fusione di linguaggi di varia natura e quella progressiva convergenza tra media diversi che è l’aspetto maggiormente caratterizzante lo scenario mediatico contemporaneo».[xiv]
L’immagine, ha aggiunto Alice Di Stefano, «da sempre affianca la parola scritta. Le miniature dei manoscritti medioevali lo dimostrano, per non ritornare alle incisioni rupestri o ai geroglifici». Le Aziende InVisibili, in particolare, s’ispirano proprio agli incunaboli, utilizzando gli spazi bianchi ai margini della pagina per inserire figure e glosse. Non a caso in esergo di Ariminum Circus Stagione 1 viene proposto un immaginario scambio di battute fra Carroll e Calvino: A che serve un libro senza immagini e conversazioni? (Lewis Carroll) – Le Cosmicomiche, ad esempio, hanno dietro di sé soprattutto i dialoghi di Leopardi e i comics di Popeye (Italo Calvino). Il dialogo millenario fra testo e immagine va verso l’integrazione di codici e di linguaggi. Come quelli del fumetto, della fotografia, del cinema, dei videogiochi e della Realtà Aumentata/Virtuale, del teatro, della musica[xv].
Affermavamo già nel Manifesto dello Humanistic Management: «Pensiamo a Omero: avendo a disposizione una memoria elettronica, il modello compositivo fondato sul montaggio di blocchi standard avrebbe potuto essere portato a più alti livelli di complessità e tutte le possibilità combinatorie teoricamente previste dal modello avrebbero potuto essere esplorate. E questo non viola l’autonomia dell’autore: ogni autore resta se stesso, libero di “chiudere” il testo come vuole: ovvero di comprendere, o di escludere, materiali narrativi e piste di lettura. Insomma: usando un word processor (oggi diremmo, un’Intelligenza Artificiale, NdR), Omero, come Dante o Proust, si sarebbe trovato a disposizione una più vasta gamma di materiali coerenti con il suo progetto, un repertorio più vasto di collegamenti tra gli elementi, senza che ciò venisse a togliere la facoltà di scegliere, confezionando una redazione finale, alcuni materiali, alcuni collegamenti. Vale l’analogia: come l’autore vede potenziata dall’information technology la sua autonomia creativa, altrettanto fa il manager. Le informazioni e le conoscenze non sono più chiuse in procedure, ma plasticamente messe a disposizione del decisore. Del creatore di mondi. L’individualità, la multi-individualità, è in entrambi i casi incrementata dalla protesi tecnologica”»[xvi].
È una mia personale invenzione
Il Pop manager, dunque, sarà simile a uno scrittore, un poeta, un artista, un inventore. Lo ha spiegato bene Nicholas Napolitano nel suo Opinion Piece: « La parte visibile dell’Innovazione è data dai prodotti e dai servizi che rivoluzionano il mercato e il modo di vivere delle persone. Un classico esempio tecnologico è dato dall’introduzione dell’IPhone nel 2007; se guardiamo al mondo enogastronomico, è emblematico il caso di Nutella del 1964; o ancora, guardando alle metodologie, la rivoluzione della catena di montaggio operata dalla Ford Motor Company subito dopo la sua fondazione, nel 1902. Cosa accomuna questi (e altri numerosi) casi? Il fatto di averli resi POP. Ad oggi, non sapremo immaginarci un mondo senza le opere citate in precedenza, così come un mondo senza le persone che hanno reso possibile un tale risultato. Gli artefici dei beni e dei servizi innovativi e pionieristici hanno anticipato bisogni non ancora emersi da parte delle persone, o per primi hanno trovato soluzioni a problemi noti non ancora gestiti, o per i quali hanno trovato una formula più efficiente ed efficace.
Tornando agli esempi citati, Steve Jobs, Michele Ferrero ed Henry Ford sono stati l’innesco di un cambiamento diffuso. L’anima Invisibile dell’Innovazione è proprio il Cambiamento. Ciò che hanno introdotto è il risultato di un percorso di consapevolezza personale e di contesto di vita, frutto di esperienze determinanti per dare alla luce una visione rivoluzionaria, che hanno poi comunicato e diffuso (con uno Storytelling Pop) al mondo intero… A ciò possiamo aggiungere che tanto più tali obiettivi saranno condivisi, tanto più semplice sarà la creazione di un movimento altamente collaborativo (Collaborazione Pop), che permetterà lo sviluppo diffuso di un senso di appartenenza (Sensemaking Pop) e di coesione (Engagement Pop), e di conseguenza un sistema che, guidato dalla fiducia (Leadership Pop), porti le realtà a un successo condiviso (Organizzazione Pop)»[xvii].
Come non ricordare allora il celebre «It’s my own invention», «E’ una mia personale invenzione»: il titolo dell’ottavo capitolo di Attraverso lo specchio è anche la frase che sintetizza il carattere dello strampalato Cavaliere Bianco – personaggio che più di tutti assomiglia a Charles Dodgson-Lewis Carroll fra i diversi di taglio autobiografico di cui sono costellate le avventure di Alice. La bizzarra creatività del Cavaliere Bianco è infatti il contraltare di quella del suo creatore, sempre in bilico fra il senso logico-matematico di “Dodgson” e il nonsenso fantastico di “Carroll”. Una creatività per nulla astratta ma continuamente tradotta in prodotti, artefatti, scritti e manufatti di vario genere e specie, come i suoi numerosi biografi non si stancano di ricordare.
Phyllis Greenacre ad esempio: «(Dodgson) in his boyhood he had been so adept manually that he not only made his own marionetes and theater, but on one occasion he made for a sister a very tiny set of tools, complete in a case, only one inch long. He, like the White Knight, was an inventor – of gadgets, of puzzles, riddles, games, and conundrums, as well as many mnemonic devices»: ciò che oggi farebbe di lui un eccellente community manager! O John Fisher: «Non è un segreto che Lewis Carroll plasma il Cavaliere Bianco su se stesso. In comune avevano gli stessi capelli arruffati, lo stesso volto delicato, gli stessi miti occhi azzurri, la stessa visione del mondo… Le invenzioni di Carroll comprendevano il prototipo di una scacchiera da viaggio in miniatura, l’originale nastro adesivo su entrambi i lati, un prototipo del gioco Scarabeo, un dispositivo di sterzo automatico per il velocimen, una procedura elettorale, il primo autoscatto»[xviii].
Non sorprende quindi che in molti si siano esercitati ad analizzare e ad apprezzare i molteplici aspetti della creatività oserei dire leonardesca del padre di Alice, a partire dall’autore dei celebri Principia matematica, Bertrand Russell. Sia sufficiente qui ricordare che Alice nel Paese delle Meraviglie costituisce il backbone intorno al quale Hofstaedter e Dennett hanno scritto uno dei volumi più importanti e rivoluzionari riguardo l’interfaccia Filosofia-Computer: Godel, Escher, Bach, Un’ eterna ghirlanda brillante. Un’esplorazione della creatività scientifica tramite una reinterpretazione delle avventure di Alice, considerate quasi come prototipo proprio dei nuovi paradigmi della scienza contemporanea dopo cibernetica e nuova fisica, dopo Einstein e Norbert Wiener. Oltre Newton e la scienza positivista, oltre il causalismo, verso la nuova scienza alineare, virtuale, ciberspaziale, quantica…
Non intendiamo spingerci in ambiti così complessi, ma se c’è una tematica rispetto alla quale senza alcun dubbio la lettura di Alice in Wonderland si presta ad essere annotata, in chiave postmoderna e Pop, nell’ottica dello Humanistic Management proposto come antidoto allo scientific management, questa è quella della creatività, di cui il capolavoro di Carroll rappresenta forse uno dei massimi esempi nella letteratura occidentale. Non fosse che per questa ragione, Alice dovrebbe costituire una lettura obbligatoria in tutte le scuole di management, dove, per quanto si dia per assodato che, in un mondo sempre più complesso e in rapido e continuo mutamento, la permanente incertezza e la bassa prevedibilità della maggior parte delle variabili strategiche impongono alle aziende la necessità di trasformarsi continuamente e in tempi rapidi, proprio come fa Alice nel Paese delle Meraviglie, si fatica ancora a trovare delle soluzioni efficaci al problema.
Il fatto è che il cambiamento non può essere più considerato una fase dell’evoluzione aziendale, essendo divenuto il normale stato delle organizzazioni contemporanee, che sono chiamate a essere continuamente “mutanti”. Di conseguenza i paradigmi imprenditoriali classici, ispirati allo scientific management, si mostrano sempre più inadatti ad offrire sia letture convincenti dell’impresa, sia strumenti operativi efficaci per la sua gestione.
L’impresa contemporanea è un mondo non prescritto e infinitamente mutabile, che il management deve saper leggere, interpretare, ascoltare. Ecco allora che il capitale intellettuale diventa un imprescindibile generatore di valore aggiunto. E siccome, a differenza della catena di montaggio, la “fabbrica delle idee” si fonda sulla creatività, sulla imprevedibilità e sull’emozione, vengono meno i presupposti di una azienda dove i ruoli sono precisi, le professionalità definite, le competenze omogenee. Nel mondo della Wikinomics, della Rete, del Social Networking, della Long Tail e dell’incrocio fra Intelligenza naturale e Artificiale vale esattamente l’affermazione del Cavaliere Bianco: “What does it matter where my body happens to be? `My mind goes on working all the same”.
Il Cavaliere Bianco anticipa lucidamente la consapevolezza contemporanea (assai diffusa ma purtroppo quasi solo a livello di retorica e non di pratica aziendale) che nel lavoro sono necessarie quelle attitudini creative fino ad oggi confinate alla dimensione privata e considerate in antitesi con il concetto di professionalità. Mentre decadono i metodi e le suddivisioni tradizionali dell’azienda, si avverte sempre di più la necessità di sperimentare approcci non verticali, non orizzontali, bensì multidirezionali e flessibili. Mi verrebbe da dire “carrolliani”. La grande enfasi su strumenti Pop come la gamification dei processi di formazione, o la transmedialità e multicanalità oggi necessarie per supportare qualsiasi forma di storytelling aziendale, ne è la riprova[xix].
In altre parole, ha scritto Domenico De Masi, «la vecchia organizzazione scientifica, come Taylor la chiamava e come le aziende l’hanno perpetuata nonostante il mutare delle condizioni oggettive, fa oggi acqua da tutte le parti. Ai lavoratori intellettuali, che prevalgono nell’azienda postindustriale, non è richiesto di produrre bulloni ma di produrre idee e le regole organizzative che garantivano ieri la migliore produzione di bulloni sono le meno adatte a garantire oggi la migliore produzione di idee. Ne deriva che le aziende sono sempre più a corto di creatività e si trasformano sempre più in immense burocrazie capaci solo di perpetuare se stesse. Come ha constatato Jay Galbraith, ‘La maggior parte degli attuali cambiamenti hanno origine fuori dell’industria. Non sono stati i produttori di macchine da scrivere meccaniche a introdurre la macchina da scrivere elettrica: gli inventori della macchina elettrica non hanno inventato la macchina da scrivere elettronica; le aziende che producevano valvole non hanno introdotto il transistor, e così via’. Come mai questa carenza di creatività proprio ora che essa offre l’unica ancora di salvezza alle imprese del Primo Mondo? Si possono cercare cause e rimedi d’ogni genere ma si finisce fatalmente per comprendere che la crisi non è di natura congiunturale: ogni volta che l’organizzazione di lavori intellettualizzati adotta criteri mutuati dalla produzione tradizionale di beni materiali, puntualmente l’efficienza cala e i profitti scompaiono. In nome della razionalità, si perviene alla più irrazionale delle situazioni e si finisce per ricorrere ai licenziamenti, la paura prevale sull’entusiasmo, l’atmosfera aziendale si incupisce, la creatività si isterilisce e si diffonde la sensazione di pestare l’acqua nel mortaio. La sensazione di crisi provoca il peggiore dei guai che possa capitare nella società postindustriale: annienta la capacità di programmare il futuro»[xx]. In sintesi: non c’è nulla di meno scientifico (razionale, aperto, innovativo, creativo…) dello scientific management.
[i] https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/category/librare/.
[ii] L’inevitabile. Le tendenze tecnologiche che rivoluzioneranno il nostro futuro. Il saggiatore, 2017.
[iii] Purtroppo, con la chiusura della piattaforma Typee.it le diverse versioni delle prime quattro Stagione di Ariminum Circus che avevo pubblicato e i numerosi commenti degli utenti sono andati perduti.
[iv] http://www.marcominghetti.com/i-progetti-dello-humanistic-management/ariminum-circus/.
[v] https://media.giornaledellalibreria.it/archivio/Librare_MarcoMinghetti_2020.pdf.
[vi] https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2020/10/12/se-il-libro-e-un-divenire-una-conversazione-sul-futuro-del-libro-con-paolo-del-brocco-luca-formenton-cristintranetina-marconi-francesco-morace-e-carlo-rodomonti/.
[vii] Marco Minghetti, Racconti invernali da spiaggia. Un Wikiromance in 118 (Pseudo)Instagrammi, GoWare, 2014.
[viii] Cfr.: https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2014/03/01/digital-awards-2014-winter-beach-tales-vince-nella-categoria-mobile-editorial/.
[ix] http://web.archive.org/web/20111127170311/http://arthurcab.splinder.com/tag/romanzo+a+colori+1+introduzione
[x] https://www.youtube.com/watch?v=qeKC_zlV-8w&list=PLwfr6-ovC2aH4_-HVK8ZUgg8obWdgjhgD&index=3
[xi] Ariminum Circus, Stagione 1, Cit., pag. 9.
[xii] Ariminum Circus, Stagione 1, Cit., pag. 7.
[xiii] Franco Angeli, 2002 (edizione originale 1989).
[xiv] https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2020/11/02/se-il-libro-diventa-uno-schermo-una-conversazione-con-daniele-bigi-mauro-carbonevanni-codeluppi-alice-di-stefano-e-martino-ferro/.
[xv] Ibidem.
[xvi] Il Manifesto dello Humanistic Management, cit., Settima Variazione, pp. 16-17. Cfr.: http://www.marcominghetti.com/opere/il-manifesto-dello-humanistic-management/lunita-molteplice/settima-variazione/.
[xvii] Cfr.: https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2024/09/05/prolegomeni-al-manifesto-del-pop-management-31-innovazione-pop-opinion-piece-di-nicholas-napolitano/
[xviii] Fisher, cit. pp. 15-18.
[xix] Proprio per la sua pervasità la Gamification è al centro di un acceso dibattito. Francesco Toniolo nel suo Opinion Piece scrive: « In termini generali, le posizioni generalmente espresse sulla Gamification possono essere raggruppate in tre macrocategorie. La prima è di chi la valuta lin un modo generalmente positivo. Come esempio è possibile prendere il noto libro Reality is Broken (tradotto in italiano col titolo La realtà in gioco) della game designer e futurologa Jane McGonigal. Secondo l’autrice, i videogiochi e la Gamification avrebbero il potere di salvare il mondo, perché quando noi siamo immersi in un gioco ben strutturato ci troviamo a essere totalmente focalizzati sui nostri obiettivi, grazie a quello stato di flow che venne descritto dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi. Ecco che, allora, se si realizzano delle iniziative pensate per il bene pubblico (per esempio legate alla tutela dell’ambiente) e fondate sui principi della Gamification, un gran numero di persone vi parteciperebbe volentieri, senza nemmeno rendersi conto di fare del bene.
Una seconda posizione è quella di chi ritiene che la Gamification sia, in buona sostanza, al di sopra del bene e del male, in quanto termine privo di reale significato e buono solo per il marketing. Anche in questo caso, volendo trovare un rappresentante della categoria è possibile ricordare un intervento di Ian Bogost che è rimasto piuttosto noto: Gamification is Bullshit. La Gamification è una cavolata, non significa nulla in concreto e non è possibile definirla con esattezza. Secondo Bogost, è possibile dire tutto e il contrario di tutto sulle iniziative gamificate proprio perché i suoi confini restano vaghi, incerti e fin troppo mutevoli. La sua utilità, allora, si ridurrebbe a quella di termine “cool”, utile per proporre qualche iniziativa alle aziende, ma nulla di più.
La terza posizione è quella che considera la Gamification come qualcosa di generalmente negativo. Come rappresentante della categoria è possibile ricordare Alfie Bown con il suo libro Enjoying It: Candy Crush and Capitalism (tradotto in italiano col titolo Capitalismo & Candy Crush). A differenza di Bogost, che vede la Gamification come “fuffa”, Bown ne riconosce l’efficacia e, proprio per questo, la ritiene un pericolo. Le pratiche gamificate, secondo lui, non sarebbero altro che l’ennesimo asservimento dell’attività ludica al capitalismo. È un discorso che ha portato avanti anche in uno dei suoi libri successivi, Dream Lovers: The Gamification of Relationships, in cui parla di come gli impulsi e le pulsioni umane, tra cui quelle affettive e sessuali, siano state anch’esse gamificate e sfruttate, sulla scia di ben precise scelte economico-politiche»: https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2024/09/12/prolegomeni-al-manifesto-del-pop-management-33-innovazione-pop-opinion-piece-di-francesco-toniolo/
[xx] Da Esiodo al Duemilaventicinque, in Le nuove frontiere della cultura d’impresa, cit., pp. 124-125.
97 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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