Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 89. Sensemaking Pop. Opinion Piece di Nilo Misuraca

Nilo Misuraca è laureato in Filosofia presso l’Università di Bologna, dove ha sviluppato una tesi sulla lotta per il riconoscimento in Axel Honneth. Ha successivamente approfondito la sua formazione specializzandosi in consulenza filosofica e pratiche filosofiche. Interessato alle implicazioni etiche e sociali della tecnologia, declina il pensiero critico in un approccio pratico per affrontare le sfide del mondo digitale. Attualmente lavora come consulente Digital Ethics in BIP, occupandosi di integrare la riflessione filosofica nei processi di innovazione e trasformazione digitale e con la missione di portare la filosofia in azienda.

 

La filosofia è il più potente strumento di Sensemaking, perfino in azienda. Tra Aristotele e Paolo Maldini.

Nilo Misuraca

La filosofia non serve a nulla? Una lettura superficiale di Aristotele

Si dice spesso, citando Aristotele (o meglio, solo la prima parte di un suo pensiero), che “la filosofia non serve a nulla”. Questa affermazione viene poi utilizzata come baluardo contro tutto ciò che non produce un deliverable immediatamente misurabile, contro tutto ciò che appare sfuggente e fumoso, dunque inutile, proprio come la filosofia. Per cui si dice “non fare della filosofia” come sinonimo di “non divagare con discorsi inutili” oppure “non fare il filosofo” a chi sproloquia evitando una domanda (o forse una risposta) diretta. Così, la filosofia, a un primo sguardo, sembra condannata a un ruolo marginale e molto lontano dal contesto aziendale perché la percepiamo come qualcosa di astratto, senza un impatto concreto sulla realtà. Ma se la filosofia è davvero così, perché ne stiamo parlando nella pop community? Prestando attenzione alle parole di Gianmarco quando ci ricorda che Pop non deve diventare semplicismo e populismo, come può la filosofia diffondersi nei contesti Pop?

Il filosofo è un figlio d’arte: il caso Maldini

Innanzitutto, spostiamo un po’ il nostro sguardo, dalla filosofia a quei personaggi che fanno filosofia. Le sorti dei filosofi, se viste da vicino, assomigliano a quelle dei figli d’arte: passano metà della loro vita a imparare il mestiere del padre (in questo caso, i padri, i grandi autori) e, una volta acquisito, cercano di dargli una nuova identità, portando quei grandi pensieri nel mondo che vivono, così facendo in modo che il cognome appartenga più a loro che al padre. In altre parole, ogni filosofo è un Paolo Maldini che scende in campo come figlio di Cesare. Prima dell’esordio era il figlio di Cesare, dopo una stagione era Cesare a essere diventato il padre di Paolo.

Perché allora iniziamo questa riflessione su Sensemaking in azienda evocando Aristotele e Maldini? Perché vogliamo parlare della filosofia come strumento pratico per dare senso e, per farlo, occorre da un lato partire dalle fondamenta, decostruendo il modo in cui siamo abituati a sentirne parlare, dall’altro prestare attenzione al mondo contemporaneo e a quei contesti dove “si fanno le cose”. Solo così possiamo comprendere la veste che oggi indossa e addossarci la sfida di portare il dubbio in contesti sempre più Pop. E poi, cogliamo la provocazione e accediamo la domanda se non sia vero che la veste faccia il monaco.

Riavvolgiamo il nastro: Aristotele affermava che la filosofia non serve a nulla perché non è schiava di nessuno. È una disciplina libera, e proprio così l’abbiamo conosciuta: nelle scuole, nei libri, nei dibattiti (che tentano di diventare sempre più Pop su YouTube), troviamo una filosofia che arrovella i suoi pensieri in un dibattito affascinante, secolare, un’elaborazione continua di vecchie domande, ma per poi risultare distante dai problemi di ogni giorno.

Eppure, fermiamoci un attimo: questa immagine della filosofia senza concretezza e senza applicabilità è davvero esaustiva? La filosofia è davvero priva di valore pratico?

La filosofia deve e può sporcarsi le mani? Come Paolo diventa Maldini

Quanto detto finora mostra la filosofia senza deliverable, senza concretezza, senza una spendibilità nel mondo: insomma una filosofia che non si sporca le mani. Domanda: la filosofia si dovrebbe spendere in questo mondo? E se si, come può farlo? Come può Paolo diventare Maldini?

Nel chiederci se la filosofia debba trovare una sua funzione nel mondo, partiamo da come la possiamo incontrare oggi nei diversi contesti. La filosofia, nelle sue vesti tradizionali, sembra elevarsi sempre di più, con discorsi complessi e profondi, fino a rischiare di separarsi dalla realtà concreta, presa dal rispondere a un dibattito secolare. Da un lato, si interroga sulla condizione umana e l’assurdo (Camus), critica la società industriale (Adorno e Horkheimer), cerca la natura del linguaggio (Wittgenstein), titola ricerche all’ermeneutica (Gadamer) e pone il massimo rilevo alla decostruzione (Derrida); dall’altro, il linguaggio comune usa il termine “filosofia” per definire ideologie strampalate o la tattica di un qualunque allenatore di un qualsiasi sport. Ci troviamo, quindi, sospesi tra due mondi e costretti a scegliere tra una concezione, alta, affascinante, percepita come astratta e una totalmente pragmatica, che si cala nel mondo, ma piatta e poco generativa. Ma esiste una terza via?

Questa terza via è, in realtà, la prima, ma dimenticata: ce lo dimostra chi ha ragionato sugli antichi greci. La filosofia non nasce come esercizio intellettuale, ma come scuola di vita. Pierre Hadot ci ricorda che la filosofia è, in origine, l’arte di imparare a morire. Senza paura per questa decisa affermazione e nella consapevolezza che con la morte e con le domande difficili dobbiamo avere a che fare, accogliamo questa via della filosofia. A partire da questa natura della filosofia, il filosofo e chi faceva filosofia, non si interrogava solamente, ma faceva esercizi, che Hadot definisce spirituali e che noi possiamo chiamare “pratiche”. Se accogliamo questa prospettiva, comprendiamo che la filosofia delle origini quando si elevava a concetti alti, come la natura della Giustizia, lo faceva solo se spinta da una domanda di un interlocutore, una domanda che non trova risposta, ma che ha bisogno di essere affrontata: una richiesta di senso. Se ci pensiamo bene, è proprio per questo motivo che Socrate non ha lasciato nulla di scritto. Ancora, per questo motivo, Karl Popper ci dice nel 1975 che Tutti noi abbiamo una filosofia, siamo coscienti o meno di questo fatto, e la nostra filosofia non importa molto. Ma l’influenza della filosofia sulle nostre azioni e sulle nostre vite è spesso catastrofica. Questo rende necessario cercare di migliorare la nostra filosofia con la critica. Questa è l’unica scusa perché la filosofia continui ad esistere, che sono in grado di offrire.”

Riprendiamo allora l’immagine del Paolo molto giovane che avrà subito il peso del suo cognome sulle spalle e chiediamo aiuto alla filosofia. David Hume (filosofo scozzese) ci insegna che vedere il sole sorgere ogni giorno non significa che sorgerà anche domani: la natura non funziona per abitudine, ma per leggi. Allo stesso modo, il giovane talento deve liberarsi dalla convinzione che le cose debbano essere sempre come sono state finora: solo perché è stato abituato a chiamarsi “figlio di Cesare” non vuol dire che non possa mai essere Maldini.

La filosofia in azienda: un divorzio solo apparente e una questione di linguaggio.

Come Paolo deve fare la filosofia: solo perché è stata vista come astratta, non vuol dire che non possa portare il suo valore e la sua concretezza nel mondo. “È la nostra scelta che dimostra chi siamo, molto più delle nostre capacità”, fa dire la Rowling al più saggio dei suoi personaggi (il preside Silente), ed è proprio questa la sfida che la filosofia (se praticata) aiuta l’uomo a intraprendere: scegliere di porsi e farsi carico delle domande anziché accettare passivamente la realtà o le risposte che si trovano già abitualmente in essa. Se è vero che dubitare non è Pop, non è colpa del Pop, ma dei dubbi, a volte troppo gravosi e scomodi se non si sa come affrontarli. Forse valeva la pena leggere fino in fondo il passo di Aristotele per scoprire che la filosofia è inutile perché non è dedita a nessuna fine, nessuna risposta in particolare, quanto è utile perché al servizio di ogni dubbio: offre gli strumenti per sostenere il dubbio.

Andiamo avanti: come fa la filosofia a esercitare questo suo magico potere? Se la filosofia vuole ritrovare un ruolo nel mondo, non può limitarsi a seguire Hume come un mantra: deve compiere un passo ulteriore. Wittgenstein ci viene in soccorso quando ci insegna che il linguaggio non è un accessorio del pensiero, ma ne è la sua essenza. Per questo “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo” (Wittgenstein dal Tractatus Logico-Philosophicus). Allora, che lingua parla la filosofia quando si esprime in forme incomprensibili ai più? Il linguaggio filosofico è complesso, un codice che richiede tempo e distacco dalle esigenze operative e funzionali del linguaggio quotidiano e aziendale. Ma se la filosofia adottasse il linguaggio aziendale, perderebbe la sua profondità, e, se l’azienda adottasse il linguaggio filosofico, rischierebbe di smarrire la propria concretezza. È questo il paradosso: due mondi che non si contaminano per paura di perdere se stessi.

Qui è anche l’impasse, in una volta della filosofia e dell’azienda: non si possono contaminare perché sono terrorizzate di perdere, la filosofia il tono e la elevatezza dei suoi discorsi, e l’azienda il suo risvolto pratico e la sua funzione. Così rimangono due mondi distinti, lontani, incomunicabili. E chi perde? Entrambi.

Il filosofo che fa pratiche filosofiche: Caronte in azienda

Entra in gioco il filosofo, Paolo che tenta di diventare Maldini: un filosofo che non ripete il pensiero del padre, ma si cala in un contesto, portando un discorso complesso in un linguaggio e in esigenze operative. Perché la filosofia e l’azienda non perdano le loro rispettive nature in questo incontro, serve creare un senso comune, e per farlo serve un Caronte, qualcuno che sappia traghettare Dante (e le aziende) nell’affascinante mondo dei morti (le terrificanti domande di senso che ci poniamo come umani) perché Dante e le aziende possano riemergerne per vivere meglio la loro vita. Un filosofo moderno deve essere un poliglotta: deve conoscere il linguaggio della filosofia e nutrirsene, ma anche saperlo tradurre in modo comprensibile per le aziende e per le persone che le abitano, quindi conoscere i problemi concreti e le sfide reali che le aziende si pongono.

Qual è la barca di questo Caronte, come può navigare le acque degli inferi?

Una proposta, sono le pratiche filosofiche come vocabolario che permette al filosofo di fare filosofia con chi non parla la stessa lingua di Derrida, da una parte, e con chi non vuole solo ascoltare una lezione dall’altra. Le pratiche filosofiche permettono di affrontare e portare in spazi strutturati le domande delle persone per indagarle con lo spirito della filosofia, per arrivare non a risposte parziali e spendibili, ma per acquisire quella capacità di stare nella domanda, di non farsi guidare dalle emozioni o subire le passioni nella fretta di fornire una risposta, convincibile.

Per esempio, seguendo l’affascinante Prolegomeni 66 di Francesca Annalisa Petrella, che ci invita a riflettere  su come venga percepito il lavoro oggi in Italia, può essere portato in una pratica filosofica. La filosofia, nella sua terza (originaria) via può aiutarci ad abitare la domanda nelle specificità delle persone che se la pongono e a chiederci cos’è il lavoro per noi, nel nostro contesto. Ancora, portando un esempio, possiamo navigare questo interrogativo con un Dialogo Socratico, costruito per accogliere la domanda.

Il dubbio non è Pop(ulista), ma è necessario

In conclusione, se dubitare non è ancora Pop, è perché è molto poco Pop non avere delle risposte. Il dubbio non è un fine e nemmeno un passaggio obbligato in grado di portare a un deliverable spendibile, è un metodo, un esercizio per giungere a nuove prospettive. La filosofia si occupa di domande che non hanno risposte semplici o immediatamente misurabili, ma ci insegna a “abitare” queste domande, a decostruirle e ricostruirle per dare loro un senso personale e collettivo.

In un mondo sempre più dominato dalla tecnologia, dove il bisogno di senso è crescente, la filosofia può diventare una bussola. Ma per farlo, deve tornare ad abitare la vita reale.

Dubitiamo anche del fatto che l’intelligenza artificiale sia sempre la scelta migliore. Ma per farlo, dobbiamo essere attrezzati ad affrontare la domanda. Perché rimanere disarmati di fronte alle domande di senso o quelle che più ci mettono in difficoltà significa perdere l’occasione di costruire il nostro futuro. Per un’azienda, ignorare domande a cui non si è in grado di fornire risposte significa non creare fiducia, ma diffidenza e allontanare persone. Se, come ci racconta Marco Minghetti nell’interessantissimo articolo che dedica all’Empatia Sistemica la “realtà è costituita da interazioni sociali e quindi gli esseri umani costruiscono la realtà sociale in modo attivo e condiviso attraverso lo scambio di significati e sforzi interpretativi reciproci”. Non saper affrontare domande che non hanno una risposta misurabile significa rinunciare allo scambio di significati, così rinunciando a creare senso: la filosofia, come traghettatrice nelle domande più ardue è lo strumento in grado di costruire il senso, perfino in azienda.

Dicevamo che ci saremmo chiesti se sia davvero corretto dire che l’abito non faccia il monaco. Lasciamo aperta la domanda con un solo spunto: quale sarebbe il monaco così sprovveduto da non scegliere il proprio abito? E se rinunciasse a questa scelta troppo mondana, chi farebbe questa scelta al posto suo?

Non vogliamo correre questo rischio e tentiamo una risposta: qual è la sorte della filosofia che veste abito aziendale? Secondo noi, quella di un funambolo che, sospeso tra i due mondi, porta il dubbio dove c’è misurabilità e mondo dove ci sono idee, così da aiutare a generare un mondo più vivibile e lavorare con idee più vissute.

89 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO
62 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO LOTTO
63 – OPINION PIECE DI GIANLUCA BOTTINI
65– OPINION PIECE DI SIMONE FARINELLI
66– OPINION PIECE DI FRANCESCA ANNALISA PETRELLA
67– OPINION PIECE DI VALERIO FLAVIO GHIZZONI
68– OPINION PIECE DI STEFANO MAGNI
69– OPINION PIECE DI LUCA LA BARBERA
70 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: LA GRAPHIC NOVEL!
71 – LEADERSHIP POP. APOFATICA E CATAFATICA DELLA COMUNICAZIONE
72 – OPINION PIECE DI FEDERICA CRUDELI
73– OPINION PIECE DI MELANIA TESTI
74 – OPINION PIECE DI GIANMARCO GOVONI
75– OPINION PIECE DI MARIACHIARA TIRINZONI
76 – SENSEMAKING POP. LODE DELLA CATTIVA COSCIENZA DI SE’
77 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA CAPPELLO E ALESSANDRA MAZZEI
78 – OPINION PIECE DI JOE CASINI
79 – OPINION PIECE DI MARTA CIOFFI
80 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE PRIMA)
81 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE SECONDA)
82 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (NOTE A MARGINE)
83 – ENGAGEMENT POP. IL MANAGER INGAGGIANTE IMPARA DAI POKEMON
84 – ENGAGEMENT POP. DARE VOCE IN CAPITOLO
85 – ENGAGEMENT POP. COMUNICARE, VALUTARE, TRASFORMARE
86 – SENSEMAKING POP. MALATTIA MENTALE E BENESSERE PSICOLOGICO SUL LAVORO
87 – SENSEMAKING POP. FOLLIA O DIVERSITA’?
88 – OPINION PIECE DI LUIGIATAURO