La Conversazione Collaborativa che proponiamo in questo Prolegomeno è incentrata sulla comunicazione tra enti non profit, imprese a forte impatto sociale e i loro stakeholder: un tema a me particolarmente caro (dati anche i miei trascorsi come creatore per Fondazione Italiana Accenture di ideatre60, una piattaforma finalizzata a promuovere l’innovazione a favore della collettività, a condividere idee, a realizzare progetti di pubblica utilità), i 15 anni trascorsi in AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) di cui sono stato anche VicePresidente Nazionale, la progettazione dell’Associazione degli ex Alumni della Scuola Mattei, di cui sono stato Segretario Generale nella sua fase di avvio.
I due curatori di questa Conversazione sono:
Chiara Maria Lévêque, Fractional Marketing Manager e Docente a contratto di Marketing presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dal 2010 ha accompagnato più di 150 realtà in progetti di sviluppo del business in Italia e all’estero.
Gioele Gambaro, Fractional Marketing Manager specializzato in start-up e scale-up. Visiting lecturer all’Università Cattolica del Sacro Cuore e all’Università degli Studi di Milano.
Un Comunicazione Pop per gli enti non profit
Chiara Maria Lévêque e Gioele Gambaro
Nell’era dei nuovi media, la comunicazione tra enti non profit, imprese a forte impatto sociale e i loro stakeholder ha assunto forme radicalmente nuove, più dirette, immediate e partecipative. I canali digitali offrono oggi opportunità straordinarie per raccontare progetti, diffondere valori e costruire fiducia, ma impongono anche sfide inedite: la necessità di adottare un linguaggio autentico, di mantenere elevati standard di trasparenza in un contesto privo di filtri editoriali, e di favorire un dialogo bidirezionale con il pubblico.
In questo contesto mutevole, la comunicazione non è più solo uno strumento per informare, ma diventa leva strategica per coinvolgere le comunità, rafforzare il senso di appartenenza e orientare comportamenti. Anche all’interno delle organizzazioni, la cura del dialogo con dipendenti e volontari rappresenta un elemento determinante per allineare le persone alla missione e ai valori condivisi.
Questa conversazione a più voci esplora pratiche, approcci e riflessioni su come i nuovi media possano essere impiegati in modo responsabile ed efficace da chi si impegna ogni giorno per un impatto positivo, tra storytelling, accountability e cultura dell’ascolto.
Partecipano:
Nicolas Bargi, Founder & Ceo di Save The Duck
Maria Cristina Ferradini, Consigliere Delegato di Fondazione Amplifon
Matteo Hu, Fondatore di ICPN – Italian Chinese Professional Network
Marina Salamon, Imprenditrice, amministratore di Alchimia Holding spa e di Altana Childrenswear Società Benefit
Rosario Maria Gianluca Valastro, Presidente Nazionale Croce Rossa Italiana
I nuovi media offrono opportunità significative per le realtà non profit e le aziende a forte impatto, in particolare nel testimoniare i benefici delle proprie azioni con una velocità e dettaglio prima d’ora impensabili. In che modo, a vostro avviso, possono favorire un dialogo più diretto e partecipativo con i donatori o i clienti, promuovendo al contempo una cultura della trasparenza e dell’autenticità?
Nicolas Bargi: Attraverso contenuti autentici, risposte immediate e l’ascolto attivo, possiamo coinvolgere la nostra community, promuovere una cultura partecipativa e personalizzare l’esperienza dei nostri clienti. Questo rafforza la fiducia e crea un rapporto più autentico e duraturo.
Maria Cristina Ferradini: La comunità di riferimento di Fondazione Amplifon è costituita dai beneficiari, dai volontari e dai nostri donatori e partner, che tutti insieme costituiscono una comunità preziosa per lo sviluppo delle nostre attività.
I nuovi media permettono di adottare un linguaggio vicino a loro, attraverso un dialogo che racconti non solo i risultati anche i gesti concreti, le emozioni e le relazioni che ne nascono dai nostri progetti.
Matteo Hu: I nuovi media sono il nuovo agorà digitale: uno spazio dove trasparenza e autenticità non sono opzionali, ma prerequisiti per costruire fiducia. Per ICPN questo si traduce in tre principi operativi: (i) democratizzazione della testimonianza: ogni volontario, beneficiario o donatore può diventare storyteller attraverso i nostri eventi di networking, beneficenza e programmi di mentorship; (ii) trasparenza radicale; (iii) dialogo bidirezionale.
Marina Salamon: Penso che, sia nelle organizzazioni non profit, che nelle aziende, il posizionamento e la percezione del brand siano sempre più importanti. Naturalmente, questo non significa che la qualità dei propri prodotti, o la serietà del lavoro svolto, diventino meno importanti, ma i donatori, così come i clienti, sono sempre più influenzabili dalla capacità di comunicare attraverso i new media e di trasmettere un’immagine positiva. Questo vale per il fashion, così come nei settori del food & wine, ma anche per le fondazioni o associazioni benefiche, e non deve scandalizzarci. In teoria, ciò dovrebbe essere parte di una scelta di trasparenza e autenticità, ma non sempre è così: ad esempio, io stessa mi sono accorta in ritardo che una grande organizzazione non profit, che sostenevo da anni, accantonava enormi ed inutili quantità di denaro come “riserve” anziché farle arrivare ai più bisognosi. Ho imparato, da allora, ad analizzare in modo analitico e critico i bilanci delle associazioni, incluso lo stato patrimoniale, così come avrei fatto per un’azienda da acquisire.
Rosario Maria Gianluca Valastro: I canali di comunicazione digitale sono molto importanti. I social della nostra Associazione stanno crescendo e si confermano un valido punto di riferimento per la diffusione delle attività della CRI e per il coinvolgimento degli utenti che, sempre con maggiore interesse, partecipano e interagiscono con i post. In tanti, non solo Volontarie e Volontari dell’Associazione, condividono e promuovono le nostre iniziative, i contenuti che vengono creati, a conferma del grande legame di fiducia che anche la comunità digitale ha nei confronti del nostro Volontariato e del nostro Emblema. Ovviamente, i social sono molto importanti anche per consolidare il rapporto che abbiamo con partner e donatori, soprattutto Linkedin, e per diffondere le nostre campagne di fundraising: penso al supporto di Facebook e Instagram alla recente raccolta a favore del Myanmar.
Rispetto ai media tradizionali, i nuovi media possono presentare paradossalmente un livello di trasparenza molto inferiore: manca la figura del direttore editoriale e i confini tra contenuto informativo e promozionale sono molto più sfumati. In un ambito che punta alla trasparenza, quale strategia adottate per rispondere a questa sfida?
Nicolas Bargi: Per noi di Save The Duck, la trasparenza è un valore fondamentale, sempre.
Ogni nostro messaggio, sia promozionale che informativo, è supportato da dati concreti e verificabili. Ci assicuriamo che le nostre azioni siano sempre documentate, per permettere al pubblico di avere un quadro chiaro e accurato del nostro impegno.
Maria Cristina Ferradini: È vero: nei nuovi media manca una figura di direzione editoriale. Ma questo non significa assenza di guida o di un pensiero organico e strutturato dietro la costruzione dei nostri racconti. È la Fondazione a farsi garante dei suoi contenuti, con coerenza e rigore e attraverso un lavoro puntuale, continuo e trasparente.
Matteo Hu: Garantiamo la qualità dei contenuti combinando libertà editoriale e linee guida chiare. L’autore (e l’intervistato) può esprimersi senza vincoli, ma gli ricordiamo sempre i nostri valori: imparzialità, rispetto culturale e coerenza con la mission di ICPN.
Marina Salamon: Non ho mai pensato che la figura del direttore editoriale fosse risolutiva. Tuttavia, ho imparato attraverso lo studio della storia, ai tempi dell’università, a non credere mai ad un’unica verità, ma a risalire a più testi e documenti, costruendo attraverso l’analisi delle fonti le ipotesi successive che mi permettessero di avvicinarmi alla verità. Ho mantenuto lo spirito di quando studiavo su più libri, nelle grandi biblioteche a scaffale aperto. Google e gli altri motori di ricerca hanno, per me, un valore simile alle biblioteche cartacee.
Rosario Maria Gianluca Valastro: La trasparenza della Croce Rossa Italiana è sempre massima. Contenuti promozionali ed informativi diffusi sono sempre ben riconoscibili, nel rispetto delle proprietà e della proposta – in termini di tool – di ciascun media. Per facilitare la comprensione di ciò che facciamo, cerchiamo sempre di usare un linguaggio estremamente smart, dal quale non possano generarsi fraintendimenti, utilizzando copy a volte leggermente più lunghi ma sempre esaustivi.
Quali pratiche di comunicazione interna dovrebbero adottare le aziende ad alto impatto e le organizzazioni non profit per rafforzare l’impegno e la partecipazione di dipendenti e/o volontari verso la mission?
Nicolas Bargi: Abbiamo diversi strumenti interni, che ci permettono di tenere aggiornati i dipendenti e di informarli su progressi, progetti e iniziative del gruppo. Questo flusso di informazioni favorisce un coinvolgimento più diretto e attivo delle nostre persone.
Maria Cristina Ferradini: Per Fondazione Amplifon, la comunicazione interna è innanzitutto uno spazio di apertura, incontro e di dialogo con i propri interlocutori più importanti: i dipendenti e volontari Amplifon. La fondazione riconosce in loro una comunità umanamente e operativamente strategica alla quale dedica un’attenzione particolare, e non solo condivisione di attività e risultati. Il loro coinvolgimento nasce da occasioni di dialogo, come ad esempio, i Kindness Labs. In ogni appuntamento, un ospite diverso del mondo della cultura guida una riflessione a partire dalla Gentilezza, il valore che guida le iniziative di Fondazione. Questi incontri generano connessioni, alimentano il senso di appartenenza e stimolano una partecipazione spontanea alle iniziative che proponiamo perché le persone si sentano parte attiva e vitale di un percorso, dentro e fuori l’azienda.
Matteo Hu: Sulla base della nostra esperienza, riteniamo che nel no-profit la leva decisiva sia l’autonomia sul progetto: decentralizziamo attività e responsabilità, così che ciascuno veda un impatto diretto del proprio lavoro. Il risultato è un coinvolgimento più alto e un turnover di volontari ridotto. Chi collabora con ICPN non “esegue ordini”, ma guida micro-iniziative di cui è responsabile.
Marina Salamon: credo al valore del “raccontare e condividere” anche all’interno il percorso e le scelte strategiche dell’azienda e/o dell’ organizzazione non profit, e questo è un approccio valido nei confronti di tutti gli stakeholders. Penso che i collaboratori siano in grado di capire, soprattutto “face to face”, se i capi sono persone autentiche, e se ciò che comunicano è vero, oppure no. Non credo che ci si debba incontrare solo in ufficio, ma che siano fondamentali i momenti in cui camminare insieme, mangiare insieme, incontrarsi sul piano umano, e non solo professionale. Le aziende e le organizzazioni sono comunità, in cui trascorriamo una parte importante della nostra vita.
Rosario Maria Gianluca Valastro: Siamo fortunati in questo perché la risposta, tanto di Volontari quanto di personale dipendente, alle attività di comunicazione esterna è sempre molto buona. Da sempre, abbiniamo alla attività su media e new media delle iniziative di comunicazione interna pensate ad hoc: infatti, coinvolgiamo le persone anche attraverso una newsletter settimanale, che fa riferimento chiaramente alle principali attività svolte e a quelle in programma, ed informiamo i nostri utenti attraverso un canale WhatsApp.
I nuovi media hanno tempi di consultazione molto ridotti: un lettore della versione cartacea di Repubblica dedica in media 20 minuti, mentre un lettore di Repubblica.it circa 20 secondi. In questo scenario, come comunicare messaggi complessi, che spesso non riguardano soltanto il consumo di un prodotto ma anche eventuali conseguenze positive o negative a esso legate?
Nicolas Bargi: Al giorno d’oggi è essenziale parlare il linguaggio dei nuovi media, adattando conseguentemente la modalità di comunicazione.
Ogni piattaforma ha le sue caratteristiche, quindi è importante individuare il tone of voice corretto per rivolgersi alla community del media di riferimento. Si tratta di sfruttare al meglio ogni mezzo di comunicazione, in base alle sue caratteristiche, individuando non solo le parole chiave ma anche le immagini più rappresentative e trovare altre soluzioni per l’approfondimento di concetti più complessi. Ad esempio, organizzare eventi per raccontare un nuovo progetto in maniera più corposa. Nel 2024 abbiamo celebrato la nostra collaborazione con The Sumba Foundation, ONG situata nell’omonima isola indonesiana, con una mostra fotografica gratuita nel centro di Milano, che ci ha permesso di condividere i dettagli del progetto con il grande pubblico. Grazie a questa partnership, abbiamo bilanciato il consumo idrico legato alla produzione dei nostri capi, garantendo l’accesso all’acqua potabile a più di 6000 persone sull’isola.
Maria Cristina Ferradini: Una premessa: il pensiero e le opinioni richiedono tempo, per l’acquisizione delle informazioni, la loro rielaborazione e la riflessione personale. Ogni pretesa di ridurre questo tempo è di per sé infruttuosa.
Detto ciò, noi di Fondazione non abbiamo fretta perché i nostri racconti sono racconti dell’umano e, come tali, lenti e lunghi. Ogni contenuto nuovo aggiunge un dettaglio e lo fa attraverso piccoli aggiornamenti e voci diverse che si intrecciano, a partire di quelle degli anziani e dei volontari che partecipano alle nostre iniziative, lasciando a chi ci segue la possibilità di comporre una sintesi personale delle nostre storie. Così facendo, si riduce il rischio che un’attenzione ridotta dimentichi un messaggio complesso, come il valore della Gentilezza che Fondazione promuove dal 2024.
Matteo Hu: Il tempo di attenzione online è brevissimo, perciò trattiamo ogni formato “mordi-e-fuggi” – dal reel a un banner LinkedIn o a un breve podcast teaser – come un portale verso un secondo livello di contenuto.
In pratica: il reel è solo uno degli strumenti. Qualunque sia il canale, la logica resta identica – anticipo minimo, valore percepito immediato, percorso chiaro verso il dettaglio.
Marina Salamon: La maggioranza tra di noi non è più in grado di leggere testi, o di ascoltare discorsi, troppo lunghi. Forse, riusciamo a concentrarci maggiormente di fronte a un libro, ma anche nella lettura di un articolo di quotidiano il nostro approccio è, inevitabilmente, quello digitale (anche se credo che i 20 secondi citati nella domanda si riferiscono a un lettore non abbonato, che scorre velocemente la prima pagina, gratuita). Perciò, penso che sia inevitabile imparare a comunicare di più con immagini grafiche, fotografie o video, riducendo molto l’uso della parola scritta.
Rosario Maria Gianluca Valastro: Credo sia fondamentale rimarcare l’importanza di tre elementi: affidabilità, coerenza e trasparenza. Tutti insieme costituiscono la spina dorsale della nostra azione comunicativa, soprattutto sui social media. A volte, in virtù di messaggi molto impattanti, come detto, reputiamo necessario realizzare copy più lunghi, per evitare di suscitare incomprensioni e comunicare correttamente ciò che stiamo facendo. Lo facciamo a modo e con cognizione di causa, laddove sappiamo che la lettura e il coinvolgimento degli utenti è più alto, tale da spingerli oltre i 20 secondi per la lettura e la fruizione dei contenuti. Al netto dei testi, è altrettanto fondamentale disporre di contenuti che siano di facile consultazione e che, proprio in virtù dei tempi ridotti del lettore medio, facilitino la comprensione del messaggio o della campagna che stiamo lanciando.
Qual è la posizione della vostra realtà riguardo alla collaborazione con gli influencer? Avete scelto di avviare partnership con questa categoria? In caso affermativo, potreste fornirci esempi concreti e illustrarci i criteri adottati per la selezione degli influencer, in modo da tutelare la reputazione del vostro marchio?
Nicolas Bargi: Negli anni abbiamo collaborato con diverse personalità, in parte più attive nel settore fashion, in parte più specializzate su tematiche a noi care, come la sostenibilità e la difesa dei diritti animali. Riteniamo di fondamentale importanza associarci con soggetti che condividano il concetto di rispetto, a 360 gradi e soprattutto che possano veicolare, in modo coerente sia per il brand sia per l’utente finale, il nostro messaggio. Vogliamo che la nostra community scelga Save The Duck consapevolmente, non solo per la qualità e l’estetica del prodotto, ma per il messaggio che esso rappresenta.
Maria Cristina Ferradini: “Influencer” è un termine tipicamente riferito ad un certo modo di essere social che è un po’ lontano dal nostro attuale modo di raccontarci.
Per Fondazione è fondamentale collaborare con persone che portino, per esperienza o competenze, a riflessioni autentiche, alte. Un esempio è stato il Festival della Gentilezza 2024, un’occasione aperta al pubblico, durante la quale sono state coinvolte una trentina di voci autorevoli del mondo della cultura e dello spettacolo per portare pensiero, esperienza e storie.
Matteo Hu: Non abbiamo partnership strutturali: preferiamo invitare ai nostri eventi speaker di riconosciuta competenza, fra cui talvolta figurano anche influencer. Selezioniamo i relatori in base a reputazione professionale, affinità valoriale e rilevanza per la community, senza accordi di endorsement.
Marina Salamon: Noi non utilizziamo influencer, perché non ne abbiamo la necessità e preferiamo essere cauti su questo punto. Però, per quanto riguarda le organizzazioni non profit, credo al valore positivo di coinvolgere dei “testimonial” famosi e riconoscibili da scegliere non strettamente in base alla loro notorietà, ma in base ai valori e alle scelte del loro percorso professionale e di vita. Naturalmente, essi non devono essere pagati per questo ruolo, ma anzi contribuire utilmente al fundraising, o comunque alla causa. Ieri, ad esempio, ho letto che il re Carlo e la regina Camilla d’Inghilterra hanno scelto di adottare dei cani dai canili, anziché comprarli: è una testimonianza importante, crea simpatia verso la monarchia e verso le adozioni.
Rosario Maria Gianluca Valastro: Da questo punto di vista abbiamo una linea ben marcata. Selezioniamo con attenzione gli influencer che potrebbero aiutarci nelle attività di comunicazione esterna. Ad esempio, recentemente l’Associazione ha avuto il supporto di alcuni di loro per sostenere campagne di informazione di vario taglio, penso ad esempio a quanto fatto per la sicurezza stradale. I contenuti prodotti sono tutti supervisionati ed approvati perché è fondamentale che rispettino i nostri standard, i valori e i Princìpi dell’Associazione. Facciamo questo perché pensiamo sia fondamentale tutelare il nostro Emblema, lo stesso che 150mila Volontarie e Volontari della CRI portano addosso, sulla loro uniforme, e che è parte della storia del nostro Paese, dalla Seconda guerra d’indipendenza ad oggi. L’Emblema della Croce Rossa è sinonimo di fiducia e affidabilità in un Volontariato che aiuta, che lenisce le sofferenze di chi è in difficoltà.
Qual è a oggi il media che utilizzate maggiormente e in cui vedete i risultati migliori, o intravedete maggiori possibilità di innovazione, in termini di comunicazione?
Nicolas Bargi: Al momento utilizziamo maggiormente Instagram, piattaforma sulla quale comunichiamo contenuti non solo valoriali ma anche dedicati al prodotto. Nel frattempo, stiamo sviluppando una strategia mirata alla crescita del nostro profilo TikTok, per avvicinarci alla GenZ. Infine, utilizziamo Linkedin, per comunicare notizie trade, nonché progetti charity.
Maria Cristina Ferradini: Linkedin e Instagram sono, oggi, i canali che utilizziamo maggiormente e che offrono le interazioni più significative. Il nostro racconto non si concentra sui numeri ma sulla qualità della conversazione. Questi media permettono di costruire un dialogo diretto con le persone che lavorano nelle RSA, i volontari di Amplifon e la comunità, in generale. La flessibilità di questi social network ci permette di sperimentare formati diversi, dai classici post con una testimonianza diretta o un video racconto, ai reel passando per le stories. Il linguaggio può essere diretto e il racconto delle iniziative di Fondazione diventa così più coinvolgente e vicino alle persone. Per noi resta comunque fondamentale, in termini di autorevolezza e comunicazione con i nostri stakeholder, il ruolo dei media tradizionali, dalla carta alla tv alla radio fino alle versioni digitali.
Matteo Hu: I nostri canali più efficaci risultano: Instagram per l’età media dei nostri aderenti e la forza dei formati visual & reel; LinkedIn per la natura “professional association” di ICPN; WeChat per raggiungere la platea cinese. La vera innovazione è nell’integrazione: lo stesso contenuto vive in modalità diverse su ciascun canale, seguendo il pubblico dove si trova.
Marina Salamon: Tutti i new media possono essere utilizzati positivamente, in particolare le organizzazioni non profit con cui collaboro hanno “imparato” a comunicare bene sui social media, ma non solo. Il crowdfunding, ad esempio, può generare raccolte fondi a scopo benefico meno costose delle campagne postali o telefoniche del passato, ma occorre saper realizzare e pubblicare video che raccontano un progetto suscitando emozioni e coinvolgendo i donatori.
Di recente, ho seguito su Instagram le cronache dello scavo di pozzi in Malawi da parte di Matteo Ferrari, un informatico che ha fondato un’associazione piccola ma molto efficace: li stimo da anni, ma stavolta era come se li stessi accompagnando.
Rosario Maria Gianluca Valastro: Facebook ci sta sicuramente dando molte soddisfazioni: siamo una delle poche realtà associative italiane che vedono crescere il proprio profilo su questo social. Ma siamo “open” e stiamo lavorando al fine di implementare tutti i nostri profili, su Instagram, X e Linkedin. Vogliamo sicuramente essere più presenti su TikTok: stiamo lavorando ad una review del profilo CRI perché crediamo che arrivare ai giovani sia fondamentale. Dalle loro idee, dalla loro freschezza, il nostro Volontariato può ricevere importanti stimoli per il futuro.
Dalla riflessione collettiva emerge con chiarezza un elemento trasversale: la comunicazione, oggi, non può più essere concepita come una funzione ancillare o meramente esecutiva, ma rappresenta un presidio strategico per la costruzione di legami solidi e durevoli. In un contesto in cui l’attenzione si conquista attraverso la coerenza, l’ascolto e la capacità di generare senso, è fondamentale che le organizzazioni adottino un approccio consapevole e integrato, capace di coniugare efficacia narrativa e rigore valoriale.
Coltivare la fiducia richiede tempo, cura e responsabilità: i nuovi media, se utilizzati con autenticità e visione, possono diventare strumenti preziosi non solo per informare, ma per ispirare, coinvolgere e mobilitare. La sfida non è più solo comunicare bene, ma comunicare con verità, ascoltando profondamente chi si ha di fronte e restituendo alla relazione con il pubblico il suo carattere più umano e trasformativo.
118 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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