Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 90. Innovazione Pop. Opinion Piece di Francesco De Santis

L’Opinion Piece di oggi è firmato da Francesco De Santis, un professionista che combina background filosofico e competenze strategiche. Laureato in filosofia teoretica all’Università di Torino sotto la guida di Gianni Vattimo, ha successivamente ampliato la sua formazione con studi di marketing e comunicazione presso l’Accademia di Comunicazione di Milano. Ha applicato le sue competenze in ambito UX nel settore finanziario, occupandosi della realizzazione di front-end e interfacce applicative.

L’ERMENEUTICA COME CHIAVE DEL POP MANAGEMENT NEL WEB DESIGN

Francesco De Santis

Sono grato a Marco Minghetti per avermi offerto l’opportunità di contribuire al dibattito. Mi trovo particolarmente in sintonia con quanto espresso nell’Opinion Piece di Prolegomeni 20 dove si afferma che il Pop Management non ricerca “testi ripuliti, ben confezionati, limati, frutto di accurato editing, ben costruiti in sequenza’, ma privilegia invece ‘i testi segnati da cesure, da discontinuità, inciampi, salti logici, pluralità di voci sovrapposte […] Lì sta la conoscenza latente, la ricchezza nascosta della narrazione.” Questo approccio epistemologico della community rasserena le intenzioni del mio contributo, mettendolo al riparo, nell’alveo della buona fede e lontano dal crisma dell’autorevolezza accademica: è una proposta che non ambisce a essere né risolutiva né esaustiva, ma che si sforza di offrire una chiave interpretativa nell’ambito della progettazione delle interfacce applicative.

La varietà del mio percorso formativo ha contribuito a sviluppare una prospettiva che integra diverse aree di studio permettendomi di proporre un approccio metodologico interdisciplinare. La varietà dei percorsi formativi mi ha permesso di scoprire connessioni innovative tra l’ermeneutica filosofica, lo Human-Centered Design[1] e le teorie manageriali contemporanee. Questo intreccio di discipline, apparentemente distanti tra loro, ha dato vita a un dialogo costruttivo, che apre nuove prospettive interpretative.

FONDAMENTI TEORICI E METODOLOGICI

La transizione dal Management Umanistico al Pop Management rappresenta una svolta paradigmatica, che richiede, non solo nuovi strumenti concettuali, ma un ripensamento radicale del modo in cui concepiamo l’interazione tra persone e sistemi organizzativi. L’ermeneutica filosofica offre un quadro teorico sorprendentemente attuale per interpretare e guidare questa transizione, fornendo strumenti concettuali che possono arricchire significativamente l’approccio dello Human-Centered Design.

Nel suo Verità e Metodo, Gadamer afferma che “l’essere che può venir compreso è linguaggio”[2]. Prendere in prestito questa intuizione assume una rilevanza notevole nel web design contemporaneo: ogni interfaccia digitale diventa effettivamente un linguaggio attraverso cui l’utente cerca di comprendere e interagire con il sistema. La prospettiva gadameriana si arricchisce ancora con il concetto di “fusione degli orizzonti”[3], che nel design delle interfacce si traduce nell’incontro tra l’orizzonte di comprensione dell’utente – formato dalle sue esperienze precedenti, competenze e aspettative – e l’orizzonte del sistema, con le sue possibilità e vincoli tecnici. La radicalizzazione dell’ermeneutica gadameriana, nel pensiero debole di Gianni Vattimo[4], offre una chiave interpretativa che già troviamo indipendentemente nel processo di definizione delle interfacce digitali, ma offre maggiore consapevolezza nel pensarle non più come strutture rigide ma come eventi di senso che si realizzano nell’interazione con l’utente. Questa visione, unita all’intuizione heideggeriana dell’interpretazione come attività costitutiva dell’essere umano[5], trova una pertinente applicazione nel design delle interfacce moderne, dove l’interpretazione diventa il fulcro dell’interazione uomo-macchina.

L’ERMENEUTICA COME METODOLOGIA DEL WEB DESIGN

L’applicazione dei principi ermeneutici al design delle interfacce richiede lo sviluppo di metodologie specifiche, che possano tradurre i concetti filosofici in pratiche concrete di progettazione. La nostra esperienza ha portato all’identificazione di quattro principi metodologici fondamentali che, integrati con l’approccio (direi all’epoca inconsapevole) del Pop Management, potenziano significativamente l’efficacia dello Human-Centered Design:

  1. La circolarità interpretativa gadameriana si traduce in un processo iterativo di design dove ogni soluzione viene continuamente validata attraverso il feedback degli utenti e/o il loro comportamento osservato. Questo principio si allinea perfettamente con la natura iterativa del design centrato sull’utente, ma aggiunge una dimensione di profondità interpretativa che va oltre la semplice usabilità e sembra adattarsi perfettamente nei contesti di ricerca di una User Experience e di una Customer Experience positive e complete.
  2. I concetti di stratificazione e di densità, definiti in alcune tra le più significative opere di Umberto Eco[6], permettono di sviluppare interfacce che possono essere “lette” a diversi livelli di profondità. Questo approccio consente di creare sistemi che si adattano naturalmente ai diversi livelli di competenza e alle diverse esigenze degli utenti, mantenendo al contempo una coerenza strutturale profonda.
  3. L’adattività contestuale, seguendo Merleau-Ponty[7], guida lo sviluppo di interfacce che si adattano dinamicamente al contesto d’uso e al livello di competenza dell’utente. La percezione, come ci ricorda il filosofo, non è una scienza del mondo ma lo sfondo sul quale tutti gli atti si staccano. Questo principio si traduce in interfacce che rispettano e si conformano al contesto operativo dell’utente.
  4. La narrazione pop, ispirata alla “democratizzazione” dell’esperienza estetica di Benjamin[8], integra elementi della cultura pop, per rendere l’esperienza più accessibile e significativa. Questo principio si rivela particolarmente efficace nel contesto del Pop Management, dove la complessità deve essere resa accessibile senza essere banalizzata (vedi Prolegomeni 23, di Francesco Gori).

LA TRADUZIONE RADICALE E IL PRINCIPIO DI CARITÀ INTERPRETATIVA NEL DESIGN

La fusione dei due concetti di traduzione radicale di Quine[9] e del principio di carità interpretativa di Davidson[10] offre una metodologia unificata per il design delle interfacce. Come il linguista che si trova di fronte a una lingua sconosciuta, il designer affronta la sfida di dover interpretare le esigenze degli utenti, guidato dal principio che “l’insipienza del nostro interlocutore, oltre un certo limite, è meno probabile della cattiva traduzione”[11]. Questo approccio si è rivelato particolarmente efficace nello sviluppo del nostro KPI dell’Usabilità.

IL KPI DELL’USABILITÀ: UN’APPLICAZIONE PRATICA DELL’ERMENEUTICA

La nostra esperienza nella creazione di un indicatore di usabilità rappresenta un caso concreto di applicazione dei principi ermeneutici al design delle interfacce: il gruppo di lavoro era composto da professionisti con background formativi e professionali molto diversi tra loro, il principio ispiratore del contesto era senza dubbio quello della collaborazione e della convivialità molto ben illustrato in Prolegomeni #79 di Marta Cioffi. Tra i membri figuravano ad esempio un collega ipovedente, alcuni ingegneri informatici, amministrativi del ciclo passivo il sottoscritto ed altri colleghi presi in “prestito” da altre aree professionali. Durante le sessioni di brainstorming, ognuno ha contribuito condividendo la propria esperienza e le proprie idee, nonostante occasionali momenti di tensione dovuti a posizioni considerate troppo rigide o sbilanciate su determinati metodi.

Una naturale propensione all’ascolto reciproco e alla carità interpretativa nell’ambito di un contesto lavorativo (decisamente quanto inconsapevolmente Pop)[12] hanno caratterizzato il clima delle riunioni  permettendoci di sviluppare un indicatore di usabilità che bilanciasse due aspetti fondamentali: il giudizio immediato ed emotivo dell’utente finale e la valutazione tecnica degli esperti. Questo duplice approccio è stato poi tradotto in una formula matematica che, seppur apparentemente complessa, ci ha consentito di valutare e classificare il nostro parco applicativo software, permettendoci di identificare quali applicazioni necessitassero di un rifacimento grafico-funzionale in base al punteggio ottenuto.

In conclusione, il gruppo è giunto alla condivisione di un principio fondamentale: nella valutazione dell’usabilità, l’esperienza dell’utente deve avere un peso maggiore rispetto alla pura efficienza operativa.

La formula  bilancia la soddisfazione soggettiva (S) con l’efficacia oggettiva (E).

La sintetizza questo equilibrio, dove:

  • La componente soggettiva (S) valuta l’esperienza interpretativa dell’utente, richiamando il concetto gadameriano di “fusione degli orizzonti”
  • La componente oggettiva (E) misura l’efficacia pratica, allineandosi con il concetto di “applicazione” (Anwendung)

I coefficienti di ponderazione (0.6 per S e 0.4 per E) riflettono la priorità data all’esperienza interpretativa dell’utente rispetto alla pura efficienza operativa, in linea con i principi del Pop Management.

UN FRAMEWORK VALUTATIVO INTEGRATO: UN’APPLICAZIONE DEL PENSIERO ERMENEUTICO

Il framework valutativo che abbiamo sviluppato integra profondamente i principi dell’ermeneutica filosofica di Gadamer e Vattimo nella valutazione pratica dell’usabilità ma non sarebbe venuto alla luce se durante il confronto nessuno di noi avesse indossato le “lenti” del Pop management…

La struttura del Kpi si articola in due dimensioni principali che riflettono il dialogo continuo tra interpretazione e applicazione.

Per la componente soggettiva (S_i), il framework si basa su quattro elementi chiave che incarnano i principi dell’ermeneutica gadameriana: la percezione immediata dell’interfaccia si fonda sul concetto di “precomprensione” (Vorverständnis) elaborato da Gadamer in Verità e Metodo. Questo principio riconosce che ogni interazione con un’interfaccia è preceduta da un orizzonte di comprensione preesistente, formato dalle esperienze precedenti dell’utente. Nel contesto del design, questo si traduce nella valutazione di come l’interfaccia dialoga con le aspettative intuitive dell’utente.

La familiarità con gli elementi dell’interfaccia invece si ispira al “pensiero debole” di Vattimo, in particolare alla sua interpretazione dell’essere come evento e della verità come apertura. Questa prospettiva ci permette di valutare come l’interfaccia si presenta non come struttura rigida ma come evento di senso che si realizza nell’interazione. L’approccio di Vattimo ci aiuta a comprendere come gli elementi dell’interfaccia possano essere interpretati in modo flessibile e contestuale. Il controllo e l’autonomia nell’interazione riflettono il concetto gadameriano di “applicazione” (Anwendung), dove la comprensione si realizza sempre in un contesto pratico. Questo aspetto valuta come l’utente riesce a tradurre la sua comprensione del front-end in azioni efficaci[13].

La risonanza emotiva con gli elementi visuali si collega alla concezione gadameriana dell’esperienza estetica come momento di verità, dove la comprensione non è solo cognitiva ma coinvolge l’intero essere del soggetto. Questo elemento valuta come l’interfaccia riesce a creare una connessione emotiva con l’utente.

Per la componente più squisitamente oggettiva, focalizzata sulla “valutazione esperta” (E_i)[14], il framework incorpora elementi quantitativi che, seguendo l’intuizione di Vattimo sulla “fine della metafisica” e riletto in chiave Pop, non sono considerati come verità assolute ma come indicatori interpretabili: l’efficienza operativa misura la capacità dell’interfaccia di facilitare il “dialogo” tra utente e sistema. Il tasso di successo valuta l’effettiva “fusione degli orizzonti” tra le intenzioni dell’utente e le possibilità del sistema. In questo modo la complessità dei percorsi riflette la “circolarità ermeneutica” nel processo di interazione e la necessità di supporto indica il grado di autonomia interpretativa raggiunto dall’utente.

Questo framework potrebbe rappresentare, non senza però una certa semplificazione, una sintesi operativa tra la profondità del pensiero ermeneutico e le esigenze pratiche della valutazione dell’usabilità, incarnando quello che Gadamer chiama il “dialogo vivente” tra teoria e pratica.

IMPLICAZIONI PER EVENTUALI SVILUPPI

L’integrazione dell’ermeneutica filosofica nel design delle interfacce attraverso il Pop Management potrebbe offrire:

  1. Una comprensione più profonda dell’interazione uomo-macchina come evento interpretativo
  2. Lo sviluppo di metriche che rispettino la complessità dell’esperienza utente
  3. La formazione di professionisti capaci di coniugare competenze tecniche e sensibilità interpretativa

CONCLUSIONI: L’ERMENEUTICA COME PONTE TRA TECNICA E SIGNIFICATO

L’approccio ermeneutico al design delle interfacce, filtrato attraverso la lente del Pop Management, potrebbe offrire una via per superare la tradizionale dicotomia tra efficienza tecnica e ricchezza interpretativa. Questa sintesi si realizza in tre dimensioni fondamentali:

  1. Metodologica: l’ermeneutica fornisce strumenti concettuali per comprendere l’interazione uomo-macchina come processo interpretativo continuo
  2. Pratica: il Pop Management permette di tradurre concetti filosofici complessi in pratiche di design concrete e accessibili
  3. Culturale: l’integrazione tra filosofia e design promuove una cultura dell’usabilità più consapevole e inclusiva

Il futuro del design centrato sull’utente si gioca proprio nella capacità di mantenere questo delicato equilibrio tra profondità ermeneutica e accessibilità popolare: l’eredità del pensiero di L’approccio ermeneutico di Gadamer e Vattimo, riletto attraverso il Pop Management, potrebbe offrire una chiave interpretativa per progettare interfacce che uniscono funzionalità e significato: il design diventerebbe così un processo di mediazione che realizza una “fusione degli orizzonti” coniugando le esigenze tecniche con la comprensione dell’esperienza utente, guidando lo sviluppo di soluzioni digitali più efficaci e autenticamente umane.

 

[1] Lo Human-Centered Design (HCD) è un approccio che pone le persone al centro del processo di progettazione. Parte dalla comprensione profonda delle esigenze, delle esperienze e dei comportamenti degli utenti attraverso la ricerca e l’osservazione diretta. In questo modo, si identificano i problemi specifici che gli utenti stanno affrontando. A questo punto, si generano idee e soluzioni creative che potrebbero risolvere questi problemi, e si sviluppano prototipi che possono essere testati dagli utenti. Il feedback raccolto viene utilizzato per migliorare e perfezionare le soluzioni. L’obiettivo finale è creare prodotti e servizi desiderabili, fattibili e sostenibili, che non solo risolvono problemi specifici, ma migliorano l’esperienza complessiva degli utenti. Cfr. W. Ding, X. Lin, M. Zarro, Information Architecture and UX Design, Springer, Berlin-New York 2025

[2] H.-G. Gadamer, Verità e metodo, a cura di G. Vattimo, introduzione di G. Reale, Bompiani, Milano, p. 965

[3] Nella costruzione teorica dell’ermeneutica di Gadamer, il processo di “fusione degli orizzonti” emerge come elemento cardine del suo pensiero. L’autore sviluppa nell’opera precedentemente citata questa intuizione descrivendo un dinamico incontro interpretativo: l’esperienza soggettiva del lettore, con il suo bagaglio di precomprensioni e aspettative, si fonde con il significato oggettivo racchiuso nel testo analizzato. La portata di questa intuizione teorica si è rivelata così feconda da varcare i confini dell’interpretazione testuale, diventando un paradigma metodologico sia per comprendere la natura dialogica del linguaggio, sia per esplorare le dinamiche di interazione tra sistemi culturali differenti e per analizzare comparativamente diverse correnti del pensiero filosofico.

[4] Il “pensiero debole” è una corrente filosofica teorizzata da Gianni Vattimo negli anni ’80 che propone un superamento della metafisica tradizionale e delle pretese di verità assolute. I punti chiave sono:

  1. Rifiuto delle strutture forti del pensiero e delle verità universali
  2. Interpretazione dell’essere come evento e non come struttura stabile
  3. Accettazione della molteplicità delle interpretazioni
  4. Valorizzazione dell’esperienza estetica e del dialogo
  5. Enfasi sulla natura interpretativa della verità

Il pensiero debole si contrappone alle filosofie “forti” della tradizione metafisica, proponendo un’ontologia del declino che accetta la frammentazione e la pluralità del reale. Si collega all’ermeneutica di Gadamer e al concetto di “differenza” di Heidegger.
Cfr. Vattimo Gianni – Rovatti Pier Aldo, Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 2010.

[5] Per Heidegger, l’essere umano (Dasein) non si limita a osservare passivamente il mondo, ma esiste sempre in un processo attivo di interpretazione. Questa attività interpretativa non è un’azione occasionale o secondaria, ma rappresenta la modalità fondamentale attraverso cui l’essere umano abita e comprende il mondo. L’interpretazione non è quindi un semplice strumento cognitivo, ma è la struttura stessa dell’esistenza umana. Ogni nostra comprensione della realtà avviene sempre all’interno di un orizzonte di senso pre-esistente (pre-comprensione), che viene costantemente rielaborato attraverso nuove interpretazioni. Questo circolo ermeneutico non è un limite alla conoscenza, ma la condizione stessa della possibilità di comprendere. Il testo fondamentale dove Heidegger sviluppa questo concetto è Essere e Tempo (Sein und Zeit, 1927), in particolare nella sezione 32 del capitolo quinto, dove l’interpretazione (Auslegung) viene analizzata come elemento costitutivo del comprendere (Verstehen).

In questo passaggio Heidegger scrive: L’interpretazione “non consiste nell’assunzione del compreso, ma nella elaborazione delle possibilità progettate nella comprensione (M. Heidegger, Essere e tempo, 1927, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970, p. 233): essa è appropriazione della comprensione, che, infatti, nell’interpretazione non diventa altra da sé, ma diviene sé stessa (ibidem).”

[6] Cfr. U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano 1975 e Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi, Torino 1984

[7] Cfr. La connessione tra il pensiero di Merleau-Ponty e l’adattività contestuale delle interfacce si basa principalmente sulla sua concezione della percezione e dell’esperienza corporea descritta in “Fenomenologia della Percezione” (1945): per Merleau-Ponty, la percezione non è un processo passivo ma un’attività in cui il corpo e l’ambiente si co-determinano continuamente. Il filosofo scrive: «Il corpo proprio e nel mondo come il cuore nell’organismo: mantiene continuamente in vita lo spettacolo visibile, lo anima e lo alimenta internamente, forma con esso un sistema.[…] La cosa e il mondo mi sono dati con le parti del mio corpo, […], in una connessione vivente paragonabile o piuttosto identica a quella intercorrente fra le parti del mio corpo stesso».(M. Ponty, Fenomenologia della percezione, trad. it. di Andrea Bonomi, Milano, Bompiani, 2005 (ed. or. Phénoménologie de la perception, Paris,Gallimard, 1945), pp. 277-279.

[8] Cfr. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, trad. it. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1966

[9] La traduzione radicale di Quine (introdotta in Word and Object, 1960) descrive il tentativo di tradurre una lingua completamente sconosciuta senza intermediari o riferimenti.

Esempio chiave: un linguista sente “gavagai” quando passa un coniglio. Potrebbe significare:

  • “coniglio”
  • “parte di coniglio”
  • “fase temporale di coniglio”
  • “animalità”

Implicazioni:

  1. Nessuna traduzione è univoca
  2. Le interpretazioni sono sempre incerte
  3. Esistono multiple traduzioni compatibili con le stesse evidenze comportamentali

Questo dimostra che il significato è sempre relativo al sistema linguistico e culturale, non esistendo significati oggettivi e determinati indipendenti dal contesto. Cfr. W.V.O. Quine, Parola e oggetto, trad. it. di F. Mondadori, Il Saggiatore, Milano 2008

[10] Il principio di carità interpretativa di Davidson stabilisce che nell’interpretare un linguaggio o un discorso dobbiamo assumere che il parlante sia generalmente razionale e dica cose vere secondo le sue credenze.

Esempio: se qualcuno dice “piove” guardando fuori dalla finestra, dobbiamo assumere che:

  • Stia effettivamente piovendo
  • La persona sia razionale
  • Comprenda il concetto di pioggia
  • Stia facendo un’affermazione vera secondo le sue credenze

Implicazioni:

  1. L’interpretazione richiede di massimizzare l’accordo tra interprete e interpretato
  2. Gli errori vanno attribuiti alla nostra interpretazione prima che alle credenze altrui
  3. La comprensione presuppone un terreno comune di razionalità

Questo principio è fondamentale per qualsiasi comunicazione significativa tra individui o culture diverse. Cfr. Davidson Donald, Verità e interpretazione, trad. it. di Roberto Brigati, Il Mulino, Bologna 1994

[11] L’affermazione di Davidson sottolinea che quando interpretiamo affermazioni apparentemente irrazionali o false è più ragionevole supporre un errore nella nostra traduzione/interpretazione piuttosto che attribuire ignoranza o irrazionalità all’interlocutore. Cfr. Quine, Parola e oggetto, cit., p. 79

[12] Nei vari assesment iniziali si respirava un anelito a quella intelligenza collaborativa i cui tratti possiamo rilevare nell’illuminante pezzo di Marco Minghetti Prolegomeni #34).

[13] Il concetto di Anwendung (applicazione) in Gadamer rappresenta un elemento costitutivo del processo ermeneutico, non una sua fase successiva. Derivato dall’ermeneutica giuridica e teologica, indica la mediazione necessaria tra l’universale (il testo) e il particolare (la situazione dell’interprete). La comprensione avviene sempre attraverso questa applicazione: comprendere significa attualizzare il significato in un contesto specifico, in un processo che fonde l’orizzonte del testo con quello dell’interprete. Come il giudice che interpreta la legge nel caso concreto, ogni comprensione è un atto di mediazione tra universalità e particolarità storica. Prendiamo ad esempio il caso della progettazione di un’interfaccia per un sistema di prenotazione medica. Il team UX sta sviluppando un form di prenotazione e incontra gli utenti (principalmente anziani) durante la fase di testing. Il concetto di Anwendung si manifesta quando:

Gli utenti mostrano difficoltà con la selezione delle date tramite calendario digitale;

Il team osserva che preferiscono esprimere disponibilità in termini più familiari (“la mattina presto”, “dopo pranzo”).

Applicazione dell’Anwendung:

Il team non si limita ad applicare le best practice standard (calendario dropdown)

Media tra l’universale (necessità di raccogliere data/ora precise) e il particolare (modalità espressive degli utenti)

Sviluppa un’interfaccia ibrida che:

  • Permette la selezione per fasce orarie in linguaggio naturale
  • Traduce automaticamente in slot temporali precisi
  • Mantiene il calendario come opzione secondaria

L’interfaccia finale emerge dalla fusione tra l’orizzonte tecnico dei progettisti e quello esperienziale degli utenti.

[14] La valutazione esperta (o Expert Review) nel campo dell’UX è un metodo di valutazione dell’usabilità dove esperti di User Experience analizzano un’interfaccia in base a principi consolidati di design e usabilità.

90 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO
62 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO LOTTO
63 – OPINION PIECE DI GIANLUCA BOTTINI
65– OPINION PIECE DI SIMONE FARINELLI
66– OPINION PIECE DI FRANCESCA ANNALISA PETRELLA
67– OPINION PIECE DI VALERIO FLAVIO GHIZZONI
68– OPINION PIECE DI STEFANO MAGNI
69– OPINION PIECE DI LUCA LA BARBERA
70 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: LA GRAPHIC NOVEL!
71 – LEADERSHIP POP. APOFATICA E CATAFATICA DELLA COMUNICAZIONE
72 – OPINION PIECE DI FEDERICA CRUDELI
73– OPINION PIECE DI MELANIA TESTI
74 – OPINION PIECE DI GIANMARCO GOVONI
75– OPINION PIECE DI MARIACHIARA TIRINZONI
76 – SENSEMAKING POP. LODE DELLA CATTIVA COSCIENZA DI SE’
77 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA CAPPELLO E ALESSANDRA MAZZEI
78 – OPINION PIECE DI JOE CASINI
79 – OPINION PIECE DI MARTA CIOFFI
80 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE PRIMA)
81 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE SECONDA)
82 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (NOTE A MARGINE)
83 – ENGAGEMENT POP. IL MANAGER INGAGGIANTE IMPARA DAI POKEMON
84 – ENGAGEMENT POP. DARE VOCE IN CAPITOLO
85 – ENGAGEMENT POP. COMUNICARE, VALUTARE, TRASFORMARE
86 – SENSEMAKING POP. MALATTIA MENTALE E BENESSERE PSICOLOGICO SUL LAVORO
87 – SENSEMAKING POP. FOLLIA O DIVERSITA’?
88 – OPINION PIECE DI LUIGIATAURO
89 – OPINION PIECE DI NILO MISURACA