Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 80 – Storytelling Pop. Verso il Pop Branding (parte prima)

Il Branding e il Marketing nella Società 5.0 (Hyper Smart Society): questo il titolo dell’evento Pop, condotto da me con Matteo Lusiani, che si  svolgerà il 26 febbraio dalle 17.00 alle 19.00 con light dinner a seguire, presso Google Italia in Via Confalonieri, 4 – Milano, gratuitamente ma  rigorosamente in presenza e a numero chiuso. Per iscriversi prima che i posti si esauriscano occorre compilare il modulo a questo link.

Una location davvero speciale per fare il punto sul Pop Branding, poiché, come ha scritto Marta Cioffi in Prolegomeni 79 «la cultura Pop non è solo un mezzo di comunicazione, ma un vero e proprio ponte capace di unire, creando connessioni che trascendono le generazioni, i ruoli e i confini organizzativi. Questo approccio, se abbracciato in modo autentico, può trasformarsi in una leva strategica per coinvolgere le persone, sia all’interno delle organizzazioni che nel loro dialogo con il mondo esterno, consolidando un senso di appartenenza e di comunità.

Oggi, è chiaro: parlare solo di prodotti non basta più. Il vero obiettivo dei brand è entrare nella vita delle persone, nei loro sogni, nelle loro emozioni, nei loro riferimenti culturali. Ma come riuscirci? Una strada possibile è imparare a parlare il linguaggio che le persone usano ogni giorno: quello della cultura Pop, fatto di meme, tendenze, musica, eventi sociali e riferimenti condivisi. I brand devono diventare compagni di viaggio nelle esperienze quotidiane.

Non si tratta più di lanciare un messaggio, ma di creare esperienze autentiche che parlino direttamente al cuore di chi ascolta. La Pop Communication non è una moda passeggera: è una vera e propria strategia che ha il potere di trasformare la quotidianità».

Per prepararci al meglio all’evento del 26 febbraio, ripartiamo dal contributo ai Prolegomeni al Manifesto del Pop Management di Luca Cavallini, Managing Partner di Arteficegroup e portavoce del Branding HUB di UNA, che sottolinea l’importanza dello Storytelling nel Branding contemporaneo. In particolare, mostra come le marche, attraverso narrazioni coinvolgenti, possano creare legami emotivi sia all’interno dell’azienda che con i consumatori. Luca cita l’esempio delle M&M’s per illustrare come una strategia di comunicazione efficace possa trasformare un prodotto in un’icona culturale, enfatizzando l’importanza di una proposta di valore unica (Unique Selling Proposition) nel posizionamento del brand.

In sintesi, Luca nel suo Opinion Piece indica la strada che porta a un ripensamento del Branding sulla base delle proposte portate dal Pop Management per costruire e mantenere relazioni significative tra le marche e le persone.

In che modo farlo, anche alla luce delle rivoluzioni tecnologiche in atto? Luca approfondisce queste tesi dialogando con:

Nello Barile, Pop Opinionist e docente di Sociologia dei Media e di Politiche per la cultura presso l’Università IULM

Wiebke Klaass, Marketing Director di Lactalis Italia

Matteo Lusiani, Pop Opinionist e autore del libro Il brand, raccontato. Cosa sono i brand e che ruolo hanno nelle nostre vite

Edoardo Morelli, Pop Opinionist e Responsabile Marketing di Telnet

Cristian Voltolini, Director of Global Brand Marketing and Communication di Dr. Schär.

Le loro riflessioni (di cui pubblicherò la seconda parte venerdì prossimo) saranno la base per la conversazione collaborativa che avverrà il 26 febbraio in Google Italia utilizzando lo stesso format messo a punto quando, qualche mese fa,  abbiamo approfondito il tema delle community d’ingaggio presso la sede Bip di Torre Liberty.

Luca Cavallini: Quali sono gli elementi Pop, sia in termini di strumenti sia in termini di valori veicolati dai contenuti, che rendono riconoscibile un brand?

Edoardo Morelli: Timenet, l’azienda che rappresento, opera in un settore che vive di continui colpi da parte dei grandi Brand. I mass media sono inondati di narrazioni che sfruttano la cinematografia per essere accattivanti, ma poi sviliscono il mercato. Un uso poco costruttivo di strumenti Pop in questo caso.
Parlo delle Telecomunicazioni. Quella connessione, Internet, che oggi è alla base di molte relazioni e di molti Business. Mercato al ribasso assimilato alle Utilities.  E oggi lo vediamo bene, vediamo come i top of mind inizino a integrare luce e gas vicino alla connessione Internet. Relegando così a una sempre più aspra guerra del prezzo un asset tecnologico fondamentale per la produttività della maggior parte delle aziende. Sminuendo il valore. Disincentivando l’innovazione.

Timenet in tutto questo trova il suo posizionamento grazie a un approccio che si radica nelle relazioni, nelle emozioni e nella volontà di generare soddisfazione per le persone.

Matteo Lusiani:  Il tema evocato da Edoardo ha una lunga storia. Negli anni Novanta i docenti di marketing Albert Muñiz e Thomas O’Guinn erano entrambi degli entusiasti possessori di una Saab e spesso venivano fermati da altri “saabisti” che gli facevano domande sulle loro automobili. Si resero conto che quella dinamica avveniva con altri brand, ad esempio tra i possessori di Macintosh, e che era la stessa dinamica che si instaura tra vicini di casa. Mentre si ritrovavano per bere un bicchiere di vino e mangiare insieme, coniarono un termine per descriverla: ≪brand community≫, che apparve per la prima volta sul Journal of Consumer Research nel marzo del 2001. Pochi anni dopo, con la nascita del web 2.0, il concetto si rivelò molto più vasto di quanto inizialmente immaginassero.

Nasce con Muñiz e O’Guinn un’idea oggi alla base del Branding: un discorso di marca non è un discorso a tu per tu, ma collettivo.

Nel mio piccolo cerco di alimentare questo discorso con un podcast, un libro e una newsletter che trattano il Branding non con l’approccio di ≪insegnare≫ qualcosa, ma di ≪raccontare≫ e di sentirsi parte di una conversazione collettiva su cosa sono e che ruolo hanno i brand.

Cristian Voltolini: La capacità di attenzione di ognuno di noi è una risorsa finita. Siamo consapevoli di dover lottare per ottenere quell’attenzione da parte dei nostri consumatori, e non solo rispetto ai competitor dell’industria food, ma anche contro, ad esempio, Sinner e Beyoncé.

E quindi li catturiamo coinvolgendoli e facendoli passare dal ruolo di meri spettatori a quello di co-creatori. In questo meccanismo sono spesso proprio i consumatori a intessere conversazioni tra loro, a chiedere e rispondere. Il brand fa da frame, da “casa”. Occorre saggezza: non ci poniamo in posizione dominante, ma ci mettiamo a servizio di tutti, in modo da garantire il diritto alla qualità del cibo e quindi della vita.

La community è centrale per noi: la sosteniamo con strumenti come lo Schär Club Loyalty Program e la valorizziamo anche tramite lo sviluppo di conversazioni istantanee tra l’utente e noi, reso possibile dall’Exprience Center.

Misuriamo anche il sentiment, di quelle stesse conversazioni, con strumenti di social listening e sviluppiamo relazioni one to one con la marketing automation.

Wiebke Klaas: Mi collego a quest’ultima osservazione di Cristian per ricordare che i brand in passato diventavano forti quando in grado di offrire una indiscutibile componente di servizio (qualità) e questo era sufficiente per ottenere fiducia e riconoscibilità, unitamente ad approcci di comunicazione informativi e non interlocutori.

Nel tempo le esigenze e aspettative sono cambiate: dai brand ci si aspetta un rapporto peer to peer. questo vale nella relazione consumer quanto con gli interlocutori di business: i veri ambassador che danno vita ai brand sono le persone che si relazionano con il brand stesso in tutte le sue forme (dall’azienda, al dipendente, al consumatore).

La nostra evoluzione strategica ha conosciuto e riconosciuto queste dimensioni, lavorando per creare non solo delle “motivazioni di acquisto” ma anche dei momenti di condivisione e convivialità (ricette) e momenti di abbattimento dei silos in ambito manageriale (condivisione, interlocuzione)

Nel nostro caso, la riconoscibilità del brand deriva dal prodotto unito alla capacità di vicinanza e quotidianità pop, per i manager che fanno parte dell’azienda e per i consumatori che ci riconoscono valore emozionale e famigliare.

Nello Barile: Volendo sintetizzare, potremmo dire che dalla seconda metà degli anni Novanta, i linguaggi della pubblicità vivono una svolta radicale. Dalle formule puramente seduttive, spettacolari e affabulatorie, si passa infatti a una nuova sensibilità che cerca a ogni costo un rapporto più diretto e meno mediato con il consumatore/spettatore.

Le marche scendono dal piedistallo su cui erano salite nel corso dei decenni precedenti e assumono linguaggi molto più amichevoli, confidenziali, empatici. La grande rivoluzione tecnologica del web veicola con sé un grande paradosso. Non ci si accontenta più di stupire il pubblico grazie a «effetti speciali e colori ultravivaci» (come recitava un vecchio spot) ma si sviluppa una serie di strategie che mirano tutte a stipulare un nuovo contratto con il consumatore, con il suo mondo, con la sua esperienza.

Nell’epoca delle marche globali, così, la pubblicità è costretta a mettere in discussione se stessa e va costantemente alla ricerca di un valore che non si può produrre all’interno del perimetro delle aziende: l’autenticità. Negli anni Novanta difatti si diffonde una sorta di sguardo antropologico grazie non solo ai divulgatori, ma anche ai media (i reality), alla connettività complessa (il mondo a casa nostra), alla necessità politica di comprendere e valorizzare la diversità (etnica, generazionale, sessuale ecc.).

I nuovi marketing cercano un contatto diretto con il singolo consumatore, con il suo gruppo, con il network ristretto o diffuso in cui è calato, con il suo contesto esperienziale. In altri termini, tutti i nuovi marketing usano strategie progettuali e comunicative basate sul valore chiave dell’autenticità.

Parole Chiave: convivialità, empatia, autenticità, co-creazione

Luca Cavallini: In che modo il brand si differenzia dai competitor? Quali sono gli asset di marca distintivi? Quali strategie creative adotta?

Cristian Voltolini: Schär è fatto con il meglio di noi. E questo non è un modo di dire, ma la realtà, resa visibile nella campagna globale andata in onda quest’anno anche in Italia, a cui i nostri collaboratori hanno partecipato in veste di attori, nei loro ruoli lavorativi.

L’obiettivo che ci poniamo è quello di mantenere una forte coerenza valoriale e sostanziale, non solo o non per forza formale, in tutti i nostri asset e touchpoint, così che la personalità del brand esca ogni volta rafforzata e sempre più solida.

Nei nostri esercizi di marca cerchiamo la “Verità detta bene“, volendo fare una citazione colta. I nostri consumatori ci scelgono anche perché sono fieri di ciò che il brand rappresenta per loro: il pioniere del gluten-free che ha saputo intercettare i bisogni di una nicchia, che ha sviluppato non solo un incredibile portfolio prodotti, ma soprattutto un modo di essere.

Schär è un marchio capace di attivazioni bold tanto quanto i big player del mercato convenzionale, conservando la sua cura per il core target.

Edoardo Morelli: Anche la marca Timenet si radica non solo nel ricercare il successo al di fuori delle performance, ma proprio nel mantenimento della promessa principe, quella della soddisfazione.

Il processo di sviluppo di soddisfazione si rifà alla psicologia, di fatto siamo sempre umani che interagiscono con umani. La persona costruisce sulla base dei messaggi un’aspettativa di risultato. Se il risultato è conforme all’aspettativa si genera soddisfazione ma, come si fa con tutti i KPI, chi gioca con grinta mira a superarli. Ecco, in termini di soddisfazione dove si supera l’aspettativa si genera il cosiddetto effetto WOW. Qui un grande punto di differenziazione: dove tutti promettono giga e velocità Timenet promette soddisfazione e fa di tutto per superare quel KPI puntando all’effetto WOW.

Sostenere questo tipo di asset può sembrare semplice da proporre; nasconde dietro una capacità e volontà d’investimento molto importanti.

Il solo reparto assistenza conta molte persone altamente formate, è il reparto più grande di tutta l’azienda.
L’infrastruttura tecnica traina gli investimenti ogni anno per poterla realmente definire “allo stato dell’arte” e implementare sempre nuovi servizi che aggiungano valore ai servizi di connettività e fonia.
Perché il cliente (o il rivenditore) fa WOW quando trova persone che rispondono in modo coerente con i valori in modi trasversale, cross-reparto, su tutti i fronti.
Chiamare l’assistenza di un Operatore Telefonico è un’esperienza comunemente triste sul mercato, diciamocelo. Fare la differenza vuol dire avere al telefono persone competenti, comunicativamente formate, empatiche; in grado di guidare verso la risoluzione chi dall’altra parte non dovesse avere alcuna capacità tecnica. Empatia, accoglienza e pazienza proposte in un mondo dove sono merce più rara diventano un asset incredibile, fatto di formazione e training di ogni persona in azienda.

Il valore umano come mantice per pompare aria in una macchina dal funzionamento altamente tecnologico.

Wiebke Klaas: Anche noi negli anni abbiamo lavorato per sostenere la nostra distintività.

La fiducia che negli anni ci è stata riconosciuta è un asset importante e va conquistata e costantemente confermata (mai data per scontata!) attraverso competenza, coerenza, comprensione dei trend, ascolto dei bisogni.

Investiamo in dati, ricerche e osservazione per non deludere mai i nostri consumatori.

Abbiamo una attenzione maniacale alla qualità dei prodotti e alle ricerche consumatore per validare le nostre convinzioni e ricette.

Ci differenziamo essendo noi stessi e lavorando per costruire relazioni con il consumatore e con la comunità manageriale, con delle strategie creative  in grado generare vicinanza e conferma dei valori che ci rappresentano e che in maniera autentica rappresentino i cittadini.

Edoardo Morelli: Esatto, i valori sono centrali, ma vanno vissuti con autenticità.  Quelli di Timenet sono: Gentilezza, Fiducia, Rispetto, Responsabilità, Empatia.

E, a scanso di facili illazioni, la gentilezza sta là da tempo immemore. Lo preciso giusto per il momento storico. Sono un sostenitore della gentilezza a cui non piace quando diventa un lustrino.

Ma, dicevamo: i valori di Timenet. Il punto è “radicarli”, mi piace usare questo termine. Far mettere loro radici. Permettere che lo facciano spontaneamente e agevolare questo processo.
Radicare la gentilezza è una cosa complessa. Presuppone che a partire dai vertici ci sia un atteggiamento aperto, d’animo e nel dialogo. Presuppone che si faccia correre una formazione alla comunicazione efficace attraverso tutti i reparti e le persone in azienda. Presuppone che il primo punto di contatto, le risorse umane, faccia ottimo lavoro di selezione per capire se le persone sono propense ad accogliere lo “stile Timenet”. Gentilezza alla fine, in azienda null’altro è che disponibilità all’ascolto e al confronto costruttivo; la volontà di mantenere un clima aperto, disteso e propenso al reciproco aiuto.

Fiducia. La radichi con gli investimenti. Se sei un’azienda ti fidi del tuo operatore per due motivi principali: la connessione Internet funziona, se hai un problema viene risolto velocemente.
Questo lo ottieni con infrastrutture tecniche evolute e monitorate costantemente e con la formazione delle persone.

Non essendo un brand mainstream viviamo di fiducia. Raggiungiamo il rivenditore che sperimenta la nostra bontà tecnica e affidabilità. Lui si fida e trasferisce la sua fiducia ai suoi clienti.
Viviamo di fiducia trasferita. Dobbiamo fabbricare fiducia in quantità costantemente.

Rispetto, lo radichi diffondendo metodo, quindi ancora formazione. L’approccio Marketing e Commerciale deve essere etico. Ancora una volta la promessa deve essere rispettata. Gli asterischi devono essere messi per aiutare il cliente a capire, non per nascondere.
In alcuni casi i clienti si stupiscono per aver ricevuto quello che hanno chiesto “e basta”.
Niente contratti che si modificano a sorpresa unilateralmente.
Niente servizi aggiuntivi inaspettati ma “erano nel pacchetto acquistato”.

Infine, so che il mio cliente è un’azienda e rispetto il suo obiettivo primario che è produrre. Costruisco progetti tecnici basati su questo e non su quanti giga oggi ti posso vendere un tanto al chilo.

La responsabilità la radichi con la solidità economica e con un atteggiamento finanziario oculato. In casi in cui ti capita di accollarti la responsabilità di qualche disservizio o di qualche momento storico avverso, devi avere la liquidità per poter dire “me ne prendo la responsabilità e intervengo economicamente”.
Due esempi su tutti: in tempo di COVID, dove molte aziende sono andate in difficoltà, Timenet ha potuto “fare da polmone” sospendendo le fatturazioni e dilazionandole poi nel tempo.
L’azienda ha potuto continuare a sostenere i costi alleggerendo i propri clienti che ne facessero richiesta.

Responsabilità anche verso i dipendenti. Nel 2023 è stato istituito un fondo di un milione di euro per rilevare i crediti dei Superbonus 110 dei dipendenti. Per chi si ricorda in quel periodo avevano smesso anche le banche di rilevarli e l’azienda è intervenuta.

L’empatia è una cosa particolare e ne ho parlato anche nel mio Opinion Piece  che fa parte dei Prolegomeni al Manifesto del Pop Management, riprendendo il concetto esposto da Marco Minghetti in Prolegomeni 13. L’empatia utile è quella che ti fa tenere le antenne dritte sui bisogni. I bisogni dei dipendenti, dei rivenditori e dei clienti.
Fatti gli esempi sopra, credo si comprenda lo sforzo per sostenerla, perché posso fare attenzione quanto voglio ma devo avere poi i mezzi per intervenire a sostegno. Altrimenti l’empatia diventa un esercizio di stile. Un’azienda che fa business e vuole radicare i suoi valori deve poterli tradurre in azioni.

Non credo ci sia strategia creativa in grado di competere sul lungo periodo con un forte radicamento dei valori tradotti poi in azioni.

L’azione creativa più dirompente nel settore è stata sbarcare con un tono di voce molto giocoso.
Al tempo il valore del gioco compariva tra i valori. Oggi sono stati razionalizzati un pelo ma continuerete sempre a vederci giocare. E in un settore come il nostro, persone che si comportano e parlano così fanno un sacco di rumore.

Ricordo che si parla di un’azienda non enorme, con budget che certo non prevedono gli spot TV.

Ma questa strategia ci ha permesso di traghettare con continuità di crescita organica dagli 8 milioni circa del 2018 ai quasi 14 milioni stimanti per la chiusura del 2024 con EBITDA che si aggirano intorno al 17 / 20%. persone.

Matteo Lusiani: A proposito di dati. Nell’ultima edizione di Intersections, nel novembre 2024, Kantar ne ha diffuso alcuni, molto solidi, da cui emerge che la differenziazione influisce relativamente poco sul fatturato (pesa solo per il 20%), ma è il principale fattore che incide sul profitto (49%, dato che per ll’Italia sale fino al 56%) e sulle previsioni di crescita (45%, come la significatività).

Differenziarsi, insomma, è fondamentale per avere successo sul medio-lungo periodo.

Ma differenziarsi da chi? Oggi non sempre è facile capire chi è il tuo concorrente. Pensiamo al vino: chi produce lo stesso vino è un rivale o una risorsa? La strategia vincente è considerarlo una risorsa: molto meglio unirsi per far conoscere il nome del vino (come ha ben fatto il comparto del Prosecco, ad esempio), che puntare a essere i migliori produttori di un vino poco conosciuto.

Parole Chiave: valori del brand, differenziazione, distintività coerenza valoriale, la verità detta bene, fiducia

Luca Cavallini: Nel caso del tuo brand, sapresti individuare in cosa consiste la sua unicità e come la “incorpora” il prodotto o servizio che vendi? In che modo il prodotto/servizio del tuo brand attiva pratiche di co-creazione del valore o, nel linguaggio del Pop management, attiva l’Intelligenza Collaborativa delle persone cui si rivolge?

Wiebke Klaas: In un contesto di mercato frammentato dove la domanda – per estremo – è spesso guidata dalle categorie di appartenenza piuttosto che dalla marca, il nostro brand “collabora” con i consumatori attraverso la sua identità valoriale e con un pragmatica offerta in grado di soddisfare le esigenze di tutti:

– la presenza e capillarità dei brand storici

– l’innovazione per rispondere alle nuove esigenze.

Tutto questo consente di confermare l’unicità del nostro brand in un modo “antico” ma anche “contemporaneo”, confermando e creando valore e vicinanza.

La vicinanza attiva trasparenza e Intelligenza Collaborativa, incrementando fiducia reciproca.

Questo – unitamente a creazione di community, eventi, CRM, volontà di ascolto – fonda basi e sviluppo di un sistema totalmente integrato e virtuoso

Nello Barile: Wiebke ha toccato un punto chiave.

La “collaborazione” è un concetto chiave delle più recenti strategia di brand communication che si declina in varie modalità. Come ad esempio quella tra brand e “selfbrand” (Barile 2017) di influencer o creator che, grazie ai loro account popolati da un gran numero di follower, hanno teoricamente “maggiori probabilità di attirare l’interesse dei consumatori” (De Veirman et al., 2017). I loro post di solito assumono la forma di immagini o video, inclusi contenuti incorporati e descrizioni di testo.

Tale operazione non è sempre efficace, perché implica un problema di credibilità, una risorsa rara, intangibile e facilmente deteriorabile nel mondo della comunicazione. Come nel caso della street credibility per i brand di street-wear, in questo caso la credibilità è l’abilità di affermare la propria immagine senza che venga troppo inficiata dalle tipologie di prodotti che si promuovono.

Questo perché, mentre nella dinamica del testimonial è palese il rapporto contrattuale e prestazione della celebrity, mentre lo è un po’ meno nel caso del celebrity endorsement, diventa addirittura problematico nel caso degli influencer o dei creator che sono seguiti più per le loro caratteristiche umane, che non per la competenza e la prestazione.

Secondo Rees-Robert (2020) la cosiddetta economia degli influencer, acquisisce particolare spessore nella fase successiva all’espansione dei branded content, con l’estensione dello storytelling alla dimensione quotidiana, che diventa pertanto dominante nella definizione dei linguaggi e dei contenuti. Purtroppo, il modo in cui spesso i contenuti esperienziali vengono “confezionati” dagli influencer ricorda il concetto di “tecnosculptoring” (Lovink 2010) o di “selfpackaging” (Siegel 2008), ovvero da un lato la capacità dei social di “plasmare” le identità online, dall’altro la capacità di “confezionare” le identità trasformate in veri e propri prodotti.

Molto spesso le stories su Instagram sono questo: l’inserimento di contenuti esistenziali quotidiani in format prestabiliti o estrapolati dall’immaginario Pop più diffuso. Che si tratti di brevi campionamenti di brani musicali (come ad esempio Disaster di KSLV o Do it to it diventato una “challenge” su Tik Tok), oppure sketch di comici conosciuti, o semplici espressioni di cultura popolare, tutto può essere campionato e reinterpretato dall’utente (e dall’influencer di turno) nel suo quotidiano. Si tratta di un “lavoro immateriale” (Rocamora 2018) che mette in scena elementi emozionali, relazionali ed esperienziali (Barile 2017), al fine di comunicare il valore dell’autenticità, sempre più osannato dal marketing.

Un’altra forma di collaborazione più recente è quella tra brand e creativi che utilizzano piattaforme di AI generativa per realizzare campagne comunicative ad alto contenuto di innovazione. Come ad esempio la campagna per il 20° anniversario di Revolve, chiamata “Best Trip” e realizzata in collaborazione con Maison Meta che fonde la tecnologia con l’analisi delle tendenze emergenti nel settore della moda. Revolve ha lanciato diversi cartelloni pubblicitari lungo l’autostrada in direzione di Palm Springs, dove si è svolto il Coachella Festival. Cosicché la campagna ha acquisito grande visibilità presso i partecipanti al festival, gli influencer, e gli appassionati di moda. La campagna ispirata alla fantascienza di tipo psichedelico dal sapore nostalgico e vintage, usa l’AI generativa per ricreare il senso di una vecchia foto, un’immagine degli anni ’60. Questo è un altro modo di utilizzare l’Intelligenza Artificiale per trasformare la categoria psichedelica del “bad trip” in uno slogan positivo e più produttivo

Secondo Stefano Troilo e il suo Opinion Piece, semplificando al massimo, la comunicazione aziendale è Pop quando si rivolge a un pubblico ampio – per promuovere prodotti e servizi, ovviamente – ma attraverso una storia che, come quella delle canzoni, sia connotata di modernità e di coinvolgimento emotivo. Per toccare le corde del target, la comunicazione deve collocare il prodotto o il servizio al centro di una narrazione in cui il consumatore possa riconoscersi senza sforzo. Dunque, sarà qualcosa di relativamente breve, dai 5’’ degli spot web al minuto degli “spot kolossal” che fanno leva sull’emozionalità dello storytelling. In ogni caso, la storia da raccontare sarà contemporanea, oppure riconducibile al vissuto del pubblico-target.

Luca Monaco, in riferimento all’applicazione del transmedia storytelling al marketing e alla comunicazione di brand, utilizza l’espressione “Transmedia Branding”, per la quale Tenderich e Williams propongono la seguente definizione: “un processo in cui elementi costitutivi di un brand sono dispersi sistematicamente su molteplici canali, per creare un’esperienza unitaria e coordinata, in cui ogni medium apporta il suo contributo originale allo svolgersi della storia”. La narrazione diventa transmediale quando il brand si trova a veicolare la propria storia attraverso un ecosistema narrativo composto da tutti i canali che ha a disposizione.

Edoardo Morelli:  La sintesi di Nello mi offre l’opportunità di approfondire la nostra case history. Perché a un certo punto, intorno al 2018, c’è stata per noi una vera e proprio ufficializzazione della USP. Ricordiamo che si parla di connessioni Internet e di Telecomunicazioni. Mondo altamente inflazionato e intangibile.
Ti arrivano un modem e un router, il tecnico li collega e “tu navighi su Internet”. Ci siamo fin qui?
L’esperienza utente è, in questo momento, la stessa di chi apre il rubinetto dell’acqua o accende il fornello del gas piuttosto che una lampadina. L’utente perde visione di quello che sta dietro alla sua esperienza.

Se tu compri una Coca-Cola o una Pepsi quantomeno sperimenti da subito un diverso sapore. Il primo e minimo stimolo è da subito diverso, anche senza parlare della comunicazione di massa che viene proposta sui vari media con budget astronomici.

Ma quando tu navighi non sperimenti un sapore. Finché non navighi male. Badate bene, lungi da me affermare che le connessioni Internet Timenet sono infallibili. Ci sono dinamiche di rete di distribuzione territoriale che sono le stesse per tutti gli Operatori. Quindi in molti casi Timenet si troverà ad avere gli stessi problemi di qualunque suo collega.

Ecco, precisamente in questo punto possiamo fare la differenza e testimoniare la nostra USP: la soddisfazione. Qualunque nostra azione si basa sulla soddisfazione del Cliente. Non vogliamo fornire la fibra più veloce, il testimonial più accattivante o fare le corse con le auto.
I nostri processi vogliono generare “clienti soddisfatti”. Vendiamo soddisfazione prima di vendere connessioni Internet.
Lo facciamo in 3 fasi.
Fase 1: le persone: non abbiamo venditori da assalto né agenzie commerciali. La rete di distribuzione è composta da rivenditori molto tecnici che, spesso, già seguono i clienti per la loro infrastruttura informatica interna. Con Timenet il rivenditore può gestire anche l’infrastruttura esterna che porta fino a Internet grazie a tutti gli strumenti che gli mettiamo a disposizione, gli stessi che usa la nostra assistenza.

Qui, con la rete dei rivenditori, co-creiamo valore su tutti i fronti: valoriali e tecnico-operativi.

Dove il cliente abbia al suo IT-manager interno, con competenze adeguate, possono avere a disposizione a loro volta gli stessi strumenti: ancora una volta stiamo co-creando valore con il cliente. Spesso gli interventi tecnici vengono fatti in tandem, i nostri tecnici e quelli dei rivenditori o dei clienti agiscono in modo congiunto. Questa collaborazione genera un risultato importantissimo, la velocità di risoluzione. Qui la soddisfazione diventa massima.

Fase 2: il monitoraggio. Come raccontato in precedenza tutti gli interventi di assistenza vengono recensiti dai clienti e dai partner rivenditori. Tutto viene cristallizzato da Blockchain e reso pubblico sul portale web soddisfazione.timenet.it. Recentemente abbiamo iniziato anche a storicizzare e mostrare i dati di efficienza nei tempi di risposta telefonica dell’assistenza tecnica, nei tempi di presa in carico dei ticket (presa in carico vuol dire che un tecnico ha lavorato, non che c’è la prima riposta di presa in carico) e il tasso di up-time dell’infrastruttura.

Un modo per noi di testimoniare la volontà di generare soddisfazione e i valori tutti, alla ricerca della massima condivisione trasparenza possibile tra noi, i rivenditori e i clienti.

Innescando questo tipo di relazione, con il tempo, si crea una naturale propensione alla co-creazione di valore.

Ti accorgi di esserci riuscito quando ascolti dai tuoi clienti frasi di questo tipo: “con voi so di avere accanto persone che si interessano ai miei problemi”, “so di potervi delegare cose che fino a ieri erano una mia preoccupazione mentre oggi le gestite direttamente voi”, “so di potervi chiamare e trovare sempre persone disponibili, anche quando io sono nervoso”, “Gabriele riesce sempre a trovare un modo per darmi una mano”.

Ho aggiunto l’ultima frase perché i nomi hanno un valore, non solo in psicologia. Poter chiamare l’assistenza del tuo Operatore e poter parlare sempre con le stesse persone è un valore enorme a livello relazionale.
In caso di clienti iper-strutturati ci sono proprio dei responsabili di progetto. Gestiamo per esempio le infrastrutture dei punti vendita a marchio di un retail nazionale di gioielli molto importante. Avere una persona che costantemente ne gestisce le vicissitudini è fondamentale per poter avere sempre la risposta pronta per ogni esigenza.

Fase 3: la verifica. Ci sono, come ovvio, casi in cui la soddisfazione non si raggiunge e i motivi possono essere i più svariati. Si possono fare errori o possono intervenire cause di forza maggiore. La differenza qui si fa ricontattando il cliente scontento, parlandoci e capendo cosa non è andato bene.
In molti casi le capacità comunicative di chi chiama ribaltano lo stato d’animo del cliente. Parlando comprende il valore e l’intenzione di quel momento, si apre e, per quanto possa sembrare paradossale sarà probabilmente più fedele di uno che non ha ma avuto problemi. Il Marketing ha un sacco di letteratura che testimonia questo fenomeno. Un cliente insoddisfatto al quale vengono prestate efficacemente assistenza e sostegno si fidelizzerà ancora di più di un cliente al quale non è mai successo niente.

Dove il prodotto non si tocca, l’esperienza diventa centrale e le persone sono animali sociali, nonostante si dica che stiamo sempre più isolando troviamo sempre piacere nel ricevere accudimento e attenzioni derivanti da relazioni umane.

Matteo Lusiani Se gestire un brand è un atto di co-creazione, la consulenza sulla gestione di un brand è una sorta di co-creazione al quadrato. In questa continua conversazione dove il pubblico ha voce in capitolo nel discorso di marca, perdersi è semplicissimo. Per mantenere la direzione, l’aspetto fondamentale è decidere cosa può essere co-creato e cosa invece no, perché è parte dell’identità di marca e non è negoziabile con il pubblico.

Il segreto di ogni grande brand è conoscere sé stesso, il proprio carattere, il proprio stile, i propri valori. Questo è frutto di un atto di co-creazione interna al brand, ma il risultato è qualcosa che va tenuto fuori dalla conversazione con il pubblico: è premessa e contesto di quella conversazione, ma non oggetto. Il messaggio è: se credi in quello in cui crediamo noi siamo felici di accoglierti; se non ci credi, allora non siamo il brand giusto per te e tu non sei il cliente giusto per noi.

In un certo senso l’≪unicità≫ dei miei servizi sta in questo: aiutare i brand a capire quali sono gli elementi che cambiano e quali no, per comprendere meglio chi sono.

Cristian Voltolini: Nel mio caso, la missione aziendale – migliorare la vita delle persone con specifiche esigenze alimentari – definisce una strada aspirazionale che il brand Schär percorre miglio dopo miglio, non solo attraverso i prodotti, ma anche grazie al coinvolgimento dei consumatori, al fatto che li trasportiamo nella nostra realtà perché la possano fare un po’ loro e restituircela evoluta.

Soprattutto quest’ultima cosa, nel mondo veloce di oggi, in cui il funnel non è più quello tradizionale, è importante. Come si dice negli sport corpo a corpo, è necessario accettare l’ingaggio da parte dei brand lovers per entrare nella fase di co-creazione, che valorizza l’esperienza e la specificità individuale a beneficio della comunità.

Parole Chiave: USP, co-creazione, Intelligenza Collaborativa, creare valore e vicinanza, coinvolgimento emotivo

80 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO
62 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO LOTTO
63 – OPINION PIECE DI GIANLUCA BOTTINI
65– OPINION PIECE DI SIMONE FARINELLI
66– OPINION PIECE DI FRANCESCA ANNALISA PETRELLA
67– OPINION PIECE DI VALERIO FLAVIO GHIZZONI
68– OPINION PIECE DI STEFANO MAGNI
69– OPINION PIECE DI LUCA LA BARBERA
70 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: LA GRAPHIC NOVEL!
71 – LEADERSHIP POP. APOFATICA E CATAFATICA DELLA COMUNICAZIONE
72 – OPINION PIECE DI FEDERICA CRUDELI
73– OPINION PIECE DI MELANIA TESTI
74 – OPINION PIECE DI GIANMARCO GOVONI
75– OPINION PIECE DI MARIACHIARA TIRINZONI
76 – SENSEMAKING POP. LODE DELLA CATTIVA COSCIENZA DI SE’
77 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA CAPPELLO E ALESSANDRA MAZZEI
78 – OPINION PIECE DI JOE CASINI
79 – OPINION PIECE DI MARTA CIOFFI