Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 75 – Sensemaking Pop. Opinion Piece di Mariachiara Tirinzoni

Ricercatrice, coordinatrice marketing e comunicazione, Mariachiara si occupa di strategia delle tecnologie emergenti in particolare dal punto di vista della comunicazione e dell’etica, lavorando anche per lo sviluppo di eventi tecnologici e di innovazione.

È inoltre autrice, leader della community Creative Mornings Milan e co-fondatrice di Eva In Rosso APS associazione per la promozione della salute e della parità di genere attraverso collaborazioni con interlocutori pubblici e privati e iniziative come Il Festival del Ciclo Mestruale.

Nel suo contributo stila le linee guida di un’etica della generosità: perfetta introduzione alla tre giorni dedicata a Ethical HR, nell’ambito della quale  (il 25 gennaio) avrò l’opportunità di parlare di etica e nuovi linguaggi Pop, leggendo una scelta di poesie tratte da Nulla due volte. Il Management attraverso la poesia di Wislawa Szymborska.

Human prompting: per un’etica della generosità in comunicazione

Mariachiara Tirinzoni

Il potere di parlare

La parola è uno strumento tra i più potenti a disposizione degli esseri umani, un mezzo che, lungi dal servire puramente a trasmettere informazioni, è tassello fondamentale nella costruzione di identità e relazioni, nella configurazione dei processi, nell’evoluzione dei progetti, nel creare e condividerne la storia. Se in linguistica il valore performativo di una parola è legato in modo specifico al suo uso, al suo descrivere un atto nel momento in cui accade, facendolo proprio accadere (pensiamo a una promessa, “prometto di”), nella nostra quotidianità di esseri costantemente in relazione sono molti i modi in cui con le parole, per dirla un po’ liberamente con il teorico degli atti lingusitici J. L. Austin[1], facciamo le cose.

Dello specifico del raccontare storie, poi, si può parlare come di una delle nostre tecnologie più avanzate: siamo animali che vivono[2] di storie e il nostro istinto di narrare[3] ci permette, nel bene e nel male, di manipolarci reciprocamente, di riempire con ipotesi, fantasie e visioni i vuoti di un mondo complesso, ma anche di testare futuri possibili e lavorare sulle nostre identità. C’è un rapporto tra raccontare ed essere che va ben al di là di qualunque finzione narrativa.

Non solo. Di racconto, e di comunicazione in generale, si parla ampiamente a proposito delle loro funzioni nel business e nel marketing: un’attenzione che si muove curiosa, sebbene sulla difensiva, in un mondo dominato da mille nuovi modi di fruire ma anche di raccontare storie e da un accesso semplicissimo a strumenti specialistici o a loro apparenti sostituti (pensiamo alle AI generative). Si fa quindi attenzione al contenuto della comunicazione, alla sua efficacia persuasiva su un pubblico, su un utente, su un’audience, quando il campo largo del raccontare storie, umano umanissimo impulso che ci accompagna dai racconti di caccia sulle pitture rupestri, va molto al di là di quello che oggi si intende con l’inglese storytelling, ossia lo strumento con cui i brand, personali o aziendali che siano, cercano di parlare della propria identità, dimenticandosi forse che l’interlocutore è appunto inter-locutore, che sta inter-, in mezzo al parlare e non solo fermo ad ascoltare dal lato del ricevente del messaggio. È vero che l’Altro, oggi, potrebbe perfino essere una macchina, come suggerisce Stefano Magni nel suo opinion piece, ma nel destinatario di un messaggio, all’esterno o all’interno di un team di lavoro, si troverà per primo sempre l’umano, un umano che chiede e ricerca mediazione e solo per suo tramite trova modo di trasformare informazione in conoscenza e conoscenza in relazione.

La comunicazione ha una bidirezionalità inevitabile, che ne fa sempre conversazione, e se la prima tesi del Cluetrain Manifesto, citato più volte nei Prolegomeni, dice che “Markets are conversations”, e come sottolineato da Luca Monacoil Manifesto propone alle imprese di rivedere i propri processi comunicativi, trasformandoli in un dialogo con i propri pubblici, da considerarsi non più come semplici target di consumatori, bensì come persone”, in quei pubblici, in quegli interlocutori, non troviamo solo clienti, ma ogni tipologia di stakeholder. Primi fra tutti coloro che creano l’impresa, che ne ospitano le competenze, che ne realizzano i processi: le persone che ci lavorano.

Conversazioni e leadership

E quindi una o un leader, quando guarda all’interno, si trova di fronte una ben precisa alterità con cui fare i conti, quella dei suoi collaboratori, del suo team, di tutte quelle persone che fanno parte del “good system”, del sistema di conoscenza profonda di Deming[4], in cui non ci sono semplicemente ingranaggi che si sincronizzano, ma strutture di senso che emergono e non si limitano alla somma delle parti, o delle competenze individuali. Come diventare il tramite tra la vision dell’azienda, il progetto, gli obiettivi, e queste alterità?

Occorre che quella bidirezionalità, quella relazionalità della comunicazione sia costruita e curata nel senso più alto proprio all’interno dell’azienda, prima ancora che nei contesti di marketing e pubbliche relazioni. Ed è qui che la narrazione diventa fondamentale perché, da un lato, funziona come veicolo di informazioni, da quelle più operative fino agli orizzoniti più teoricamente strategici, dall’altro diventa strumento per la collaborazione attiva, inclusiva e generatrice di relazioni.

E se il successo di un’impresa, o di un progetto, dipende dalla qualità delle interazioni, allora non solo dovremo abbandonare, nelle nostre conversazioni, il Bianconiglio ossessionato dall’orologio, ma dovremo attivamente perseguire l’empatia sistemica come valore, riconoscendo nell’alterità dei collaboratori uno spazio da abitare come si abita ogni scambio umano, con una storia.

Mi trovo dunque a sovrapporre due dei filoni di studio di questo pop management in evoluzione, perché di fatto la narrazione è uno strumento di management e in ultima analisi di leadership. Non parlo però solo della trasmissione di una vision, ma della quotidianità, della metabolizzazione delle informazioni in una struttura che porti l’altro all’interno di una esperienza, all’interno, in questo caso, del progetto come spazio in cui si attiva il gruppo di lavoro.

Lo storytelling diventa uno strumento di leadership non perché rafforza il “brand” del o della leader, ma perché ne squaderna la storia, ne esplicita la funzione di mediazione, si fa carico di sciogliere la matassa del progetto oltre che di tenerne le fila, di preparare la trama su cui i processi si potranno innestare con facilità, ma anche con trasparenza ed efficienza. Di fatto, influenza la creazione di relazioni interne ai team di lavoro, modulandone l’efficacia e dando forma al workflow di lavoro, allo stile di collaborazione.

Ma la creazione di questa narrazione è costosa. In termini di tempo, di energie, di attenzione, di creatività ed emozioni. E i leader sono sempre tutti così impegnati, sovraccarichi. “Pieni” si sente spesso dire. Se si è pieni non ci sono spazi vuoti da far abitare alle storie.

Collaborazione, coinvolgimento e responsabilità

Sempre nell’approfondire l’empatia sistemica, Marco Minghetti si chiede se oggi “non collaboriamo addirittura troppo. Negli ultimi dieci anni, il tempo utilizzato in attività collaborative (mail, riunioni, IM, Chat) è incrementato del 50%, raggiungendo circa l’85% del tempo totale nell’arco della settimana lavorativa”. Ma davvero questo scambio di informazioni si può chiamare collaborazione? Viene il dubbio di come questo genere di attività funzioni, e che finalità abbia davvero.

La collaborazione infatti richiede un investimento di tutte le parti. Legata a un qui ed ora, influenzata dalle storie delle persone che fanno parte del team, difficile e dinamica cognitivamente e relazionalmente ricca: collaborare che contiene cum e labor, condividere la fatica prima ancora che gli obiettivi. La disponibilità a fare questa fatica, a farne qualcosa, ordinarla e strutturarla è quello che, di fatto, genera un o una leader. E tra i modi di strutturare la collaborazione credo che proprio un buono storytelling sia tra gli strumenti più adatti. È con le storie che uniamo un gruppo in una comunità a cui si riconosce di appartenere . Non solo: l’appartenenza generata da una storia condivisa “è un fattore di umanizzazione che ha una grande portata sociale, in quanto promuove la sicurezza e la responsabilità verso il gruppo[5].

Non a caso, nei Prolegomeni sia a firma di Marco Minghetti che di altri interlocutori come Andrea Benedetti e Isabella Pacifico, si è approfonditamente parlato delle community interne, digitali o meno, che non solo facilitano lo scambio di informazioni ma “sostengono la costruzione di relazioni professionali di valore stimolando il coinvolgimento delle persone, la loro motivazione e commitment.” Perché essere parte della storia, e non muto pubblico, fa la differenza. Perché in questo modo si apre l’occasione di avere persone che non sono solo “dentro” all’azienda, al progetto, ma che descrivono se stesse come parti attive, e questo è né più né meno che “un segno di rispetto per l’umanità stessa[6] dei membri del team.

Una leadership accessibile

Nella maggior parte dei dodici archetipi di leadership citati da Joseph Sassoon ritroviamo nei pop leader una caratteristica comune, quella di saper costruire relazioni attraverso la propria azione: il loro comunicare è, pur con stili diversi, etimologicamente tale, un “mettere in comune”, nel mezzo del tavolo di lavoro.

Tra le caratteristiche attribuite ai vari archetipi, oltre alla relazionalità, è il concetto di accessibilità che voglio chiamare in aiuto per sviluppare il ragionamento. Non solo nel senso citato nel pezzo di Sassoon, ossia che la o il leader sia raggiungibile in quanto facilmente contattabile, per così dire, ma che si curi dell’accessibilità nel senso che i designer conoscono bene: che ciò che viene dalla leadership sia facile da usare, sia intuitivo, che sia progettato per esserlo. In fenomenologia, ma anche nel design, si parla di affordance, ossia quella qualità di un oggetto che ne definisce i possibili usi o rende chiaro come può o deve essere usato. Ci sediamo o ci alziamo da una sedia perché le sue caratteristiche che ci “invitano a sederci” e non a usarla come, diciamo, tavolo da pranzo o un blocco per gli appunti, sono abbastanza ovvie.

Il modo di comunicare all’interno di un team di lavoro, naturalmente, è orientato a un risultato, così come una sedia è un oggetto che può essere sì decorativo, o con caratteristiche che esulano dallo scopo principale, eppure dovrà sempre, innnazitutto, servire per sedersi, e indicare questa funzione nella propria configurazione. Chi disegna questa narrazione efficace è il o la leader.

Ritornando all’empatia, questo design della comunicazione acquisisce il senso prettamente husserliano del riconoscere appunto l’alterità di un tu soggetto che occupa uno spazio diverso dal mio nel mondo, e per raggiungere il quale dobbiamo necessariamente gettare una qualche forma di ponte, di connessione. Questa connessione è il rendersi accessibili e il rendere accessibili le informazioni.

Human prompting: per un’etica della leadership generosa

Si è già parlato molto di intelligenza artificiale nei Prolegomeni, ad esempio negli ottimi pezzi di Marco Milone, Francesco Gori e Riccardo Milanesi.

In realtà grande risorsa delle tecnologie emergenti non è soltanto il loro utilizzo prettamente tecnologico o pragmatico, ma anche il modo in cui creano cortocircuiti che ci mostrano aspetti della realtà non così evidenti. Il vecchio sogno degli esperimenti mentali diventa più reale.

Pensiamo al modo in cui chiediamo a ChatGPT di restituirci un output. Sospendiamo pure il giudizio su come lo generi. Pensiamo invece a quale interazione ci occorre: il prompting è secondo l’Oxford English Dictionary “l’azione di dire qualcosa per persuadere, incoraggiare o ricordare a qualcuno di fare o dire qualcosa”. Tuttavia, nel caso di una AI generativa, non è sufficiente l’incoraggiamento.

Secondo la guida sul forum developer di OperAI[7], se da un lato occorre comprendere quali sono le capacità e le limitazioni dell’AI, dall’altro occorre fornire informazioni chiare e specifiche (tra cui indicazioni, contesto, audience), suggerire un preciso ruolo e identità dell’AI, definire i limiti e le regole. In seconda battuta, una volta ricevuto il primo output, dovremo correggere la nostra richiesta in modo da renderla sempre più accessibile al meccanismo generativo.

Comprendere il carico cognitivo che va elaborato, in effetti, non è questione che ci aiuterà soltanto nel confrontarci con ChatGPT. Quanti di noi danno e/o ricevono informazioni così accurate, quando si tratta di metterci al lavoro su un progetto? In quanti casi il o la leader sarà disponibile ad approfondire il contesto e le informazioni, a riformulare il prompt insomma, con l’obiettivo di aiutare il team a funzionare meglio? Come suggerito da Francesco Gori, in un contesto disorganizzato le risorse cognitive del team saranno impegnate, per non dire sovraccariche, nello sforzo di filtrare il rumore e di gestire l’incertezza e le interruzioni, ma anche, aggiungo, di decodificare un flusso disordinato di informazioni e stimoli in una narrazione coerente, una to do list, un obiettivo, di trasformare un brain dumping in un brainstorming, e quest’ultimo in un progetto. Rischiando quindi, tra l’altro, di dedicare al reale compito prefissato solo le poche energie rimaste dopo questo faticoso riordino.

C’è quindi un’importanza non solo etica ma manageriale del comprendere il carico cognitivo e del saper gestire il valore di una generosità cognitiva volta a sollevare dal disordine il progetto e i progettanti: ogni leader è un formatore, non nel senso che offre una formazione ma che offre una forma, una Gestalt che metta le parti nella condizione di generare qualcosa di più della semplice somma, “nell’informare, costruire, materialmente o intellettualmente, strutture di ordine: dei significati che generano quelli che Sini chiamerebbe con Pierce ritagli di mondo” come scrive ancora Stefano Magni.

In che modo quindi possiamo lavorare a questo genere di comunicazione, etica e generosa? Rendendoci, di nuovo, accessibili, accessibili alla relazione, accessibili al cambiamento, allo scambio, facendoci carico di ridisegnare noi stessi e i nostri progetti in modo che siano un invito adeguato e non un labirinto di ipotesi, un suggerimento di sintesi e non un sovraccarico cognitivo, un ponte di relazione anziché un’occasione di affermare il controllo.

Perché i leader non scoprano un bel giorno di essere soltanto regine di un mazzo di carte.

Riferimenti

  • Austin, J.L. (1962). How to do things with words. Cambridge: Harvard University Press
  • Deming, W. E. (1993). The New Economics for Industry, Government, and Education. MIT Press.
  • Gimenes, B.P., Sakamoto, C.K. (2025). Storytelling and Alterity: Creative and Humanizing Communication. In: Magalhaes, L. (eds) Otherness in Communication Research. Palgrave Studies in Otherness and Communication. Palgrave Macmillan, Cham. https://doi.org/10.1007/978-3-031-73788-6_3
  • Gottschall, J. (2014). L’istinto di narrare: Come le storie ci hanno reso umani (G. Olivero, Trad.). Bollati Boringhieri
  • Henz, P. (2020). The Good System. Independently published.
  • Prompting. OpenAI Developer Forum. (n.d.). https://community.openai.com/c/prompting/

Smith, D., Schlaepfer, P., Major, K., Dyble, M., Page, A. E., Thompson, J., Chaudhary, N., Salali, G. D., Mace, R., Astete, L., Ngales, M., Vinicius, L., & Migliano, A. B. (2017). Cooperation and the evolution of hunter-gatherer storytelling. Nature Communications, 8(1). https

[1] Austin, J.L. (1962). How to do things with words. Cambridge: Harvard University Press

[2] Smith, D., Schlaepfer, P., Major, K., Dyble, M., Page, A. E., Thompson, J., Chaudhary, N., Salali, G. D., Mace, R., Astete, L., Ngales, M., Vinicius, L., & Migliano, A. B. (2017). Cooperation and the evolution of hunter-gatherer storytelling. Nature Communications, 8(1). https://doi.org/10.1038/s41467-017-02036-8

[3] Gottschall, J. (2014). L’istinto di narrare: Come le storie ci hanno reso umani (G. Olivero, Trans.). Bollati Boringhieri

[4] Deming, W. E. (1993). The New Economics for Industry, Government, and Education. MIT Press.

[5] Gimenes, B.P., Sakamoto, C.K. (2025). Storytelling and Alterity: Creative and Humanizing Communication. In: Magalhaes, L. (eds) Otherness in Communication Research. Palgrave Studies in Otherness and Communication. Palgrave Macmillan, Cham. https://doi.org/10.1007/978-3-031-73788-6_3

[6] Henz, P. (2020). The Good Systemaix books. Independently published.

[7] Prompting. OpenAI Developer Forum. (n.d.). https://community.openai.com/c/prompting/8

75 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO
62 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO LOTTO
63 – OPINION PIECE DI GIANLUCA BOTTINI
65– OPINION PIECE DI SIMONE FARINELLI
66– OPINION PIECE DI FRANCESCA ANNALISA PETRELLA
67– OPINION PIECE DI VALERIO FLAVIO GHIZZONI
68– OPINION PIECE DI STEFANO MAGNI
69– OPINION PIECE DI LUCA LA BARBERA
70 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: LA GRAPHIC NOVEL!
71 – LEADERSHIP POP. APOFATICA E CATAFATICA DELLA COMUNICAZIONE
72– OPINION PIECE DI FEDERICA CRUDELI
73– OPINION PIECE DI MELANIA TESTI
74– OPINION PIECE DI GIANMARCO GOVONI