Gian Luca Bottini è un esploratore di linguaggi. Appassionato di alfabeti, tipografia, arte, psicologia, immagini, “BrandEtica” e di tutto ciò che non è convenzionale. Crede fermamente che ci sia sempre un altro modo migliore di fare le cose e ha un’irresistibile tentazione: (s)combinare le regole.
Affascinato dalle idee adora prendere il mondo come lo si conosce e provare a rivoltarlo per mostrarlo da un’altra angolatura.
Ama guidare progetti “a copia unica” per marche che desiderino diventare “buoni antenati”.
Il labirinto di Cassiopea
Gian Luca Bottini
Le idee racchiuse in sé stesse s’inaridiscono e si spengono. Se circolano e si mescolano, allora vivono e fanno vivere, si alimentano le une con le altre e contribuiscono alla vita comune, alla cultura”. (G. Zagrebelsky)
Mi piace pensarla così, con le parole di Zagrebelsky, l’essenza e il pensiero del Manifesto sul nuovo Pop Management proposto da Marco Minghetti[1].
Un luogo, un gusto che ha la consapevolezza di progettare per “l’altro” come fosse un buon antenato [2], traguardando oltre la contemporaneità con un’“Intelligenza Intertempo” riconoscendo che le azioni presenti sono influenzate dal passato e influenzeranno il futuro. Un viaggiatore del tempo appunto, che attinge insegnamenti dal passato per agire consapevolmente nel presente proponendo ponti verso un “futuro immaginifico”. Una persona che ha cura delle parole in quanto specchio della dell’anima e della nostra personale realtà: la realtà…
Nel libro “il padrone e il suo emissario” Iain McGilchrist [3] suggerisce un punto di vista interessante sulla “realtà”. Sostiene che le cose sono reali come la nostra mente le definisce e le ricorda, ma non sono la realtà stessa. Mi passa per la mente che qui, sul “Pianeta Blu”, abbiamo superato gli otto miliardi di abitanti (8.187.040.406 ma nel tempo di scriverlo e il numero è già aumentato di un centinaio di nuovi nati[4]). Se ogni persona possiede una personale realtà è come immaginare un multiverso a infinite dimensioni… una meraviglia creativa incredibile di differenze e di difficile immaginazione ma di un’enorme ricchezza vitale, così tanto che è estremamente difficile riuscire ad accettarla e carpirne la meraviglia. Spaventati da ciò, con ben chiari stratagemmi, incateniamo la creatività, incanalandola in agglomerati di tendenze e mode… quasi come vivessimo già sull’astronave Axyon della visionaria, anche se datata, animazione della DisneyPixar WALL-E dove agli ignari, ma forse più che altro comodi individui che abitano l’astronave, basta il comando autonomo di un computer perché tutti contemporaneamente decidano di cambiare il colore delle proprie uniformi di vita quotidiana.
Credo che un pensiero “Pop” possa allontanarsi da questa rigidità per abbracciare la ricchezza di diversità e raccogliere frutti gioiosi di condivisione e di dialogo tra le differenze. Un pensiero che proponga lo sviluppo di capacità di equilibrio e lealtà tra le diversità e che parta dalle “parole”.
Trovo curioso il fatto che per definire una qualsiasi “cosa” le si debba dedicare una “sua propria” parola che la narri e che la rappresenti, altrimenti non è definibile verso altri. È una questione di convenzioni, di tavole periodiche. Se non ci si mette d’accordo sulle parole è difficile comprendersi e quindi relazionarsi… è tutto “una questione” di linguaggio, ed è curioso come una cosa semplice e cardine del tutto sia così facile da complicare.
La vita e la tecnologia diventano complicate solo se lasciate che lo diventino.
John Maeda[5]
Penso che con le mode si stia percorrendo la stessa strada: le fanno altri per noi! La maggioranza ci si aggrappa rinunciando alla bellezza della propria creatività, dei propri sogni. Se nel passato si cercavano stoffe o le si dipingevano per poi [s]combinarle a proprio piacere disegnando da sé la forma dei propri vestiti, oggi ci si adatta con superficialità e comodità a quanto l’industria “produce” accettando forme e colori di magazzino: la moda del breve termine. Dovremmo riappropriarci della creatività dei nostri antenati dovremmo rieducare le nostre menti alla naturale bellezza.
Viviamo in una singolarità di tempo, Ivan Ortenzi[6] l’ha definita un’anomalia, il lasso temporale in cui essere desti (vivi). Ma questa non sarebbe la normalità perché osservando il tempo conosciuto, la normalità sembrerebbe più lo stato di quiete o morte: sono passati su questo pianeta più esseri che non ci sono più di quanti esistono in questo momento[7].
In questa singolarità qual è tra i “sensi” conosciuti quello a cui ci affidiamo maggiormente per conoscere ed esplorare la nostra possibile realtà? La vista! Ci affidiamo così tanto che uno tra i più rincorrenti “meme” è: un’immagine vale più di mille parole[8]. Se un’immagine valesse più di mille parole e ogni parola ha un suo significato, quell’immagine potrebbe avere più di mille significati? O sbaglio? Come potrebbe fare per averne uno proprio? Potrebbe dover scegliere una tra le mille parole e legarsi strettamente ad essa… Forse è per questo che chi si occupa di comunicazione ha preso l’abitudine di associare almeno una parola ad un’immagine. Forse perché quell’immagine avrebbe potuto rappresentare oltre mille parole (più di mille realtà), ma quella utile a mettere in comune significato e significante per il proprio obiettivo era solamente una o forse poche di più.
Questo mi riporta alla mente Bibi Girl del libro “Momo”[9]. Questa bambola dice mille parole ma non può realmente comunicare, è una metafora potente delle relazioni umane.
Le parole sono semi[10] invisibili che arrivano nel profondo… nell’inconscio. Con il giusto tempo (come il bambù) germogliano e generano radici profonde che sanno di vita e consapevolezza … Un caro amico alcuni lustri fa mi disse: “noi siamo come gli alberi, ma abbiamo le radici in testa”… quasi a sottolineare che è in testa l’essenza di tutto quanto sta all’esterno. Sembra che anche le emozioni e quell’impronta emotiva di cui sono cosparse tutte le cose[11] risiedano lì, in testa, e non nel cuore dove noi tanto comunemente “pensiamo” che siano.
In questo caso Antonio Damasio parlerebbe di emozioni e sentimenti ma con una visione speciale. Ci racconterebbe del principio che regola la vita stessa: dell’omeostasi. Osserverebbe che i batteri sono stati i primi organismi che hanno dovuto “sentire” e reagire al loro ambiente per sopravvivere. I batteri, infatti, monitorano costantemente il loro stato interno, reagiscono all’ambiente esterno, si muovono verso stimoli favorevoli (come il nutrimento) e si allontanano da condizioni sfavorevoli.
Questa capacità di “sentire” lo stato interno e reagire di conseguenza rappresenta la forma primordiale di quello che negli organismi più complessi diventerà la base dei sentimenti e delle emozioni. È come se i batteri avessero una versione “arcaica” di “preferenze” e “avversioni”.
Secondo Damasio i processi che portano ai sentimenti non sono nati improvvisamente con il sistema nervoso, ma hanno radici molto più antiche nella storia dell’evoluzione. Egli vede nei batteri il primo esempio di organismo che implementa quello che lui chiama “imperativo omeostatico”: la spinta a mantenersi in vita e in equilibrio[12], ma forse questo ci porta un po’ troppo lontano da Cassiopea …
Torniamo a Bibi Girl.
La comunicazione non è forse l’azione che permette di trasferire questa “nostra” realtà ad altri e persuaderli ad? Questa realtà, che si svela grazie alla narrazione che altro non è che il mescolarsi di parole, può divenire “generalmente accettabile”?
Luca Baraldi[13] ipotizza la realtà come un flusso narrativo continuo. Possiamo pensare alla storia come un intricato intreccio di eventi soggettivi che si susseguono, giungendo a noi come un’unica narrazione generalmente accettabile?
Siamo sovraccaricati di narrazioni: “fiumi” di parole alchemicamente composte che descrivono una realtà “generalmente accettabile”. La storia e ricca di racconti di personaggi che hanno costruito imperi grazie alla narrazione…[14]
Le parole, in quanto filtro volontario di persuasione, sono strumento perché “l’altro” entri a far parte del nostro tempo? Se volessimo potremmo domandarci: “C’è la possibilità che queste parole vengano usate per entrare a far parte di un tempo diverso, il tempo dell’altro o ancor più per essere empatici e tentare di vestirne i panni?
Potrebbe il Pop sfidare le parole e usarle come mezzo prezioso per entrare a far parte del tempo dell’altro?
E già: proprio “l’altro”; ma “Se questo fosse un altro”? Il professor Lino G. Grandi nel suo libro “Se questo è un altro”[15] rivela che solo dal confronto con l’altro è permesso ad ognuno di noi di “sentire” il vero “se stesso” … Che sia quindi necessario non esprimersi nel proprio ma nel linguaggio “d’altri” per condividere la propria realtà e rivelarla agli “occhi” degli altri? È imparando a vivere in comunità con gli altri che impariamo a capire noi stessi. Una comunicazione leale, attenta e rispettosa dell’universo altrui potrebbe essere la comunicazione Pop e di riflesso il suo linguaggio?
David Ogilvy[16] nella seconda metà del secolo scorso sosteneva: “Se cerchi di persuadere qualcuno a fare qualcosa o a comprare qualcosa, forse dovresti utilizzare il suo linguaggio, il linguaggio in cui pensa.”
Il linguaggio con il tempo cambia e si [r]affina, tanto da coinvolgere più sensi… e se dovesse passare attraverso un filtro delicato come quello delle emozioni? Questo è un terreno speciale perché ci porta a scendere nel profondo e scovare ciò che risuona nell’inconscio e prendercene cura … indagare la mente emozionale, e con rispetto, indagare la mente dell’atro.
Anche un grande artista come Vincent Van Gogh vi poneva l’attenzione:
“Non dimentichiamo che le “piccole emozioni” sono i grandi capitani della nostra vita e che vi ubbidiamo senza saperlo.”
Se dovessi immaginare come comunica il Pop e quale linguaggio potrebbe utilizzare, lo penserei come quello di una “persona libera” dai legàmi dei “trend” e delle mode temporanee. Quello di un disegnatore della semplicità[17]: un designer del “trapassato futuro”[18]. Una persona che con consapevole umiltà sa tendere la mano senza timore e non ha la necessità di nascondersi dietro parole come fa il termine “inclusione” che dipinge nella sua forma una posizione dominante e quindi con necessità di “includere” chi escluso, inducendo un senso di superiorità.
Me la immaginerei come quella di un direttore d’orchestra che costruisce per l’equità e la lealtà verso l’altro (l’Etica), ispirando un linguaggio semplice, non banale – penso al pensiero di Francesco Gori in merito all’innovazione Pop[19].
Penso ad un linguaggio che sia capace di sottrarsi alla “terminologia specialistica” che costruisce monologhi di termini mascherati da dialoghi[20]: distanze senza ponti verso l’altro, formule che non aprono ad altre menti o verso nuovi punti di vista. Mi piacerebbe fosse una rete di relazioni “umane” dove la cooperazione aperta è veicolo di energia e dove la singolarità (la persona nella sua unicità) non è al margine ma è la comunità: il bene comune. Un leader: un buon designer, come un buon antenato.
La vorrei fondata su un ecosistema comunitario che si sviluppasse attorno a nuclei attrattivi, formativi e divulgativi: delle nuove idee di marche…Matteo Lusiani e Luca Cavallini espongono una visione davvero interessante su questo tema [21]–[22].
Degli ecosistemi di relazioni capaci di poesia e musica. Sistemi di fiducia senza la quale non vi è innovazione. Comunità capaci di riconoscere e accettare lo scambio equivalente come ricompensa richiesta dal cambiamento. Riconoscere quanto chiesto in cambio per accendere la nuova visione.
Un ecosistema assomigliante alla natura che, nella sua imperfezione, genera vita nel rapporto naturale tra gli ambienti…
Ma cosa accadrebbe se le marche intraprendessero questo cammino? Se si facessero carico di questo impercettibile ecosistema? Se si allontanassero dalle mode del momento ed entrassero a far parte del tempo dell’altro? Se i piani di marketing NON fossero delle scatole preconfezionate, delle tavole periodiche scientifiche e basta, ma contenessero “l’altro” come traguardo? Con l’IA si possono strutturare piani di marketing con tanto di branding, positioning, campagna ADV, visual e tutte le “P” al momento conosciute in mezza giornata. Tutto con “metodo” e “schemi” … una tavola periodica… tutto come sempre si fa e si è fatto, magari con “strumenti differenti” e dedicando maggiore tempo e ragionamento, ma osservando il mondo sempre dallo stesso punto di vista che è “generalmente accettabile”.
Per diventare dei buoni antenati dovremmo pensare all’eredità che lasciamo, non quella materiale delle cose, ma quella evolutiva. Provare a porre domande diverse, nuove, e non continuare a trovare solo risposte diverse alle stesse domande.
Se fai solo quello che sai fare non sarai mai più di quello che sei ora.[23]
Siamo fermi a cambiare le risposte alle domande universali e continuiamo ad inseguire i perché di sempre.
In altre parole, ciò che ci ha portati fin qui non potrà condurci oltre.[24]
Se pensiamo al digitale come “un mezzo”, come la matita per ogni grande artista, qual è la carta che potremmo usare perché non venga tralasciata o convertita l’empatia? [25]?
Potremmo pensare, come suggerisce Marco Minghetti all’“empatia sistemica”. Partendo dalla Teoria della co-creazione del significato, elaborata da Robert L. Heat, che sostiene che la realtà è costituita da interazioni sociali e gli esseri umani costruiscono attivamente la realtà sociale attraverso lo scambio di significati, che ci conduce al primo assioma della comunicazione proposto da Paul Watzlawick[26]… Non si può non comunicare[27]…
Questa è la sfida per tutti noi: creare calore in un mondo digitale.
Erik Spiekermann[28]
Dobbiamo essere a tutti i costi “con-vincenti”… e fare ciò che la maggioranza si aspetta o che è pronta a “generalmente accettare”? Continuiamo a studiare le tendenze e vedere dove vanno senza guardare altrove? Potrebbe il Pop aprire un sentiero poco o per nulla battuto in questi ambiti?
Viviamo nel tempo delle performance, le si insegnano sin dalle prime classi di scuola, è il singolo che vince… l’alunna, l’allievo o gli studenti con i migliori voti sono i premiati… agli altri una luna nera…
Sin dallo studio cerchiamo la prestazione. Dobbiamo essere i migliori a scapito del “bene comune” e del nostro rispettarci… Può il Pop coltivare dei leader insegnando come una classe può trasformarsi in una squadra e fare cose straordinarie, magari per il “bene comune”?
Se dovessi sviluppare la filosofia del Pop Management vorrei fosse come un “giocattolo”…
“Noi costruiamo giocattoli, e alcuni di questi cambiano il mondo. Perché è così raro il successo di un giocattolo? Perché non riusciamo a prevedere quali giocattoli diventeranno così importanti? Perché la maggior parte di essi rimane insignificante, mentre alcuni pochi diventano essenziali?”
Nassim Nicholas Taleb[29] utilizza questa riflessione sui “giocattoli” che cambiano il mondo per sottolineare la difficoltà di prevedere l’impatto di nuove innovazioni e tecnologie. È un esempio di come gli eventi rari e imprevedibili – i “cigni neri” – guidino spesso il cambiamento più significativo[30].
Ecco come penserei il Pop Management: sovversivo e scombinato come lo siamo nel profondo un po’ tutti, u-mani e no. Capace di guardare al “cuore” della mente, ai sentimenti; rispettoso delle menti altrui come della propria, etico e capace di grazia perché senza un po’ di naturale bellezza, sognare, forse, è un po’ più difficile…
Il Futuro appartiene a coloro che credono alla bellezza dei propri sogni.
Eleanor Roosevelt
Ah sì, Cassiopea… non avrei potuto dimenticarla. È la compagna di avventure della giovane Momo. Un personaggio davvero unico e affascinante! È la tartaruga del Maestro Hora nel meraviglioso romanzo fantastico “Momo” scritto da Michael Ende e pobblicato nel 1973 . Il libro è una profonda riflessione sul tempo e su come lo usiamo nella società moderna. Attraverso la figura dei “Signori grigi” che rubano il tempo alle persone convincendole a “risparmiarlo”, Ende crea una potente metafora sulla frenesia della vita moderna e sulla perdita delle relazioni umane autentiche. La storia segue la piccola Momo, una bambina con un dono speciale: sa ascoltare gli altri in modo straordinario e Cassiopea è la sua compagna che ha la peculiarità di vedere mezz’ora nel futuro e comunicare attraverso scritte luminose che appaiono sul suo guscio. È un personaggio saggio ed enigmatico che aiuta Momo nel suo viaggio e nella sua lotta contro i Signori grigi. È protagonista in uno dei momenti più profondi del romanzo dove Ende gioca brillantemente con il paradosso del tempo. Quando Momo e Cassiopea devono scappare dai signori grigi che le inseguono in auto a tutta velocità per rifugiarsi dal Maestro Hora, camminano “all’indietro” sempre più lentamente, e così facendo si muovono sempre più velocemente verso la loro destinazione. È una bellissima metafora che capovolge la nostra percezione comune della velocità e del tempo. Questo atto si collega all’idea che la nostra ossessione moderna per la velocità e l’efficienza (rappresentata dai Signori grigi) in realtà ci fa “perdere” tempo invece di guadagnarlo. Mentre quando rallentiamo e prendiamo il giusto tempo per vivere pienamente (come fa Momo), paradossalmente viviamo di più.
[1] https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/chi-sono/
[2] Come essere un buon antenato. Un antidoto al pensiero a breve termine di Roman Krznaric
[3] Ian McGilchrist, Il padrone e il suo emissario. I due emisferi del cervello e la formazione dell’Occidente
[4] Fonte: https://www.worldometers.info/it/
[5] https://it.wikipedia.org/wiki/John_Maeda
[6] https://www.ivanortenzi.it/home-page
[7] https://www.prb.org/articles/how-many-people-have-ever-lived-on-earth/
[8] Provate a far descrivere una carta di Dixit ad altre persone che devono disegnarla, vi accorgerete della mutevolezza dei significati delle parole.
[9] Momo di Michael Ende pubblicato nel 1973. Bibi Girl è la nuova bambola che i signori grigi hanno regalato a Momo per corromperla e distrarla al fine non intralciasse il loro lavoro di manipolazione. È una bambola nuova, moderna e perfetta, piena di accessori e funzioni avanzate. Questa bambola può parlare, ma in realtà non dice nulla di significativo; ripete solo frasi vuote e banali. Questa bambola, progettata per essere attraente e sofisticata, rappresenta un contrasto rispetto a Liliana la precedente bambola di Momo, semplice ma con cui Momo parlava ed era in connessione autentica. Questo contrasto sottolinea il tema della superficialità e del vuoto delle cose moderne, che spesso sembrano piene di valore ma in realtà non comunicano nulla di importante.
[10] Susanna Tamaro, Ogni parola è un seme, cit. Da troppo tempo le nostre parole – le parole degli uomini – non sanno più radicarsi. Girano stancamente senza trovare il terreno che permetta loro, nel chiacchiericcio ormai cosmico che ci avvolge, di aprirsi un varco. Uno spiraglio di senso, di verità, di fondamento. Sono tante, troppe, sempre più inutili. Ci parliamo continuamente, con i mezzi tecnologicamente più avanzati per non dirci niente. Anzi, più discorsi facciamo, più difficoltà abbiamo a comprenderci.
[11] Massimo Angelini, Ecologia della parola, p. 151 edizioni Temposospeso, Minceto, marzo 2024
[12] Antonio Damasio Lo strano ordine delle cose
[13] https://www.linkedin.com/in/lucabaraldi/
[14] Alessandro Baricco – Alessandro Magno / Sulla narrazione / MantovaLectures 2016
[15] Se questo è un Altro. Conoscenza di sé e consapevolezza di Lino Graziano Grandi • Effata’ editore
[16] https://it.wikipedia.org/wiki/David_Ogilvy
[17] Le leggi della semplicità John Maeda
[18] Ecologia della parola di Massimo Angelini, edizione temposospeso
[19] Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 23 – Innovazione Pop. Opinion Piece di Francesco Gori
[20] Ecologia della parola di Massimo Angelini, edizione temposospeso p. 114.
[21]Sensemaking Pop. Opinion Piece di Matteo Lusiani
[22] Storytelling Pop. Opinion Piece di Luca Cavallini
[23] Maestro Shifu, Kung Fu Panda 3.
[24] Nel 1942, Albert Einstein insegna all’Università di Oxford.
Un giorno diede un compito di fisica agli studenti dell’ultimo anno. Mentre passeggiava per il campus con il suo assistente, questo all’improvviso lo guardo e gli disse: Professor Einstein, il compito che ha appena dato agli studenti di fisica dell’ultimo anno, non è lo stesso identico compito che ha dato nella stessa classe lo scorso anno?
Sì, sì, disse Albert Einstein, “È proprio lo stesso”.
Ma professor Einstein, cm’è possibile? Disse l’assistente.
Bhe, disse Einstein, le risposte sono cambiate.
Insomma, se era vero nel 1942, lo è a maggior ragione anche oggi.
Viviamo in un mondo nel quale le domande saranno anche le stesse, sono le risposte che sono cambiate.
In altre parole, ciò che vi ha portati fin qui non potrà condurvi oltre.
Paul Rulkens TEDxMaastricht, Perché la maggioranza ha sempre torto
[25] Collaborazione Pop. L’empatia sistemica
[26] https://it.wikipedia.org/wiki/Paul_Watzlawick
[27] https://it.wikipedia.org/wiki/Assiomi_della_comunicazione#Primo_assioma
[28] https://it.wikipedia.org/wiki/Erik_Spiekermann
[29] https://it.wikipedia.org/wiki/Nassim_Nicholas_Taleb
[30] Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita · Nassim Nicholas Taleb
63 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
Puntate precedenti
1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO
62 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO LOTTO