La seconda parte di questa Conversazione fra
Stefano Bottaro – HR Director, Avio
Mihaela Gavrila – Professoressa di Media Studies, Università La Sapienza di Roma
Michela Matarazzo – Professoressa Ordinaria di Management e Marketing Internazionale, UniMarconi
Fabrizio Tripodi – Global People Leader, Brown-Forman (Jack Daniel’s)
Roberto Zecchino – Senior HR Advisor, docente e formatore
è dedicata alle sfide della leadership contemporanea, sospesa tra orizzontalità partecipativa e necessità di decisionismo in tempi di crisi, e al tema cruciale dell’etica nella comunicazione narrativa, in bilico tra ispirazione e manipolazione.
Leadership e Intelligenza Collettiva e Collaborativa
Marco Minghetti: La leadership contemporanea è al centro di una trasformazione paradigmatica. Da un lato, il mondo odierno richiede modelli di intelligenza collettiva, o, meglio, di intelligenza collaborativa, in cui conoscenza e responsabilità siano distribuite. Dall’altro, crisi e conflitti intorno a noi evidenziano l’urgenza di decisioni rapide e autorità forti. Questa tensione tra collaborazione e verticalità definisce il dilemma fondamentale della leadership contemporanea.
Come si riesce a bilanciare il bisogno di intelligenza collettiva e collaborativa in una leadership basata sull’orizzontalità con l’urgenza di prendere decisioni rapide e decisive in momenti di crisi?
Stefano Bottaro – HR Director, Avio
La leadership orizzontale, per sua natura, valorizza il contributo di tutti e la costruzione del consenso, il che può rallentare i processi decisionali. In una crisi, però, il tempo è un lusso che non ci si può permettere.
Ecco come è possibile trovare questo equilibrio, trasformando apparenti contraddizioni in punti di forza:
Utilizzare la Matrice delle Decisioni (Responsibility Assignment Matrix – RAM). Prima che si verifichi una crisi, è essenziale stabilire chiaramente chi ha l’autorità decisionale per specifici tipi di emergenze. Questo non significa abbandonare l’orizzontalità, ma definire che, in determinate circostanze, una persona o un piccolo gruppo è abilitato a prendere decisioni rapide, supportato da un processo di consultazione accelerato. Esempio: Per una crisi finanziaria, il CFO potrebbe avere l’autorità ultima, ma con l’obbligo di consultare un team ristretto (CEO, Responsabile Legale, un rappresentante del board) entro un’ora dalla rilevazione.
Ruoli e Responsabilità Chiaramente Delineati. Ogni membro del team deve sapere quale sarà il suo ruolo in caso di crisi, chi informerà, e chi consulterà. Questo riduce l’incertezza e la paralisi da analisi.
Piani di Contingenza Pre-Approvati. Sviluppare scenari di crisi comuni e pre-approvare piani di azione specifici. Questo significa che, quando la crisi si manifesta, le decisioni più ovvie sono già state prese o sono già state predisposte procedure standard.
Sfruttare la Fiducia e la Comunicazione Nelle Relazioni Orizzontali. Una leadership orizzontale ben consolidata si basa su un’elevata fiducia e su canali di comunicazione aperti. Questi elementi sono preziosi in una crisi.
Fiducia e Empowerment. In un ambiente orizzontale, i membri del team sono abituati a prendere iniziative e ad agire con autonomia. Questa fiducia preesistente permette ai leader di delegare rapidamente decisioni in un momento di crisi, sapendo che i team agiranno responsabilmente e informeranno tempestivamente.
Canali di Comunicazione Rapida. Le strutture orizzontali spesso hanno reti di comunicazione informali e dirette più forti. In crisi, queste reti possono essere attivate per diffondere informazioni, raccogliere feedback e consentire micro-consultazioni veloci, senza passare per lunghe catene gerarchiche.
Briefing e Debriefing Veloci. Anche nelle situazioni più urgenti, è fondamentale un rapido briefing iniziale per allineare tutti sui fatti essenziali e un debriefing altrettanto rapido per condividere le decisioni prese e i risultati.
Implementare un Modello di Leadership Adattivo. La “fluidità” del manager si estende anche al modello decisionale.
Leadership Situazionale nella Crisi. In tempi normali, la leadership può essere partecipativa e consensuale. In una crisi acuta, il modello può temporaneamente virare verso una leadership più direttiva e centralizzata, ma sempre con la consapevolezza che questa è una fase transitoria. È fondamentale comunicare chiaramente questo shift e la sua ragione d’essere.
Il “Dittatore Temporaneo” Consensuale. In alcuni contesti di crisi, può essere deciso, con il consenso del team, che una persona assumerà temporaneamente il ruolo di “decision-maker” principale. Questa persona è scelta per la sua competenza specifica e la sua capacità di agire rapidamente, ma il suo potere è delegato e limitato nel tempo e nello scopo.
Feedback Loop Accorciati. Se in tempi normali i cicli di feedback possono essere lunghi, in crisi si devono implementare cicli rapidissimi. Le decisioni vengono prese, attuate e valutate quasi in tempo reale, con la possibilità di aggiustamenti immediati.
Coltivare la Resilienza e la Cultura dell’Apprendimento Rapido. Una cultura che abbraccia l’orizzontalità è spesso anche una cultura che valorizza l’apprendimento e la resilienza.
Imparare dal Caos Controllato. Invece di vedere la crisi come un’interruzione totale dell’orizzontalità, considerala un momento in cui l’intelligenza collettiva è messa alla prova sotto pressione. Le rapide decisioni prese devono essere analizzate a posteriori per capire cosa ha funzionato e cosa no, alimentando un apprendimento continuo.
Promuovere la “Fiducia di Non Sapere Tutto”. Un leader in un contesto orizzontale è a suo agio nel non avere tutte le risposte. In crisi, questo significa essere in grado di fidarsi dell’expertise degli altri e di prendere decisioni basate sulle informazioni disponibili, anche se incomplete, piuttosto che aspettare la perfezione.
In definitiva, il bilanciamento si ottiene progettando preventivamente una leadership orizzontale che sia robusta e flessibile, in grado di adattarsi alle diverse esigenze situazionali. Non si tratta di abbandonare l’orizzontalità in crisi, ma di rafforzarla attraverso la chiarezza dei ruoli, la fiducia, la comunicazione efficace e la capacità di transizione rapida tra diversi stili decisionali.
Michela Matarazzo – Professoressa Ordinaria di Management e Marketing Internazionale, UniMarconi
Le sfide dello scenario odierno sono molteplici a causa delle minacce sul fronte della geopolitica, dei rapidi sviluppi della tecnologia, dei cambiamenti demografici e dell’eccesso di regolamentazione. Agilità, innovazione e resilienza sono i pilastri su cui deve fondarsi il management per riuscire a governare secondo un approccio olistico i cambiamenti disruptive che coinvolgono tutte le attività, funzioni ed aree dell’organizzazione.
L’agilità strategica può intendersi come l’insieme di pratiche manageriali, valori, credenze, abilità e comportamenti in cui la dimensione dell’impegno collettivo e dell’impegno individuale si bilanciano continuamente. È stato diffusamente dimostrato che negli ambienti turbolenti le imprese dotate di agilità strategica hanno maggiori capacità di innovare per rispondere ai cambiamenti repentini nei contesti nazionali e internazionali. Essere agili significa essere flessibili, aperti a nuove prove, sempre pronti a rivalutare le scelte passate e a cambiare direzione alla luce dei nuovi sviluppi, e disposti e capaci di cambiare direzione in un attimo.
Naturalmente l’agilità strategica deve trovare riscontro nell’organizzazione agile che può realizzarsi solo attraverso una struttura organizzativa piatta e una leadership unificata. Con una gerarchia intermedia limitata, tutti i manager interagiscono regolarmente tra loro e con l’amministratore delegato. Ciò significa che l’impresa non dipende esclusivamente da un solo individuo, e i manager sono incoraggiati a proporre nuove iniziative che, una volta approvate, ricevono una sostanziale autonomia di gestione.
Uno dei fattori chiave che favorisce un rapido processo decisionale è la promozione di una cultura organizzativa improntata alla comunicazione aperta, alla trasparenza e all’apprendimento continuo. In tale contesto lo sviluppo di soft skills come il problem-solving, il lavoro di squadra, la risoluzione dei conflitti e la collaborazione cross funzionale giocano un ruolo fondamentale nel rafforzare la capacità di risposta e l’agilità dell’impresa. Investendo nella crescita e nello sviluppo di queste competenze, l’impresa può dotare i suoi dipendenti degli strumenti necessari per prendere decisioni rapide e informate, in linea con gli obiettivi strategici generali dell’organizzazione.
Stimolando la condivisione e la collaborazione l’impresa può implementare una strategia di stretch basata sul continuo sviluppo di nuove risorse finalizzate a raggiungere posizioni competitive sempre più ambiziose e di leverage attraverso il migliore sfruttamento delle risorse disponibili per migliorare la posizione competitiva attuale.
Mihaela Gavrila – Professoressa di Media Studies, Università La Sapienza di Roma
Sono proprio i tempi di crisi che hanno evidenziato l’opportunità di sviluppo di una leadership che, accanto alle competenze tecniche e intellettuali sia in grado di attivare una rilevante componente emotiva ed empatica, fondata sulla capacità di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle altrui, favorendo la resilienza individuale e collettiva. L’intelligenza emotiva, sollecitata al leader (Goleman, 2013) tuttavia, non fluttua nel vuoto, ma si fonda sulla solidità del lavoro su sé stessi, sugli altri, sulla cultura organizzativa e i suoi valori.
La costruzione e il lavoro continuo sulla manutenzione della fiducia, il rafforzamento e l’attualizzazione dei valori dell’organizzazione, del senso di appartenenza sono alleati strategici per i leader nelle situazioni di crisi, poiché permettono di mantenere lucidità, attivare protocolli condivisi anche in precedenza con il gruppo oppure, laddove non disponibili, prendersi la responsabilità, puntando sulla delega, non solo formale, del gruppo.
Nei momenti di difficoltà il ruolo della leadership diventa ancor più rilevante, evidenziando questioni dimenticate o invisibili agli altri, spiegando i fatti sociali per aiutare e velocizzare i processi decisionali, allenando la mente e tenendo in tensione, connettendo l’intelligenza di una collettività (de Kerckhove, 1999) senza rinunciare alla singolarità delle intelligenze individuali, affidando l’azione al singolo per conto del gruppo, offrendo una spiegazione a quanto altrimenti rischierebbe di essere percepito in maniera compulsiva e irrazionale, generando confusione e persino traumi.
Fabrizio Tripodi – Global People Leader, Brown-Forman (Jack Daniel’s)
La leadership contemporanea si trova di fronte a un bivio: la necessità di intelligenza collettiva e collaborazione orizzontale e l’urgenza di decisioni rapide e autorevoli in tempi di crisi. Pertanto, occorrono:
- Strutture Flessibili per Risposte Adattive. Dobbiamo progettare strutture organizzative che non siano rigidamente gerarchiche, ma piuttosto fluide e contestuali. In tempi di “normalità”, incentiviamo team trasversali e piattaforme collaborative per l’innovazione e la risoluzione dei problemi, sfruttando l’intelligenza collettiva. Questo significa investire in strumenti digitali e metodologie (es. agile, design thinking) che favoriscano la condivisione della conoscenza e la co- creazione.
- “Leadership Situazionale” come Principio Guida. Il modello di leadership deve essere adattivo. In situazioni di crisi, la chiarezza e la rapidità decisionale sono decisive. Questo richiede la capacità di un leader di assumere temporaneamente un ruolo più direttivo, con l’autorità di prendere decisioni rapide, pur avendo a monte un background informativo solido grazie ai contributi dell’intelligenza collettiva. Non si tratta di un ritorno alla verticalità tout court, ma di una verticalità temporanea e mirata, accettata e compresa da tutti come necessaria per la stabilità e la sicurezza dell’organizzazione.
- Cultura della Fiducia e della Delega. Alla base di tutto c’è una cultura organizzativa basata sulla fiducia. Se i team si fidano dei loro leader e viceversa, la transizione da un modello collaborativo a uno più direttivo in un momento di crisi diventa più fluida. La delega in tempi di calma prepara il terreno per l’autonomia e la responsabilità che sono poi cruciali quando la decisione deve essere centralizzata. È essenziale che i leader comunichino chiaramente i momenti in cui è richiesta una decisione rapida e perché, mantenendo sempre un canale aperto per il feedback post-crisi.
- Formazione alla Resilienza e al Decision-Making Sotto Pressione. Investiamo nella formazione dei nostri leader per gestire questa dualità. Sviluppiamo competenze nel decision-making rapido sotto pressione, ma anche nella facilitazione collaborativa e nel coinvolgimento dei team. I leader devono essere “orchestratori” dell’intelligenza collettiva, capaci di ascoltare e sintetizzare, e al contempo “capitani” in grado di tracciare la rotta quando la tempesta lo richiede.
Roberto Zecchino – Senior HR Advisor, docente e formatore
La leadership moderna si muove tra due esigenze apparentemente opposte: da un lato, l’intelligenza collettiva distribuita; dall’altro, l’urgenza di prendere decisioni rapide in situazioni di crisi. Trovare un equilibrio tra questi due poli è fondamentale.
È importante saper distinguere i contesti decisionali. Le decisioni strategiche complesse beneficiano dell’orizzontalità: il leader facilita il dialogo e la co-creazione per arrivare a soluzioni solide. Al contrario, le crisi richiedono verticalità: il leader deve agire con prontezza, anche in assenza di tutte le informazioni, ma con un piano predefinito, consultazioni rapide e comunicazione chiara al team.
Per affrontare queste sfide, i leader devono sviluppare competenze adattive. Devono essere in grado di facilitare la collaborazione nei momenti ordinari e di decidere con fermezza sotto pressione. Costruire fiducia e sicurezza psicologica è essenziale: un team che si fida del proprio leader accetta più facilmente decisioni verticali in momenti critici e collabora in modo efficace.
Un altro elemento chiave è la decentralizzazione controllata. L’intelligenza collettiva non significa assenza di leadership, ma piuttosto una delega consapevole dell’autorità entro confini ben definiti. Dare autonomia ai team, guidati da obiettivi e valori chiari, consente agilità senza perdere coerenza.
In sintesi, un leader efficace è un architetto di processi decisionali: sa quando amplificare le voci e quando agire con determinazione, costruendo sempre fiducia e chiarezza.
Etica e manipolazione nella narrazione
Marco Minghetti: La narrazione è uno strumento cruciale non solo per costruire senso, ma anche per influenzare comportamenti e decisioni. Tuttavia, il confine tra narrazione costruttiva e manipolazione strumentale si fa sempre più sottile, specialmente in un contesto di iper-narrazione digitale in cui ogni messaggio è ottimizzato per colpire emozioni e modelli cognitivi. Questo solleva una domanda fondamentale: esiste un’etica della narrazione?
Se la narrazione può costruire senso, ma anche manipolare, come garantire che le narrazioni aziendali rispettino la libertà e la diversità di pensiero all’interno e all’esterno dell’organizzazione bilanciando efficacia e responsabilità etica, senza rischiare coercizione o manipolazione?
Stefano Bottaro – HR Director, Avio
La domanda è cruciale per la sostenibilità e l’etica di un’organizzazione. Le narrazioni sono strumenti potenti: possono ispirare, unire e dare direzione, ma se usate in modo improprio, rischiano di distorcere la realtà, imporre conformità e soffocare il dissenso.
Bilanciare efficacia e responsabilità etica richiede un approccio consapevole e strutturato. Per riuscirci, è fondamentale puntare su trasparenza e autenticità. Le narrazioni devono essere radicate nella realtà, capaci di raccontare anche le sfide e i fallimenti in modo onesto. Manipolare significa distorcere i fatti per fini nascosti; una narrazione etica si fonda sulla verità, anche quando è scomoda. Essere chiari sui criteri e sui processi decisionali riduce la percezione di un’agenda nascosta e alimenta la fiducia.
La narrazione non può essere un monologo dall’alto, ma deve aprirsi al dialogo e alla co-creazione. È importante creare spazi in cui le persone possano condividere storie, esperienze e punti di vista, attraverso strumenti come forum, blog, incontri di storytelling o piattaforme digitali. Questo stimola anche il pensiero critico, sia verso le narrazioni interne che esterne.
I valori aziendali devono agire come guida, non come regola fissa. Le narrazioni dovrebbero mostrare come questi valori si manifestano nella pratica, evidenziando anche la loro complessità e le diverse interpretazioni possibili. È importante raccontare non solo i successi, ma anche la crescita individuale e il contributo unico di ciascuno.
Per rafforzare la qualità delle narrazioni, è utile implementare feedback bidirezionali, che permettano alle persone di esprimere liberamente se una narrazione risuona con loro o se la percepiscono come fuorviante. Non basta misurare la diffusione: bisogna valutare l’impatto, e capire se genera empowerment o conformismo.
I leader devono essere i primi a incarnare i valori narrati, dando esempio e mostrando apertura al feedback. Se non lo fanno, nessuna narrazione sarà credibile. In alcuni casi, può essere utile istituire un comitato etico interno o coinvolgere figure esterne per garantire che le narrazioni siano allineate ai principi di trasparenza e rispetto.
In sintesi, per garantire narrazioni etiche e non manipolative, serve un cambio di paradigma: da una narrazione imposta a una facilitata. L’organizzazione non racconta semplicemente, ma crea le condizioni affinché le storie emergano, si intreccino e si evolvano in modo autentico. È un equilibrio delicato, ma fondamentale per costruire un’organizzazione non solo efficace, ma anche giusta e rispettosa.
Michela Matarazzo – Professoressa Ordinaria di Management e Marketing Internazionale, UniMarconi
Coerenza e autenticità delle azioni sono alla base di una narrazione efficace, in quanto nessun racconto, che non abbia solide fondamenta in comportamenti concreti, può essere credibile e alimentare fiducia e motivazione nelle persone. La narrazione è un potente strumento di rafforzamento del legame tra identità organizzativa ed individuale che in periodi di transizione e di cambiamento può fornire il linguaggio per un processo di dis-identificazione degli individui con il “vecchio” e di re-identificazione con il “nuovo”.
Soprattutto di fronte ai cambiamenti incessanti e repentini la narrazione può aiutare l’impresa a compiere lo sforzo titanico di conferire stabilità all’organizzazione, purchè tale narrazione presti ascolto costante anche agli individui stessi per costruire quell’autostima che dà libero sfogo ad un pensiero costruttivo. Se la narrazione deve essere verificabile attraverso il riscontro a fatti concreti, non può essere di tipo top-down, non l’espressione univoca del pensiero totalitario di uno o di pochi, ma deve essere anche bottom-up, costruita con le storie concrete degli individui che nell’organizzazione si identificano, nei suoi valori, nella sua cultura e ogni giorno si impegnano per un obiettivo comune e condiviso.
Con l’avvento dell’era della sostenibilità associata alla iperconnessione siamo stati sopraffatti dalla proliferazione di continui claim di sostenibilità che hanno generato assuefazione o peggio scetticismo rispetto a certi messaggi spesso tacciati di greenwashing e pinkwashing. Pertanto, se da un lato la narrazione autentica rafforza la reputazione di un’organizzazione, la manipolazione porta con sé il rischio intrinseco dello smascheramento con effetti boomerang che generano crisi reputazionali non sempre facilmente superabili, soprattutto nell’era digitale in cui qualsiasi negatività portata alla luce si amplifica.
La responsabilità etica nella narrazione è, dunque, non solo un fatto che riguarda le coscienze, ma qualcosa che conviene alle imprese perché le protegge da improvvise crisi profonde di reputazione da cui è spesso difficile difendersi.
Mihaela Gavrila – Professoressa di Media Studies, Università La Sapienza di Roma
Questo problema può essere risolto (almeno in parte) con la formazione e lo sviluppo dello spirito critico delle persone. La salute organizzativa non può puntare su meccanismi di controllo e annientamento funzionale delle donne e degli uomini che compongono il contesto aziendale, ma sull’incitamento al discorso e alla produzione di sapere.
Pertanto, partendo dal presupposto che “niente e meno innocente di una storia” (Gottschall, 2021) e che le narrazioni possono elevare, ma anche confondere la mente, non è innaturale sostenere che la narrazione, in azienda come nella vita, abbia un potere enorme: può unire le persone, dare senso al lavoro di tutti, motivare e ispirare. Ma, proprio perché così potente, può anche diventare uno strumento rischioso se usato in modo poco attento o poco rispettoso della libertà individuale.
La chiave potrebbe essere la ricerca di un equilibrio tra l’efficacia della narrazione – cioè la sua capacità di coinvolgere, orientare e guidare – e il rispetto profondo per la diversità di pensiero e per la libertà di ciascuno. Le storie aziendali funzionano davvero solo quando sono partecipate, autentiche, trasparenti e inclusive, quando riescono a far sentire ognuno parte di qualcosa senza mai soffocare le singole voci.
Per questo, penso sia importante che le narrazioni non vengano calate dall’alto, ma costruite insieme, ascoltando le esperienze e i punti di vista di tutti e di tutte. È fondamentale che chi guida questi processi abbia la sensibilità di lasciare spazio al confronto, anche al dissenso, e che sia sempre pronto a rimettere in discussione la storia comune se emergono nuove esigenze o sensibilità.
In pratica, questo significa promuovere una cultura del dialogo, dove le storie non siano mai dogmi, ma strumenti vivi, capaci di evolversi con le persone che le vivono. Significa anche essere trasparenti sugli obiettivi della narrazione e vigilare perché non diventi mai manipolatoria o escludente.
Fondando i contenuti su processi partecipativi (come la stessa raccolta di storie aziendali, la valorizzazione di best practice, la condivisione di profili di manager illuminati), sul racconto autentico della vita che sorge laddove sembrava che nulla sarebbe mai cresciuto, sull’utilizzo strategico dei linguaggi, attraverso la produzione e la circolazione di simboli, valori, cultura, le narrazioni entreranno a far parte degli immaginari aziendali e pubblici, e orienteranno la credibilità dell’organizzazione e dei singoli.
Pertanto, se usate con sapienza, le narrazioni possono davvero essere una forza positiva: un modo per crescere insieme, valorizzando le differenze e costruendo un senso condiviso che non cancella, ma accoglie la ricchezza delle singole individualità, trasformandola in un’interfaccia con il mondo esterno e un pezzo della storia collettiva.
Fabrizio Tripodi – Global People Leader, Brown-Forman (Jack Daniel’s)
La domanda fondamentale è: come possiamo assicurarci che le nostre narrazioni aziendali rispettino la libertà e la diversità di pensiero, sia all’interno dell’organizzazione che nel dialogo con gli stakeholder, evitando ogni forma di coercizione o manipolazione? A mio avviso, la risposta risiede nell’adozione di un approccio fondato su trasparenza, autenticità e rispetto.
Ogni narrazione, che sia rivolta ai dipendenti o al pubblico esterno, deve poggiare sulla verità dei fatti. Esagerazioni, omissioni selettive o distorsioni minano la fiducia, che è la risorsa più preziosa in ogni relazione. Solo attraverso la chiarezza possiamo costruire un dialogo credibile e duraturo.
Ma la verità da sola non basta. Le storie che raccontiamo devono riflettere ciò che siamo davvero: i nostri valori, la nostra cultura, il nostro modo di agire quotidiano. L’autenticità non è un ornamento, è la condizione per generare risonanza e credibilità. Quando ciò che comunichiamo è coerente con ciò che viviamo, il rischio di essere percepiti come manipolatori si riduce drasticamente.
Allo stesso tempo, è fondamentale riconoscere che ogni persona, dentro e fuori l’azienda, porta con sé un bagaglio unico di esperienze e prospettive. Le nostre narrazioni devono essere aperte alle diversità, evitando linguaggi o contenuti che escludano, sminuiscano o impongano una visione univoca. Solo così possiamo favorire un confronto autentico, che valorizzi il pluralismo e stimoli il pensiero critico.
In effetti, il nostro obiettivo non dovrebbe essere quello di “dire cosa pensare”, ma di “invitare a pensare”. Offrire contesti, dati e storie che aiutino le persone a formarsi opinioni autonome è il modo più efficace per stimolare la riflessione e costruire una cultura del dialogo.
Infine, dobbiamo essere consapevoli dell’impatto delle nostre narrazioni. Comunicare comporta una responsabilità: non solo verso gli obiettivi da raggiungere, ma anche verso l’etica della percezione. Ascoltare il feedback, monitorare le reazioni e correggere il tiro quando necessario è parte integrante di una comunicazione matura e rispettosa.
Roberto Zecchino – Senior HR Advisor, docente e formatore
La narrazione è uno strumento potente: può unire, ispirare, creare connessioni autentiche. Ma può anche ingannare. In un’epoca in cui siamo costantemente esposti a messaggi digitali progettati per catturare la nostra attenzione, il confine tra comunicazione e persuasione è sempre più sottile. Come possiamo allora costruire storie aziendali che rispettino davvero la libertà di pensiero, senza cadere nella manipolazione?
Per raccontare in modo giusto, le aziende devono partire da principi semplici ma fondamentali. Il primo è la trasparenza: dire la verità, evitare bugie o mezze verità, non nascondere né esagerare. Le persone si fidano quando percepiscono coerenza tra ciò che un’organizzazione comunica e ciò che realmente fa. La chiarezza dell’intento è altrettanto importante: se si sta promuovendo un prodotto o spiegando un cambiamento, è giusto dirlo apertamente.
Una narrazione etica accoglie le critiche, non teme le domande, anzi le valorizza. Mostrare apertura verso opinioni diverse è un segno di rispetto e di maturità comunicativa. Le storie non devono imporre un’unica visione, ma lasciare spazio a interpretazioni diverse, stimolando il pensiero anziché spegnerlo.
Includere tutti è un altro principio chiave: le storie aziendali devono dare voce a persone con esperienze e prospettive differenti, dentro e fuori l’organizzazione. Evitare gli stereotipi è essenziale: una narrazione che semplifica eccessivamente rischia di diventare strumentale. Al contrario, celebrare la complessità delle persone arricchisce il racconto e lo rende più autentico.
Infine, chi racconta storie in azienda deve essere consapevole del proprio impatto. Ogni messaggio ha conseguenze, e va pensato anche in funzione di chi lo riceve, soprattutto se si tratta di pubblici sensibili. Una buona narrazione non cerca solo il vantaggio aziendale, ma punta al beneficio comune, portando valore anche a chi ascolta e alla società nel suo insieme.
In sintesi, raccontare storie aziendali in modo etico significa assumersi la responsabilità delle parole, essere trasparenti, inclusivi e consapevoli. Non si tratta solo di comunicare bene, ma di costruire fiducia e promuovere un dialogo aperto, libero da ogni forma di manipolazione.
128 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
Puntate precedenti