Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 125. Leadership Pop. Che Pop Manager sei? Simposiarca

Al giro di boa

Con il Quinto Quiz della serie Che Pop Manager sei? siamo al giro di boa (il piano editoriale della serie ne prevede 10).

Ricordo che si tratta di uno strumento per aiutare manager e professionisti a esplorare, in modo divertente e allo stesso tempo profondo, il proprio stile di leadership accostandolo a icone della cultura pop consolidate nell’immaginario collettivo. In un tempo in cui la cultura pop non è solo intrattenimento, ma un vero e proprio specchio delle trasformazioni sociali, economiche e organizzative, la serie Che Pop Manager sei?  aiuta a esplorare il proprio stile confrontandolo con quello di figure che hanno conquistato l’immaginario collettivo.

Mi piace qui citare un post LinkedIn della Pop Opinionist Alessandra Pilia, che coglie perfettamente il senso più profondo di Che Pop Manager sei?: non una semplice classificazione, ma un viaggio narrativo capace di restituire ai manager (e non solo) uno specchio dinamico e ironico attraverso cui rileggere sé stessi e il proprio stile di leadership. Tutto questo, alla luce del percorso svolto dai tempi della fondazione di Hamlet (1997) a oggi: ovvero, dallo Humanistic al  Pop Management.

Ecco allora che, dopo i primi quattro Quiz dedicati ai profili popmanageriali

Esteta in Prolegomeni 117,

Visionario/Visionaria in Prolegomeni 119,

Empatica/Empatico in Prolegomeni 121,

Innovatore/Innovatrice in Prolegomeni 123,

ne propongo oggi uno dedicato al profilo del Simposiarca, con cui ci si può esercitare cliccando su questo link.

I Simposiarchi Pop

Il termine Simposiarca affonda le sue radici nel convivio dell’antica Grecia, dove indicava colui che presiedeva il banchetto, regolava il ritmo delle libagioni e guidava la conversazione tra i commensali. Nel Pop Management, questa figura viene reinterpretata come custode della convivialità trasformativa: il Simposiarca Pop è colui che cura il contesto relazionaleattiva il dialogo simbolico e trasforma ogni incontro in un’esperienza di senso condiviso. La convivialità non è solo socialità, ma dispositivo poetico e politico per generare comunità narrative e visioni collettive.

In questo contesto, ho scelto il Cappellaio Matto e Daenerys Targaryen come archetipi maschile e femminile del Simposiarca Pop. Esaminiamoli rapidamente.

Il Cappellaio Matto, personaggio iconico di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, è una figura perfetta per rappresentare l’archetipo maschile del Simposiarca Pop (rappresentando anche un collegamento forte con il profilo Empatica/Empatico) perché è:

  1. Il Maestro del Simposio Assurdo. Il Cappellaio Matto è il protagonista del “tea party eterno”, un simposio surreale dove il tempo è sospeso e le regole sono capovolte. Da vero Simposiarca Pop:
  • trasforma il banchetto in rito;
  • sovverte la logica lineare per aprire spazi di senso alternativi;
  • invita al gioco, alla domanda, alla meraviglia.

Il suo tè non è solo una bevanda, ma un dispositivo filosofico: ogni tazza è un invito a pensare diversamente.

  1. Una Figura liminare e trasformativa in quanto:
  • vive tra ordine e caos, tra realtà e sogno;
  • è ironico e profondo, buffo ma rivelatore;
  • è un trickster, che usa l’assurdo per smascherare le convenzioni.

Il Simposiarca Pop, come lui, non dà risposte, ma pone domande che aprono mondi.

  1. Un Curatore di esperienze simboliche. Il Cappellaio Matto è un regista di atmosfere: crea ambienti stranianti, poetici, dove ogni oggetto ha un significato nascosto. Infatti:
  • cura l’estetica come etica;
  • usa la teatralità come strumento di senso;
  • Trasforma la conversazione in performance.
  1. Un esempio di pensiero laterale e poetica del paradosso. Il suo linguaggio è fatto di nonsense creativologica rovesciataintuizioni poetiche. È affine, dunque, a quello del Pop Manager, che:
  • valorizza il pensiero laterale;
  • usa il paradosso come leva di innovazione;
  • costruisce narrazioni ibride e frammentate.

In sintesi

Simposiarca Pop Cappellaio Matto
Facilitatore di senso Maestro del tè eterno
Curatore di esperienze Regista del banchetto assurdo
Figura liminare Abita il confine tra logica e sogno
Narratore performativo Parla per enigmi e paradossi
Esteta relazionale Cura ogni dettaglio come rito

Daenerys Targaryen, emblematica della Simposiarca Pop, è una delle protagoniste centrali della serie televisiva Game of Thrones, tratta dai romanzi di George R.R. Martin (A Song of Ice and Fire). Ultima discendente della dinastia Targaryen, un tempo sovrana dei Sette Regni di Westeros, Daenerys inizia il suo viaggio come esule fragile e sottomessa, ma si trasforma progressivamente in una regina guerriera, liberatrice di popoli.

Nel corso della serie:

  • libera gli schiavi nelle città di Essos (Astapor, Yunkai, Meereen);
  • guida eserciti e draghi, incarnando una forza mitica e rivoluzionaria;
  • sfida l’ordine costituito, proponendo una nuova visione di giustizia e potere;
  • vive una parabola tragica, oscillando tra idealismo e distruzione.

Perché è l’icona femminile del Simposiarca Pop. Nel contesto del Pop Management, Daenerys rappresenta l’archetipo femminile del Simposiarca Pop: una figura che non solo guida, ma cura, narra, trasforma. Proviamo ad elencarne alcune caratteristiche.

  1. Leader carismatica e visionaria, Daenerys non impone, ma evoca visioni e guida con ispirazione.
  2. Costruttrice di comunità. Libera, unisce, fonda. È una curatrice di senso collettivo, non solo una comandante.
  3. Figura liminare. Vive tra umano e mitico, tra giustizia e distruzione. È ambivalente e potente, come ogni simbolo archetipico.
  4. Narratrice incarnata. La sua vita è una performance epica, un racconto vivente che genera significato.
  5. Missione come vocazione. Non cerca il potere per sé, ma per realizzare un destino. È guidata da un fuoco interiore.
  6. Estetica e etica insieme. I draghi, i riti, le scelte: tutto in lei è bellezza e responsabilità.

Le Aziende Invisibili

Le domande e risposte di questo Quiz sono state costruite riprendendo alcuni elementi dell’esperienza svolta con il romanzo collaborativo Le Aziende InVisibili. Questo testo seminale del Pop Management rappresenta un esperimento narrativo e concettuale unico, che fonde letteratura, filosofia, management e immaginazione collettiva. Ecco perché ho pensato di usarlo in questa sede:

  1. Origine e struttura del romanzo. Le Aziende In-Visibili è un romanzo collaborativo ispirato a Le città invisibili di Italo Calvino. È composto da 128 episodi, ciascuno dei quali rappresenta una “azienda” immaginaria, costruita come metafora di dinamiche organizzative, sociali e culturali contemporanee. Ogni episodio è scritto da un autore diverso (tra cui manager, filosofi, artisti, economisti), e riflette una visione personale e simbolica del mondo aziendale.
  2. Finalità educativa e riflessiva. Il romanzo è stato concepito come una piattaforma per la generazione di percorsi narrativi, con l’obiettivo di stimolare una riflessione critica e creativa sul mondo del lavoro, dell’impresa e della società. Le aziende descritte non sono reali, ma archetipi o simboli che rappresentano modelli organizzativi, stili di leadership, visioni del futuro, conflitti e sogni collettivi.
  3. Utilizzo nel Quiz. Le domande e risposte che configurano il profilo del Simposiarca si ispirano a dieci aziende in-visibili per:
    • Valutare la capacità di interpretazione simbolica e critica del lettore.
    • Stimolare il pensiero laterale, la creatività e la consapevolezza organizzativa.
    • Favorire l’apprendimento esperienziale attraverso la narrazione e la metafora.
  4. Un ponte tra letteratura e management. Il romanzo è un’applicazione pratica del pensiero dello Humanistic e del Pop Management, che propongono una visione dell’impresa come luogo di senso, relazione e trasformazione. Le domande, quindi, non sono un gioco fine a se stesso, ma strumenti di riflessione su come le persone vivono e interpretano il lavoro e le organizzazioni.

Per farvi capire meglio, analizzo di seguito alcune delle situazioni proposte nel Quiz.

Mnemonia

In un mondo che dimentica troppo in fretta, ricordare bene è un atto rivoluzionario. Mnemonia, azienda immaginaria descritta in Le Aziende InVisibili, incarna questa rivoluzione: non è un archivio, ma un organismo narrante, un laboratorio di senso dove la memoria aziendale si trasforma in atto creativo, relazionale e strategico. Nel contesto del Pop Management, Mnemonia rappresenta un archetipo potente: un’impresa che non si limita a conservare, ma cura, interpreta e reinventa il proprio passato per generare futuro.

Mnemonia è infatti descritta come un’azienda specializzata nella gestione della memoria aziendale, il cui CEO — un tempo direttore degli Oniria Labs — si accorge che “i ricordi non bastano più. I dati si cancellano, le emozioni si dissolvono, e la memoria collettiva si trasforma in un archivio di fantasmi digitali.” Da qui nasce la sua missione: “andare alla ricerca del tempo perduto”, interrogandosi su cosa resta davvero di un’impresa, quando tutto il resto svanisce. Questa domanda è il cuore del Pop Management: il senso non è dato, ma co-generato, attraverso narrazione, riflessione e cura.

Stefano Bartezzaghi, nel suo articolo Memoria, sostiene che la memoria non è solo una funzione mentale, ma una facoltà diffusa, che abita gli oggetti, i gesti, le abitudini. Anche le scarpe, dice Bartezzaghi, “ricordano”. Mnemonia, allora, è il luogo dove ogni dettaglio — una scrivania, una pausa caffè, una riunione — diventa frammento di racconto, traccia viva di un’identità collettiva. Il Pop Manager, in questa visione, è un curatore di senso: non gestisce solo processi, ma dà forma all’invisibile, trasforma il quotidiano in narrazione.

Nel Pop Management, la memoria aziendale non è un database, ma un racconto collettivo. Così accade a Mnemonia, che non ha bisogno solo di archiviare dati, ma di trasformare la memoria in significato condiviso. Questo significa raccogliere le storie vive delle persone, non solo i dati morti dei sistemi. La dissoluzione della memoria è anche una crisi relazionale. Mnemonia, per diventare un Mondo Vitale, deve mettere le relazioni al centro e fare della memoria un atto politico e poetico.

L’articolo Leadership e innovazione, pubblicato da EconomyUp il 4 giugno 2025, parla di leader trasformazionali che guidano il cambiamento culturale attraverso visione, narrazione e partecipazione. Il CEO di Mnemonia, secondo questa prospettiva, non deve comandare ma convocare: creare spazi di senso, dare voce alla memoria collettiva, trasformare l’organizzazione in una comunità narrativa. La leadership non è più esercizio di potere, ma arte di convocazione. Il leader Pop non impone, ma ispira. Non dirige, ma facilita. Non comanda, ma racconta.

Mnemonia è quindi un’azienda che non dimentica, ma ricorda bene. E ricordare bene significa trasformare il ricordo in visione strategica. Come sottolinea il report Leaving Footprints di Museimpresa e Università del Sannio, il concetto di corporate heritage è fondamentale: la memoria aziendale è un patrimonio emotivo e relazionale, che rafforza il legame tra persone, territori e valori. In altre parole, il corporate heritage non è solo storia, ma piattaforma relazionale. È ciò che permette all’impresa di costruire senso, identità e appartenenza.

Mnemonia, in questa prospettiva, è un museo vivente, dove la memoria si racconta attraverso arte, tecnologia e ritualità. Ed il Pop Manager è un DJ culturale che compone playlist di contenuti, persone e atmosfere per generare esperienze, appunto, memorabili. Ovvero un Simposiarca Pop: un regista di senso, un curatore di esperienze trasformative, un facilitatore di comunità narrative.

La ricerca del tempo perduto, in Mnemonia, non è nostalgia, ma spinta all’innovazione. L’innovazione non è solo tecnologica, ma culturale: si innesta sulla memoria per generare futuro. Mnemonia dovrebbe diventare un laboratorio di memoria aumentata, dove AI, arte e filosofia si incontrano. Perché la memoria aziendale non è un database, ma un racconto collettivo.

In conclusione, Mnemonia incarna una delle intuizioni più profonde del Pop Management: che la memoria non è solo conservazione, ma creazione di senso. Che ogni organizzazione può diventare un Mondo Vitale, se sa raccontarsi, ascoltarsi, ricordarsi. Mnemonia è il cuore pulsante di questa rivoluzione pop: un luogo dove il passato non è peso, ma materia viva, dove il ricordo non è fine, ma inizio.

Theatron

Theatron è un’azienda dove ogni gesto è osservato, ogni parola è registrata, ogni decisione è spettacolo. È un luogo in cui la rappresentazione ha preso il sopravvento sulla realtà, e dove la comunicazione è diventata performance continua. I dipendenti vivono in una sorta di palcoscenico permanente, dove l’autenticità è sacrificata in nome della visibilità, e ogni azione è calibrata per essere vista, valutata, condivisa.

Il racconto descrive un ambiente in cui la trasparenza assoluta si trasforma in sorveglianza, e la narrazione aziendale diventa una sceneggiatura imposta, più che un racconto condiviso. Tuttavia, nonostante questa teatralizzazione esasperata, la città in cui opera e Theatron vivono l’una per l’altra: si alimentano a vicenda, in un rapporto simbiotico e ambivalente.

Nell’ottica del Pop Management, Theatron non è un’anomalia da correggere, ma una condizione da reinterpretare. In un mondo dove ogni gesto è già osservato — dai social media ai sistemi di tracciamento aziendale — la sfida non è evitare la rappresentazione, ma renderla generativa.

In Theatron, ogni gesto è narrazione, ogni decisione è performance. L’organizzazione non è più solo un luogo di produzione, ma un dispositivo scenico permanente, dove ogni azione è osservata, registrata, interpretata. In questo contesto, il Pop Manager non si oppone alla teatralità, ma la abbraccia consapevolmente. Come nel teatro, ciò che conta non è solo il copione, ma l’interpretazione: la capacità di dare senso a ciò che si fa, di trasformare l’azione in racconto, la presenza in significato.

Il Pop Management riconosce che la rappresentazione è inevitabile: ogni gesto comunica, ogni parola costruisce un’immagine, ogni silenzio è un segnale. Ma, proprio per questo, invita a non subire la scena, bensì ad abitarla con consapevolezza. Il senso non è dato, ma co-costruito attraverso la rappresentazione condivisa, in un processo continuo di narrazione e rinarrazione.

Questa visione trova una potente risonanza nell’articolo di Ugo MorelliTatuaggi: l’illusione dell’autentico (Doppiozero, 2023) dove il tatuaggio diventa metafora della tensione contemporanea tra autenticità e rappresentazione. Scrive Morelli: “Il tatuaggio, in fondo, sembra escludere la significazione, non comunica, rifiuta di lasciarsi definire come messaggio, rinvia solo a sé stesso. […] È in gioco l’idea dell’estrema resistenza del soggetto nei confronti di un mondo estraneo e minaccioso.”

In Theatron, come nei corpi tatuati, la rappresentazione è inevitabile, ma non per questo priva di senso. Anzi, è proprio nella ripetizione consapevole del gesto, nella sua esposizione pubblica, che si può generare significato. Il Pop Manager è colui che trasforma la superficie in profondità, il gesto in racconto, la visibilità in relazione.

Un esempio emblematico è la figura di Daisy in Ariminum Circus, che incarna una forma di autenticità performativa: tatuata, esposta, osservata, ma mai riducibile a un messaggio univoco. Come Daisy, anche il Pop Manager in Theatron non cerca di nascondersi, ma di abitare la scena con verità, sapendo che la verità non è assenza di rappresentazione, ma presenza consapevole nel ruolo.

In questo senso, lo storytelling pop non è solo una tecnica di comunicazione, ma una pratica di senso: un modo per abitare il tempo e lo spazio dell’organizzazione come se fossero un palcoscenico vivo, dove ogni gesto può diventare rito, memoria, visione. È un invito a non temere la teatralità, ma a usarla per costruire identità condivise, per trasformare l’azienda in una comunità narrativa.

Perciò, in Theatron, il leader non è un’autorità verticale che impone visioni dall’alto, ma un regista di possibilità. La sua funzione non è quella di dirigere, ma di convocare: creare le condizioni affinché le persone possano esprimersi, interpretare, contribuire alla narrazione collettiva. La leadership, in questo contesto, diventa drammaturgia partecipativa, un’arte di mettere in scena spazi di senso condiviso.

Il Pop Manager non guida con ordini, ma con gesti simbolici, con presenze evocative, con domande generative. È un facilitatore di senso, un coreografo dell’intelligenza collaborativa, che sa che ogni individuo è portatore di una storia, di un punto di vista, di una voce che merita di essere ascoltata. In Theatron, il leader non è il protagonista assoluto, ma il direttore d’orchestra di una polifonia narrativa (vedi su questo: Le Organizzazioni Armoniche. Una conversazione con Mario Perego e Franco Ferrario).

Questa prospettiva trova un’eco nell’articolo Influencer: l’industria dell’autenticità (Doppiozero, 2024), dove si legge: “Tutti mirano alla stessa cosa: costruire socialmente l’autenticità, qualsiasi cosa questa parola voglia dire. […] L’autenticità non è un dato naturale, ma un effetto di costruzione, una performance che deve sembrare spontanea, ma che è frutto di una regia accurata.”

In Theatron, come nel mondo degli influencer, l’autenticità è una costruzione consapevole, non una spontaneità ingenua. Il Pop Manager sa che essere autentici non significa essere grezzi o trasparenti, ma essere presenti, abitare il proprio ruolo con coerenza, responsabilità e apertura.

La leadership convocativa è dunque una forma di presenza scenica: non si tratta di recitare una parte, ma di abitare un ruolo con verità, sapendo che ogni ruolo è una possibilità di relazione. Come nel teatro, ciò che conta non è l’illusione, ma la qualità dell’interazione tra attori e spettatori, tra leader e comunità.

In questo senso, il Pop Manager è anche un educatore simbolico: non insegna, ma evoca, non trasmette contenuti, ma attiva processi. La sua forza non sta nel controllo, ma nella capacità di creare contesti generativi, dove le persone possano riconoscersi, raccontarsi, trasformarsi.

Il rischio di Theatron è evidente: che pochi parlino e molti assistano. Che la rappresentazione diventi controllo, che la performance diventi spettacolo vuoto, che la teatralità degeneri in cinismo organizzativo. Ma il Pop Management propone un’alternativa: trasformare il pubblico in co-autori, gli spettatori in narratori, i dipendenti in protagonisti.

Il Pop Manager non rifiuta la superficie, ma la trasforma in soglia: un luogo dove l’apparenza diventa accesso al senso. La teatralità non è un trucco, ma un linguaggio simbolico che può essere usato per includere, per coinvolgere, per attivare. In questo senso, la rappresentazione non è più imposizione, ma partecipazione consapevole. È un invito a prendere parola, a mettersi in scena, a contribuire alla narrazione collettiva dell’organizzazione.

Theatron in ultima analisi ci ricorda che “All the world’s a stage”, come diceva Shakespeare. Ma il Pop Management aggiunge: possiamo scegliere che storia raccontare. Possiamo trasformare l’azienda-spettacolo in un luogo di senso condiviso, dove la teatralità non è finzione, ma forma di verità.

Scrive Dennis Tonon in Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 46: “Il Management 3.0 integra il benessere con le performance, adottando una visione olistica e interdisciplinare per costruire organizzazioni più resilienti, innovative e orientate alla crescita sostenibile.” In Theatron, ogni gesto può diventare atto di co-creazione. E ogni scena, un’occasione per riconoscersi e trasformarsi. Il Pop Manager non teme il palcoscenico: lo abita, lo cura, lo trasforma in uno spazio di verità condivisa, dove la rappresentazione non è maschera, ma rito di senso.

Zebrania

La narrazione di Zebrania si presenta come una descrizione allucinatoria e surreale delle pratiche aziendali tradizionali, una città-capitale dove la ridondanza architettonica e organizzativa riflette l’ingorgo di procedure e rituali che spesso soffocano l’essenza stessa della vita d’impresa. I “Palazzi della Civiltà”, i “Castelli del Deserto” e le “Dimore della Zebra” con le loro finestre bianche e nere evocano un universo organizzativo di monumenti vuoti, teatri in questo caso di un apparato di potere che si ripete e si replica senza sosta.

Una ridondanza che non è solo un dettaglio estetico, ma diventa metafora di un sistema aziendale dove il reale si mescola all’illusione: i consulenti neri, le ragazze bianche con ghost writer al guinzaglio, i PR urlanti dai cornicioni sono simboli di un ecosistema in cui le comunicazioni spesso non raggiungono il cuore delle questioni e dove la forma diventa sostanza apparente. Uno scenario in cui il Presidente Zebrano, incarnazione dell’autorità radicata nelle vecchie logiche familiari e di potere, trascina i protagonisti in trattative interminabili, dove la negoziazione è rituale ma svuotato di senso, un cerimoniale sterile, più che effettivo scambio di valore.

Questa descrizione allucinata richiama ancora nuove riflessioni sul ruolo della memoria nelle organizzazioni, un tema che assume un rilievo ancora più cruciale nell’epoca dell’intelligenza artificiale e dell’automazione. Come si domanda il racconto, “la memoria moltiplica forse i segni del mondo per non farlo scomparire”? In un contesto dove i dati e gli algoritmi sembrano dominare ogni aspetto della gestione, la memoria organizzativa, intesa come patrimonio di storie, relazioni e saperi condivisi, rappresenta il cuore pulsante che consente al sistema di “durare” e adattarsi.

Vediamo allora alcuni possibili collegamenti fra il racconto e i nostri Prolegomeni Pop.

  • In primo luogo, si può evidenziare il nesso fra il Profilo Simposiarca e Empatica/Empatico in quanto un leader Pop non si limita a gestire processi ma è custode di relazioni, empatia e feedback continui, elementi che nutrono la memoria collettiva dell’organizzazione e ne preservano l’autenticità.
  • L’organizzazione di Zebrania, con la sua rete di attori formali e informali, rimanda al Prolegomeno 32 che mette in luce come l’efficacia organizzativa non derivi solo da strutture rigide, ma dall’intreccio di relazioni spesso invisibili che mantengono viva la memoria dinamica del sistema.
  • Nell’era in cui l’AI può accelerare la produzione di dati e l’automazione di processi, Zebrania ci ricorda il valore insostituibile di una memoria costruita attraverso l’esperienza umana, la negoziazione, la ritualità che sembra a volte inutile ma che crea connessioni profonde, come evidenziato da Alessandro Antonini in Prolegomeni 67, secondo cui i middle manager e gli HR sono “facilitatori di dialogo e partecipazione collettiva”, cioè custodi della memoria viva che conferisce senso e continuità.
  • Inoltre, la tensione tra rigidità e innovazione emergente nelle pratiche di Zebrania trova eco in Prolegomeni 88 dove si suggerisce che l’innovazione più autentica nasce da modalità di apprendimento esperienziale e collaborazione che superano la mera formalità, elementi che possono alimentare la memoria collettiva in modo creativo e rigenerativo.
  • Infine, il racconto di Zebrania può essere letto come una provocazione che interroga la necessità di un equilibrio tra l’archiviazione della memoria organizzativa e la capacità di evolversi, un tema caro anche a Alessandro Giaume, che in Prolegomeni 14 parla di organizzazioni come incubatori di innovazione “agili e de-burocratizzate”, dove la memoria non è zavorra ma risorsa dinamica.

In sintesi, Zebrania illustra la realtà complessa e spesso paradossale delle organizzazioni tradizionali, evidenziando come la memoria – intesa come patrimonio relazionale, storico e culturale – rimanga un elemento imprescindibile per la sopravvivenza e il successo delle aziende nell’era dell’intelligenza artificiale, in cui il rischio di perdere il “nucleo di realtà” è più che mai concreto.

Real Exchange

In un’epoca in cui le organizzazioni cercano senso oltre i KPI, Real Exchange si presenta come un’utopia concreta, un modello poetico e radicale di impresa dove la comunicazione non è fatta di parole, ma di sguardi, gesti, silenzi. È un’azienda che funziona come un’opera d’arte relazionale, dove il lavoro è anche cura, e la comunicazione è anche trasformazione.

 Nel mondo di Real Exchange, l’empatia non è una soft skill da inserire nei bilanci di sostenibilità, ma una grammatica esistenziale. Come osserva Mauro Portello nell’articolo “L’empatia, nel bene e nel male”, l’empatia non è una qualità transitoria, perché la capacità di sentire l’altro è parte del nostro essere umani. Portello riflette su una “stratificazione dei vissuti empatici” che ci permette di cogliere la complessità del comportamento umano, anche nei suoi aspetti più oscuri, come la crudeltà o la psicopatologia. Più specificamente, l’autore fa riferimento a  Critica della ragione empatica di Anna Donise (Il Mulino, 2020), che esplora l’empatia come fenomeno complesso, radicato nella nostra umanità, e ne analizza le implicazioni etiche, psicologiche e sociali.

Donise propone una teoria articolata in sei livelli (o “strati”) che descrivono la varietà e profondità dei vissuti empatici:

  1. Unipatia – Sentire originario, inconscio e pulsionale, che precede la distinzione tra sé e l’altro.
  2. Contagio emotivo – Reazione automatica e irrazionale, come quando si prova vertigine guardando un acrobata.
  3. Empatia emotiva – Si percepisce l’emozione dell’altro senza fondervisi.
  4. Empatia immedesimativa – Tipica dei bambini nei giochi di ruolo, si “fa finta di essere l’altro” mantenendo la propria identità.
  5. Empatia comprendente e narrativa – Capacità di entrare nella visione del mondo dell’altro, come accade leggendo un romanzo.
  6. Simpatia – Vissuto ibrido che include la disponibilità a prendersi cura dell’altro.

Questa stratificazione permette di comprendere le diverse forme dell’empatia e di intervenire terapeuticamente quando uno dei livelli è compromesso. Tenendo anche conto del fatto che, contrariamente alla visione comune, l’empatia non è sempre positiva o altruistica. Può essere strumentalizzata, come mostrato nella serie La casa di carta, dove i rapinatori usano l’empatia per manipolare gli ostaggi. Donise sottolinea che l’empatia può anche alimentare comportamenti crudeli, se orientata in modo selettivo o distorto.

La lettura di Real Exchange, ci riporta al concetto di empatia sistemica: una capacità diffusa di cogliere i segnali deboli, di abitare l’altro senza invaderlo, di trasformare la relazione in cura. Il Pop Management non si limita a “gestire le emozioni”, ma le riconosce come infrastruttura relazionale. Partecipare significa essere presenti con tutto il corpo e l’anima, non solo con la mente.

Osserva Rino Genovese  (Il destino dell’intellettuale /7. L’azione e la comunicazione): «il soggetto, individuale o collettivo che sia, e l’azione sono tutt’uno; fanno parte di una stessa costellazione concettuale». Genovese sottolinea come oggi l’impegno si giochi nella capacità di leggere e interpretare i segni del presente, più che nell’azione diretta. In Real Exchange, il senso non si costruisce con i numeri, ma con la risonanza emotiva. Il Pop Manager è un facilitatore di significati condivisi, un interprete di storie non dette. Ogni gesto è narrazione, ogni relazione è un frammento di senso. Lo storytelling non è più lineare, ma visivo, corporeo, simbolico. È un’antenarrative, per usare il termine di Boje, che si costruisce nel tempo e nello spazio dell’interazione.

Approfondiamo questo tema. Nel quadro del Pop Management, il Simposiarca Pop non è solo un curatore di esperienze trasformative, ma anche un facilitatore di comunità narrative in cui il senso non è mai dato una volta per tutte, ma co-generato nel tempo, attraverso processi dialogici, simbolici e performativi. Perciò risulta fondamentale il contributo teorico di David Michael Boje, professore di management e pioniere degli studi narrativi nelle organizzazioni, che nel 2001 ha coniato il termine “antenarrative”. Boje definisce l’antenarrativa come “il processo che precede e plasma le pre-narrative e le pre-storie nelle organizzazioni”, ovvero come una forma di narrazione emergente, frammentata, speculativa e non lineare, che anticipa e condiziona le storie ufficiali e retrospettive.

L’antenarrativa, secondo Boje, è un movimento dinamico e rizomatico che collega la narrazione retrospettiva alla storia vivente, quella che si sta ancora scrivendo, quella che pulsa nei gesti quotidiani, nei silenzi, nei conflitti latenti e nelle intuizioni ancora informi. È una forma di senso in potenza, che non ha ancora trovato una forma compiuta, ma che già orienta le percezioni, le emozioni e le decisioni. In questo senso, l’antenarrativa è una soglia tra il caos e il significato, tra il possibile e il reale.

Questo concetto è cruciale per comprendere il ruolo del Simposiarca Pop: come regista di senso, egli non si limita a raccontare storie già compiute o a gestire narrazioni consolidate, ma attiva processi narrativi emergenti, intercetta segnali deboli, valorizza intuizioni ancora incerte, crea spazi di ascolto e co-creazione dove le antenarrative possono germogliare. Il Simposiarca è colui che trasforma l’informe in forma, il frammento in racconto, l’esperienza in visione condivisa.

Facciamo un esempio di fantasia, ma plausibile. In un’azienda del settore tech, un gruppo di giovani dipendenti inizia a parlare durante le pause caffè e in chat interne di un’idea nuova: creare una piattaforma che unisca intelligenza artificiale e arte per generare esperienze immersive nei musei. Non esiste ancora un progetto ufficiale, nessun budget, nessuna approvazione formale. Ma le conversazioni si moltiplicano, i post-it si accumulano sulle scrivanie, i meme circolano con il nome in codice “Aurora”.

Questa è un’antenarrativa: un racconto non ancora stabilizzatoframmentariospeculativo, che si muove tra desiderio e possibilità. Non è ancora una storia aziendale “ufficiale”, ma plasma già il clima culturale interno, orienta le energie, genera senso di appartenenza. Alcuni manager iniziano a notare l’entusiasmo, altri lo ignorano. Ma il Simposiarca Pop — figura sensibile ai segnali deboli — intercetta questa narrazione embrionale, la accoglie, la valorizza.

Organizza un “simposio creativo” informale, invita i promotori a raccontare la loro visione, coinvolge altri team, crea uno spazio protetto dove l’antenarrativa può evolvere in progetto. Non impone una direzione, ma cura il contesto affinché il racconto possa fiorire. In pochi mesi, “Aurora” diventa un’iniziativa pilota, poi un progetto strategico. Ma tutto è nato da una storia ancora non nata, da un’antenarrativa.

Nel Pop Management, l’antenarrativa diventa dunque una materia viva, un campo di possibilità che il Simposiarca Pop coltiva con cura, come un giardiniere simbolico. Le antenarrative sono semi di senso che possono fiorire in narrazioni trasformative, se trovano un terreno fertile fatto di fiducia, dialogo e immaginazione.

Ora, in un luogo dove tutto è emozione condivisa, la leadership non guida, ma convoca. Il leader Pop non è un comandante, ma un custode di spazi sicuri. Crea le condizioni perché le persone possano mostrarsi, anche nella loro vulnerabilità. La sua forza non sta nel controllo, ma nell’accoglienza. Questa leadership è profondamente relazionale: non si misura in carisma, ma in capacità di generare fiducia. È una leadership che ascolta con gli occhi, che parla con la presenza, che trasforma l’altro in specchio e in specchio si trasforma.

Come sottolinea l’articolo Il ruolo del capitale relazionale nell’innovazione, «le connessioni professionali e legami umani rappresentano oggi una base indispensabile per fare innovazione in modo efficace». Federico Frattini e Benedetto Buono, autori del saggio Innovationship, propongono persino l’introduzione di un nuovo profilo C-level: il Chief Networking Officer, figura incaricata di valorizzare il patrimonio relazionale dell’organizzazione.

Real Exchange incarna questa visione: è un ecosistema relazionale dove la soggettività è valorizzata, dove le relazioni non sono un mezzo, ma un fine. Il Pop Management invita a costruire organizzazioni che siano mondi vitali, non istituzioni totali. Luoghi dove il lavoro non è alienazione, ma espressione. Dove la produttività non è separata dalla cura. Dove l’innovazione nasce dall’ascolto, non dalla pressione.

Per finire: Real Exchange non è solo un’azienda immaginaria: è una metafora potente, un archetipo di ciò che le organizzazioni potrebbero diventare. È un invito a ripensare il lavoro come spazio di trasformazione reciproca, dove la comunicazione è anche silenzio, e il management è anche poesia. In un mondo che ha bisogno di senso, Real Exchange ci ricorda che partecipare significa trasformarsi attraverso l’altro. E che ogni organizzazione, se lo vuole, può diventare un’opera d’arte relazionale.

Kopiot Oy

Kopiot Oy — l’azienda dove ogni cosa è il suo contrario, la bellezza è inquietante, l’ordine è caos e il management è un gioco di specchi — è una potente metafora dell’organizzazione contemporanea immersa in un mondo VUCA (Volatile, Uncertain, Complex, Ambiguous). Alla luce dei nostri Prolegomeni Pop, può essere letta come un laboratorio estremo per testare i suoi principi più radicali. In particolare:

  1. Sensemaking Pop. Kopiot Oy è un luogo dove il senso non è dato, ma continuamente decostruito e ricostruito. Il Pop Management invita a non cercare certezze, ma a navigare l’ambiguità con creatività, accettando che il significato sia un processo, non un risultato.
  2. Leadership Pop come convocazione. In un contesto dove la leadership è esercitata “tra algoritmi e giostre di latta”, il leader non può più essere un’autorità verticale. Deve diventare un facilitatore di visioni divergenti, un “curatore di caos” che convoca le persone a co-generare senso, anche nel paradosso.
  3. Organizzazione Pop come iperoggetto. Kopiot Oy è un’azienda che sfugge alla rappresentazione lineare: è un iperoggetto (come lo definisce Timothy Morton), un’entità complessa, distribuita, che non si può afferrare tutta in una volta. Il Pop Management propone di affrontarla con pensiero visivo, mappe, metafore, storytelling transmediale.
  4. Innovazione Pop e remix. In un mondo dove i bioandroidi sono cloni e il management è spettacolo, l’unica via è il remix creativo: prendere elementi esistenti e combinarli in modi nuovi. Il Pop Manager, ripetiamolo, è un DJ organizzativo, che trasforma il rumore in ritmo.
  5. Empatia sistemica umano-macchinica. Anche nel paradosso, ci sono persone. Il Pop Management non dimentica mai che dietro ogni algoritmo c’è un vissuto, e che anche i bioandroidi — metafora dei lavoratori replicati e standardizzati — meritano cura, ascolto, riconoscimento.

In Kopiot Oy, il Pop Manager non cerca di “normalizzare” il caos, ma di danzarci dentro. Accetta la complessità come condizione naturale dell’organizzazione contemporanea e la trasforma in materia viva per la creazione di senso, bellezza e relazione.

Tarantola Ltd.

Il racconto  Tarantola Ltd. ci invita a riflettere su ciò che resta di un’organizzazione quando la sua struttura fisica viene smantellata: il genius loci e la reputazione. In un’epoca in cui le aziende si smaterializzano, si delocalizzano o si trasformano in piattaforme digitali, ciò che sopravvive è l’identità relazionale, il legame simbolico con il territorio, la memoria condivisa. È ciò che non si può delocalizzare: lo spirito del luogo, la sua energia narrativa.

Si tratta di temi che sono al cuore del Pop Management, ancora una volta portati al centro della riflessione da Piero Trupia. Riporto tre citazioni significative, tratte da post scritti da Piero per la serie Genius Loci e sgregolatezza:

  • “Il Genius Loci non è solo un luogo fisico, ma un campo di forze simboliche, affettive, narrative. È ciò che rende un’organizzazione riconoscibile e memorabile, anche quando cambia forma.”
  • “Sregolatezza non è disordine, ma apertura al possibile. È la capacità di abitare l’ambiguità, di accogliere l’inaspettato, di trasformare il caos in senso. Il Genius Loci ha bisogno di questa energia per restare vivo.”
  • “Ogni azienda ha un Genius Loci, anche se spesso lo dimentica. Riscoprirlo significa tornare a interrogarsi su ciò che la rende unica, su ciò che la lega al suo territorio, alla sua storia, alla sua comunità.”

Questa lezione è stata più volte ripresa e approfondita da Francesco Morace: ad esempio, nell’articolo Il genius loci esiste: il valore ritrovato dello spazio (ICCH, 2024), le sedi aziendali e i flagship store diventano veri e propri media narrativi, capaci di comunicare identità e visione. Non sono solo contenitori funzionali, ma dispositivi simbolici che raccontano la cultura dell’organizzazione: “I flagship store nel retail, ma anche le sedi e i musei aziendali diventano media per comunicare il carattere, la visione e la missione delle organizzazioni. Per comprendere i risvolti di questo fenomeno dobbiamo analizzare la tendenza Relational space, attraverso cui emerge la potenza dell’incontro e della relazione fisica, di prossimità, in presenza.

Il fenomeno è emerso con evidenza nel retail: un luogo di vendita può e deve esprimere una sua poetica che dura nel tempo, al di là di ogni presenza in rete. Heineken ha deciso di investire sulla grande tradizione dei pub irlandesi […] considerandoli alla stregua di musei viventi […] serbatoi della memoria viva dell’Irlanda. Miss Dior […] ha affidato a Epik Johannes la realizzazione di un pop up store che amplifichi l’esperienza di marca […] una galleria che ne racconta la storia attraverso campagne pubblicitarie, materiale fotografico ed elementi chiave del patrimonio della Maison. La direzione è chiara e non cambierà: il Genius Loci del brand richiederà di dare una nuova veste agli spazi, di arricchirli con nuove funzioni, di pensarli e allestirli con ambienti dedicati a tutte le generazioni.”

Una direzione che ci porta a stabilire il nesso con la Corporate Repution: per il report Ferpi/IULM Corporate Reputation: tendenze emergenti e implicazioni strategiche (2024), la reputazione è sempre più un processo narrativo, influenzato da CSR, impatto sociale e storytelling partecipativo. È un ecosistema di significati che si costruisce nel tempo, attraverso la coerenza tra valori dichiarati e pratiche vissute. Ciò comporta una gestione della reputazione aziendale che “richiede un approccio olistico e integrato, che bilanci autenticità, innovazxione responsabile, engagement attivo von gli stakeholder e adattabilità ai rapidi cambiamenti sociali… , la ricerca mostra come si stia assistendo a una trasformazione fondamentale nel contratto sociale tra aziende e società. Le imprese non sono più entità isolate il cui unico scopo è massimizzare i profitti, ma attori sociali con responsabilità e aspettative crescenti. Questo cambiamento richiede un ripensamento radicale delle strategie aziendali, dei modelli di leadership e dei sistemi di misurazione del successo…”. In ultima analisi, la gestione della reputazione aziendale non è solo una questione di immagine o di relazioni pubbliche, ma una leva strategica per guidare l’innovazione, promuovere la sostenibilità e contribuire a plasmare un futuro più equo e sostenibile per tutti. Le organizzazioni che riusciranno in questa impresa non solo garantiranno il proprio successo a lungo termine, ma contribuiranno anche a ridefinire il ruolo del business come forza positiva nella società.”

In questo quadro, è interessante la nota di Forbes Italia (9 Luglio 2025) che sottolinea come le recensioni e le narrazioni degli utenti diventino asset reputazionali misurabili e strategici, confermando la natura narrativa della reputazione: ogni esperienza raccontata è un frammento di identità pubblica. “Le recensioni non sono semplici opinioni. Sono micro-transazioni di fiducia. Ogni recensione è un atto di validazione pubblica, un investimento che un cliente fa per influenzare le scelte di altri. E in un’epoca in cui le persone non comprano più sulla base di ciò che un’azienda dice di sé, ma su ciò che gli altri dicono di lei, questo tipo di validazione ha un valore economico concreto. Le aziende che hanno compreso questo passaggio stanno costruendo la loro forza su un patrimonio che non può essere copiato né scalzato facilmente: la fiducia. Non si tratta più solo di avere un bel logo o una campagna pubblicitaria d’impatto. Oggi vince chi viene raccontato spontaneamente da chi ha già vissuto l’esperienza. Vince chi ha saputo trasformare ogni cliente soddisfatto in un ambasciatore visibile e credibile”.

Questa prospettiva si intreccia con un cambiamento strutturale nelle pratiche SEO, accelerato dall’integrazione dell’Intelligenza Artificiale generativa nei motori di ricerca. Con l’introduzione della Search Generative Experience (SGE) da parte di Google (vedi il post: Search Generative Experience Overview) e l’evoluzione di Bing integrata con GPT (vedi: Bing + ChatGPT: Reinventing Search with AI, il paradigma di ranking si sta spostando da una logica di keyword matching verso una valutazione semantica, contestuale e orientata all’esperienza utente.

I nuovi algoritmi valutano i contenuti sulla base dei criteri E-E-A-T (Experience, Expertise, Authoritativeness, Trustworthiness) introdotti dalle Google Search Quality Evaluator Guidelines. Ciò implica che contenuti autentici, contestualizzati e culturalmente rilevanti hanno maggiori probabilità di ottenere visibilità organica rispetto a quelli tecnicamente ottimizzati ma privi di valore percepito.

In questo scenario, i contenuti generati dagli utenti (UGC) – recensioni, commenti, video, post – assumono un ruolo chiave, non solo per la costruzione della reputazione online, ma anche come segnali interpretabili dagli algoritmi per valutare l’engagement reale e l’affidabilità di una fonte (vedi: The Impact of User-Generated Content on SEO). La nuova SEO premia gli ecosistemi narrativi coerenti e partecipativi, dove la comunicazione non è unidirezionale ma costruita attraverso relazioni distribuite, segnali di fiducia e rilevanza culturale.

L’Intelligenza Artificiale, sempre più capace di analizzare segnali semantici, emozionali e intenzionali (come leggiamo in Multimodal Models and the Future of Search) riconosce pattern di interazione che vanno oltre il testo: tono, coerenza narrativa, autorevolezza percepita, connessioni tra contenuti. Le aziende che riescono a orchestrare queste dimensioni attraverso contenuti transmediali e strategie partecipative ottengono un vantaggio concreto in termini di visibilità e posizionamento.

In questo contesto, il Pop Management – come approccio culturale in particolare rivolto alla comunicazione, al branding e alla relazione con le audience – si configura come una leva strategica per affrontare le nuove sfide dell’era post-SEO. Un’era in cui la fiducia non è solo un obiettivo comunicativo, ma un ranking factor implicito: l’algoritmo che decide chi è rilevante e chi no.

Infine, ricordo due casi emblematici di valorizzazione del Genius Loci in termini di reputazione aziendale:

  • Barilla, riconosciuta dal Global RepTrak 2024come prima al mondo per reputazione tra le aziende alimentari, ha saputo coniugare qualità del prodotto, sostenibilità e innovazione con un forte radicamento territoriale. Il nuovo centro di ricerca a Parma e le iniziative locali rafforzano il Genius Loci del brand, trasformando la sede in un simbolo identitario (vedi articolo Barilla prima al mondo per reputazione fra le aziende alimentari).
  • Dolce & Gabbanaha integrato la sostenibilità in sette impegni concreti, tra cui la tutela del Made in Italy e la valorizzazione del patrimonio culturale. L’investimento su Roma come palcoscenico narrativo per il lusso italiano dimostra come il legame con il territorio diventi leva reputazionale e simbolica (vedi articolo: Dolce&Gabbana investe su Roma: cinque giorni di eventi per rilanciare il made in Italy del lusso).

In entrambi i casi, il Genius Loci non è solo un elemento estetico o culturale, ma una strategia identitaria che rafforza la reputazione e genera senso condiviso. Il Pop Manager, come Simposiarca, è chiamato a riconoscere e attivare queste energie narrative, trasformando il luogo in capitale simbolico e relazionale.

Il Profilo del Simposiarca Pop

Se hai ottenuto 10 punti o più al quiz Che Pop Manager sei?, sei un Simposiarca Pop: un regista di connessioni nell’era delle narrazioni aumentate, un artefice di esperienze trasformative dove il sapere si fa conviviale, il dialogo diventa rito e la conoscenza si trasmette attraverso la bellezza della conversazione.

Come il Cappellaio Matto, sei un maestro del paradosso conviviale, un trickster poetico che trasforma l’assurdo in possibilità.cCome Daenerys Targaryen, sei una visionaria mitopoietica, capace di evocare comunità, liberare energie sopite e guidare con grazia e fuoco verso un futuro condiviso.

Principi Chiave

  • Simposio come piattaforma narrativa.vOgni incontro è per te un’opera d’arte relazionale. Come nei banchetti platonici o nei tè eterni del Cappellaio, il sapere si costruisce nel dialogo, nella contaminazione, nella tensione tra logica e immaginazione.
  • Leadership come maieutica. Non imponi, ma evochi. Come Daenerys, non comandi, ma ispiri. Sei un catalizzatore di insight, un attivatore di processi trasformativi.
  • Estetica come etica. Curare la forma è per te un atto politico. Ogni dettaglio – dalla disposizione dei posti alla scelta della colonna sonora – è parte di un disegno più ampio che mira a generare consapevolezza e bellezza.

Tratti Distintivi

  • Pensiero dialogico e performativo. Come in Kopiot Oy, sai che la verità non è mai data, ma si costruisce insieme, anche attraverso l’assurdo. Il paradosso è per te una leva di innovazione.
  • Ritualità e storytelling. Come in Real Exchange, usi il racconto come strumento di connessione e il rito come dispositivo di senso. Ogni simposio è un viaggio simbolico, un volo tra le domande.
  • Curatela esperienziale. Come un DJ culturale, componi playlist di contenuti, persone e atmosfere per generare esperienze memorabili. In Zebrania, reinventi la ritualità per restituirle senso.

Punti di Forza

  • Generi comunità temporanee di senso. I tuoi eventi non sono solo incontri, ma esperienze trasformative che lasciano tracce profonde, come le città liberate da Daenerys o i tè surreali del Cappellaio.
  • Abiti l’ambiguità con grazia. In Kopiot Oy, dove tutto è il suo contrario, tu trovi poesia nel paradosso. Sai che il dubbio è fertile e crei spazi dove le contraddizioni possono dialogare.
  • Fai della convivialità un atto politico. In un’epoca di polarizzazioni, costruisci ponti, tavole rotonde, cerchi di parola. In Tarantola Ltd., riparti dalla comunità e dai racconti condivisi per rigenerare il Genius Loci.
  • Custodisci la memoria come capitale narrativo. In Mnemonia, trasformi il ricordo in visione strategica. Sai che la memoria non è un archivio, ma un organismo vivente che genera futuro.
  • Attivi reputazione e fiducia attraverso narrazioni partecipative. Sai che ogni recensione è una micro-transazione di fiducia. Tu sei il regista di questi racconti: non li controlli, li fai emergere.

Attenzione a…

  • Non perdere il contatto con l’azione. Il rischio del Simposiarca è restare nel mondo delle idee. Ricorda che ogni visione ha bisogno di incarnarsi in pratiche, come il Cappellaio che serve il tè o Daenerys che agisce.
  • Evitare l’estetizzazione fine a sé stessa. La bellezza è importante, ma deve sempre servire un’etica della responsabilità e dell’inclusione. Il Simposio è rito, non spettacolo vuoto.
  • Non sottovalutare la dimensione sistemica. In Zebrania, la ritualità può diventare sterile se non è connessa a relazioni vive. Il tuo compito è rigenerare il senso, non replicare la forma.

125- continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO
62 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO LOTTO
63 – OPINION PIECE DI GIANLUCA BOTTINI
65– OPINION PIECE DI SIMONE FARINELLI
66– OPINION PIECE DI FRANCESCA ANNALISA PETRELLA
67– OPINION PIECE DI VALERIO FLAVIO GHIZZONI
68– OPINION PIECE DI STEFANO MAGNI
69– OPINION PIECE DI LUCA LA BARBERA
70 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: LA GRAPHIC NOVEL!
71 – LEADERSHIP POP. APOFATICA E CATAFATICA DELLA COMUNICAZIONE
72 – OPINION PIECE DI FEDERICA CRUDELI
73– OPINION PIECE DI MELANIA TESTI
74 – OPINION PIECE DI GIANMARCO GOVONI
75– OPINION PIECE DI MARIACHIARA TIRINZONI
76 – SENSEMAKING POP. LODE DELLA CATTIVA CONSIDERAZIONE DI SE’
77 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA CAPPELLO E ALESSANDRA MAZZEI
78 – OPINION PIECE DI JOE CASINI
79 – OPINION PIECE DI MARTA CIOFFI
80 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE PRIMA)
81 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE SECONDA)
82 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (NOTE A MARGINE)
83 – ENGAGEMENT POP. IL MANAGER INGAGGIANTE IMPARA DAI POKEMON
84 – ENGAGEMENT POP. DARE VOCE IN CAPITOLO
85 – ENGAGEMENT POP. COMUNICARE, VALUTARE, TRASFORMARE
86 – SENSEMAKING POP. MALATTIA MENTALE E BENESSERE PSICOLOGICO SUL LAVORO
87 – SENSEMAKING POP. FOLLIA O DIVERSITA’?
88 – OPINION PIECE DI LUIGIA TAURO
89 – OPINION PIECE DI NILO MISURACA
90 – OPINION PIECE DI FRANCESCO DE SANTIS
91 – INNOVAZIONE POP. REMIX, RI-USO, RETELLING
92 – STORYTELLING POP. ARIMINUM CIRCUS AL BOOK PRIDE 2025
93 – OPINION PIECE DI SIMONE VIGEVANO
94 – OPINION PIECE DI LORENZO FARISELLI
95 – OPINION PIECE DI MARTINA FRANZINI
96 – OPINION PIECE DI EMANUELA RIZZO
97 – INNOVAZIONE POP. OLTRE LA PRE-INTERPRETAZIONE
98 – INNOVAZIONE POP. FORMAZIONE: ANALOGICA, METAVERSALE, IBRIDA
99 – ARIMINUM CIRCUS: LA VISUAL NOVEL!
100 – La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE PRIMA)
101 – La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE SECONDA)
102 – La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE TERZA)
103– La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE QUARTA)
104– La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE QUINTA)
105– OPINION PIECE DI ALEXANDRA NISTOR
106– FORMAZIONE POP. PARTE PRIMA
107– FORMAZIONE POP. PARTE SECONDA
108– OPINION PIECE DI FEDERICA GRAZIA BARTOLINI
109– OPINION PIECE DI FEDERICO PLATANIA
110– OPINION PIECE DANIELA DI CIACCIO
111– OPINION PIECE DI LUCIANA MALARA E DONATELLA MONGERA
112– IL RITORNO DEL CEOPOP
113– LA VISIONE DEI CEOPOP (VOLUME 1)
114– LA VISIONE DEI CEOPOP (VOLUME 2)
115 – LA COMUNICAZIONE DEL CEOPOP
116– CEOPOP E PARTI SOCIALI
117– CHE POP MANAGER SEI? L’ESTETA
118– STORYTELLING POP. UNA COMUNICAZIONE POP PER IL NON PROFIT
119– CHE POP MANAGER SEI? VISIONARIO/VISIONARIA
120– OPINION PIECE DI REMO PONTI
121– CHE POP MANAGER SEI? EMPATICA/EMPATICO
122– OPINION PIECE DI GIACOMO GRASSI
123– CHE POP MANAGER SEI? INNOVATORE/INNOVATRICE
124– SECONDA CONVERSAZIONE COLLABORATIVA SUL POP BRANDING