Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 120. Storytelling Pop. Opinion Piece di Remo Ponti

Il Pop Opinionist di turno è Remo Ponti. Ecco la sua auto-descrizione, in terza persona, come si conviene a un estimatore del De Bello Gallico: Classe 1965, quindi ormai anagraficamente svantaggiato, si laurea in Informatica nel 1990, quando si pensava che la facoltà di “Scienze dell’Informazione” di Torino insegnasse giornalismo.

Dopo una parentesi non esaltante in una Fabbrica Italiana di Automobili di Torino che preferisce non citare, entra in banca (ora Intesa Sanpaolo) trascorrendo 21 anni nei Sistemi Informativi, ottiene poi l’indulto, esce, ed entra nella Comunicazione Interna in cui, tra le altre cose, conduce il progetto della nuova intranet per le 90.000 persone del Gruppo, che nel 2024 vince il premio come “Migliore Intranet italiana” all’Intranet Italia Day.

Da circa due anni si occupa anche della diffusione dell’Intelligenza Artificiale nell’ufficio di Internal Communication del Gruppo tramite webinar, podcast e demo, ma quando si presenta dice solo che è il fratello di Marco Ponti, il regista di “Santa Maradona”.

Remo Ponti, classe 1965 quindi ormai anagraficamente svantaggiato, si laurea in Informatica nel 1990, quando si pensava che la facoltà di “Scienze dell’Informazione” di Torino insegnasse giornalismo. Dopo una parentesi non esaltante in una Fabbrica Italiana di Automobili di Torino che preferisce non citare, entra in banca (ora Intesa Sanpaolo) trascorrendo 21 anni nei Sistemi Informativi, ottiene poi l’indulto, esce, ed entra nella Comunicazione Interna in cui, tra le altre cose, conduce il progetto della nuova intranet per le 90.000 persone del Gruppo, che nel 2024 vince il premio come “Migliore Intranet italiana” all’Intranet Italia Day. Da circa due anni si occupa anche della diffusione dell’Intelligenza Artificiale nell’ufficio di Internal Communication del Gruppo tramite webinar, podcast e demo, ma quando si presenta dice solo che è il fratello di Marco Ponti, il regista di “Santa Maradona”.

Darth Vader o Capitano Picard?

Guida al Pop Management tra leadership, comunicazione e strategie HR

di Remo Ponti

Immagina due aziende. In una, il tuo capo entra nella stanza e cala il silenzio. Tutti si irrigidiscono. Nessuno osa contraddirlo. Le decisioni arrivano dall’alto, rapide, indiscutibili. Gli errori? Costano caro. L’ambiente è teso, ma efficiente. Nell’altra azienda, invece, il leader ascolta, dialoga, riunisce il team per decidere insieme. Le persone si sentono parte di una missione più grande. Gli errori sono occasioni di apprendimento. La parola d’ordine? Collaborazione.

Benvenuti nei mondi opposti dell’Impero Galattico di Star Wars e della Federazione dei Pianeti Uniti di Star Trek. Due visioni contrastanti non solo di galassie lontane lontane…, ma anche di leadership, cultura aziendale, comunicazione interna e gestione delle risorse umane. Il primo è dominato da gerarchie rigide, controllo e paura. Il secondo fonda tutto su fiducia, esplorazione e cooperazione.

In questo articolo, viaggeremo tra questi due modelli interstellari per scoprire come ispirarsi a essi nella vita reale delle organizzazioni. Quale approccio genera maggiore innovazione? Quale stimola l’engagement dei collaboratori? Quale crea aziende pronte ad affrontare le sfide del futuro? Che tu sia più Darth Vader o più Jean-Luc Picard, preparati al decollo: stiamo per esplorare la leadership… a velocità di curvatura.

Stili di leadership a confronto: dal Lato oscuro a Starfleet

Nel modello “imperiale” alla Star Wars, la leadership assume forme autoritarie e verticali. Il potere è concentrato ai vertici e si alimenta di paura e controllo. La scena è dominata da leader carismatici ma spietati che non tollerano errori né dissenso: celebre è la freddezza con cui Darth Vader “promuove” l’Ammiraglio Piett soffocando il suo predecessore con un gesto telecinetico – “You have failed me for the last time, Admiral[1] – a monito di quanto la paura venga usata come leva di comando. In queste organizzazioni ritroviamo “una rigida gerarchia…, il modello prescrittivo-direttivo del Comando e Controllo; un clima di Paura…, il valore primario dell’Efficienza… [e] la rigida classificazione delle persone in base al ruolo”[2]. Non sorprende, dunque, che esse siano “uno specchio perfetto delle tradizionali organizzazioni aziendali fondate sui caposaldi dello Scientific Management: standardizzazione, efficienza, … uniformità e controllo”[3]. La leadership imperiale incarna ciò che Frederic Laloux definirebbe un’organizzazione “Rossa”, in cui “un leader forte esercita il potere sugli altri in larga misura attraverso la paura”[4]. Il risultato è un comando efficiente nell’immediato ma impersonale, dove i sottoposti – come gli ufficiali imperiali intimoriti da Vader – eseguono ordini senza osare iniziative o critiche, temendo ritorsioni.

Di contro, il modello “federale” ispirato a Star Trek privilegia una leadership diffusa, autentica e partecipativa. Il capitano Jean-Luc Picard dell’Enterprise, ad esempio, guida con autorevolezza ma anche con ascolto e rispetto, spesso riunendo l’equipaggio nella sala tattica per discutere apertamente strategie e problemi. In questa filosofia, il leader è un facilitatore e un riferimento valoriale, più che un dittatore di ordini. Non a caso, nella Flotta Stellare “il primo dovere di ogni ufficiale è verso la verità, sia essa scientifica, storica o personale” – come Picard ricorda ai cadetti dell’Accademia di Starfleet[5]. La trasparenza e l’integrità diventano principi guida, in netto contrasto con l’opacità dell’Impero. Marco, nel suo “Prolegomeni 7” dedicato alla Leadership Pop, individua proprio apertura, autonomia, agio e auto-espressione come “i cardini di una leadership contemporanea e coerente con le esigenze di senso delle nuove generazioni”[6]. Questa leadership “pop” e federativa rifugge l’autoritarismo: “La leadership non può più essere verticale, autoritaria, impersonale. Deve farsi rete, ascolto, presenza”[7]. In altre parole, il buon leader oggi costruisce relazioni di fiducia e connessioni orizzontali, agendo più da regista che da comandante assoluto.

Un esempio concreto di tale approccio è la trasformazione del ruolo del capo in servant leader: Henry Mintzberg nota che nelle organizzazioni evolute i dirigenti abbandonano il culto dell’ego e dell’accentramento, poiché “empowerment is what managers do to people. Engagement is what managers do with people”[8]. È la logica della “piramide rovesciata”, per cui “il CEO si pone alla base a supporto dei manager e questi a loro volta supportano i dipendenti in prima linea”[9], ribaltando la struttura di potere tradizionale. Il capitano dell’Enterprise, infatti, non si pone su un trono lontano dagli altri: al contrario, collabora fianco a fianco con l’equipaggio, stimolandone l’iniziativa. Il confronto delle idee è incoraggiato, non temuto. Come afferma Jim Collins, “Good leadership requires you to surround yourself with people of diverse perspectives who can disagree with you without fear of retaliation”[10]. Sulla plancia dell’Enterprise, ufficiali come il comandante Riker o il consigliere Troi possono contraddire Picard rispettosamente, sapendo che il dissenso costruttivo è benvenuto. Nell’Impero di Star Wars, al contrario, la paura soffoca ogni feedback: nessun ufficiale oserebbe “dissentire” con Darth Vader se non desidera essere “rimosso”!

In sintesi, il modello imperiale enfatizza obbedienza e catena di comando, mentre quello federale mette al centro fiducia, autenticità e empowerment diffuso. La sfida per i leader odierni è chiara: “La vera leadership oggi? Umana, autentica”, scrive Federica Bartolini[11], basata sulla presenza e non sulla posizione formale. Si tratta di abbandonare il Lato Oscuro di una leadership della paura, per abbracciare una leadership più illuminata e collaborativa, capace di guidare ispirando le persone invece di intimorirle.

Strategie di comunicazione interna: controllo opaco vs dialogo trasparente

Le differenze nei modelli di leadership si riflettono direttamente nelle strategie di comunicazione interna. Nell’organizzazione “stile Impero”, la comunicazione è tipicamente top-down, rigidamente controllata e spesso “impersonale”[12]. Le informazioni viaggiano in modo unidirezionale: gli ordini partono dall’alto e scendono lungo la gerarchia, mentre dal basso non risale quasi nulla se non rapporti formali. Il flusso comunicativo è inibito dalla paura: gli errori vengono occultati o scaricati su qualche capro espiatorio pur di evitare l’ira del superiore di turno. Il clima di paura descritto da Minghetti – “il Coniglio è angosciato, Alice è spaventata… l’incubo perenne del ritardo aleggia” nella metafora aziendale di Alice nel Paese delle Meraviglie[13] – si traduce, nella vita aziendale, in comunicazioni interne prudenziali quando non manipolatorie. L’Impero Galattico stesso si regge sulla propaganda e sul segreto: come dichiara freddamente il Grand Moff Tarkin in Star Wars, «Fear will keep the local systems in line. Fear of this battle station»[14]. La paura viene usata come messaggio e come mezzo di persuasione, in mancanza di un vero dialogo.

Al contrario, nel modello “federale” alla Star Trek, la comunicazione interna punta alla trasparenza, al coinvolgimento emotivo e alla circolazione aperta delle idee. In una Social Organization ispirata a questi principi, “chi guida, comunica. E la comunicazione è uno degli atti più potenti a disposizione dei leader”[15]. Ogni messaggio, ogni silenzio, perfino ogni espressione non verbale contribuisce a definire la cultura condivisa. Per questo i leader federali curano molto sia il cosa sia il come comunicano. Non basta trasmettere dati o direttive – “Good communication is not just data transfer”, ricorda John Kotter[16] – occorre mostrare coerenza e apertura, parlare ai dubbi e alle speranze delle persone. L’obiettivo non è controllare l’informazione, ma diffondere comprensione e fiducia. “La comunicazione autentica è un moltiplicatore di fiducia” – scrive Minghetti – “Autenticità… significa scegliere la chiarezza rispetto al controllo, e la coerenza rispetto alla convenienza”[17]. In pratica, un leader federativo privilegia la chiarezza anche quando è scomoda, condivide la visione e le ragioni delle scelte, ammette gli errori. Si crea così un clima in cui i dipendenti non temono di esprimersi. Del resto, “without credible communication, and a lot of it, the hearts and minds of others are never captured” avverte Kotter[18]: senza una comunicazione credibile e frequente, i cuori e le menti delle persone non vengono mai conquistati davvero.

Un esempio di strategia comunicativa “pop” e inclusiva ci viene da un caso reale citato su “Le Aziende InVisibili”: presso SIAE è stato lanciato un esperimento atipico di engagement interno, attraverso la poesia. Iniziative come “Poesie UMANE, RISORSE Poetiche”, diffuse dal manager via LinkedIn, hanno mostrato un fenomeno interessante: pur essendo comunicazioni esterne all’azienda, le poesie “vengono lette, vissute e viste con meno resistenze che non se fosse stata lanciate come iniziativa aziendale”. Ciò suggerisce che “non sono forse le persone che prima di tutto contaminano le altre persone? L’azienda da sola… non può pensare di avere il potere di ingaggiare le persone e donare loro benessere a pacchetti. Si deve parlare al cuore, alle emozioni, e tutto questo si può fare utilizzando linguaggi artistici e/o Pop, come la poesia”[19]. In altre parole, la comunicazione interna efficace passa per autenticità e rilevanza emotiva: raccontare storie, usare metafore creative (anche prese dalla cultura Pop), parlare alla persona oltre che al ruolo professionale. Un leader federativo sa che condividere valori e vulnerabilità in modo aperto genera vicinanza: “ho visto board cambiare idea, team riattivarsi… solo perché un leader ha avuto il coraggio di essere reale”, testimonia Bartolini[20]. Al contrario, nel regime comunicativo “imperiale”, il linguaggio rimane freddo, burocratico o minaccioso, incapace di ispirare. Laddove l’organizzazione federale incoraggia il dialogo e l’ascolto (persino il silenzio viene interpretato, secondo Drucker, perché “the most important thing in communication is to hear what isn’t being said”[21]), l’organizzazione imperiale genera monologhi unidirezionali e silos di informazione.

In sintesi, chiarezza vs. opacità, dialogo vs. ordine di servizio, fiducia vs. paura: sono questi i poli opposti della comunicazione interna nei due modelli. Il primo crea engagement genuino – “l’engagement nasce da scambi autentici e coerenti” [22]– il secondo crea alienazione o, nel migliore dei casi, conformismo passivo. Non stupisce che “quando la comunicazione diventa opaca e il linguaggio del potere non si evolve con la sensibilità collettiva, anche i leader più quotati perdono presa”[23]: lo vediamo tanto nelle galassie lontane quanto nelle aziende reali.

Sviluppo delle risorse umane: Stormtrooper vs Starfleet Academy

Un’organizzazione si rivela anche da come valorizza (o meno) le proprie persone. Nel paradigma “imperiale” à la Star Wars, i collaboratori sono spesso considerati ingranaggi sostituibili. Basti pensare ai legioni di Stormtrooper anonimi, identificati da codici alfanumerici invece che da nomi propri (come il famoso “TK-421” dell’Episodio IV). La formazione e la crescita individuale non sono una priorità: gli addestramenti mirano soprattutto a garantire disciplina e obbedienza, più che creatività o benessere. L’Impero punta su standardizzazione e quantificazione a scapito della singolarità personale[24]. In termini aziendali, questo si traduce in percorsi di sviluppo rigidamente prescrittivi (quando esistono), in cui l’unico avanzamento di carriera deriva dal compiacere i superiori e scalare posizioni gerarchiche. Non a caso, l’Impero soffre di un costante ricambio tramite epurazioni – i fallimenti si pagano con il posto se non con la vita – e manca completamente di engagement: nessuno “ci mette il cuore”, poiché l’organizzazione non investe sul loro futuro. La cultura tradizionale, come nota Mintzberg, spesso vede i dipendenti come “risorse umane” piuttosto che esseri umani; egli ammonisce: “Organizations are communities of human beings, not collections of human resources”[25]. Nel modello imperiale questa lezione è ignorata: vige la mentalità usa-e-getta del personale, che porta a scarsa lealtà e fuga dei talenti (quando non vengono letteralmente eliminati da Vader…).

Di ben altro segno è l’approccio “federale” ispirato alla Federazione trekkiana. Qui le persone sono viste come il vero patrimonio strategico dell’organizzazione, da far crescere e coinvolgere attivamente. La Starfleet Academy, presente nell’universo di Star Trek, simboleggia l’importanza attribuita alla formazione continua, al merito e allo sviluppo del potenziale di ciascuno. Analogamente, nelle aziende Pop le attività di formazione e le politiche HR puntano a essere “un’esperienza trasformativa che le persone scelgono, ricordano e raccontano” e non un noioso obbligo imposto dall’ufficio del personale[26]. Nel dialogo con i responsabili formazione di varie aziende, Minghetti sottolinea che la Formazione Pop non è un lusso accessorio né una moda effimera, ma “è una strategia di engagement, di employer branding, di empowerment”[27]. Investire nelle competenze e nel benessere dei dipendenti diventa un modo concreto per generare valore organizzativo: “Per restare rilevanti, le organizzazioni devono competere sul terreno della cultura, della comunicazione, dell’identità. E questo passa anche – e soprattutto – da come garantiscono la formazione, la crescita, il miglioramento continuo delle persone”[28]. In un’azienda “federale”, i manager agiscono da coach e mentor, favorendo percorsi di carriera orizzontali e verticali in base al talento e all’interesse. I team multidisciplinari, la rotazione di ruoli, le community interne di pratica (un po’ come gli equipaggi interculturali delle navi stellari) sono strumenti per stimolare collaborazione e apprendimento reciproco. L’errore non è punito con la gogna, bensì analizzato per trarne insegnamenti – filosofia ben rappresentata dal celebre motto di Star Trek: “Logic clearly dictates that the needs of the many outweigh the needs of the few”[29]. Il bene collettivo (la crescita di competenze dell’organizzazione nel suo insieme) viene prima dell’ego del singolo, ma senza sacrificare l’individualità: al contrario, ognuno è chiamato a contribuire col proprio estro unico. In questo ambiente, un giovane ufficiale può commettere un errore e poi migliorarsi col supporto dei superiori (come spesso accade a Wesley Crusher o ad altri personaggi di Star Trek), mentre nell’Impero chi sbaglia viene semplicemente eliminato o degradato senza appello.

Un esempio di pratica HR “federale” nella realtà è la creazione di community aziendali interne basate su passioni extra-lavorative (sport, hobby, volontariato): tali iniziative, come riportato nel blog, “sono momenti in cui le persone si conoscono e condividono momenti di passione da cui però possono nascere collaborazioni interne più efficaci e trasferimenti di competenze naturali”[30]. Ciò riflette l’idea che lo sviluppo delle risorse passa anche dal favorire legami umani e scambi informali, aspetti ignorati dal freddo modello gerarchico imperiale. In definitiva, il modello federale di sviluppo HR crea comunità apprendenti, dove la crescita individuale alimenta quella organizzativa in un circolo virtuoso. Il modello imperiale, viceversa, vede la formazione come costo da minimizzare e pretende risultati immediati dai collaboratori, i quali però – non sentendosi né valorizzati né al sicuro – difficilmente daranno il meglio di sé.

Quindi il miglior CEO è Anakin o Jean-Luc?

Dopo aver tracciato questo dualismo tra “Impero” e “Federazione”, è importante riconoscere che entrambi gli approcci presentano vantaggi e svantaggi. La metafora pop aiuta a estremizzare i tratti, ma nella realtà manageriale ci sono zone intermedie e contaminazioni. Un’analisi equilibrata deve dunque considerare cosa funziona e cosa no in ognuno dei due modelli.

Modello imperiale

PROS: nel breve termine, un sistema di comando e controllo rigido può garantire ordine, chiarezza dei ruoli e rapidità decisionale. Le decisioni vengono prese dall’alto in poco tempo e immediatamente eseguite. In situazioni di crisi o emergenza, questo centralismo può risultare efficace: una singola mente (il leader) coordina la risposta senza perdersi in lunghe consultazioni. Inoltre, l’enfasi su regole, procedure standard e disciplina assicura una certa efficienza operativa – ogni “stormtrooper” sa esattamente cosa fare e come farlo, senza deviare dal protocollo. Il modello imperiale eccelle quindi nel raggiungere obiettivi a breve termine e nel mantenere un fronte apparentemente compatto (nessuna contestazione interna).

CONS: sul medio-lungo termine, però, i difetti superano i pregi. La mancanza di feedback e di spirito critico interno rende l’organizzazione poco adattabile ai cambiamenti: se il leader sbaglia rotta, nessuno osa correggerlo finché non è troppo tardi (come l’Imperatore che non percepisce l’insoddisfazione crescente nei sistemi oppressi, finché scoppia la Ribellione). L’innovazione soffoca, poiché “la leadership verticale e autoritaria” tende a “trasformare la leadership in qualcosa di astratto, scollegato dalla realtà emotiva e relazionale dei team”[31]. In un clima di paura, i collaboratori evitano di portare brutte notizie o idee fuori dagli schemi – il che può condurre a errori catastrofici non corretti in tempo. Inoltre, l’efficienza di facciata spesso nasconde demotivazione: lavorare sotto minaccia continua abbassa l’engagement e spinge talenti validi a fuggire (o, nella metafora, a disertare e unirsi magari alla Resistenza). Come afferma Kip Tindell, imprenditore illuminato, “You can build a much more wonderful company on love than you can on fear”[32] – una grande azienda si fonda sull’amore (passione, fiducia) molto più che sulla paura. Infine, il modello imperiale crea dipendenza da singoli leader carismatici: se vengono meno, l’organizzazione crolla perché non ha sviluppato leadership diffuse né successione. Proprio come alla morte dell’Imperatore l’intero sistema imperiale si sgretola rapidamente, analogamente un’azienda autocratica fatica a sopravvivere al suo capo-padrone.

Modello federale:

PROS: l’approccio federativo presenta notevoli punti di forza nell’attuale contesto economico e sociale, caratterizzato da complessità e bisogno di innovazione continua. Innanzitutto, una cultura di apertura e fiducia incentiva il contributo di tutti: le idee migliori possono emergere da qualsiasi livello dell’organizzazione. I dipendenti si sentono parte di una mission condivisa, come membri dell’equipaggio dell’Enterprise, e sono motivati a impegnarsi non solo per il salario ma per realizzare qualcosa di significativo insieme. Questo produce engagement elevato e una capacità di adattamento superiore: problemi nuovi vengono affrontati con creatività collettiva. “Motivation and inspiration energize people… not by pushing them as control mechanisms do, but by satisfying basic human needs – achievement, belonging, recognition, self-esteem…”, scrive Kotter[33]: in un’organizzazione federale le persone trovano soddisfatti questi bisogni e quindi danno il meglio. La comunicazione trasparente riduce i conflitti nascosti e allinea tutti verso gli obiettivi comuni. Inoltre, investire in formazione e crescita costruisce competenze interne robuste: l’azienda impara ed evolve più rapidamente dei concorrenti ingessati. In un mondo dove il cambiamento è costante, avere una squadra di persone autonome, capaci di apprendere e di prendere iniziative responsabili, è un vantaggio competitivo enorme. Come dice il citato principio vulcaniano che le esigenze di molti prevalgono su quelle di pochi, il modello federale massimizza il valore collettivo nel lungo periodo, perché valorizza il potenziale di molti invece di sfruttare pochi.

CONS: naturalmente, anche questo approccio non è privo di difficoltà. Uno stile di gestione così partecipativo richiede maturità, fiducia reciproca e forti doti di leadership diffusa. Non tutte le organizzazioni sono pronte per un modello simile: se la cultura pregressa è tossica o le persone non sono abituate a prendersi responsabilità, il rischio è di cadere nel caos. Senza una guida chiara, infatti, la ricerca continua di consenso può rallentare eccessivamente le decisioni (paralisi da analisi). Un famoso detto avverte che “un cammello è un cavallo disegnato da un comitato”[34] – il che ricorda che il compromesso continuo talvolta diluisce la qualità, come anche ricorda quest’altra frase che uso spesso nei corsi sul teamworking: “If Thomas Edison had asked a focus group, he would have invented a bigger candle[35]. Nel contesto Star Trek, vediamo talora capitani troppo inclini al dibattito che rischiano di perdere il momento per agire; analogamente, in azienda un eccesso di dibattiti può far perdere reattività. Inoltre, delegare responsabilità a tutti funziona bene con team altamente competenti e motivati, ma potrebbe fallire se le persone non hanno le competenze o l’etica del lavoro necessarie: in assenza di controllo, alcuni potrebbero adagiarsi. Il modello federativo richiede dunque uno sforzo iniziale di costruzione culturale (instillare valori condivisi, fornire training su come collaborare) non indifferente. Durante la transizione, possono emergere resistenze da parte di chi era abituato a privilegi o comfort delle vecchie gerarchie (esempio: alcuni manager di medio livello potrebbero sentirsi spaesati nel perdere parte del loro potere decisionale). In sintesi, la governance federativa deve evitare di scivolare nell’eccesso opposto all’autoritarismo, cioè l’anarchia o la “riunioneite” inconcludente. Il capitano resta comunque necessario per dare una rotta e prendere decisioni quando serve – ma il suo ruolo, come abbiamo visto, diventa quello di garante dei valori e facilitatore, più che di micro-manager operativo.

Conclusione: verso un equilibrio galattico?

Le metafore di Star Wars e Star Trek ci hanno permesso di estremizzare due modelli organizzativi antitetici. In realtà, poche aziende sono completamente imperiali o completamente federative; molte oscillano tra i due poli, e la sfida è spesso trovare un equilibrio dinamico adatto al proprio contesto. L’idea centrale del Pop Management non è semplicemente scegliere un fandom (Impero vs Federazione), ma piuttosto integrare cultura pop e management per comprendere meglio le dinamiche umane nelle organizzazioni e innovarle.

Marco in “Le Aziende InVisibili”[36], descrive questa contrapposizione attraverso sette parole chiave Boatz (che richiamano il mondo “solido” taylorista) contrapposte alle sette parole chiave Jakin (che rappresentano la Social Organization). Da un lato: Forza, Efficienza, Standardizzazione, Produzione di Massa, Quantificazione, Precisione, Uniformità e Controllo; dall’altro: Amenità, Erotismo (inteso come passione creativa), Gioco, Incontro, Agio, Cura e Territorialità[37]. Il modello imperiale incarna le prime: è muscolare, ossessionato dai numeri e dall’ordine, ma freddo e rigido. Il modello federale sposa le seconde: privilegia la cura delle persone, la dimensione ludica e creativa, l’informalità che mette a proprio agio, il radicamento in comunità coese.

Nel mondo reale, un’organizzazione di successo potrebbe prendere il meglio di entrambi: la chiarezza di ruoli senza l’inflessibilità gerarchica, l’agilità decisionale senza la paura, la collaborazione diffusa senza perdere la direzione strategica. D’altro canto, se dovessimo scegliere il “lato” su cui investire per il futuro, i segnali sono chiari. La società iperconnessa e la conoscenza diffusa premiano le aziende capaci di essere comunità anziché burocrazie. Come conclude Bartolini, “la leadership non può più essere verticale… Deve farsi rete, ascolto, presenza”[38], perché solo così può “dare senso al cambiamento… scegliendo un linguaggio che unisce, non che divide”[39]. In un’epoca in cui i Millennial e Gen Z cercano significato e autenticità sul lavoro, l’approccio da Enterprise della Federazione – serio ma aperto, disciplinato ma empatico – sembra destinato a prevalere su quello da Morte Nera dell’Impero. Del resto, “you can build a much more wonderful company on love than on fear”: l’amore (professionale) costruisce aziende migliori della paura[40]. E forse il segreto è proprio qui, in questa saggezza che accomuna management e narrativa: le organizzazioni non sono fatte di “risorse” ma di persone, con un lato chiaro e uno scuro dentro di sé. Sta ai leader decidere quale lato coltivare.

In conclusione, guardando alla leadership attraverso la lente di Star Wars e Star Trek, impariamo che “la leadership è un atto di comunicazione”[41] continuo e coerente, e che il vero potere di un’impresa non si misura dalla capacità di costruire la Morte Nera, ma dall’energia che sa sprigionare nelle sue persone. Come direbbe Yoda, “la Forza” di un’azienda scaturisce dall’unione di conoscenza, fiducia e passione dei suoi membri. Che la Forza – anzi, la collaborazione – sia con voi, Maestri o Padawan.

[1] Guerre Stellari Ep. V – L’Impero colpisce ancora

[2] Prolegomeni 21 – Organizzazione Pop. Comando, Controllo, Paura, Disorientamento di Marco Minghetti

[3] Prolegomeni 21 – Organizzazione Pop. Comando, Controllo, Paura, Disorientamento di Marco Minghetti

[4] Laloux, Frederic, Reinventing Organizations, 2014

[5] Star Trek TNG 5×19 “Il primo dovere

[6] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop. Opinion Piece di Federica Grazia Bartolini

[7] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop. Opinion Piece di Federica Grazia Bartolini

[8] Henry Mintzberg, Simply Managing: What Managers Do — and Can Do Better, 2013

[9] Laloux, Frederic. Reinventing Organizations. Nelson Parker, 2014

[10] Doris Kearns Goodwin, Leadership in Turbulent Times, 2018

[11] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop. Opinion Piece di Federica Grazia Bartolini

[12] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop. Opinion Piece di Federica Grazia Bartolini

[13] Prolegomeni 21 – Organizzazione Pop. Comando, Controllo, Paura, Disorientamento di Marco Minghetti

[14] Guerre Stellari Ep. IV – Una nuova speranza

[15] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop. Opinion Piece di Federica Grazia Bartolini

[16] John P. Kotter, Dan Cohen, “The Heart of Change: Real-Life Stories of How People Change Their Organizations”, 2013

[17] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop. Opinion Piece di Federica Grazia Bartolini

[18] John P. Kotter, Dan Cohen, “The Heart of Change: Real-Life Stories of How People Change Their Organizations”, 2013

[19] Prolegomeni 107. La Formazione Pop di AA.VV.

[20] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop di Federica Grazia Bartolini

[21] Peter F. Drucker, Il management della società prossima ventura, 2002

[22] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop di Federica Grazia Bartolini

[23] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop di Federica Grazia Bartolini

[24] Prolegomeni 21 – Organizzazione Pop. Comando, Controllo, Paura, Disorientamento di Marco Minghetti

[25] Henry Mintzberg, Rebalancing Society: Radical Renewal Beyond Left, Right, and Center, 2015

[26] Prolegomeni 107. La Formazione Pop di AA.VV.

[27] Prolegomeni 107. La Formazione Pop di AA.VV.

[28] Prolegomeni 107. La Formazione Pop di AA.VV.

[29] Star Trek II: L’ira di Kahn

[30] Prolegomeni 107. La Formazione Pop di AA.VV.

[31] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop di Federica Grazia Bartolini

[32] Kip Tindell, Uncontainable: How Passion, Commitment, and Conscious Capitalism Built a Business Where Everyone Thrives, 2014

[33] John P. Kotter, John P. Kotter on what Leaders Really Do, 1999

[34] Sir Alec Issigonis (attribuita), ingegnere britannico di origine greca noto soprattutto per aver progettato la Mini della British Motor Corporation.

[35] Attribuzione non certa, sicuramente non di Steve Jobs!

[36] Marco Minghetti, Le aziende In-Visibili, 2008

[37] Prolegomeni 21 – Organizzazione Pop. Comando, Controllo, Paura, Disorientamento di Marco Minghetti

[38] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop di Federica Grazia Bartolini

[39] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop di Federica Grazia Bartolini

[40] Kip Tindell, Uncontainable: How Passion, Commitment, and Conscious Capitalism Built a Business Where Everyone Thrives, 2014

[41] Prolegomeni 108 – Sensemaking Pop di Federica Grazia Bartolini

 

120 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO
62 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO LOTTO
63 – OPINION PIECE DI GIANLUCA BOTTINI
65– OPINION PIECE DI SIMONE FARINELLI
66– OPINION PIECE DI FRANCESCA ANNALISA PETRELLA
67– OPINION PIECE DI VALERIO FLAVIO GHIZZONI
68– OPINION PIECE DI STEFANO MAGNI
69– OPINION PIECE DI LUCA LA BARBERA
70 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: LA GRAPHIC NOVEL!
71 – LEADERSHIP POP. APOFATICA E CATAFATICA DELLA COMUNICAZIONE
72 – OPINION PIECE DI FEDERICA CRUDELI
73– OPINION PIECE DI MELANIA TESTI
74 – OPINION PIECE DI GIANMARCO GOVONI
75– OPINION PIECE DI MARIACHIARA TIRINZONI
76 – SENSEMAKING POP. LODE DELLA CATTIVA CONSIDERAZIONE DI SE’
77 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA CAPPELLO E ALESSANDRA MAZZEI
78 – OPINION PIECE DI JOE CASINI
79 – OPINION PIECE DI MARTA CIOFFI
80 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE PRIMA)
81 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE SECONDA)
82 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (NOTE A MARGINE)
83 – ENGAGEMENT POP. IL MANAGER INGAGGIANTE IMPARA DAI POKEMON
84 – ENGAGEMENT POP. DARE VOCE IN CAPITOLO
85 – ENGAGEMENT POP. COMUNICARE, VALUTARE, TRASFORMARE
86 – SENSEMAKING POP. MALATTIA MENTALE E BENESSERE PSICOLOGICO SUL LAVORO
87 – SENSEMAKING POP. FOLLIA O DIVERSITA’?
88 – OPINION PIECE DI LUIGIA TAURO
89 – OPINION PIECE DI NILO MISURACA
90 – OPINION PIECE DI FRANCESCO DE SANTIS
91 – INNOVAZIONE POP. REMIX, RI-USO, RETELLING
92 – STORYTELLING POP. ARIMINUM CIRCUS AL BOOK PRIDE 2025
93 – OPINION PIECE DI SIMONE VIGEVANO
94 – OPINION PIECE DI LORENZO FARISELLI
95 – OPINION PIECE DI MARTINA FRANZINI
96 – OPINION PIECE DI EMANUELA RIZZO
97 – INNOVAZIONE POP. OLTRE LA PRE-INTERPRETAZIONE
98 – INNOVAZIONE POP. FORMAZIONE: ANALOGICA, METAVERSALE, IBRIDA
99 – ARIMINUM CIRCUS: LA VISUAL NOVEL!
100 – La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE PRIMA)
101 – La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE SECONDA)
102 – La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE TERZA)
103– La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE QUARTA)
104– La (P) AI INTELLIGENCE (PARTE QUINTA)
105– OPINION PIECE DI ALEXANDRA NISTOR
106– FORMAZIONE POP. PARTE PRIMA
107– FORMAZIONE POP. PARTE SECONDA
108– OPINION PIECE DI FEDERICA GRAZIA BARTOLINI
109– OPINION PIECE DI FEDERICO PLATANIA
110– OPINION PIECE DANIELA DI CIACCIO
111– OPINION PIECE DI LUCIANA MALARA E DONATELLA MONGERA
112– IL RITORNO DEL CEOPOP
113– LA VISIONE DEI CEOPOP (VOLUME 1)
114– LA VISIONE DEI CEOPOP (VOLUME 2)
115 – LA COMUNICAZIONE DEL CEOPOP
116– CEOPOP E PARTI SOCIALI
117– CHE POP MANAGER SEI? L’ESTETA
118– STORYTELLING POP. UNA COMUNICAZIONE POP PER IL NON PROFIT
119– CHE POP MANAGER SEI? VISIONARIO/VISIONARIA