La conversazione collaborativa sul “CEOPOP” di oggi coinvolge 4 CEO e imprenditori: Donatella Scarpa (Ace Cablaggi ed Ecolibrì), Genny Fascia (Cangurolab.it), Andrea Dotti (Companies Talks) e Matteo Panizza (Resitape) che raccontano la loro visione del mondo industriale e dei servizi alla persona e alla produzione.
Le parole chiave che identificano la loro visione, seppure nella diversità di approccio, di azienda, di settore, di generazione, sono: condivisione, strategia, capacità, trasparenza, innovazione, paure, opportunità.
Il CEOPOP è una voce che vuole aggregare le Persone in azienda per la crescita di ogni individuo e dell’impresa stessa.
La visione dei CEOPOP
Alessandra Pilia
Alessandra Pilia Quanto è importante la voce del CEO e/o dell’imprenditore per far percepire i valori aziendali e coinvolgere i dipendenti? Attraverso quali canali comunichi il tuo ruolo?
Donatella Scarpa La mia voce di imprenditrice è fondamentale per l’azienda, perché nelle relazioni bisogna “metterci la faccia” e costruire un rapporto fiduciario e personale.
Essere trasparente con i collaboratori, coinvolgerli nella crescita e condividere le scelte consolida il rapporto di fiducia. Se loro si fidano di me e di mia figlia Ilaria Bagatin, che con me guida l’azienda, il percorso è più veloce e la crescita più solida perché fanno parte della strategia.
Quando invece parlo di rapporto personale intendo la relazione diretta, la mia presenza in stabilimento, la conversazione, le riunioni, i momenti di team bulding facilitano l’interazione e la condivisione di idee e decisioni.
Poi ovviamente la scelta finale e la responsabilità sono in capo all’imprenditore, come è giusto che sia, ma fiducia, condivisione e interazione sono alla base di un’azienda viva.
Questo è il mio approccio al fare impresa. Il canale della mia voce è quindi la relazione personale.
Andrea Dotti Nella mia azienda, la cultura non è stata costruita a tavolino, ma è nata in modo naturale, plasmata dal mio carattere e, in particolare, da un tratto distintivo: l’ansia. Un’ansia che, lungi dall’essere solo un ostacolo, è diventata il motore del nostro impegno quotidiano.
Raccontiamo storie di business attraverso attori, e fin da subito abbiamo compreso la delicatezza del nostro servizio: non basta intrattenere, dobbiamo essere credibili, autentici, impeccabili. Ogni performance deve essere all’altezza delle precedenti, ogni interpretazione deve trasmettere la giusta intensità, senza sbavature. Il rischio di un passo falso è sempre dietro l’angolo.
Così, invece di reprimere questa tensione, abbiamo scelto di cavalcarla con ironia. Abbiamo trasformato la paura dell’errore in una sorta di mantra motivazionale, coniando lo slogan: “Today is the day you can destroy the project, you can do it!” Una frase che suona come una provocazione, ma che in realtà racchiude una verità profonda: ogni giorno, la qualità del nostro lavoro è nelle mani di chi lo porta in scena. Il destino di tutti i collaboratori dipende dall’eccellenza delle interpretazioni e dalla professionalità dei formatori.
La mia filosofia è semplice: non ha senso fingere che le difficoltà non esistano. Al contrario, vanno affrontate a testa alta, e se possibile, esorcizzate con un sorriso. L’autoironia è la nostra arma segreta, il collante che ci tiene uniti e ci ricorda che l’ansia, se ben dosata, può trasformarsi in un potente alleato.
Genny Fascia Il CEOPOP non è il custode di un monologo aziendale, ma un artefice di senso in un ecosistema narrativo frammentato.
Oggi non si tratta più di diffondere un messaggio, ma di orchestrare voci, individuare dissonanze e trasformarle in armonie. La vera sfida non è far percepire i valori aziendali, ma renderli riconoscibili senza proclamarli. La leadership non si esaurisce nella comunicazione, ma nella capacità di attivare un’intelligenza collettiva che interiorizzi quei valori come propri. Non si può più governare il racconto aziendale con una sola voce: il CEOPOP è colui che crea le condizioni affinché l’impresa possa parlare attraverso chi la vive, la interpreta e la trasforma, con i dipendenti in primis.
Nel mio caso, strutturo la comunicazione attraverso una molteplicità di vettori, ma ciò che la distingue non è il mezzo, bensì l’intenzionalità: ogni canale – digitale o analogico – è progettato per attivare, non semplicemente informare. Il CEOPOP non trasmette, connette.
Matteo Panizza Comunicare con i propri dipendenti è fondamentale per trasmettere loro quei valori, quelle motivazioni, quella passioni e tutti quegli stimoli positivi che rappresentano il 4X4 del motore della propria azienda. Azienda intesa come un bioma di persone eterogenee ma accomunate dal guardare verso stesso orizzonte. Non importa dove ti collochi nel mare della tua azienda, quello che conta è guardare nella stessa direzione. E’ quindi un dovere da parte del CEO quello di essere leader nella creazione di un ambiente positivo in cui i valori siano opportunamente trasmessi a tutti i suoi collaboratori, indipendentemente dal grado e dal ruolo. Tutti possono essere importanti e creare energia positiva, di cui ne beneficerà la stessa azienda oltre che i colleghi.
Alessandra Pilia Quanto la “stakeholder economy” è importante per fare impresa oggi e come convertire la community con i nuovi strumenti di comunicazione? E’ un aspetto che nel tuo ruolo hai valorizzato?
Donatella Scarpa Uso lo stesso metodo anche con gli stakeholder, siano essi locali, nazionali o internazionali. Il rapporto personale si basa sulla credibilità che ho costruito nel tempo. Tengo fede ai miei impegni, sono coinvolta nelle iniziative delle comunità locali, frequento gli ambienti istituzionali e viaggio.
Questo permette all’azienda di essere come una cellula che si espande attraverso la mia reputazione e viceversa, attraverso la solidità e il valore del prodotto realizzato in stabilimento.
Nelle relazioni esterne invece uso molto i mezzi di comunicazione. Dai miei social personali, che gestisco anche con un’agenzia di comunicazione, alle ospitate in TV, alle interviste. Senza dimenticare la vita associativa.
Anche qui, “metterci la faccia” mi ha permesso di aprire molte porte e far crescere l’azienda.
Andrea Dotti Il nostro è un progetto di business storytelling, e l’engagement dei nostri stakeholder – partner, clienti e collaboratori – avviene in modo naturale, quasi spontaneo. Il motivo è semplice: raccontiamo storie di business che parlano di loro, delle loro difficoltà, delle loro incertezze, di quei momenti di esitazione e di quelle sfide che vivono ogni giorno.
Questo rende il nostro progetto qualcosa di più di un semplice servizio: diventa un punto di riferimento, uno spazio in cui riconoscersi e, per un attimo, sentirsi compresi. Le nostre storie non sono solo racconti, ma vere e proprie esperienze condivise, un momento di catarsi nelle frenetiche giornate lavorative dei nostri clienti e partner. È proprio in questo coinvolgimento emotivo che nasce il legame con il nostro progetto: un attaccamento che non ha bisogno di essere forzato, perché è autentico e naturale.
Genny Fascia Confondere la stakeholder economy con una mera estensione della community è un errore tanto comune quanto limitante. Questo paradigma, invece, segna un mutamento ontologico profondo nel modo in cui un’impresa crea e distribuisce valore, ponendo al centro una rete di attori interconnessi, spesso portatori di interessi divergenti.
In CanguroLab.it, genitori, fornitori di beni e servizi per bambini e organizzazioni del terzo settore sono tutti protagonisti attivi di un ecosistema che va oltre la semplice interazione commerciale, diventando co-creatori di valore.
Supportiamo le famiglie con soluzioni rapide e di qualità per il benessere del bambino, mentre i fornitori trovano il loro target ideale e le realtà no-profit ottengono visibilità e opportunità di interazione.
Non si tratta solo di generare profitto, ma di creare un impatto sociale positivo e di costruire una fiducia duratura tra tutti gli attori coinvolti, unire voci e creare valore distributivo e sostenibile. Attraverso strumenti digitali innovativi e un ascolto empatico, convertiamo ogni interazione in un dialogo polifonico che ridefinisce il perimetro del valore.
Così il CEOPOP, ruolo che incarna la mia esperienza, non si limita a rappresentare l’impresa, ma ne diviene l’interprete, creando un linguaggio comune che valorizza ogni voce e trasforma la molteplicità degli stakeholder in una sinfonia corale, capace di generare impatto e appartenenza.
Matteo Panizza Ritengo essere molto importante contribuire a una “evoluzione” da community a stakeholders. Mentre una community è costituita da persone che condividono interessi comuni, gli stakeholders hanno in un ruolo attivo nel contribuire a realizzare quei determinati interessi, quindi con un ruolo attivo. Evolvere da “spettatore” (community) a “giocatore” (stakeholder) è la sottile differenza tra i due concetti. Spettatori e giocatori possono “tifare la stessa azienda” ma i “giocatori” si sentiranno sicuramente più coinvolti e parte di quella azienda. Per questo ritengo essere importante utilizzare opportuni sistemi di comunicazione e coinvolgimento che facciano sentire le persone in azienda sempre più giocatori e meno spettatori. Gli strumenti possono essere innumerevoli, dal condividere obiettivi al comunicare i risultati raggiunti. Il tutto sempre con l’obiettivo di creare sempre più una squadra e sempre meno uno stadio di semplici spettatori
Alessandra Pilia Quali sono gli elementi principali della cultura POP che le imprese possono usare per rendere trasparenti i valori e riconoscibile il brand?
Donatella Scarpa Credo che l’aspetto più importante sia investire nella comunità di riferimento come facevano i mecenati. Aprirsi ad eventi sportivi e culturali che coinvolgano le comunità, consente di dare visibilità all’azienda ma anche collaborare direttamente con gli Istituti scolastici del territorio, aprendo le porte dell’azienda alle nuove generazioni, che generano impatto positivo.
Andrea Dotti Credo che il vero protagonista delle nostre giornate sia la disperata caccia all’attenzione dei nostri interlocutori. Diciamocelo: negli ultimi anni, gli stimoli che ci bombardano sono diventati così tanti che ormai attirare l’attenzione di qualcuno è difficilissimo. E i nostri clienti non fanno eccezione. Siamo in una competizione continua per strappare anche solo una minuscola frazione del loro tempo. Ecco perché il mio mantra quotidiano – e l’invito che faccio a tutti i miei colleghi – è chiedersi senza pietà se quello che comunichiamo ha davvero valore. Perché diciamolo, spesso ci illudiamo che basti scrivere qualcosa per essere ascoltati. La verità? Il nostro messaggio rischia di perdersi tra notifiche, email, pubblicità e meme sui gattini. Se non offriamo qualcosa di interessante, utile o almeno degno di un minimo di curiosità, possiamo anche metterci comodi: verremo ignorati inesorabilmente. La soluzione? Fare un check costante dei nostri contenuti, senza paura di tagliare il superfluo, senza attaccarci a ogni singola parola come se fosse oro colato. Perché la dura realtà è che, in un mare di informazioni, vince chi riesce a essere chiaro, diretto e – perché no – un po’ sorprendente. Il trucco non è parlare di più, ma far sì che quel poco che diciamo valga la pena di essere ascoltato.
Genny Fascia La cultura POP non semplifica la complessità, ma la rende leggibile e vissuta come esperienza condivisa.
L’appropriabilità simbolica trasforma il brand in un linguaggio vivo, che il pubblico può rielaborare e fare proprio.
La contaminazione culturale rompe le barriere tra azienda e mondo esterno, arricchendo il messaggio con codici universali.
L’integrazione tra esperienza e significato fonde valore economico e vivibilità, creando un’impronta duratura.
La democratizzazione della narrazione, coinvolge ogni stakeholder nella co-creazione del racconto aziendale.
L’ibridazione tra contenuto e servizio trasforma la piattaforma in un’esperienza immersiva e interattiva.
L’adattabilità comunicativa, supportata da strumenti digitali innovativi, converte ogni feedback in opportunità di crescita.Così, la cultura POP diventa il dispositivo di trasparenza che rende il brand riconoscibile e parte integrante del vissuto collettivo.
In Cangurolab.it, dove il benessere dei bambini è faro guida, questi principi si intrecciano per umanizzare il brand, creando un’identità trasparente e coesa che unisce genitori, fornitori e terzo settore in un ecosistema di valore condiviso.
Matteo Panizza Ritengo essere importante “uscire dalla comfort zone”. Innovazione, cambiamento volto al miglioramento sono tutti elementi in grado di apportare miglioramenti. Del resto, lo stesso Markides sosteneva essere fondamentale “rompere gli schemi”. Non bisogna quindi aver paura di cambiare, di innovare, di “provare a volare”.
Alessandra Pilia Ti riconosci nel ruolo del CEO POP? In quali aspetti o in quali no, ma soprattutto quale è il tuo obiettivo per lasciare memoria del tuo lavoro sul domani?
Donatella Scarpa L’azienda è il mezzo per divulgare prosperità ai territori in cui opera e si espande attraverso azioni concrete.
Internamente per l’engagement dei collaboratori, esternamente per convertire le relazioni in opportunità di business.
Vorrei dire una cosa ai ragazzi e alle ragazze che vogliono fare impresa: crederci. Non ci sono differenze di genere ma caratteristiche uniche in ognuno di noi.
Fare l’imprenditore è un impegno complesso. I giovani devono espandere l’azienda attraverso la loro voce, le azioni che compiono e le loro relazioni. Tenendo sempre presente che solo una reputazione positiva genera un’azienda che si mantiene integra nel tempo.
Andrea Dotti Non so se posso davvero definirmi un CEOPOP, forse andrebbe chiesto ai miei collaboratori. Quello di cui sono certo è che sto cercando di costruire un’organizzazione capace di crescere e svilupparsi anche senza di me. Delegare di più è una sfida, e non sempre è facile. Non credo molto nei proclami o nelle presentazioni che dipingono scenari futuri irrealistici. Nel rapporto di fiducia tra azienda e collaboratori è fondamentale non creare aspettative destinate a essere deluse. Per questo, meglio un annuncio in meno e un risultato concreto in più.
Genny Fascia Mi riconosco nella capacità del CEOPOP di abitare le intersezioni, di costruire ponti tra logiche diverse senza mai irrigidirsi in una singola postura. Ma diffido della deriva personalistica, del rischio di ridurre la leadership a una performance costante.
La leadership POP non è un esercizio di visibilità, ma di trasparenza strutturale. Il CEOPOP deve costruire sistemi in cui il brand possa evolvere indipendentemente dalla sua presenza scenica. L’ossessione per il racconto personale rischia di svuotare l’azienda di autonomia narrativa, legandola indissolubilmente alla figura di chi la guida.
Nel mio percorso, ho cercato di evitare questa trappola: ho costruito una piattaforma che non dipende dalla mia voce, ma da una pluralità di voci che si riconoscono in un obiettivo comune.
La legacy di un CEOPOP non si misura nella sua capacità di essere sempre al centro della conversazione, ma nella profondità del cambiamento che innesca.
Il futuro della leadership non sarà solo comunicazione, ma capacità di costruire ecosistemi che funzionano in assenza del leader stesso.
Il CEOPOP di domani non sarà colui che lascia un segno, ma colui che crea lo spazio affinché altri possano lasciare il proprio.
Matteo Panizza Si, mi riconosco….e condivido i valori chiave del Pop Management: Apertura, Empatia Cura Convivialità, Co-Creazione di Valore.
Condivido essere fondamentale realizzare strategie di comunicazione finalizzate in particolare a costruire una connessione autentica e reale. Semplice ma sincera.
Lasciare una vision che sia condivisa il più possibile da tutti gli stakeholders e di cui ognuno si sia sentito ingranaggio portante.
113 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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