Riprendiamo oggi la riflessione sui nuovi leader d’impresa avviata in Prolegomeni 53 da Alessandra Pilia, una “nerd con i tacchi” con una forte passione per lo studio, le storie di impresa e la valorizzazione del mestiere di imprenditrice e imprenditore. Convinta che investire sulle nuove generazioni sia importante, è impegnata in progetti di mentorship ed empowerment.
Attualmente, ricopre il ruolo di Responsabile Marketing e Comunicazione di A.P.I. Associazione Piccole e Medie Industrie e di Vice Presidente di IULM Alumni.
CEOPOP – IL RITORNO
Alessandra Pilia
Dove eravamo rimasti?
Per comprendere l’evoluzione del fare impresa e del ruolo degli imprenditori in chiave pop, nel Prolegomeno 53 abbiamo delineato il ruolo del “CEOPOP”.
Tra gli aspetti più interessanti, avevamo messo in evidenza l’importanza di parlare alla community coinvolgendola per trasformarla in un gruppo di interesse (stakeholder) che contribuisce a sviluppare l’azienda. Il legame di fiducia instaurato dal leader sulla sua Persona è talmente forte da rendere i gruppi di interesse Ambasciatori interni o esterni.
Ne consegue che «diventare un brand realmente POP significa mettere in discussione quei canoni e lavorare seguendo uno schema nuovo, diverso, capace di ascoltare le persone, cogliere il loro sentire e lavorare insieme a loro per propagare un messaggio di marca più forte, efficace e duraturo» (Prolegomeno 29).
Alla base, dunque, ci sono le Persone e la loro capacità di essere uniche, di provare emozioni e paure, di essere creative, di cadere e rialzarsi. Soprattutto per chi decide di fare impresa.
Rispetto agli anni 60 del boom economico, oggi è molto più complesso aprire un’impresa che sia duratura, se poi parliamo di manifattura sembra quasi una chimera.
Tuttavia, leader, industriali, founder, manager, imprenditori e imprenditrici, continuano ad esserci e con loro visione, passione, follower, idee e, soprattutto, storie e aziende. A chi si rivolgono? A una community o c’è di più?
Per rispondere a questa domanda è utile ricorrere al concetto di “stakeholder economy”. Parliamo di mettere al centro delle scelte strategiche aziendali le relazioni e gli interessi di tutti gli attori coinvolti: in questo quadro, ceotelling e storytelling sono due tecniche di comunicazione che, sebbene abbiano obiettivi e applicazioni diversi, condividono l’importanza di creare una narrazione coinvolgente e autentica.
Secondo il CEO Peter Aceto, intervistato da Carmine Gallo di Forbes, «i leader di successo non verranno più misurati solamente sulla base del valore della singola azione. Saper gestire e comunicare con gli shareholder, con i dipendenti, con i governi, le comunità e i clienti saranno fattori indispensabili in futuro. Stanno in ogni caso già parlando della vostra azienda. Perché non entrare a fare parte della conversazione?».
Parliamo di supereroi? No.
Se leghiamo il concetto del Prolegomeno 44 «nell’era digitale e iperconnessa, dove ogni storia può diventare virale in pochi istanti, il ruolo dei brand come narratori contemporanei è più potente che mai, e la loro capacità di creare storie che risuonano con le persone è ciò che li rende parte integrante della loro vita» a quello di Joseph Sassoon evidenziato in Prolegomeni 8 «la leadership può essere arricchita dagli archetipi che incarnano tratti profondamente umani», possiamo notare come l’umanizzazione del leader lo rende in grado di motivare e coinvolgere per raggiungere gli obiettivi attraverso la sua voce.
L’investimento è, quindi, sul leader e non sull’azienda?
I CEOPOP di oggi, saranno in grado di far parlare di sé come leader anche dopo che non ci saranno più, lasciando un’eredità di valori e conoscenza?
Saranno capaci di cambiare la narrazione e rendere più attrattivo anche il settore industriale per il mestiere di imprenditore e per l’ingresso di nuovi lavoratori?
Sono le domande su cui ci siamo interrogati nel Prolegomeno sul “CEOPOP”: ma cosa ne pensano i protagonisti delle aziende e gli stakeholder? I lavoratori, i CEO, le imprenditrici, gli imprenditori, gli HR manager, i professionisti della comunicazione, gli accademici, i sindacati e le associazioni datoriali?
Lo scopriremo nel corso dei prossimi “incontri” dedicati alle conversazioni collaborative, dove le opinioni di ognuno – tutti con ruoli diversi, appartenenti a contesti e generazioni diverse, anche legati alle PMI – si confrontano e intrecciano in un dialogo, basato su quattro domande, che delinea il domani del POP Management e la sua attuazione in azienda.
I protagonisti
Grazie a tutte le voci che si alterneranno raccontando riflessioni e le visioni!
CEO e imprenditori: Donatella Scarpa (Ace Cablaggi ed Ecolibrì), Genny Fascia (Cangurolab.it), Andrea Dotti (Companies Talks) e Matteo Panizza (Resitape) – primo articolo;
professionisti della comunicazione: Alessandra Pozzi e Maura Marasti (Milky Media Agency), Jacopo Garone e Davide Fiorentino (Voice Strategic Consulting e Youlmovement), Marco Garavaglia (MICROingranaggi) e Richard Putnam (10XATHLETICS) – secondo articolo;
accademici, HR ed esperti di comunicazione: Alessandra Mazzei (Professoressa Ordinaria Università IULM), Eliana Melis (Hr Manager Roveda del gruppo Chanel) Stefania Carleo (Esperta di comunicazione e docente Università IULM), Luigi Barbetta (Manager di PwC Italy e Car Influencer) – terzo articolo;
rappresentanti delle parti sociali: Fabio Nava (Segretario Generale Cisl Lombardia) e Stefano Valvason (Direttore Generale A.P.I.) – quarto articolo.
Gli spunti sono tanti, ve li anticipo attraverso le loro parole (una specie di Pop Executive Summary!), in attesa di approfondirli nei prossimi post, ma intanto spoilero una consapevolezza che emerge su tutte: “la necessità di coerenza, trasparenza e coinvolgimento”.
La voce del Ceo come dispositivo di trasparenza
Il CEOPOP non è un super eroe ma una donna o un uomo con le sue competenze, idee, creatività, fragilità, solitudine, profondità e capacità di coinvolgimento della squadra per la crescita dell’impresa.
La voce del CEOPOP è un “dispositivo di trasparenza” che “nella profondità del cambiamento che innesca” genera novità; la sua “ansia” è capace di “muovere a fare”; la sua capacità relazionale si espande fuori dall’azienda “cellula da cui si innescano relazioni positive e impatto”; in questo modo il “CEO diventa un asset strategico per qualsiasi azienda”.
Avanza la necessità di un “CEOPOPolare” che parli e interagisca con tutti, un “personal branding” diffuso attraverso “figure chiave dell’organizzazione, e non solo del fondatore, che possono diventare Ambassador credibili della cultura aziendale, amplificando l’engagement e la reputazione”. Ovvero, voci che agiscono “influenzando il dibattito pubblico e contribuendo a costruire un futuro più consapevole, sostenibile e di valore per tutte le comunità coinvolte”.
Il CEOPOP intende l’azienda “come un bioma di persone eterogenee”, deve puntare a “lasciare una vision che sia condivisa il più possibile da tutti gli stakeholders e di cui ognuno si sia sentito ingranaggio portante”.
“La voce del leader è fondamentale in una PMI, il successo di un’azienda dipende dalla sua capacità di coinvolgere”.
Il cambiamento è nelle corde del CEOPOP? “Per lasciare memoria del mio lavoro sul domani: diffondere l’idea secondo cui se si celebra il buono della tradizione e modifica il cattivo del presente, il mondo si può davvero cambiare”. Il CEO diventa “il Virgilio dell’azienda”.
“Essere CEO POP significa riconoscere e valorizzare il talento di chi sceglie di lavorare con noi. Non basta più offrire un lavoro: è necessario costruire un ambiente che tenga conto delle esigenze, del benessere e delle ambizioni del team, perché solo così si può creare un gruppo motivato e proattivo”.
Particolare attenzione al “settore industriale che deve rimanere una colonna portante dell’economia italiana e deve saper far parlare di sé attraverso leader che sappiano comunicare le loro scelte strategiche e valoriali e attrarre su di esse sempre più individui.” I CEOPOP di oggi “devono essere in grado di lasciare un’eredità di valori e conoscenza che continuerà a parlare di loro anche dopo che non ci saranno più”.
Un aspetto importante è la scelta del canale e, quindi, adattare la modalità e il testo per far sentire correttamente la voce: “fondamentale la necessità di adottare codici comunicativi altrettanto diversi, anche quando il messaggio da veicolare è lo stesso”.
Rischio!
Un richiamo arriva dal mondo accademico che ci riporta al rischio che corre il CEOPOP.
Ricordate la canzone “Something Just Like This” di Coldplay e The Chainsmokers: “Where’d you wanna go? How much you wanna risk? I’m not looking for somebody with some superhuman gifts. Some superhero. Some fairy tale bliss. Just something I can turn to…” Ecco, “il CEOPOP è una persona. Non possiamo chiedere a questa persona di incarnare tutti gli ideali. È una chiamata per chi si occupa di comunicazione interna, di gestione delle relazioni, di innovazione organizzativa”.
Ma l’approccio POP di cui parliamo noi POP Opinionist e Marco Minghetti, come è vissuto?
“Il Pop rende il lavoro più dinamico e partecipativo, con un impatto positivo sulla produttività e sul brand stesso”. “Essere pop significa essere contemporanei, reattivi e consapevoli che il vero valore sta nel metodo e nelle persone che lo rendono possibile”.
Il Pop Management si adatta per un “cultural fit”, “ci insegna che autenticità, storytelling e inclusività sono fondamentali per costruire un’identità forte e riconoscibile”; è strumento che può supportare “un’organizzazione ordinata ma non piramidale, una voce corale che identifica tutti come Ambassador, tutti sono parte dell’azione e del risultato: il domani dell’azienda. Questo sarebbe molto POP!”
“Un’azienda è POP se riesce a far risuonare le corde più silenziose del cuore dell’utente finale”.
La comunicazione si delinea: quella “strategica di oggi è partecipativa”, “raccontiamo e dimostriamo il nostro purpose, ispirando il nostro team e coinvolgendo le community di riferimento”; per l’HR quella del CEO è “la comunicazione passa più attraverso il suo modo di lavorare”; “raccontiamo e dimostriamo il nostro purpose, ispirando il nostro team e coinvolgendo le community di riferimento”. “Umanizzare il contesto lavorativo può coesistere con strumenti innovativi tipici della comunicazione contemporanea”. “La capacità di raccontare storie autentiche e coinvolgenti è più importante che mai”.
Il contesto aziendale è composto da “una popolazione che è abituata alla logica del profilo social e quindi “pubblico”. L’identità pubblica è diventata prioritaria rispetto a quella privata; quindi, i social sono imprescindibili anche per i leader aziendali, che devono costruire fiducia”.
Spazio però all’incontro fisico per generare coinvolgimento “entrare a diretto contatto con il proprio pubblico grazie ad occasioni appositamente create e pensate per essere momenti in cui vivere tangibilmente i propri valori sia ciò che più si può fare per rendere riconoscibile il brand”.
Un ecosistema di relazioni e di opportunità
Come, quindi, coinvolgere la community?
La stakeholder economy diventa “ecosistema di relazioni che può trasformarsi in opportunità professionali concrete, rafforzando la connessione tra persone, valori e crescita”, “ecosistema di persone che condividono una visione comune”.
Un soggetto che vive e si trasforma.
“Spettatori e giocatori possono “tifare la stessa azienda” ma i “giocatori” si sentiranno sicuramente più coinvolti e parte di quella azienda”, infatti, leggiamo che “le tecniche di comunicazione sono nulla senza lo sfogo in una “relazione” che si concretizza in una community di valore con cui condividere progetti servizi e oggetti di valore”. “Utilizzare nuovi strumenti di comunicazione, come il ceotelling e lo storytelling, ha la finalità di convertire le molte community già presenti in gruppi di interesse attivi e partecipi.”
“Riconoscenza e gratitudine e “totale” rispetto della community portano a “una sintonia sistemica che dà maggior possibilità di crescita e sviluppo imprenditoriale”.
Questo aspetto ci fa costruire e “la Stakeholder Economy non è un’utopia: è una sfida concreta che vogliamo vincere con coraggio, strategie moderne e un forte senso di responsabilità collettiva”.
CEO, imprenditori, imprenditrici, HR, professionisti della comunicazione, lavoratori, mondo universitario e scolastico dialogano spesso insieme alle parti sociali, anch’esse impegnate in una trasformazione per attualizzare la rappresentanza al contesto contemporaneo. Come abbiamo visto, tra le diverse generazioni di CEO è necessario fare rete e contaminarsi di esperienze.
“La leadership aziendale e quella sindacale non devono più muoversi su binari paralleli, ma convergere su una visione comune: un modello di lavoro in cui la partecipazione non sia solo un concetto, ma un diritto effettivo”, l’obiettivo è essere “presenti nelle nuove piazze digitali e capaci di parlare alle nuove generazioni con un linguaggio chiaro, inclusivo e coinvolgente” costruire una “comunità di persone che collaborano, crescono e costruiscono valore insieme”, allargare gli spazi di dialogo e confronto “essere presenti nelle nuove piazze digitali e capaci di parlare alle nuove generazioni con un linguaggio chiaro, inclusivo e coinvolgente” “abbiamo investito nella digitalizzazione della nostra comunicazione, sperimentando nuovi linguaggi e strumenti innovativi”.
“Il cambiamento nella narrazione può rendere il settore industriale più attrattivo e stimolante per chi desidera intraprendere la carriera imprenditoriale” un concetto strategico che si lega a “La partecipazione è un aspetto fondamentale dell’adesione all’Associazione, ma va continuamente stimolata, alimentata e indirizzata al raggiungimento di risultati concreti, spesso diversi tra i singoli stakeholder “passiamo “da agorà degli associati a generatrice di valore”.
Se l’azienda suona il Pop
Leggendo le interviste la visione di ognuno appare chiara l’importanza di essere trasparenti e coinvolgere le persone nelle scelte.
Il CEO e l’imprenditore svolgono un mestiere solitario e complesso ma la loro capacità di dare voce ai valori aziendali genera un impatto positivo sull’ecosistema composto da: loro stessi, le persone che lavorano in azienda, la community di riferimento, la comunità in cui opera l’azienda, gli stakeholder, il business. Il supporto delle parti sociali è importante per la contaminazione delle esperienze. Ascolto e azione devono muoversi insieme.
Il POP Management e gli strumenti della cultura POP sono strategici per trasmettere il massaggio con coerenza e con la garanzia di essere ascoltati. Li usiamo ogni giorno, applicandoli in azienda facilitano la comunicazione e il raggiungimento dell’interlocutore, ma, soprattutto, alleggerisco e coinvolgono.
Le competenze del CEOPOP che emergono più di tutte sono: adattabilità, coerenza, apprendimento, ascolto, innovazione, empatia, capacità di cambiamento e coinvolgimento.
E’ facile essere un’azienda che suona il Pop? No, dobbiamo abbandonare il facile “ho sempre fatto così” per cambiare la narrazione e lavorare sui valori chiave del Pop Management, ovvero sulle declinazioni cognitive dell’Intelligenza Collaborativa: Apertura (Prolegomeno 7), Empatia Sistemica Prolegomeno 13, Cura (Prolegomeno 32), Convivialità (Prolegomeno 34), Convocazione (Prolegomeno 41), Co-Creazione di Valore (Prolegomeno 43).
Perché oggi è domani e cosa aspettarci dipende dalla nostra capacità di costruire e ridare valore al mestiere di imprenditori affinché i giovani decidano di intraprendere questa professione, con consapevolezza e senza giocare a fare i super eroi ma accettandone fatica e soddisfazioni ma a modo loro, con la loro CEOPOP Voice.
Prossimo step? I vostri feedback e voci. Mi trovate su LinkedIn. Vi ascolto, così costruiamo insieme la banda dei CEOPOP.
112 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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