Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 87. Sensemaking Pop. Follia o Diversità?

La Cura di sè come valore aziendale

Follia o Diversità? Era questo il titolo di un numero di Hamlet pubblicato nel Gennaio 2001 e che mi sembra oggi sia più che mai di attualità. Dopo averlo anticipato in Prolegomeni 86, ho sviluppato il tema in una conversazione con Flavia Tallarico nella puntata pubblicata ieri di PAZZI FUORI.

Rimando quindi alla visione del vodcast per un inquadramento del tema con particolare riferimento ai temi del benessere psicologico sul lavoro e alla riscoperta della cura di sé come opportunità per le aziende di ridefinire il proprio ruolo non solo come entità economiche, ma anche come spazi di crescita e benessere integrale.

Soprattutto, occorre incorporare la cura di sé come valore fondante. Le aziende devono riconoscere che la cura di sé non è un atto individualistico, ma una pratica che ha ripercussioni positive sul collettivo.

D’altro canto, creare Engagement significa riconoscere che non tutti rispondono agli stessi stimoli. Come evidenziato in Prolegomeni 67 da Valerio Flavio Ghizzoni, «quello che conta davvero non è l’inclusività, ma l’apertura alla diversità». Secondo la Pop Opinionist Alessandra Cappello, Responsabile Comunicazione Interna Unipol,  si può parlare di MultiUniqueness, una categoria che descrive un ambiente dove diverse generazioni e culture si arricchiscono reciprocamente, preservando la propria unicità (Prolegomeni 77).

Prigioni

Mi interessa adesso riprendere alcune considerazioni proposte in quell’ormai introvabile numero di Hamlet. Iniziavo con un ricordo, che conservo ancora indelebile in mente, di una tavola realizzata da Jules Feiffer apparsa parecchio tempo fa sulla rivista Linus. Vi era ritratto un anziano signore che ripercorreva le tappe della propria esistenza, commentandole più o meno così: «Quando ero piccolo pensavo che la famiglia fosse una prigione. Ma poi andai a scuola, che scoprii essere una prigione ben peggiore. Finiti gli studi entrai nell’esercito: questa sì che era una prigione terribile! Anche il servizio di leva fini, trovai un lavoro ed entrai in un ufficio: la più tediosa delle prigioni! Mi sposai e scoprii che tremenda prigione sia la vita da coniugati. Alla fine mi misi nei pasticci, fui arrestato e finì in una vera prigione! Così oggi so in cosa consiste la libertà: nella possibilità di scegliere in quale prigione essere rinchiusi».

Per anni lo spettro di questa tavola di Feiffer mi ha perseguitato, perché spesso mi sono trovato a pensare che il suo lucido pessimismo fosse troppo pericolosamente vicino alla realtà effettiva delle cose. Da questo punto di vista, la lettura di Amleto non mi ha aiutato, anzi: se c’è una tragedia claustrofobica per eccellenza, questa è senza dubbio quella incentrata sulle vicissitudini del principe danese.

Scrive Northrop Frye: «L’Amleto è forse il più suggestivo esempio letterario di uno spirito titanico che si dibatte nell’angusto prigione della sua natura di uomo». Questa immagine torna continuamente nel corso dell’opera. «Egli si ritrova a osservare le reclute di Fortebraccio che, allontanate dalla Danimarca, progettano un assalto alla Polonia… in seguito, sentiamo dire che il territorio conteso è a malapena sufficiente a contenere gli eserciti avversari. Non si sfugge alla alla claustrofobia neppure lasciandola Danimarca. Anche Amleto infine se ne va in Inghilterra, ma durante il viaggio è circondato dai predoni e trascorre notti insonni come un ammutinato in catene». Questa visione esistenziale perfettamente riassunto nel celebre scambio di battute (Atto secondo, scena seconda) fra Amleto, Guildenstern e Rosencrantz:

AMLETO. La Danimarca è una prigione.

ROSENCRANTZ. Allora tutto il mondo lo è.

AMLETO. Sì, una vasta prigione, in cui vi sono molte celle, stanze e segrete: e la Danimarca è una delle peggiori.

Il mondo, per Amleto, come per Feiffer, è una prigione: anzi una sorta di labirintica super prigione così come possono esserlo le imprese – lo abbiamo visto in Prolegomeni 4. Soprattutto per tutti i “diversi” che il top management vuole “includere”: verbo che, come abbiamo detto in passato, etimologicamente rimanda proprio al significato di “segregare”.

La via di fuga

Ma Amleto indica anche la strada per uscire da quella prigione-labirinto che è l’esistenza umana nelle sue varie forme: diventare folle, così come, secondo le rigorose logiche speculari che si sviluppano nella tragedia, fa Ofelia. La quale però segue un itinerario uguale, ma al tempo stesso contrario: la follia di Ofelia è infatti il punto di arrivo di chi si è smarrito in una realtà divenuta progressivamente incomprensibile (così come accade ai giovani protagonisti di Norwegian Wood di Marakami, dicevamo nel Prolegomeno precedente).

A questo proposito, Eugenio Scalfari ha rilevato l’importanza di quella lettera contenuta nell’epistolario di Italo Calvino, pubblicato nei Meridiani mondadoriani,  che egli considera «un testo molto importante di saggissimo critico, forse il più interessante dell’intera raccolta». Il tema è triplice: la comicità, il folklore e la follia che Calvino vede legati da una stretta parentela e che costituiscono in qualche modo l’essenza del suo Barone rampante. Le citazioni di rinvio chiamano in causa il teatro elisabettiano, l’Orlando furioso, Amleto, Ofelia, Yorick, la maschera di Arlecchino e naturalmente la pluralità dei linguaggi che debbono esprimere le diverse follie, perché, «non si dà mai follia, ma sempre follie, la follia finta di Amleto produce la follia vera di Ofelia, una figura di follia è necessariamente in relazione con altre figure, se non di follia, di stoltezza o comunque di destituzione della ragione».

A chi desidera desiderasse un ulteriore approfondimento sulle diverse follie presenti nell’Amleto in Shakespeare, consiglio di rileggere le pagine di Auden dedicate a questi temi e contenute nel volume Lo scudo di Perseo, edito da Adelphi.

Diverse ancora sono altre casistiche, come quelle in cui rientrano Acab e Bartleby (peraltro anch’esse di diretta ascendenza shakespeariana) che, come ho scritto già in Hamlet 14, sono tentativi opposti (ma identici nell’esito finale) non di comprendere il mondo esterno, ma di rifiutarlo.

La follia attiva

La follia di Amleto è invece una follia attiva che viene utilizzata come strumento per conoscere la realtà. Già l’Ulisse dantesco (in cui si riflette il poeta fiorentino, secondo Harold Bloom)  aveva sottolineato come per inseguire «virtute e canoscenza»  sia necessario accettare consapevolmente, lucidamente, il sommo pericolo di innalzarsi in un  «folle volo», fino alle estreme conseguenze.

Analogamente, Unamuno sostiene che la perdita di sanità mentale di Don Chisciotte sia un sacrificio volontario per riscattare i lettori dalla loro banalità e mancanza di fantasia: «la perde per amor nostro, a nostro beneficio, allo scopo di delegare un eterno esempio di generosità spirituale».

Non sorprendentemente, dalla lettera di Calvino sopra citata emerge come il vero modello dello scrittore italiano sia proprio il Don Chisciotte di Cervantes. Di certo, lucida follia è quella del pallido principe («c’è del metodo nella sua follia»): si finge pazzo con personaggi come Claudio, Guildenstern e Rosencrantz, è sano di mente con Orazio. In altre parole egli arrischia un temibile esercizio di equilibrio fra sanità mentale e pazzia, passando dall’uno all’altra sempre più frequentemente: fino a quanto diviene così abile nell’esercizio, o vi si smarrisce a tal punto, da rendere difficile per il lettore capire quando fa il folle e quando lo è.

Il grottesco

Non solo Amleto: una figura essenziale nella produzione di Shakespeare è il folle, spesso protagonista di scene grottesche, come quella del portiere di Inverness nel Macbeth o quella del buffone che porta il cesto di fichi in Antonio e Cleopatra.

Il termine grottesco, spiega Frye commentando questi due passi shakespeariani, «ha radice nella parola grotta e si riferisce di solito a un aspetto ironico della morte, intesa come il disfarsi del corpo in altri elementi organici. Tali scene grottesche divennero assai popolari durante il medioevo, allorché in letteratura comparve un genere definito dance macabre, nel quale la morte veniva a prendere una gran varietà di tipi sociali, dal re al mendicante (Stephen King ha intitolato appunto Danse Macabre il suo ottimo saggio dedicato agli archetipi dell’orrore su cui mi sono soffermato in Hamlet 23 Cloni o mutanti? e in altri testi successivi). Il successo di questa forma d’arte si fondava sul fatto che, in una società assolutamente ingiusta, la morte rappresentava l’unica figura imparziale».

Si può insomma evadere dalla prigione attraverso il grottesco come capacità di vedere le cose da un punto di vista diverso, anzi totalmente ribaltato rispetto a quello ufficiale. Si tratta di una prospettiva da tenere ben presente, se si è interessati a sviluppare innovazione e creatività nelle aziende odierne: già nel 1963 Giuseppe Cocchiara (Il mondo alla rovescia, Boringhieri) aveva mostrato, citando Piero Camporesi, come il mundus inversus fosse uno dei «punti nevralgici della cultura contemporanea, un ganglio polisemico denso di riferimenti, collocato al centro di una rete di implicanze e coinvolgenti rappresentazioni mentali e temi iconografici, stereotipi fantastici e allucinazioni nevrotiche, invenzioni letterarie e pertinenze linguistiche. Non c’è campo, dalla matematica all’antropologia, dalla storia sociale a quella della religione, dalla logica alla psichiatria che possa restare immune dalla contaminazione del rovesciamento».

Ma il grottesco, che conduce alle immagini ambivalenti e doppie dei mondi rovesciati, è una variante del comico: il che ci riporta al tema della follia, perché la categoria del comico è «connessa con la follia nella sezione più alta e più bassa del termine» (Huizinga). La connessione consistendo appunto nel suo sapere evocare un mondo distinto, «diverso da quello della realtà ordinaria e che opera secondo le regole differenti chiuse» (Peter Berger, Homo ridens, Il Mulino).

Il comico

Per questo motivo il comico, punto di vista Pop per eccellenza, può essere utilizzato come strumento da chi voglia porre il problema del rinnovamento il mondo, della società o, più modestamente di un’azienda. In questo senso già da tempo abbiamo suggerito alla direzione del personale, parafrasando Piero Citati, di dare vita, nel grande circo imprenditoriale, a una sapiente clownerie, al fine di innescare quel processo continuo di interpretazione della realtà che deve essere occupazione costante di tutti in azienda, sia pure ai diversi livelli di responsabilità, se la si vuole trasformare da “macchina”  e “Istituzione Totale” a “Mondo Vitale“.

Per chiudere questi brevi accenni al tema della follia in Shakespeare, che penso possano essere utili spunti di riflessione per tutti coloro che si occupano di benessere psicologico ed in generale di Sensemaking ed Engagement in azienda, ricordo che il fool nelle tragedie del poeta inglese, oltre a essere un portatore di verità, può alternativamente agire anche da catalizzatore delle azioni, dei pensieri e dei sentimenti: tramite il dialogo con il fool, il buffone, spesso passano i percorsi di consapevolezza e autoconsapevolezza dei suoi eroi.

La figura del Matto in Re Lear, da questo punto di vista, è forse l’esempio più cospicuo, ma anche l’episodio dei becchini e Yorick in Amleto è altrettanto significativo: come a dire che, per l’establishment, l’unico buffone buono è il buffone è morto. Per non parlare poi di un full sui generis come Falstaff, vero padre spirituale del futuro Enrico V.

Per ora mi fermo qui.  Tuttavia, invito chi volesse dialogare con me, per capire come la grande letteratura può aiutarci a comprendere la contemporaneità, al prossimo Book Pride milanese. Il 21 marzo alle 0re 18.30 darò vita all’evento Pop: “E se Fellini, Mondrian e Wile E. Coyote fossero Intelligenze Artificiali?”. Valentina Tosoni, creatrice del podcast “Storie dell’arte”, intervista Marco Minghetti, autore di Ariminum Circus Stagione 1, definito dalla Giuria del Premio Calvino «un romanzo ibrido, insieme lisergico e filosofico, volto a restituire la deflagrazione della contemporaneità»”.

87 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO
62 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO LOTTO
63 – OPINION PIECE DI GIANLUCA BOTTINI
65– OPINION PIECE DI SIMONE FARINELLI
66– OPINION PIECE DI FRANCESCA ANNALISA PETRELLA
67– OPINION PIECE DI VALERIO FLAVIO GHIZZONI
68– OPINION PIECE DI STEFANO MAGNI
69– OPINION PIECE DI LUCA LA BARBERA
70 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: LA GRAPHIC NOVEL!
71 – LEADERSHIP POP. APOFATICA E CATAFATICA DELLA COMUNICAZIONE
72 – OPINION PIECE DI FEDERICA CRUDELI
73– OPINION PIECE DI MELANIA TESTI
74 – OPINION PIECE DI GIANMARCO GOVONI
75– OPINION PIECE DI MARIACHIARA TIRINZONI
76 – SENSEMAKING POP. LODE DELLA CATTIVA COSCIENZA DI SE’
77 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA CAPPELLO E ALESSANDRA MAZZEI
78 – OPINION PIECE DI JOE CASINI
79 – OPINION PIECE DI MARTA CIOFFI
80 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE PRIMA)
81 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (PARTE SECONDA)
82 – STORYTELLING POP. VERSO IL POP BRANDING (NOTE A MARGINE)
83 – ENGAGEMENT POP. IL MANAGER INGAGGIANTE IMPARA DAI POKEMON
84 – ENGAGEMENT POP. DARE VOCE IN CAPITOLO
85 – ENGAGEMENT POP. COMUNICARE, VALUTARE, TRASFORMARE
86 – SENSEMAKING POP. MALATTIA MENTALE E BENESSERE PSICOLOGICO SUL LAVORO