Il paradosso dell’Engagement
Le aziende si trovano oggi davanti a uno strano paradosso. Da una parte sanno bene di essere in un momento di profonda trasformazione legata ai processi di cambiamento digitale in atto che porteranno presto non solo all’automatizzazione di molti processi, ma anche all’uso sempre più estensivo di chatbot e Intelligenza Artificiale.
D’altro canto, il fattore umano è sempre più rilevante. Avere collaboratori “engaged” è cruciale per il vantaggio competitivo: aumenta la redditività e il valore di mercato, la soddisfazione dei clienti, la forza dei brand e la company advocacy, stimola l’innovazione, migliora le relazioni con gli stakeholder, facilita la prevenzione e la gestione delle crisi.
Diverse ricerche – ci ha ricordato Riccardo Maggiolo nel suo Opinion Piece[i] – indicano però che il livello medio dell’employee Engagement è insoddisfacente. Secondo gli studi Gallup, meno del 20% dei lavoratori nel mondo è “engaged” al lavoro. In Italia solo il 5%, quasi record mondiale negativo. Molte altre ricerche confermano questi dati.[ii]
Insomma: tanto più è importante, tanto più pare difficile coltivare l’Engagement dei collaboratori e dilaga il disengagement. Soprattutto fra il 2021 e il 2022 sono state scritte migliaia di pagine sulla Great Resignation, il fenomeno delle dimissioni massicce che certamente ha avuto cause specifiche a seguito del cambiamento degli scenari lavorativi post-pandemici, ma innescandosi su elementi strutturali che vengono da lontano.
Storia di una crisi
Proviamo a stilare una cronologia rappresentativa della progressiva crisi delle certezze su cui si fondava l’equilibrio e il contratto sociale nel secolo scorso:
1979 (41 BC, Before Covid): fine delle grandi narrazioni (Jean-François Lyotard).
1989: Avvento del web 2.0 e fine della comunicazione unidirezionale; fine della guerra fredda con il crollo del muro di Berlino (preconizzato dai Pink Floyd con l’album The Wall del 1982).
1992: Fine della storia (Fukuyama), del romanzo, del cinema e di tutto quanto.
1999: Fine del millennio (con ansie planetarie plasticamente rappresentate dalla sindrome del “millenium bug”). Pubblicazione del Cluetrain Manifesto.
2001: Lancio di Wikipedia – fine della concezione gerarchica della conoscenza e avvio di un modello di produzione collaborativo del sapere.
2002-2006: Esplosione dei social network. Nel 2002 nasce Friendster, la prima rete sociale. Nel 2003 arriva MySpace, il primo social ad integrare anche la musica; tra il 2003 e il 2005 giungono Facemash (successivamente divenne Facebook), LinkedIn, YouTube, Flickr, Reddit e Word Press. Twitter nasce nel 2006, mentre nello stesso anno LinkedIn inizia a offrire pacchetti premium a pagamento.
2009: Bolla delle puntodotcom.
2010: Appare Instagram.
2011: Attacco alle torri gemelle.
2013: Prima Grande Fuga nel Metaverso (Second Life raggiunge il picco degli iscritti).
2017: TikTok irrompe nell’arena social.
2020: Anno zero del Covid.
2021: Diffusione improvvisa dello smart working e collasso definitivo dell’organizzazione scientifica del lavoro basata su comando, controllo e catena di montaggio fisicamente localizzata.
2022: Seconda Grande Fuga nel Metaverso, a seguito del lancio di Meta da parte di Zuckerberg nell’Ottobre 2021.
2023: Il fenomeno delle Grandi Dimissioni tocca il suo apice.
2024: Alba della IA diffusa.
20..: Tramonto e caduta dell’umanità (nella visione del neoluddismo nazionalpopolare ispirato a film quali Terminator).
Come sorprendersi dunque che del titolo del Rapporto Censis 2024: La notte di un’epoca? Cito: «L’Italia è affetta da un sonnambulismo diffuso, precipitata nel sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali… Forse si sogna altrove, o neppure sogna…».[iii]
L’azienda come community narrativa
In La crisi della narrazione si effettua una fotografia dello stato attuale della comunicazione, che sarebbe degradata da narrazione in grado di generare processi di senso collettivo a mera informazione narcisistica e istantanea. L’autore è Byung–chul Han, esponente forse inconsapevole del K-Pop – Korean Pop, da non confondersi con il Q o Kazakistan Pop, il cui eroe eponimo è naturalmente Borat – che, travalicando i confini originari della musica popolare della Corea del Sud, include i suoi libretti divulgativi insieme a serie Tv del genere Squid Game e film tipo Past Lives.
Ecco un estratto dall’Introduzione: «I modelli narrativi populisti, nazionalisti, di estrema destra o tribali, inclusi i modelli narrativi complottistici, rispondono proprio a questo bisogno. Essi fanno presa proprio perché si presentano come offerte a buon mercato di senso e identità. Tuttavia, in quest’epoca post-narrativa segnata da una crescente esperienza della contingenza, i modelli narrativi non sviluppano alcun potere di coesione.
I racconti rendono possibile l’emergere di una comunità. Lo storytelling, di contro, dà forma solo a una community, che è la versione mercificata della comunità. La community è composta da consumatori. Nessuno storytelling sarebbe in grado di accendere nuovamente quel fuoco attorno al quale gli esseri umani si raccolgono per raccontarsi l’un l’altro delle storie. Il fuoco si è spento da tempo. Esso è stato sostituito dagli schermi digitali, che isolano gli esseri umani facendone dei consumatori. I consumatori sono solitari. Non dànno forma ad alcuna comunità. Le stesse Storie condivise sulle piattaforme social non sono in grado di rimuovere il vuoto narrativo. Esse non sono nient’altro che una pornografica esibizione o promozione di sé stessi.
Sulle piattaforme social non vengono quasi per nulla raccontate delle storie. Le storie congiungono le persone le une alle altre, favorendo la capacità di empatizzare. Da esse emerge una comunità. La perdita di empatia che caratterizza l’èra degli smartphone è un chiaro segno che lo smartphone non è un medium narrativo… Lo smartphone permette solo uno scambio sempre più veloce di informazioni. Raccontare presuppone, di contro, un restare in ascolto e un’attenzione profonda. La comunità narrativa è una comunità i cui partecipanti restano in ascolto. Noi, però, perdiamo a vista d’occhio la pazienza necessaria per restare in ascolto, cioè la pazienza necessaria per raccontare»[iv].
Questa diagnosi ben articolata nei dieci capitoli del volumetto presenta una visione chiara che ha però il grave limite di proporre solo una pars destruens neoluddista senza alcuna pars costruens che aiuti a capire come utilizzare i nuovi strumenti digitali per recuperare la dimensione narrativa costitutiva del nostro essere umani.
Io credo invece che la community collaborativa basata su ascolto, confronto, empatia sistemica e cocreazione di valore che si sta costituendo intorno all’idea di Pop Management possa costituire un buon inizio per un’interpretazione positiva e costruttiva della contemporaneità (vedi su questo anche l’Opinion Piece di Alessandra Mazzei e Alessandra Cappello dove, in occasione dell’avvio del Primo Master in Comunicazione Interna e People Engagement, la Direttrice del CERC propone un’innovativa tassonomia dell’Engagement, basata sull’idea che l’azienda possa costituirsi come community narrativa).
Come creare una community? Chiedilo ai Pokémon
Come farlo? I Pokémon offrono un ottimo benchmark Pop, bene illustrato nell’intervista di Claudia Morgoglione a Peter Murphy – senior director del marketing a The Pokémon Company International – dal titolo illuminante: “I Pokémon sanno creare community” (Robinson de La Repubblica, 16 febbraio 2025):
Dalla nascita a oggi Pokémon ha cambiato l’immaginario collettivo. Come se lo spiega?
«Uno dei motivi per cui il marchio è riuscito a resistere nel tempo e a conquistare un pubblico così affezionato è la sua capacità di far sentire le persone parte della community. Che si tratti di giocare ai videogiochi o con le app, di guardare la serie animata o sfidarsi con le carte collezionabili, chiunque può trovare il proprio modo di vivere questa passione».
Ci dice un altro segreto del successo?
«L’unicità dei suoi personaggi, ciascuno dei quali ha caratteristiche e personalità distinte: ciò permette ai bambini di identificarsi con i loro Pokémon preferiti, creando un legame emotivo profondo. Avere un Pokémon dona loro un senso di individualità, pur facendoli sentire parte di una comunità tanto vasta».
Passiamo allora al terzo motivo di tanta longevità.
«La capacità di reinventarsi costantemente, attraverso nuovi prodotti ed esperienze. Pokémon GO, ad esempio (il gioco digitale nato nel 2016 e diventato una mania in mezzo mondo, ndr) è stato un pioniere nel mercato della realtà aumentata. Mentre, più di recente, Pokémon TCG Pocket ha introdotto un’app centrata sulla collezione di carte, ottenendo un successo straordinario. E poi le collaborazioni con altre società o istituzioni di rilievo hanno permesso di raggiungere nuovo pubblico: ne sono un esempio la recente partnership con lo studio di animazione Aardman (il frutto della collaborazione arriverà nel 2027,ndr); e quella precedente con il Museo Van Gogh. Una grande varietà di esperienze che contribuisce a garantire questa incredibile longevità».
Focus su passione, unicità, transmedialità… tutte parole-chiave che i lettori di questi Prolegomeni hanno imparato a conoscere bene.
La missione ingaggiante del Pop Manager
Ecco allora che la missione del Pop Manager, nella situazione di generale spaesamento determinata anche, benché non solo, dagli eventi di cui sopra, è analoga a quella del Roc descritta nel secondo Episodio di Ariminum Circus Stagione 1 (che presenterò il prossimo 21 marzo nel corso del Book Pride di Milano insieme a Valentina Tosoni, giornalista di La Repubblica e autrice del podcast Storie dell’arte. Stay super-tuned!):
«Aumentò la concentrazione per ancorarsi a immagini che gli fornissero un indizio. Si materializzò la sagoma di uno specchio. Lo attraversò e venne catapultato a testa in giù in un Paese meraviglioso. Riconobbe il luogo natio.
Un mondo cristallino, simmetrico, armonico, di stelle e di conchiglie, d’icosaedri e di frattali, di cubi neckeriani e nastri di Möbius, di trasformazioni individuali e di metamorfosi collettive riverberate in superfici concave e convesse, di giorni in negativo e di notti in positivo, di bianchi e di neri, con bagliori carminio o verderame qua e là: tanto perfetto da togliere il fiato.
Lo abitava la progenie discesa dall’unione del Grande Zot con una poetessa di Ur. Una razza di minuscoli androcefali creati a immagine dell’albatro, il possente dominatore degli Oceani.
Volavano: a volte con il corpo, altre con la mente. In sogno o durante la veglia. Ma non sapevano quando decollavano fisicamente o psichicamente, da svegli o mentre dormivano. Non distinguevano la differenza, né sentivano l’esigenza di distinguerla. Il reale era irreale, l’irreale era vero; e tutto era buono.
Quando si libravano in aria diventavano pesci; allora si tuffavano negli abissi, riassumendo l’originale natura avicola. Perché l’acqua scorreva in salita, su fino alla volta celeste, cioè sottoterra. Fra le nuvole del pelagico empireo fluttuavano nel chiarore subacqueo di pozze su cui galleggiavano foglie cadute da alberi siderali. Pozzanghere e nubi si fondevano nella migliore delle armonie possibili.
E di quelle impossibili.
Tutto era buono, tutto era in ordine; ma successe qualcosa, di cattivo, e l’ordine venne sconvolto.
I piccoli semidei caddero malati. Cominciarono a essere distratti e inappetenti; malinconici, mesti, di una mestizia inane e priva di oggetto; la densa pece di un umore bilioso li avviliva; divenivano abulici, neghittosi, torpidi, ottusi; erano sopraffatti dall’indolenza e un pallore saturnino ne ricopriva i visi; un’incessante irradiazione luttuosa dal buio interiore che aveva occupato le loro anime si riversava sulla vita, l’Universo e tutto quanto. Trapassavano, infine – corporalmente, spiritualmente: chi poteva dirlo?
Prima dell’irreparabile, il Roc vide la luce: l’egioco Zot gli apparve con l’aspetto di un varco splendente fra innumeri schiere d’idrometeore incendiarie, fragorosi eserciti di cirrocumuli, moltitudini immense di nimbostrati, troni fiammeggianti di cumulonembi. Con tre capriole giunse alla fenditura numinosa, rivolse a Lei lo sguardo e disse: «Eccomi».
L’“Effetto Dio” era abbacinante, ma i Wayfarer che l’Eletto teneva inforcati sul naso aquilino funzionarono a dovere.
Il glorioso squarcio comandò: «Devi partire».
Per trovare una nuova Bellezza, da portare in dono agli uomini-uccello, agli uccelli umani, facendoli risorgere dalla morte»[v].
Al termine del suo volo, il Roc atterra ad Ariminum, dove osservando un nugolo di piccoli Roc, arriva a capire che lui “era uno di loro, ma, al tempo stesso, ognuno di loro”. Ovvero una Unità Molteplice, proprio come recita il titolo delle Variazioni Impermanenti che costituiscono il Manifesto dello Humanistic Management.
Un community intesa come Mondo Vitale è dunque costituita dalle Hyperidentità di soggetti unici e originali, che si con-fondono nella community di individui portatori dei medesimi valori, delle stesse passioni, di comuni obiettivi.
Ricordo per inciso che, proprio per la particolare rilevanza dell’Episodio, io e Fabrizio Schioppo (PROLEGOMENI 70 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: LA GRAPHIC NOVEL!) abbiano deciso di ricavarne una graphic novel fruibile in due possibili modalità:
scorrendola online cliccando qui;
scaricando il pdf, cliccando qui: Il_Volo_Del_Roc.
NOTE
[i] https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2024/05/13/prolegomeni-al-manifesto-del-pop-management-6-leadership-pop-opinion-piece-di-riccardo-maggiolo/. Maggiolo sviluppa il tema nel suo eccellente Brave New Work, StreetLib, 2023, dove fra l’altro scrive: «secondo l’analisi “Global Workplace Report” del centro di ricerche Gallup, svolta ogni anno su oltre 150mila persone in 160 Paesi del mondo, nel 2021 solo un quinto (21%) degli intervistati ha detto di sentirsi “coinvolto” nel lavoro. Il 60%, invece, si limita solo a fare quanto richiesto mentre il 19% è così scontento da mostrare la sua frustrazione sul lavoro danneggiando anche quello dei colleghi. Non solo: il 59% degli intervistati ha affermato di essersi sentito stressato nella giornata precedente, il 56% preoccupato, il 33% fisicamente dolorante, e il 31% arrabbiato».
[ii] Vedi ad esempio i dati illustrati nell’articolo Giovani in azienda. L’equilibrio vale più della carriera. L’Economia del Corriere della sera, 17 giugno 2024.
[iii] Massimiliano Valerii, La notte di un’epoca, Ponte alle grazie 2024.
[iv] La crisi della narrazione, Introduzione, cit.
[v] Ariminum Circus, cit. pp. 25-26.
83 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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