Il Pop Opinionist di oggi è Joe Casini, che così si racconta: «Sono un imprenditore, consulente e autore. Nasco a Roma nel 1985 e cresco appassionandomi a molte cose. Che si tratti dei primi siti Internet, di organizzare i giornali scolastici oppure suonare nelle band con gli amici, qualsiasi progetto andava organizzato, fatto crescere e che mi dava la possibilità di imparare cose nuove inevitabilmente catturava la mia attenzione.
Ho avuto la fortuna di poter iniziare a lavorare molto presto e mentre prendevo la laurea in Economia Internazionale all’Università di Roma Tor Vergata già collaboravo come consulente con diverse aziende tra cui Mondadori, RAI e Feltrinelli. Nel 2020 prenderò poi una seconda laurea in Psicologia clinica all’Università di Roma Sapienza, nel mentre ho fondato diverse aziende che si occupano di consulenza, comunicazione e informatica. Ho anche lanciato il progetto Mondo Complesso e girato “HI! Human Intelligence”, un docufilm sul tema dell’intelligenza.
Non è stato semplice, ma nonostante sia partito dall’incertezza che così tanti interessi mi creavano, negli anni sono riuscito a trovare la mia strada proprio nelle interconnessioni tra tutte queste cose. Forse per questo, il tema della gestione della conoscenza mi appassiona particolarmente».
Custodire la conoscenza nell’era dell’AI
Joe Casini
L’alba del Knowledge Manager
Circa 5.000 anni fa una nuova e incredibile tecnologia ha rivoluzionato per sempre il nostro mondo, quando i nostri antenati, sulle rive del Tigri e dell’Eufrate, iniziarono a incidere segni su tavolette d’argilla. Quella che oggi chiamiamo scrittura rappresentava una rivoluzione senza precedenti: per la prima volta, le informazioni potevano essere accumulate e trasmesse al di là dei limiti della memoria umana. Questo evento trasformò profondamente la società, creando burocrazie, stati e religioni complesse.
Oggi, viviamo un momento altrettanto rivoluzionario. L’intelligenza artificiale sta facendo alla conoscenza quello che la scrittura fece alla memoria, ma con una differenza fondamentale: mentre la scrittura permetteva a pochi di governare molti, l’intelligenza artificiale offre, almeno in teoria, l’opportunità di democratizzare il potere della conoscenza. Come abbiamo però imparato con la rivoluzione di Internet, questo tipo di promesse possono essere facilmente disattese. Senza guide esperte, senza un sistema per discernere il significativo dal superfluo, rischiamo di affogare in questo mare di informazioni.
Ed è qui che entra in scena una nuova figura: il Knowledge Manager, il cui ruolo è più che tecnico: è culturale, etico e profondamente strategico. Non è una questione di imparare a usare l’IA, ma di imparare a darle un senso, rendendo la conoscenza non soltanto accessibile, ma anche utile, umana e significativa.
La ristrutturazione del mondo del lavoro
Nel corso della storia, ogni grande rivoluzione tecnologica ha ridisegnato il panorama del lavoro umano. Quando la rivoluzione agricola trasformò i cacciatori-raccoglitori in contadini, intere società si riorganizzarono intorno ai ritmi delle stagioni e alla coltivazione dei campi. La rivoluzione industriale fece lo stesso, sostituendo i laboratori artigianali con le fabbriche e il lavoro muscolare con le macchine a vapore.
Oggi, l’intelligenza artificiale sta facendo un passo ancora più audace. Compiti ripetitivi e prevedibili, un tempo pilastro della forza lavoro, stanno scomparendo. Ma la vera sfida non è la disoccupazione tecnologica. È capire come le nostre società e aziende possano ristrutturarsi per valorizzare ciò che rende unica l’intelligenza umana.
Le aziende moderne si trovano di fronte a un dilemma esistenziale. Da un lato, devono abbracciare l’IA per rimanere competitive in un mondo che si muove alla velocità dei dati. Dall’altro, devono preservare il loro cuore umano: la capacità di immaginare, narrare e collaborare. Qui emerge la figura cruciale del Knowledge Manager. Se il passato ci ha insegnato qualcosa, è che l’introduzione di una tecnologia non è mai stata solo una questione tecnica; è sempre stata una questione di gestione della conoscenza.
Nell’Opinion Piece di Donato Iacovone si esplora come l’IA stia ridefinendo l’interazione tra uomo e macchina. Questo nuovo ecosistema richiede più di un semplice adattamento. Richiede un’intelligenza collettiva capace di orchestrare competenze umane e artificiali. Senza una guida esperta infatti, le aziende rischiano di cadere nella trappola dell’automazione fine a se stessa. Con i Knowledge Manager, possono invece trasformare l’IA in una forza che amplifica l’intelligenza umana, piuttosto che sostituirla.
Gli architetti della conoscenza
La storia umana è costellata di figure che hanno agito come custodi della conoscenza: gli scribi dell’antico Egitto, i monaci medievali nelle loro abbazie, i primi bibliotecari di Alessandria. Queste figure non si limitavano a raccogliere informazioni; le organizzavano, le rendevano accessibili, trasformandole in uno strumento di potere e progresso.
A differenza degli scribi del passato, i Knowledge Manager non si confrontano però con pergamene o codici manoscritti, ma con le montagne di dati generati ogni secondo. Viviamo infatti in un mondo dove c’è abbondanza di informazione e scarsità di comprensione, un modo in cui l’attività principale sarà sempre più quella di connettere, contestualizzare e rendere utile la conoscenza.
Questa attività è particolarmente rilevante in un contesto aziendale sempre più multigenerazionale. Come evidenziato nell’Opinion Piece di Carlo Cuomo, l’IA sta plasmando una nuova generazione di lavoratori. Questa “generazione IA” arriva con una predisposizione naturale per le tecnologie digitali, mentre i lavoratori più esperti portano con sé un bagaglio di esperienza e intuizione. L’incontro tra queste generazioni porta con sé nuove necessità di mediazione culturale, per tradurre il linguaggio tecnico dell’IA in azioni pratiche e significative per i team aziendali.
Se osserviamo il passato, vediamo che le società hanno prosperato ogni volta che hanno saputo integrare nuove tecnologie con una gestione efficace della conoscenza. È una lezione che non possiamo ignorare, perché gli esseri umani non vivono di dati, ma di storie. Dalla grotta di Lascaux alle piattaforme digitali contemporanee, ciò che ci distingue come specie non è la capacità di accumulare informazioni, ma quella di intrecciarle in narrazioni che danno senso al caos dell’esistenza. Anche ora, in un’epoca dominata dall’intelligenza artificiale, è lo storytelling a plasmare la cultura aziendale, a definire identità collettive e a orientare decisioni strategiche. Ne ha parlato anche Giampiero Moioli nel suo Opinion Piece, sottolineando come l’intelligenza artificiale stia rivoluzionando il mondo dello storytelling. Strumenti basati su IA possono creare contenuti, simulare emozioni e persino prevedere reazioni del pubblico. Tuttavia, queste narrazioni generate dalle macchine rischiano di diventare sterili, disconnesse dall’autenticità umana, se non guidate da una visione più ampia.
Storytelling e conoscenza nell’era digitale
Consideriamo il contesto aziendale. Ogni impresa racconta una storia, non solo ai suoi clienti, ma anche ai suoi dipendenti. È questa storia a creare un senso di appartenenza, a motivare i team e a definire il rapporto con il pubblico. Senza una gestione oculata, il diluvio narrativo generato dall’IA rischia di fratturare questa coerenza, trasformando le aziende in voci confuse che parlano senza dire nulla.
Ma i Knowledge Manager non solo mantengono l’unità narrativa. Essi utilizzano l’IA come strumento per amplificare il potere dello storytelling. Possono sfruttare l’analisi predittiva per capire quali storie risuonano maggiormente con il pubblico o utilizzare il machine learning per personalizzare le esperienze narrative su scala globale. Tuttavia, ciò che distingue un Knowledge Manager è la capacità di assicurare che queste narrazioni rimangano radicate nell’etica e nei valori umani.
Le tecnologie non sono mai neutre. Ogni invenzione, dalla ruota all’intelligenza artificiale, porta con sé un carico etico, implicazioni sociali e una visione del mondo. L’intelligenza artificiale, con la sua capacità di apprendere e prendere decisioni, amplifica questa dinamica. Non stiamo semplicemente costruendo strumenti; stiamo creando intelligenze che, in modi ancora difficili da prevedere, influenzeranno il destino dell’umanità.
Un nuovo contratto sociale aziendale
L’IA sta ridefinendo l’interazione tra uomo e macchina, aprendo possibilità straordinarie ma anche rischi significativi. Chi decide quali dati alimentano queste intelligenze? Chi stabilisce i confini tra ciò che l’IA può fare e ciò che non dovrebbe fare? In un mondo dove i processi decisionali vengono sempre più delegati alle macchine, il rischio di disumanizzazione è reale.
È ormai ben noto l’esempio dei sistemi di reclutamento basati su IA, i quali senza un’adeguata supervisione possono perpetuare pregiudizi esistenti, amplificandoli con la velocità e l’efficienza delle macchine. Quando un algoritmo suggerisce una strategia aziendale o determina l’assegnazione di risorse, chi è responsabile delle conseguenze? La tecnologia non può diventare un alibi per la mancanza di responsabilità, per questo dobbiamo garantire che ogni decisione, anche se presa con l’ausilio dell’IA, rimanga fondamentalmente umana.
Un esempio pratico è la gestione dei dati. Le aziende moderne generano enormi quantità di informazioni, ma senza un’intelligenza collaborativa, questi dati rischiano di rimanere compartimentati e inutilizzati. Il Knowledge Manager assicura che le informazioni fluiscano liberamente tra le persone e i sistemi, creando una sinergia in cui le intuizioni umane possono essere arricchite dall’analisi automatica, e viceversa.
È così che il successo della trasformazione digitale si misurerà non soltanto in termini di efficienza o innovazione, ma nella più profonda capacità di un’organizzazione di diventare più coesa, adattabile e resiliente. E questo non accade per caso. È il risultato di un’interazione al tempo stesso libera e creativa, ma anche orientata a uno scopo, che i Knowledge Manager dovranno saper orchestrare.
Se sapremo investire in queste nuove figure e valorizzare il loro ruolo, l’intelligenza artificiale non sarà solo un motore di cambiamento tecnologico, ma un catalizzatore di un futuro più umano, dove la collaborazione tra uomini e macchine rappresenterà il cuore pulsante delle nostre società.
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Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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