Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 74 – Sensemaking Pop. Opinion Piece di Gianmarco Govoni

Gianmarco Govoni è laureato in Filosofia presso l’Università di Bologna e ha conseguito una specializzazione in Scienze Cognitive e Processi Decisionali all’Università di Milano. Da sempre interessato a comprendere la natura umana e il complesso rapporto tra l’uomo e le tecnologie, combina queste riflessioni con un approccio pratico e innovativo.

Nel suo ruolo presso il centro di competenza Digital Ethics di Bip, si dedica ad aiutare le aziende a comprendere, valutare e governare gli impatti delle tecnologie emergenti. La sua missione è guidarle nel bilanciare il grande potenziale delle innovazioni digitali con una consapevolezza critica dei rischi, anticipando possibili danni e promuovendo un utilizzo etico e sostenibile.

Oggi ci sfida con una provocazione: “Il dubbio non è Pop”,  che sembra smentire tutto il percorso del Pop Management, nato proprio dalla riflessione sviluppata intorno alla rivista AIDP Hamlet, il più icastico eroe del dubbio Pop, ed è proseguita con progetti legati al tema della curiosità e dell’ironia da Platone a Szymborska (a proposito: giovedì 24 sarò a Ethical HR con una lettura di poesie scelta da Nulla due volte. Il management secondo Wislawa Szymborska) passando per Alice nel Paese delle Meraviglie.

In realtà Gianmarco rivela la faccia oscura del Pop: il populismo che, come non ci stancheremo mai di ripetere, utilizza i format della cultura popolare non per produrre innovazione e Intelligenza Collaborativa, ma omologazione al Pensiero Unico dominante dello Scientific Management.

Il dubbio è Pop?

Gianmarco Govoni

Mi piace o non mi piace, cliccare o non cliccare, accettare o dubitare. Siamo ancora capaci di esercitare il dubbio? Ma soprattutto, sappiamo che cos’è?

Se è semplice, è buono
Un’esperienza mal sopportata

In un’epoca in cui quasi tutto può essere semplificato, reso immediato e consumato, commercializzato, ridotto all’osso, il dubbio rappresenta un esercizio fuori moda. L’ impalcatura digitale traduce concetti complessi e densi in versioni accessibili, in design accattivanti e modellati con chirurgica precisione.

Tutti: filosofi, intellettuali e progettisti stessi, oggi portano al grande pubblico il loro pensiero su ciò che non è “immediato”[1], semplificandolo, traducendolo e trasformandolo da un concetto astratto a lettere pigiate sulla tastiera, che tramite un dispositivo elettronico diventano digitali, creandone le condizioni di accessibilità minime e sufficienti. Che queste nuove modalità siano capaci di generare nuovi paradigmi del pensare o meno, decrittando il lato accademico dell’erudizione, rifacendomi al #1 dei Prolegomeni, rimane un fatto considerevole che al 5 gennaio 2024 gli utenti Internet fossero 5.30 miliardi, pari al 66% della popolazione mondiale e l’utente medio globale trascorre in media sette ore online ogni giorno (1), ribadendo l’ispessimento del tessuto connesso della nostra società.

Una volta, con carta e penna, avevamo i rapporti epistolari, e con carta e stampa, i primi libri da sfogliare. Oggi, i mezzi di comunicazione si sono contratti in quel che è ormai un’enorme matassa di connessioni composta da protocolli, server, router e cavi transatlantici, grazie a cui con un click si può dire (quasi) ciò che si pensa al mondo intero. Ora, tutto ciò è fantastico, ma il prezzo da pagare è alto: una concorrenza spietata. Il mondo digitale è sovrappopolato di informazioni e gli utenti oggi non sono capaci di assorbirle tutte[2]. Se comunichi devi farlo in maniera semplice e breve, senza interrompere il flusso.

Ma se c’è una componente del pensiero umano che fatica a piegarsi a questa semplificazione, che fatica a adattarsi al contesto, questa è il dubbio. I dubbi si sciolgono, i nodi si snodano, e di soluzioni pronte all’uso, al problem solving, oggi se ne leggono e vedono tante, ma di dubbi e dell’importanza di questi “blocchi” mentali, di questi impasse, se ne parla invece davvero poco. Non sono di moda, non sono Pop (ulisti, NdR).

Forse perché il nostro sistema cognitivo, o più in grande il cervello, il diretto proprietario del primo, è particolarmente poco avvezzo allo sforzo. La neuroscienza, in particolare quella cognitiva, ci insegna che il cervello umano è uno dei sistemi più abili nell’ottimizzare i suoi processi energetici e un grande esperto nell’arte del minimo sforzo[3].

Forse anche perché all’interno della nostra società si è un po’ persa la figura del “saggio”, di colui che dispensa consigli e non soluzioni (dei filosofi?), di chi ti fa ragionare, pensare e dubitare della certezza. Vanno invece sempre più di moda gli altri, i suggeritori di soluzioni, i vincenti, i risolutori, gli “influenzatori”.  L’assenza di certezza è percepita come una défaillance, come una rinuncia alla vita ed alla società. Come una forma di insuccesso. Ma è davvero così? Esiste la certezza o la verità? O ancor meglio, esiste in natura? Esageriamo: ce la siamo inventata?

Per Bauman, celebre sociologo polacco, l’intera cultura moderna si è sviluppata come un tentativo di combattere l’incertezza attraverso la razionalizzazione, il controllo e l’ordinamento della realtà. L’assenza di certezza, l’imprevedibilità paurosa che sta nelle cose, rappresenta la natura intrinsecamente caotica e imprevedibile della vita, che il progetto moderno ha cercato di domare.

Viviamo in una società protesa alla crescita e ciò che non cresce, ovvero ciò che non diventa di più, va cambiato perché rotto o fuori tendenza. Così ci ritroviamo come alberi che non possono perdere le foglie nemmeno d’inverno; talmente attenti al divenire altro da dimenticare di poterci, e doverci, mettere in discussione nel qui ed ora.

Dubiti per conoscere o conosci per non dubitare?
Il dubbio come strumento conoscitivo

Nell’universo, per stare larghi, e nelle nostre vite, per stare immensamente stretti, l’esser certi di qualcosa è quasi sempre sinonimo di un’illusione iniziale che si traduce in disillusione, ovvero quando si scopre d’essersi immolati in un percorso fatto di pensieri mal posti ed in cui mancava un fido compagno di viaggio: il dubbio, lo sguardo al di là della staccionata.

Dubitare implica un pensiero critico e attivo, un rifiuto ad accettare passivamente ciò che abbiamo davanti: il dubbio più che pop è punk. Questo tipo di attività mentale non è alla moda, non è rapida e non è semplice. Dubitare richiede tempo e disposizione d’animo. Per i più fantasiosi, il dubbio può assumere le sembianze di una discesa agli inferi della ragione o, per i più realisti, una doccia gelata. In una società dove i messaggi sono sempre più frammentati, ridotti a bit di informazione, all’approvazione dell’approvazione[4], e dove quest’ultimi sono a portata di dita, il dubbio diventa scomodo. A volte impossibile.

L’interaction design, lo accennava Alessio Mazzucco in Prolegomeni #18, ovvero il linguaggio persuasivo ed elegante utilizzato da chi progetta il mondo digitale, nasce dalla semplice idea che un buon design è un design che non fa ragionare, non fa pensare, ma è intuitivo e quindi incontra i nostri sensi. L’ usabilità cognitiva di uno strumento è massima laddove sposa gli stessi schemi mentali di chi lo usa, fondendosi in un tutt’uno. Il digitale crea una corrente in cui far scorrere i suoi utenti, l’esperienza dev’essere fluida ed accomodante, capace di lasciare fuori il resto (i dubbi). Tutti conosciamo bene l’esempio dei reel[5]e dell’infinite scrolling: un fiume di stimoli visivi e sonori di cui cibarsi ininterrottamente.

In un mondo iper-digitalizzato e connesso, siamo onlife dice Luciano Floridi, ci potremmo chiedere se questo sia il paradigma giusto per noi, o se la posta in gioco, “autonomia e l’identità, sia delle aziende che dei consumatori” (citando Prolegomeni #17), non vale la candela.

Se la semplicità intuitiva e l’inganno di fluidità sono il linguaggio universale del digitale, “se le nostre preferenze sono continuamente modellate e indirizzate da algoritmi che apprendono dai nostri comportamenti” (Prolegomeni #17), forse, rischiamo di diventare fruitori di una realtà illusoria e piatta. Mentre ciò che è pop tende a produrre risposte immediate, accessibili e condivisibili, il potere del dubbio è quello di rallentare, interrompere. Il dubbio si pone quindi come una resistenza, tra il vero percepito e il vero indefinito, che ci lascia la libertà di essere.

Oggi, attivarci criticamente nei confronti della realtà richiede più impegno di quanto non accadesse in passato. Con il proliferare della applicazioni (web o smartphone), che potremmo vedere come le braccia dell’infrastruttura digitale, e il corrispettivo aumento delle informazioni che ci raggiungono quotidianamente, l’individuo è continuamente spinto a trarre conclusioni plausibili mosso da ciò che lo invita a prendere sempre più decisioni (micro e macro), un mondo digitale e totalizzante che lo tocca sulla spalla migliaia di volte al giorno.

Accetta i cookies, accetta i termini e le condizioni, acquista questo prodotto che “abbiamo scelto per te”, conformati all’opinione pubblica, fatti idee rapide e veloci di ciò che succede nel mondo, giusto o sbagliato che sia. Quando siamo sotto pressione, presi da mille stimoli, fatichiamo a far riemergere il capo dall’ondata di informazioni che ci raggiunge. Ciò che una volta era considerato una virtù intellettuale – la capacità di chiedersi “ma è davvero così?” – rischia di trasformarsi in una pratica obsoleta, quasi sovversiva.

Esercizi di autonomia
Mantenersi in allenamento

Il dubbio potrebbe rappresentare una delle poche risorse di autonomia rimaste. Essere capaci di dubitare significa mantenere viva la propria indipendenza, sfidando la cultura del muto “mi piace”. Forse, in un futuro dominato da risposte preconfezionate e dal pensiero rapido[6], dubitare sarà la nuova ribellione, l’ultimo bastione della complessità e dell’autonomia individuale, quello “spazio irrappresentabile” (come definito in #7 Prolegomeni) in cui ciascuno può muoversi liberamente.

In principio fu Socrate, a investire col proprio dubbio le false certezze di coloro che si ritenevano sapienti, ma poi anche Cartesio, Kant, Sant’Agostino e Giacomo Leopardi: tutti affascinati dall’arte del dubbio. Scriveva Leopardi nello Zibaldone: “Piccolissimo è quello spirito che non è capace o è difficile al dubbio”. E mai come in questo momento storico, nel quale siamo bombardati da migliaia di informazioni e fragili certezze, il dubbio, come metodo di ricerca e strumento di conoscenza, torna di grande utilità.

L’anello mancante tra l’uomo e il digitale?
Il pensiero critico

Nel rapporto tra l’uomo e il digitale, il dubbio emerge come un elemento centrale, capace di illuminare sia le opportunità sia i rischi della nostra epoca tecnologica. La capacità di sapersi domandare “perché?”, il “come mai?” di una certa cosa, rappresentano lo scoglio a cui aggrapparsi per non finire alla deriva. Si potrebbe dire che viviamo in un’epoca in cui è sempre più importante dubitare, e farlo ponendosi le domande giuste. Tuttavia, non tutti i dubbi sono uguali, e il modo in cui li affrontiamo può fare la differenza tra emancipazione e smarrimento.

Il dubbio patologico
Insicurezza e paura

Quando il dubbio diventa patologico, si trasforma in un ostacolo che paralizza la mente e impedisce di agire. Questo tipo di incertezza non alimenta la ricerca o il miglioramento, ma si nutre di ansia e insicurezza. È il dubbio che ci tiene bloccati, incapaci di fidarci di noi stessi o degli altri, e che può portare a un circolo vizioso di indecisione e paura. Il dubbio patologico è il lato oscuro dell’incertezza, dove la ricerca della verità si perde in un labirinto senza uscita.

Il dubbio metodico
Metodo e rigore

Il dubbio come metodo, al contrario, è strumento di conoscenza. È il dubbio che si interroga in modo strutturato, che segue un percorso per cercare risposte. È l’incertezza che spinge a indagare, a mettere in discussione l’immediato per costruire nuove certezze. Come insegnava Cartesio, il dubbio non deve essere fine a sé stesso, ma una tappa necessaria verso una comprensione più profonda. Questo tipo di dubbio alimenta la crescita personale e collettiva, trasformando l’incertezza in un alleato per la conoscenza e l’apprendimento continuo.

Il dubbio assente
Passività e cecità

L’assenza di dubbio, invece, è sinonimo di cecità intellettuale. Accettare tutto senza interrogarsi significa rinunciare al proprio senso critico e alla propria autonomia. È un atteggiamento che porta all’omologazione, all’incapacità di distinguere tra il nero e il bianco, tra ciò che è vero e ciò che è falso. Senza dubbio, non c’è crescita né consapevolezza, ma solo passività. Conformismo e cieco progresso.

Accettare passivamente la tecnologia senza interrogarsi sulle sue implicazioni significa abbandonarci, abbandonare quel che di umano vi è in ogni strumento tecnologico, e aprire la strada ad un futuro dove si è perso di vista l’orizzonte di senso al quale tutta la tecnologia dovrebbe, e deve, riportare: il beneficio dell’uomo. Un dubbio assente favorisce l’illusione che tutto ciò che è tecnologico sia neutrale o positivo per definizione. In realtà, questa mancanza di interrogativi lascia campo libero a chi utilizza il digitale per scopi non trasparenti, mettendo a rischio la nostra autonomia decisionale e la capacità di agire in modo libero e informato.

Il dubbio nel presente
Consapevolezza e azione

Il dubbio nel presente è la consapevolezza che le domande vanno poste ora, senza rimandare. È il riconoscere che ogni momento è cruciale per affrontare le incertezze della vita e trovare risposte adeguate. Interrogarsi nel qui e ora significa essere radicati nel tempo che viviamo, accettando la complessità e la continua evoluzione della realtà. È un dubbio che guarda al futuro, ma che trova la sua forza nel presente, perché è solo nel presente che possiamo davvero agire e cambiare. Il dubbio nel presente (hic et nunc) è consapevolezza temporale del nostro momento storico, dove le innovazioni digitali si susseguono senza sosta e non è più possibile posticipare le domande fondamentali che riguardano il nostro rapporto con la tecnologia. Una consapevolezza che ci permetterà di non rinunciare alla lentezza del pensiero riflessivo e non tornare al modus vivendi istintivo, veloce e irriflesso, tipico dell’uomo primitivo, che doveva prendere decisioni rapide per far fronte ai pericoli del suo mondo analogico.


Bibliografia e Sitografia:

[1] Mentre la conoscenza sensibile è immediata, è fondata cioè sull’intuizione, su un atto di carattere puntuale, diretto (il vedere una penna, l’afferrare un bicchiere), la conoscenza razionale è mediata, è fondata cioè sul discorso. Il dispiegarsi della ragione, il ragionamento, è concatenazione di termini. Complessità, profondità e tempo.

[2] Riferimento al tema dell’overload cognitivo. Secondo alcune ricerche (vedi Omnicom Media Group. (2023). Beyond Visual Attention) si stima ci raggiungano più di 30 mila stimoli tra visivi e sonori ogni giorno provenienti dall’infrastruttura digitale, numeri talmente alti dal rendere impossibile il completo processamento.

[3] Kahneman, D. (2011). Pensieri lenti e veloci. Milano: Mondadori.

[4] Ora sui social media è possibile reagire al commento di un’altra interazione, si può reagire alla reazione.

[5] Il Reel è ormai uno dei formati standard di pubblicazione di contenuto disponibili su Instagram, esattamente come i Post, le Stories, le Dirette e così via. Video di breve durata, il cui concetto sottostante è l’infinite scrolling.

[6] Kahneman, D. (2011). Pensieri lenti e veloci. Milano: Mondadori.

74 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO
62 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO LOTTO
63 – OPINION PIECE DI GIANLUCA BOTTINI
65– OPINION PIECE DI SIMONE FARINELLI
66– OPINION PIECE DI FRANCESCA ANNALISA PETRELLA
67– OPINION PIECE DI VALERIO FLAVIO GHIZZONI
68– OPINION PIECE DI STEFANO MAGNI
69– OPINION PIECE DI LUCA LA BARBERA
70 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: LA GRAPHIC NOVEL!
71 – LEADERSHIP POP. APOFATICA E CATAFATICA DELLA COMUNICAZIONE
72– OPINION PIECE DI FEDERICA CRUDELI
73– OPINION PIECE DI MELANIA TESTI