Il potere di convocazione
Voglio inaugurare questo 2025 di riflessioni Pop tornando su un concetto chiave del Pop Management: il potere di convocazione, cui Piero Trupia ha dedicato un volume fondamentale (Potere di convocazione. Manuale per una comunicazione efficace, Liguori, 2002).
In particolare, ritengo utile riprendere quelle che Trupia definisce rispettivamente apofàtica e catàfatica della convocazione, mostrando come alla prima corrispondano una serie di atti linguistici ascrivibili alle modalità comunicazionali tipiche della modernità solida, dell’organizzazione gerarchica, dello scientific management; mentre la seconda si attaglia perfettamente agli stili comunicazionali di una Social Organization; o, meglio, di una Hypersmart Platfirm (Prolegomeni 43).
Tutto questo nell’ottica così illustrata da Luca La Barbera in Prolegomeni 69: «Un’organizzazione moderna – che indipendentemente dalla sua dimensione, è una entità complessa, per il solo fatto di comporsi di persone, unità pensanti ed indipendenti, ciascuna con una sua visione, carattere, codice valoriale, modo di comunicare… – deve re-imparare a parlare. Il che è tutt’altro che semplice, come ben saprà chi non ha avuto la fortuna di essere esposto al bi o al tri-linguismo in tenera età ed ora annaspa tra app che promettono miracoli in una settimana, sforzi immani per vedere la tv in lingua originale ed aperitivi con sedicenti “English fluent”. Imparare un nuovo codice comunicativo presuppone dimenticare o quanto meno mettere da parte tutto ciò che abbiamo imparato finora e partire di nuovo da zero».
Apofàtica 1: passivizzare l’interlocutore
L’apofàtica è un procedimento logico per negazione (per esempio la teologia apofàtica ci dice ciò che Dio non è) e per quanto attiene alla convocazione Trupia indica cinque gruppi di azioni comunicative non-convocative.
Al primo gruppo appartengono atti comunicativi che hanno in comune movimenti invasivi verso il locutario, o tendenze a passivizzare l’altro predeterminandone le risposte. Comprendono:
- seduzione, condurre l’altro verso sé;
- induzione, immettere qualcosa nella mente e nell’animo altrui;
- conduzione, portare altri passivamente nel proprio mondo, come fanno per esempio il conduttore televisivo o, nella forma esasperata, il duce, il führer, il conducator.
Riportati al contesto aziendale, gli atti comunicativi qui riassunti rientrano in una tipologia caratteristica dello scientific management, che tipicamente alterna il bastone di modalità comunicazionali unidirezionali, top-down, prescrittivo-direttive, con la carota della roboante retorica aziendalistica da convention o house organ, celebrativa di iperboliche mission, improbabili purpose e valori politically correct mai messi realmente in pratica. E gli attivisti woke della giustizia sociale? Fanno poco o nulla per le persone marginalizzate che sostengono di difendere. Anzi, è tutto a loro spese. Lo denuncia un saggio di Musa al-Gharbi, sociologo della Stony Brook University, appena uscito negli Stati Uniti: We Have Never Been Woke. The Cultural Contradictions of a New Elite (Princeton University Press, pp. 432, $ 35). È la grande bugia, osserva al-Gharbi. Un gruppo di privilegiati — professori universitari, giornalisti, bianchi, liberal e benestanti — che si riempie la bocca di uguaglianza e slogan progressisti, confezionando il proprio messaggio come altruista e controllando dati, retorica e flusso delle idee. Lo studioso li definisce «capitalisti simbolici». «Si pongono come alleati dei più deboli per apparire virtuosi e quindi più meritevoli delle posizioni che occupano. Un fenomeno che cresce durante le recessioni e serve a creare opportunità di lavoro e guadagno a uso proprio».
Scrive a proposito dell’orrenda parola “inclusività“, esemplare della desueta e abusata retorica DE&I, Valerio Flavio Ghizzoni in Prolegomeni 67: «Parlare di “inclusività” è, di per sé, problematico. Il termine suggerisce un processo dall’alto verso il basso, un gesto di concessione: qualcuno che include qualcun altro, come se fosse un favore, come se spettasse al gruppo dominante decidere chi “merita” di essere accolto. Questo approccio rischia di ridurre il tutto ad una casella da spuntare per fare bella figura nelle brochure aziendali.
Quello che conta davvero non è l’inclusività, ma l’apertura alla diversità, un approccio in cui ogni persona è riconosciuta per la propria unicità, senza bisogno di essere “inclusa” in un sistema predefinito. Apertura significa creare uno spazio in cui le differenze possano esistere e contribuire liberamente, senza dover chiedere il permesso. Tante aziende si riempiono la bocca di “inclusività”, ma in realtà si limitano a un esercizio di immagine. Non bastano slogan e statistiche. Serve un cambiamento culturale che abbracci davvero la diversità come valore, senza scadere in un linguaggio che suona sempre più vuoto e retorico».
Mi auguro che la necessità di rinnovare radicalmente il linguaggio e i contenuti etici utilizzati in ambito aziendale (e non solo) sia al centro dell’evento Ethical Hr promosso dalla Team Different del Pop Opinionist Lorenzo Tedeschi nei giorni 22-24 gennaio 2025.
Apofàtica 2: tenere l’interlocutore in stato di minorità
Il secondo gruppo comprende azioni comunicative di chi esercitando il potere indirizza l’altro che subisce, come accade per:
- la guida, che indica la via, precedendo;
- il mentore, consigliere affidabile che assiste lungo la via, ma non può far mancare la propria presenza. Ha un potere di ruolo.
- il capo carismatico, che viene creduto e seguito perché dotato di poteri e qualità superiori, straordinari, ma non può chiedere ai seguaci il comportamento ordinario. Inoltre, il carismatico trasmette la propria energia, il convocatore, invece, suscita energia.Infine, il carisma riempie lo spazio mentale e affettivo dell’altro, la convocazione lo crea. In Prolegomeni 63 Gian Luca Bottini così esprime una possibile declinazione di questo aspetto della convocazione: «Se dovessi immaginare come comunica il Pop e quale linguaggio potrebbe utilizzare, lo penserei come quello di una “persona libera” dai legàmi dei “trend” e delle mode temporanee. Quello di un disegnatore della semplicità: un designer del “trapassato futuro”. Una persona che con consapevole umiltà sa tendere la mano senza timore e non ha la necessità di nascondersi dietro parole come fa il termine “inclusione” che dipinge nella sua forma una posizione dominante e quindi con necessità di “includere” chi escluso, inducendo un senso di superiorità. Me la immaginerei come quella di un direttore d’orchestra che costruisce per l’equità e la lealtà verso l’altro (l’Etica), ispirando un linguaggio semplice, non banale – penso al pensiero di Francesco Gori in merito all’Innovazione Pop (Prolegomeni 23). Penso ad un linguaggio che sia capace di sottrarsi alla “terminologia specialistica” che costruisce monologhi di termini mascherati da dialoghi: distanze senza ponti verso l’altro, formule che non aprono ad altre menti o verso nuovi punti di vista. Mi piacerebbe fosse una rete di relazioni “umane” dove la cooperazione aperta è veicolo di energia e dove la singolarità (la persona nella sua unicità) non è al margine ma è la comunità: il bene comune. Un leader: un buon designer, come un buon antenato.La vorrei fondata su un ecosistema comunitario che si sviluppasse attorno a nuclei attrattivi, formativi e divulgativi: delle nuove idee di marche…Matteo Lusiani e Luca Cavallini espongono una visione davvero interessante su questo tema»;
Apofàtica 3: manipolare l’interlocutore
Il terzo gruppo di azioni comunicative non-convocative riguarda il lavoro svolto sul locutario per trasformarlo, in modo da renderlo soggetto al potere del locutore. Rientrano in questo gruppo:
- la manipolazione, che trasforma il carattere assoggettandolo;
- l’influenza,che agisce sui convincimenti dell’altro permutarli a proprio vantaggio;
- l’istigazione, che spinge all’azione l’altro, declinandone la responsabilità. Rientrano in questa fattispecie tutte le varie tipologie di mobbing, patologia tipica dei modelli organizzativi fondati sul comando e controllo – Istituzioni Totali, il cui (ir)razionale sottostante è ben descritto da Petrus, uno dei protagonisti del romanzo collettivo La Mente InVisibile: “il sogno dei costruttori di ordinamenti perfetti, di istituzioni totali, siano essi l’impero di Hammurabi o una cosca mafiosa: poter disporre di sudditi perfettamente flessibili e del tutto autonomi, nel senso di semoventi, rispetto al compito e solo rispetto al compito. Sudditi religiosamente devoti oppure schiavi, iloti, meteci, liberti, servi della gleba, picciotti, operai manchesteriani, operai-massa, operai tayloristi, robot, manager integrati e integratori nella e della macchina organizzativa”.
Apofàtica 4: annullare l’interlocutore
Il quarto gruppo è caratterizzato dalla capacità del locutore di limitare o annullare le energie e la capacità di decisione del locutario. Comprende:
- la fascinazione, che riduce le energie del locutario;
- l’incantamento, che annulla la capacità di autonomia del locutore, il quale si limita alla contemplazione estatica del locutario;
- l’ipnosi, anche in termini figurativi, che crea dipendenza fisico-psichica. Come a dire: dallo scientific management a Scientology il passo è breve.
Come si vede, si tratta di atti linguistici che si trovano sul versante opposto rispetto a quanto afferma il Formanchuk citato da Eugenio Lanzetta in Prolegomeni 57: «L’azione più rivoluzionaria che possono fare è che il leader parli meno e ascolti di più, evidenziando così l’importanza di un ascolto attivo e partecipativo». «In questa prospettiva, commenta Lanzetta, l’atto di comunicare diventa un esercizio creativo e collaborativo, nel quale le idee si trasformano e si arricchiscono attraverso il confronto con gli altri. Un ascolto attivo e partecipativo che caratterizza la nuova era della gestione aziendale, che segna la transizione da un modello di dirigenza autoritaria a un approccio più orizzontale e inclusivo, che pone al centro il valore dell’interazione e della co-creazione».
Apofàtica 5: assoggettare l’interlocutore
L’ultimo gruppo di azioni comunicative non-convocative ha per oggetto la «chiamata al futuro» del locutario, chiamata che può avere la forma del fato, come nell’oracolo; dell’impegno e della testimonianza morale, come nel profetismo; della trasformazione ipotetica della realtà, come nel progetto, specie politico, ispirato alla volontà di potenza.
In generale, l’atto linguistico non-convocativo viene detto da Trupia «revocativo» (e le tracce semantiche che lascia nel discorso «segnali di arresto», in opposizione alla traccia semantica convocativa in atto che de- nomina «segnale d’invito»). Tipicamente revocativi sono tutti i classici errori che vengono commessi da communty manager inesperti, quali:
- credere di avere il controllo sulle persone e sulle conversazioni;
- attaccare i propri detrattori;
- voler moderare i commenti, censurando quelli sgraditi;
- non dare risposte chiare e trasparenti;
- rispondere a tutti i commenti negativi;
- usare un tone-of-voice spersonificato.
L’apofàtica della convocazione è quindi integrata con la catafàtica. Il giudizio catafàtico è un processo logico, opposto all’apofàtico, perché procede per affermazione. L’aspetto catafàtico della convocazione viene sintetizzato da Trupia in cinque classi di atti linguistici convocativi in base alle cinque variabili classiche – locutore, messaggio, locutario, codice, canale – di cui si avvale il locutore.
Atti linguistici convocativi (A.L.C.) del locutore.
La caratteristica della convocatività risiede nell’utilizzare forme comunicative performative aperte, nel senso che il loro effetto performativo – una certa risposta linguistica o comportamentale del locutario – non è né automatica né obbligata, esattamente come avviene nelle interazioni sui social network o attraverso i social media.
Nella tassonomia di Trupia, gli A.L.C. del locutore presentano una forma enunciativa, vocativa e imperativa, che si sottopone, esplicitamente ed effettivamente, non formalmente, alla convalida del locutario. Per esempio, «Vi prego di credere…», «Faccio affidamento sulla vostra comprensione…» ecc.: si tratta di espressioni che si differenziano nettamente dalle forme retoriche, le quali mancano di convocatività, poiché la risposta è scontata («Potete facilmente constatare che…», «Ditemi voi se non è così…»). Atti linguistici perfettamente calzanti con uno stile di community management caratterizzato da quella capacità di «guidare dal centro» di cui ho parlato nel Capitolo 3 di Intelligenza Collaborativa e che, declinata in pratica, prevede per esempio:
- status up date«sexy»,possibilmente corredati di immagini o video, in grado di attirare valutazioni positive, commenti e condivisioni;
- profili estremamente curati sui social network o sulle piattaforme collaborative interne;
- utilizzo strategico delle tag;
- poca pubblicità (se parliamo di una brand community) o retorica aziendalistica (se parliamo di una community interna) e molti contenuti;
- un accurato bilanciamento fra strategia push e pull nella gestione dei contenuti;
- la conoscenza approfondita dei membri della community, in particolare dei detractors e degli advocates. Trupia a questo proposito cita, dal Giulio Cesare di Shakespeare, come esempio di convocazione il discorso di Marcantonio sulla tomba di Cesare, basato sulla conoscenza intima del suo pubblico, contrapposto a quello revocativo di Bruto, basato su astratte formule retoriche. Sulla vitalità degli archetipi shakespeariani per costruire modelli di Leadership Pop rimando all’Opinion Piece di Joseph Sassoon (Prolegomeni 8)
Atti linguistici convocativi del messaggio.
Presentano la forma generale di un testo aperto a una valutazione del locutario – afferma Trupia – con una modalizzazione che può essere epistemica (vero/falso) o di altro valore categoriale (etico, politico, estetico ). Per esempio: «Questi sono i fatti, a voi giudicarli», «Il problema è aperto. Lascio a voi decidere…», «Faccio appello all’attiva partecipazione dei presenti, per dipanare una matassa che si presenta tra le più intricate» ecc. Queste sono anche for- me (benché se plasmate dal «Twitter style», rapido e conciso) che con- notano la comunicazione in rete e con cui tipicamente vengono decli- nate le value proposition create all’interno di una Social Organization.
Atti linguistici convocativi del locutario.
Per Trupia in questo atto linguistico convocativo il locutario è l’interlocutore reale e concreto a cui il messaggio è rivolto e, come tale, è presente all’interno del messaggio con qualcosa che parla di lui, che ne evoca un contenuto mentale, em tivo, esperienziale, fino alla situazione-limite dell’assunzione totale del mondo del locutario da parte del locutore.
Coerente con questo assunto è l’avvertenza, che viene spesso data a chi si occupa di community management, di variare spesso la tipologia di contenuti postati, per venire incontro alle diverse modalità di apprendimento di ciascun membro della community.
C’è chi sarà più sensibile alle immagini, chi a documenti scritti, chi a file audio. In ogni caso è essenziale sapere ascoltare e al tempo stesso sollecitare le capacità comunicazionali dei membri del gruppo (la cui attivazione si tradurrà in like, condivisioni, commenti), non diversamente da come, utilizzando per esempio la tecnica del mirroring, fa un terapeuta ponendosi nella disponibilità di ascolto più totale. Nell’esempio di Trupia:
Locutario: «ogni sera ritorna in casa e già prima di aprire la porta, mi im- magino la scena: sempre la stessa, da più di dieci anni ormai».
Locutore: «Dieci anni!».
In un certo senso, scrive Trupia, con quell’aggiunta del punto esclamativo, il locutore «certifica» la profondità della propria attenzione; non diversamente da quanto avviene nelle conversazioni online attraverso l’uso delle emoticon.
71 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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