Sono Luca La Barbera. Mi piace definirmi per quello che sono, tenendolo ben separato e distinto da quello che faccio. Nella vita faccio il manager di una multinazionale, ma mi piace ampliare lo sguardo al di fuori delle finestre dell’ufficio – per quanto moderno e luminoso – e tenere sempre a mente che lì fuori c’è un mondo che corre.
Lo guardo da un punto di osservazione privilegiato. Anzitutto perché ho un lavoro, ma anche perché ho un ruolo che mi fornisce una prospettiva sulle organizzazioni, su come interagiscono tra loro, in un ecosistema, e con le loro persone. Che inevitabilmente, arrivano e partono. Ho raccontato quello che vedo oggi – da questa prospettiva privilegiata – in un libro “Lavorare per crescere nelle organizzazioni. Costruire il successo un passo alla volta”, che muove dall’assunto che ognuno di noi è responsabile del proprio percorso. Che siamo noi, individualmente, che dobbiamo farci carico di disegnare le nostre carriere e di tracciare la nostra crescita personale e professionale, senza confidare che se ne occupino i nostri datori di lavoro. Perché si tratta di un compito così strategico e vitale, da cui dipendono futuro, felicità e realizzazione, da non poter essere delegato a terzi.
Un luogo bello da vivere
Luca La Barbera
Leadership, collaborazione, organizzazione, storytelling, innovazione…
Un po’ come un giovane che si affaccia al mondo del lavoro di questi tempi e non sa bene da che parte andare, cosa lo ispira, chi ascoltare e chi ignorare, questo è un Opinion Piece che non si sa collocare. E’ alla ricerca di un suo senso, di una sua strada, percorrendo il solco tracciato da tutti gli interventi precedenti, ma zigzagando sul filo conduttore di ciò che è Pop e toccando temi di leadership, collaborazione, organizzazione, storytelling, innovazione… E un poco alla volta, a mano a mano che si dipana tra questi concetti alti, trova una sua narrazione, una sua cifra.
Inizio ponendo una domanda molto basica. Cosa serve oggi ad un’organizzazione per essere moderna, per essere ascoltata e per ispirare i propri interlocutori, siano essi collaboratori, clienti o ecosistema?
Serve tanto, tutto e forse non è ancora abbastanza, perché il mondo è in continua evoluzione e richiede una reinterpretazione continua e costante, ma… da qualche parte si dovrà pur partire. E quindi, tra il tanto e il tutto, cerchiamo intanto il basico.
Un nuovo codice comunicativo.
Un’organizzazione moderna – che indipendentemente dalla sua dimensione, è una entità complessa, per il solo fatto di comporsi di persone, unità pensanti ed indipendenti, ciascuna con una sua visione, carattere, codice valoriale, modo di comunicare… – deve re-imparare a parlare. Il che è tutt’altro che semplice, come ben saprà chi non ha avuto la fortuna di essere esposto al bi o al tri-linguismo in tenera età ed ora annaspa tra app che promettono miracoli in una settimana, sforzi immani per vedere la tv in lingua originale ed aperitivi con sedicenti “English fluent”. Imparare un nuovo codice comunicativo presuppone dimenticare o quanto meno mettere da parte tutto ciò che abbiamo imparato finora e partire di nuovo da zero.
Sperimentare nuove forme comunicative, vuol dire muoversi in controtendenza. Non seguire la moda, perché “così fan tutti”, ma inventare nuove forme, per elevare la propria voce al di sopra del rumore di fondo, senza per forza dover urlare. Lo dice anche Giampiero Moioli, nel Prolegomeno n. 60: oggi serve distinguersi nel rumore, creare una narrazione che possa orientare il fruitore, senza disperdere la visione, il messaggio, nel rumore di fondo del mondo digitale. A volte, per muoversi in controtendenza, basta andare indietro quando tutti muovono avanti. O forse anche solo rimanere fermi, quando tutti progrediscono. E questo può voler dire che lo storytelling altro non è che rispolverare lo stile, il modo e il fascino dei vecchi cantastorie, che muovevano di villaggio in villaggio, raccogliendo intorno a sé grandi e piccoli e mantenendo la loro attenzione con la suspence, la curiosità e il filo conduttore di racconti basati sull’emozione, sul sentimento e sul sogno. Con lo Storytelling Pop, ci dice Marianna Porcaro nel Prolegomeno n. 44, lo spettatore diventa parte attiva, interpretando e costruendo significati. Serve parlare in modo diverso, per mettersi fuori dal coro, toccando tasti nuovi e scelti con cura.
Serve sperimentare nuovi mezzi comunicativi. Certo, la tecnologia oggi è un canale forte, veloce, efficace. E’ un acceleratore di messaggi. Ma anche in questo caso, muoversi in controtendenza può voler dire guardare indietro. Al word of mouth, affidando il messaggio al passaparola, che conferisce al messaggio in questione una maggiore forza, una nuova vita, perché più autentico e meno mediato. In fin dei conti, sfido a dire che il consiglio spassionato di un amico non valga più di mille influencers. E allora, una azienda che voglia distinguersi, deve scegliere con cura e attenzione non solo le parole da usare, ma anche a chi affidarle, per avere la certezza che possano arrivare a destinazione integre ed efficaci, come sono partite.
Una nuova forma organizzativa.
Noi ragazzi degli anni 70, per i quali l’università andava necessariamente completata con un passaggio obbligato in una business school, prima di abbandonare i nostri destini al mondo del lavoro, siamo cresciuti con la convinzione che lungo la scala gerarchica aziendale ci si muove solo in due direzioni. Bottom Up o Top Down. Tertium non datur, giusto per dimostrare che nonostante le business schools, qualche vaga rimembranza del latino ci è rimasta.
E invece oggi è importante smontare questo postulato e valorizzare la comunicazione orizzontale (al massimo obliqua), dando spazio al dialogo “peer to peer”, come giustamente rimarca Marco Minghetti nel Prolegomeno n. 7, valorizzando la parità, il fatto di porti su uno stesso livello, come base per la creazione di valore nuovo, differente, fresco. Porsi sullo stesso piano dei propri interlocutori, indipendentemente da età, settore o ruolo aziendale, rende più semplice il dialogo, lo scambio, il confronto generativo di nuove idee. E allora, ben venga la riduzione della complessità organizzativa e l’utilizzo di simboli e riferimenti pop per spiegare strategie e cambiamenti aziendali. Ben venga la sostituzione del linguaggio tecnico e burocratico, con metafore prese dalla vita quotidiana (un film, una serie TV, una canzone…). E grazie a Roberto Razeto per renderlo così esplicito e chiaro nel Prolegomeno n. 50!
Prescindere dalla scala gerarchica è il presupposto per generare nuove forme di relazioni empatiche (Prolegomeno n. 4). Si evita lo scontro, il confronto tra classi sociali, utilizzando curiosità, ascolto attivo e rispetto per trasformare ogni incontro in una esperienza relazionale ricca e fruttuosa.
Ripensare i modelli organizzativi, anche per favorire un dialogo intergenerazionale se è vero, come osserva Alessandra Pilia nel Prolegomeno n. 53, che a breve la popolazione aziendale si comporrà più di Generazione Z che di Boomers. Serve allora creare spazi di dialogo e confronto, per evitare di disperdere il patrimonio di conoscenza costruito fino ad oggi e allo stesso tempo valorizzarlo ponendolo a base del successo futuro. Serve evitare lo scontro, usare curiosità e capacità di ascolto e rispetto, per trasformare ogni incontro in una esperienza relazionale ricca. Relazioni empatiche, come ben rappresentato nel Prolegomeno n. 13.
Un nuovo modello di leadership.
Pietro Picogna nel suo Opinion Piece, racconta che la Generazione Z non sopporta le gerarchie, per cui il sistema basato su un approccio piramidale alla leadership è semplicemente inconcepibile per un ragazzo di 20 anni.
Non c’è dubbio che vada rispolverato e rivisto anche il modello di leader. Quello che una volta si chiamava semplicemente capo, oggi deve avere doti umane molto più sviluppate, rispetto alle mere competenze tecniche. Serve un leader che sappia ispirare, piuttosto che imporre e comandare. Che sappia costruire e fare leva su logiche win-win, dove fare, contribuire al progetto aziendale, è interesse reciproco perché tutti diventiamo più bravi e più ricchi, non solo e non per forza economicamente.
Servono figure che sappiano comunicare un progetto basato su valori chiari, condivisi e coerenti nel tempo.
Che sappiano fare un passo indietro, per lasciare sbagliare. Certo, spesso (ma non sempre) far da sé è garanzia di risultati allineati alle proprie aspettative. Ma lasciare fare, consentendo ritmi più lenti e meno pressanti, favorisce la crescita delle persone e l’affiatamento della squadra.
Servono leaders che sappiano tacere e lasciar parlare, che siano in grado di ascoltare attivamente e di proporre soluzioni, solo se richieste. Servono capi nuovi, che siano in grado di indicare la strada, non tanto con i precetti, ma con l’esempio, con le maniche rimboccate e il sorriso aperto.
Servono capi che siano persone, prima di essere leader. Che sappiano dialogare anche al di fuori dei contesti lavorativi, che siano in grado di proporre opportunità fini a se stesse, senza per forza ricondurre tutto e sempre alla logica del do ut des.
Nuove forme di interazione e contaminazione.
Nuovi modi di comunicare, dentro nuovi contesti organizzativi, lungo nuove forme non gerarchiche.
Ma serve andare oltre.
Abbattere le barriere aziendali e creare un ecosistema che respira aria nuova e fresca. Perché ciò accada, bisogna valorizzare le reti relazionali, insegnare che il valore di un network sta proprio delle relazioni di secondo livello. Negli amici dei miei amici, nei contatti dei miei contatti. Una buona rete non deve solo essere ampia e basata su relazioni solide, non occasionali, deve anche essere variegata, disomogenea, non uniforme. Tenendo sempre ben presente la regola aurea della costruzione delle reti: bisogna dare prima di ricevere. Bisogna fornire un contributo genuino e disinteressato oggi, subito, se si vuole poter contare su un aiuto disinteressato domani.
Fare leva sul potere della contaminazione. Questa iniziativa ne è una prova tangibile: mettere insieme persone di ambiti ed esperienze diverse, crea di per sé valore intrinseco. Per il solo fatto di generare un dialogo, un’occasione di confronto, uno spazio comune dove mettere in piazza le proprie idee, si crea il presupposto per la generazione di valore.
Con un occhio sempre al passato ed uno al futuro, per quanto possa sembrare poetico e romantico, giova ricordare che la socialità prima di internet si costruiva nelle piazze. E le piazze avevano valore per il solo fatto di esistere, di esserci, piatte e silenziose nel centro del paese, come luoghi di incontro, scontro, confronto.
Ecco. E’ partito incerto, su gambe malferme, senza sapere veramente in che direzione orientare le vele, questo articolo, e arriva alla fine solido e logico. Segnando un percorso chiaro, una strada che pone alcuni, pochi, punti fermi da cui partire se si vuole ricominciare a pensare all’azienda come luogo di crescita, oltre che di produzione. Un posto in cui è bello arrivare e partire, non solo lavorare. In cui i colleghi sono fonte inestimabile di ispirazione, confronto e crescita.
Un luogo bello da vivere.
69 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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