Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 67 – Engagement Pop. Opinion Piece di Valerio Flavio Ghizzoni

L’Opinion Piece di oggi è firmato da Valerio Flavio Ghizzoni, che il Pop lo vive sul serio.

Valerio porta con sé un bagaglio di esperienze che va ben oltre il marketing e la strategia aziendale di cui si occupa dal 2017. Dal teatro alla radio, dalla musica al volontariato, ogni esperienza è un tassello che si riflette nel suo approccio professionale. In altre parole, è uno che sa cosa vuol dire “stare sul campo con spirito Pop”, che sia da docente in un’aula universitaria, davanti a un microfono, o in una boardroom aziendale.

In questo articolo, ci invita a riscoprire il senso del lavoro: non solo come un semplice scambio di tempo per denaro, ma come esperienza che può dare significato e identità, trasformando le organizzazioni in comunità dove ognuno trova il proprio spazio per crescere, esprimersi e fare la differenza.

Riscoprire il senso del lavoro

Valerio Flavio Ghizzoni

 Oltre il lavoro: creare una storia

Il lavoro non è solo una somma di ore in cambio di denaro. È il terreno dove scopriamo chi siamo, un’esperienza capace di trasformare la nostra identità, una dimensione che ci mette in contatto con le nostre aspirazioni più profonde. È un contesto in cui non solo guadagniamo da vivere, ma costruiamo anche il nostro senso di realizzazione, di appartenenza e di crescita personale. Eppure, molte aziende sembrano non averlo capito. Continuano a trattare il lavoro come processo meccanico: una serie di compiti da eseguire, un ingranaggio freddo e impersonale. Questa visione riduttiva e meccanicistica del lavoro non funziona più. Le persone non sono più quelle di un tempo: vogliono flessibilità, equità, uno scopo. Cercano un posto dove appartenere, una storia a cui contribuire, non solo una busta paga a fine mese. Vogliono sentirsi parte di qualcosa di più ampio, qualcosa che dia valore al loro impegno quotidiano e che li spinga a dare il meglio di sé. Chi non comprende questa trasformazione rischia di rimanere indietro, superato dai tempi e incapace di attrarre talenti.

Realizzare questa visione è possibile, anche per le piccole realtà e per chi opera in settori tradizionali. È un processo che inizia con piccoli gesti quotidiani: ascoltare i dipendenti, introdurre flessibilità, valorizzare ogni contributo. Non servono grandi investimenti, ma azioni sincere e la volontà di migliorare come “comunità”. Una cultura del lavoro si costruisce passo dopo passo, riconoscendo il valore di ogni gesto e creando uno spazio in cui le persone possano esprimersi pienamente. Il lavoro è, prima di tutto, una relazione umana.

Non è dunque più sufficiente scambiare ore per denaro: servono contesti che permettano alle persone di sentirsi parte di qualcosa di più grande, di sentirsi viste e valorizzate. E tutto comincia dalle piccole azioni, quelle che fanno la differenza: un grazie sincero, un ascolto attento, la disponibilità a cambiare per migliorare. Ogni azienda ha la possibilità di evolversi e di diventare più umana.

In Prolegomeni 44, Marianna Porcaro, rifacendosi a Hannah Arendt, ci ricorda che “raccontare è il modo in cui diamo senso alla nostra esistenza”. Questo vale anche per il lavoro: senza una storia più ampia, le nostre azioni perdono valore. Nessuno vuole essere solo una rotella anonima in una macchina senza volto. Ogni ruolo, anche il più semplice, deve avere uno spazio nella storia dell’azienda. Le imprese che riescono a valorizzare i tentativi, non solo i risultati, creano un senso autentico, anche dove non ci si aspetterebbe di trovarlo. Valorizzare il tentativo significa dare importanza alla crescita, al processo, e non solo al risultato finale. Quando si mette al centro la storia personale dei collaboratori, si genera un senso di appartenenza che motiva e ispira. Perché, alla fine, ogni azione contribuisce a una narrazione più ampia, collettiva, che unisce e che dà valore. Quando il lavoro diventa parte di un racconto condiviso, le persone si sentono protagoniste, e questo è un motore potentissimo per il cambiamento. Le persone hanno bisogno di sapere che il loro impegno ha un significato, che la loro fatica costruisce qualcosa di duraturo e di importante.

Ripensare il valore unico di ognuno

Parlare di “inclusività” è, di per sé, problematico. Il termine suggerisce un processo dall’alto verso il basso, un gesto di concessione: qualcuno che include qualcun altro, come se fosse un favore, come se spettasse al gruppo dominante decidere chi “merita” di essere accolto. Questo approccio rischia di ridurre il tutto ad una casella da spuntare per fare bella figura nelle brochure aziendali.

Quello che conta davvero non è l’inclusività, ma l’apertura alla diversità, un approccio in cui ogni persona è riconosciuta per la propria unicità, senza bisogno di essere “inclusa” in un sistema predefinito. Apertura significa creare uno spazio in cui le differenze possano esistere e contribuire liberamente, senza dover chiedere il permesso. Tante aziende si riempiono la bocca di “inclusività”, ma in realtà si limitano a un esercizio di immagine. Non bastano slogan e statistiche. Serve un cambiamento culturale che abbracci davvero la diversità come valore, senza scadere in un linguaggio che suona sempre più vuoto e retorico.

Ne “Il contributo della filosofia agli studi economico-aziendali: Prime riflessioni” (2020), Giuseppe Paolone ci ricorda che la filosofia può aiutare a vedere il sistema nella sua interezza, a cogliere gli aspetti umani dietro i numeri, a riconoscere la complessità e la bellezza delle diversità. La vera apertura alla diversità va oltre quella visibile, come disabilità, genere o etnia, e comprende anche la diversità “invisibile”: neurodivergenze, background socioeconomico, modi diversi di pensare e lavorare. È un impegno autentico, che non si può ridurre a uno slogan, ma che richiede un cambiamento profondo nella mentalità e nei comportamenti. È il riconoscimento che ogni persona porta con sé un valore unico e insostituibile, e che solo valorizzando questa unicità possiamo crescere come organizzazioni e come individui.

Le aziende più visionarie hanno capito il valore di un’onestà “radicale”. Airbnb parla apertamente di “Elephants, Dead Fish, and Vomit”: questioni scomode, affrontate senza filtri e senza paura, trasformando ogni problema latente in opportunità di crescita. Pixar incoraggia la condivisione del lavoro incompleto durante il “Braintrust”, una riunione in cui feedback diretto e collaborativo permette a ogni progetto di evolversi, favorendo l’apertura e l’innovazione. IKEA adotta il “We-Talk”, una pratica trimestrale in cui i team discutono apertamente successi e fallimenti, consolidando relazioni e costruendo una cultura di miglioramento continuo. L’apertura alla diversità diventa così la capacità di accogliere idee e prospettive differenti, trasformandole in valore tangibile. È creare uno spazio dove la voce di tutti conta, senza paura di esprimersi, di essere giudicati o di sbagliare. Le idee divergenti non sono una minaccia: sono una risorsa da cui partire per innovare, per creare soluzioni nuove e migliori. Solo così si costruisce un luogo di lavoro che va oltre il mero profitto, in cui il valore umano è al centro e la diversità si trasforma in forza collettiva. Un ambiente dove ogni singolo contributo si integra in una visione più ampia e dove la ricchezza nasce dalla differenza.

Identità e Appartenenza: costruire il collettivo

L’appartenenza è una necessità umana. Ogni individuo ha bisogno di sentirsi parte di qualcosa, di essere riconosciuto e apprezzato per il suo contributo unico. Sentirsi parte di una comunità lavorativa non è un lusso, è un diritto. Non è sufficiente organizzare un team-building se poi manca il riconoscimento quotidiano. Non basta creare eventi occasionali per illudersi di aver costruito una cultura aziendale positiva. Ogni gesto, ogni parola contribuisce a costruire o distruggere il senso di appartenenza. Ogni momento è un’opportunità per confermare o negare il valore di una persona all’interno del gruppo. Coinvolgere le persone nei processi decisionali è fondamentale per farle sentire parte del successo aziendale, ma attenzione: troppo coinvolgimento, senza controllo, porta al burnout. È necessario un equilibrio tra significato e rispetto dei limiti personali. Le aziende devono incentivare il distacco dal lavoro, garantendo il rispetto dei tempi privati e incoraggiando il benessere psico-fisico dei collaboratori. Essere parte di un’azienda significa anche sentirsi rispettati nei propri spazi personali, nei propri tempi di recupero. Zappos, ad esempio, offre un bonus a chi decide di lasciare l’azienda se non si sente in sintonia con essa: solo chi rimane è davvero motivato, e chi decide di restare lo fa con la convinzione di far parte di un progetto che ha senso.

Le aziende non possono aspettarsi fedeltà cieca quando il lavoro, alla fine, è uno scambio. Serve equilibrio tra il dare e l’avere, rispetto reciproco e onestà nelle relazioni. Solo così si può costruire una cultura sana, dove le persone scelgono di impegnarsi per convinzione, non per obbligo. Una cultura dove la fedeltà nasce dalla condivisione di valori e dalla trasparenza, non dalla coercizione o dalla paura di perdere il lavoro. Le persone vogliono sentirsi apprezzate e parte di un contesto che le rispetta e che valorizza i loro sforzi, e solo così si può creare un vero spirito collettivo. Il senso di appartenenza si costruisce giorno per giorno, con gesti concreti, con scelte che mettono al centro la dignità del lavoro e la persona. Un’azienda è una comunità, e come ogni comunità vive e cresce grazie alla partecipazione, alla condivisione e al rispetto reciproco.

Leadership che ispira

Una cultura autentica ha bisogno di leader che ispirino. Non è sufficiente distribuire compiti: bisogna ascoltare, celebrare, sostenere e motivare. Bisogna saper costruire relazioni autentiche, basate sulla fiducia e sul rispetto reciproco. I leader devono creare un ponte tra le iniziative dei dipendenti e la strategia aziendale, valorizzando gli sforzi senza dominarli, riconoscendo il contributo di ciascuno senza prendersi il merito. I leader devono incarnare diversi archetipi di comportamento per rispondere alle esigenze dei singoli e del gruppo, come descritto da Joseph Sassoon in Prolegomeni 8.

Il cambiamento autentico è condiviso, è un processo che si nutre della partecipazione di tutti, di una visione comune che parte dal basso e si estende verso l’alto, permeando tutta l’organizzazione. Un leader deve saper farsi da parte quando necessario, per lasciare spazio alla crescita e all’espressione degli altri.

Perché le idee possano fiorire, è necessario un ambiente in cui non si tema il fallimento. Un vero leader è un facilitatore, qualcuno che permette ai dipendenti di raggiungere il loro massimo potenziale, senza ingabbiarli, ma sostenendoli lungo il cammino. Un leader deve saper cogliere i momenti in cui una persona ha bisogno di sostegno, così come quelli in cui ha bisogno di sfide per crescere.

Nicholas Taleb in “Robustezza e fragilità” (2010), ci spiega come i sistemi capaci di adattarsi al cambiamento sono quelli che prosperano. Un ambiente di lavoro che sostiene i dipendenti durante le sfide e le incertezze crea una base solida per la crescita e il coinvolgimento.

D’altronde, l’innovazione nasce dal coraggio di provare, di sperimentare, di uscire dagli schemi. Il leader deve sostenere questa audacia, deve garantire le condizioni per un contesto in cui il fallimento non è un tabù, ma una tappa del processo di crescita e miglioramento. Solo così si può creare un ambiente di lavoro vivo, dinamico e capace di adattarsi alle sfide.  I leader che ispirano sono quelli che non temono di mostrarsi vulnerabili, che condividono le proprie difficoltà e che danno l’esempio nella ricerca di soluzioni, non nascondendosi dietro l’autorità del loro ruolo.

Il lavoro come esperienza di significato

Il lavoro può essere molto più di un mezzo di sostentamento: può diventare una delle esperienze più significative della nostra vita, una parte fondamentale della nostra identità. Può diventare un’opportunità per esprimere il nostro potenziale, per metterci alla prova, per imparare e crescere.

Sergio Caruso, nel suo saggio “Della felicità, tra filosofia e psicologia” (2015) riflette sul tema della felicità come fenomeno sempre più presente nel dibattito pubblico, ma spesso banalizzato. Egli critica l’uso di tecniche preconfezionate che riducono la felicità a una serie di azioni strumentali e sottolinea che una vera felicità deve essere legata a obiettivi profondi e a fini che diano significato alla vita stessa. Il significato vero nasce dall’equilibrio tra aspirazioni personali e necessità aziendali, tra contributo individuale e crescita collettiva

Ma anche il significato deve essere sostenibile. Corrado Poli con “Politica e natura. L’inganno della sostenibilità” (2017) ci ricorda che, pur cercando un “purpose”, dobbiamo bilanciarlo con la sostenibilità economica. Le iniziative che danno senso devono durare nel tempo, non essere meteore che brillano un attimo e poi si spengono. Viviamo in un mondo incerto, e abbiamo bisogno di ambienti di lavoro resilienti, capaci di adattarsi, di evolvere e di sostenere le persone nelle difficoltà e nelle sfide. Il senso deve essere costruito su basi solide, e deve essere in grado di affrontare le difficoltà e i cambiamenti che inevitabilmente si presentano.

Nei Prolegomeni 41, Marco Minghetti afferma che “grandi sogni comportano grandi responsabilità”, ed è proprio nella capacità di sognare e di immaginare un futuro diverso che risiede il segreto per costruire un ambiente di lavoro sostenibile e significativo. Un luogo in cui il lavoro è visto come un’opportunità di crescita personale, non solo come un dovere o una necessità

Le aziende che investono nelle persone non lo fanno considerandolo un costo, ma un investimento per il successo a lungo termine. Creare un contesto in cui le persone possono crescere, contribuire, mantenendo un equilibrio sano tra lavoro e vita privata, è la chiave per un futuro prospero.

Alessandro Donadio, nel suo “Eros e lavoro” (2023), ci invita a riflettere su come portare energia e motivazione nelle organizzazioni, affrontando la crisi dell’engagement e il bisogno di ripensare il patto tra individuo e azienda. Donadio utilizza la metafora dell’Eros e del desiderio per ispirare una nuova visione del lavoro, che vada oltre i programmi transazionali e si basi su una ricerca profonda di senso e connessione.

Conclusioni

Il lavoro…

Non dovrebbe essere solo il freddo ticchettio dell’orologio, né un conteggio asettico di ore e doveri. Dovrebbe essere un luogo dove riconosciamo il nostro riflesso, dove possiamo dirci, alla fine di ogni giornata, “Ho costruito qualcosa che vale”.

Il professor Keating ce l’ha insegnato:

“Cogliete l’attimo, ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita”. E questo vale anche qui, tra scrivanie, riunioni e tastiere. È nel grazie sincero, nell’ascolto attento, nel piccolo gesto che non passa inosservato. È lì che il lavoro smette di essere solo lavoro e diventa parte della nostra storia.

Il Chris Gardner di Will Smith, con il suo sguardo intenso e stanco, ci ricorda: “Non permettere mai a nessuno di dirti che non puoi fare qualcosa. Se hai un sogno, lo devi proteggere.” E quel sogno può vivere anche tra le mura di un’azienda, può trovare casa tra colleghi che non sono solo “risorse”, ma persone, con aspirazioni, passioni, e fragilità.

Le aziende che ascoltano, quelle che accolgono davvero le idee di ciascuno, che lasciano spazio ai fallimenti e celebrano i tentativi, sono quelle che costruiscono qualcosa di più grande, qualcosa che va oltre il profitto, qualcosa che lascia il segno.

È questo il futuro che ci chiama: un mondo in cui il lavoro non è nemico della vita, ma suo alleato, un luogo dove possiamo costruire, crescere, e, sì, anche sbagliare, senza paura.

E allora sì, cogliete l’attimo.

Rendete straordinaria la vostra vita – anche e soprattutto nel lavoro che scegliete di fare.

Bibliografia:

Caruso, Sergio. (2015). Della felicità, tra filosofia e psicologia. Firenze: Firenze University Press

Donadio, Alessandro. (2023). Eros e lavoro. Milano: FrancoAngeli.

Paolone, Giuseppe. (2020). Il contributo della filosofia agli studi economico-aziendali: Prime riflessioni. Milano: FrancoAngeli.

Poli, Corrado. (2017). Politica e natura. L’inganno della sostenibilità. Padova: Proget Edizioni.

Taleb, Nassim Nicholas. (2010). Robustezza e fragilità: Che fare? Il Cigno nero tre anni dopo. Milano: Il Saggiatore.

67 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO
62 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO LOTTO
63 – OPINION PIECE DI GIANLUCA BOTTINI
65– OPINION PIECE DI STEFANO FARINELLI
66– OPINION PIECE DI FRANCESCA ANNALISA PETRELLA