Francesca Annalisa Petrella è Communication e DE&I Manager in Ipsos.
E’ anche curatrice dell’Osservatorio Civic Brands, progetto che esplora l’impegno sociale delle marche in Italia.
Nel suo contributo racconta, attraverso dati e analisi, qual è la percezione del lavoro nell’Italia di oggi.
VIAGGIO ATTRAVERSO LA PERCEZIONE DEL LAVORO NELL’ITALIA DI OGGI
Francesca Annalisa Petrella
Nel contesto lavorativo odierno, caratterizzato da crescente complessità, rapido cambiamento e forte spinta all’innovazione, i modelli tradizionali di gestione e leadership aziendale mostrano sempre più i loro limiti.
Come suggerisce anche Marco Minghetti nelle sue brillanti riflessioni contenute nel Prolegomeno 1, emerge oggi la necessità di ripensare profondamente il modo in cui le organizzazioni sono guidate e strutturate, per dirigerle verso paradigmi più agili, flessibili e partecipativi.
Per contribuire alla riflessione, farei un passo indietro – o per meglio dire a lato – provando a descrivere attraverso dati e analisi qual è la percezione del lavoro nell’Italia di oggi.
Il mondo del lavoro in Italia sta vivendo una fase di profonda trasformazione, segnata da cambiamenti demografici, nuove aspettative delle persone e imperativi dettati dalle transizioni in atto. Come testimonia anche l’indagine Ipsos “Il futuro del lavoro: viaggio attraverso la percezione del lavoro nell’Italia di oggi”, ci troviamo di fronte a uno scenario complesso e sfidante, che impone un ripensamento radicale delle politiche e dei modelli di management.
L’Italia si trova oggi a fare i conti con diversi nodi critici sul piano occupazionale. In primis, l’invecchiamento della popolazione e la denatalità: le proiezioni al 2031 indicano una diminuzione di 250.000 persone l’anno, con un incremento marcato degli over 65, che raggiungeranno il 28% del totale. Un trend preoccupante, che rischia di mettere a dura prova la tenuta del nostro sistema previdenziale e assistenziale nei prossimi decenni. A questo si aggiunge la carenza di laureati rispetto al fabbisogno del mercato del lavoro, quantificata in circa 55.000 unità all’anno, in particolare in ambiti strategici come quello economico-statistico, ingegneristico e medico. Un gap formativo che indebolisce la competitività del Paese e la sua capacità di attrarre investimenti ad alto valore aggiunto. Criticità strutturali che si traducono in un tasso di disoccupazione giovanile ancora troppo elevato (20,5% nella fascia 25-34 anni), specie nelle regioni del Mezzogiorno, dove il fenomeno raggiunge picchi allarmanti.
Non sorprende dunque che i giovani sotto i 35 anni intravedono tra i principali problemi della società italiana proprio la mancanza di prospettive (32%), la scarsa stabilità lavorativa (32%), l’incertezza sul futuro per le piccole e medie imprese (26%), l’assenza di meritocrazia (26%).
Questioni cruciali queste, che incidono pesantemente sui progetti di vita delle nuove generazioni. Sebbene il 60% dei 25-34enni abbia oggi un contratto a tempo indeterminato, tale quota risulta in calo di ben 4 punti percentuali rispetto al 2004. Segno che la precarietà è diventata una condizione sempre più diffusa anche per quei giovani che sulla carta godono di maggiori tutele.
IL LAVORO NON HA PIÙ UN VALORE COSÌ CENTRALE E TOTALIZZANTE NELLA VITA DELLE PERSONE
Un contesto di grandi trasformazioni, crisi economiche, pandemia e conflitti bellici ha determinato una forte incertezza e condotto ad una nuova consapevolezza dell’esistenza e, quindi di conseguenza, anche del rapporto con il lavoro.
Oggigiorno, il lavoro assume una posizione meno centrale e totalizzante rispetto al passato, tanto che gli italiani lo mettono al quinto posto delle loro priorità, preceduto da famiglia, amore, cultura, istruzione e amicizia. Le persone danno maggiore valore al tempo che dedicano al lavoro; pertanto, non stupisce che il 62% dei lavoratori dichiara di voler mantenere un giusto equilibrio tra sfera professionale e vita privata.
Insomma, le persone non si limitano più a cercare “un lavoro qualsiasi”. Come visto anche in Prolegomeni 34, ora la tendenza è desiderare un’occupazione che offra gratificazione personale, che si allinei con le proprie ambizioni e che permetta di mantenere un equilibrio con la vita privata. In altre parole, si cerca un impiego che non solo paghi le bollette, ma che si adatti anche alle esigenze e aspirazioni individuali, come un abito su misura per la propria carriera.
Lasciando da parte per un momento le grandi riflessioni su valori e cambiamenti sociali, come valutano le persone nel concreto il proprio lavoro?
Sebbene tre occupati su quattro si dichiarino nel complesso soddisfatti del proprio lavoro, non mancano le note dolenti. I punti di maggiore attenzione riguardano soprattutto la formazione e le possibilità di crescita professionale, giudicate carenti o inadeguate dal 34% del campione. Una formazione su cui il 57% dei rispondenti ritiene che le imprese non vogliano investire a sufficienza, per non sostenerne i costi (secondo il 19%) o per mancanza di tempo e risorse da dedicare (altro 19%). Un atteggiamento miope, agli occhi delle persone intervistate, che rischia di frenare i processi di upskilling e di adattamento delle competenze.
IL MONDO DEL LAVORO VISTO DAI GIOVANI
Se adottiamo una prospettiva generazionale sul mercato del lavoro, emerge un quadro complesso e sfaccettato della visione dei giovani sul panorama professionale contemporaneo.
L’indagine condotta dall’Osservatorio Fragilitalia dell’Area Studi Legacoop e Ipsos getta luce su questo scenario, rivelando non solo le aspirazioni, ma anche le ansie e le percezioni dei giovani riguardo al lavoro e al suo ruolo nella vita.
Le principali preoccupazioni dei giovani della Generazione Z riguardo al lavoro sono lo sfruttamento (40%), la mancanza di tempo per sé stessi (28%) e di tutele (24%), la presenza di responsabili meno preparati di loro (23%), la percezione di essere poco apprezzati (23%), di rappresentare soltanto un numero (22%), di subire discriminazioni (16%) o di sentirsi l’ultima ruota del carro (15%).
Contrariamente alla vulgata comune, i giovani non rifiutano l’impegno, ma hanno un’idea chiara di ciò che dovrebbe essere il lavoro: stabilità (23%), trattamento economico adeguato (25%), autonomia e indipendenza (24%), orari flessibili (23%), coerenza con la formazione e gli interessi personali (18%), buoni rapporti con colleghi e superiori (20%), possibilità di carriera e crescita professionale (16%), possibilità di viaggiare e di usufruire dello smart working (entrambi al 15%).
Cercano un’occupazione su cui poter fondare un progetto di vita che garantisca sicurezza, uguaglianza, stabilità e serenità. Tuttavia, poche imprese sembrano aver compreso appieno queste esigenze e le hanno messe al centro della loro cultura aziendale e del loro modo di cercare personale.
Ma il futuro del lavoro parla anche la lingua della sostenibilità ambientale e della rivoluzione digitale. Due macro-trend destinati a cambiare radicalmente il volto delle professioni, ridefinendo competenze e modelli organizzativi. Lo dimostra il fatto che ben il 60% degli italiani prevede un aumento dei cosiddetti green jobs nei prossimi anni. Come racconta anche Francesco Gori (Prolegomeni 23), altrettanto dirompente sarà l’impatto dell’Intelligenza Artificiale, che promette di automatizzare gran parte delle mansioni routinarie, se non di sostituirsi all’uomo anche in attività a maggiore valore aggiunto. Una prospettiva che vede il 63% dei lavoratori convinto che l’IA cambierà il proprio modo di lavorare già entro 5 anni.
In definitiva, è evidente come i driver che stanno ridisegnando il mondo del lavoro siano molteplici, pervasivi e strettamente interconnessi tra loro.
Analizzarli, comprenderli e governarli richiederà uno sforzo corale e di sistema, come d’altronde si prefigge anche questa riflessione collaborativa. Mettendo a fattor comune le migliori esperienze e prassi, in una logica di contaminazione virtuosa tra settori e ambiti disciplinari. E soprattutto mettendo al centro le persone, i loro talenti e aspirazioni.
Perché è dal capitale umano, più che da quello finanziario o tecnologico, che dipenderà il successo delle imprese e dell’intero Paese nel prossimo futuro. Un futuro in cui il lavoro non sarà più un semplice mezzo di sostentamento, ma un’esperienza generativa di senso e di realizzazione personale. In cui le organizzazioni sapranno essere non solo efficienti e innovative, ma anche inclusive e “umane”.
In cui, come raccontato anche in Prolegomeni 12, la collaborazione prevarrà sulla competizione, la sostenibilità sul profitto, il benessere sul malessere. Un futuro ancora tutto da scrivere, ma a cui guardare con fiducia e determinazione. Perché il lavoro, per definizione, è progetto, è edificazione del domani.
…e dunque, che cosa fare?
Per invertire la rotta, sarà fondamentale accelerare sulla costruzione di ambienti di lavoro collaborativi, valorizzando le diversità e promuovendo una leadership diffusa. Ma anche potenziare le azioni di caring e di supporto al benessere dei dipendenti, con particolare attenzione alla genitorialità e ai caregiver. Così come rivedere i sistemi di valutazione e valorizzazione delle performance in un’ottica di equità e meritocrazia. Senza dimenticare la necessità di creare percorsi di formazione e sviluppo professionale personalizzati, che consentano a ciascuno di esprimere appieno il proprio talento e potenziale.
L’auspicio è quello di una svolta culturale che sappia rimettere al centro la persona, i suoi bisogni e aspettative, dentro e fuori i confini dell’impresa.
Un new deal che sappia coniugare produttività, innovazione e sostenibilità, ridisegnando il lavoro e i suoi paradigmi, come suggerisce anche Joseph Sassoon nel suo Opinion Piece . Consapevoli che la vera sfida è costruire una “nuova normalità” capace di generare opportunità e benessere diffuso. Una sfida di sistema, che chiama all’appello tutti gli attori economici e sociali, nessuno escluso.
66 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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