Alessandro Lotto è un Temporary Manager con +10 Direzioni Generali temporary in aziende sia industriali che di servizi.
Esperto di Change Management con la Gamification il cui format – YourChange ®_in1day – è utilizzato da più di 50 facilitatori che lo adoperano per attivare il cambiamento, in 1 giorno, in multinazionali e PMI.
Insegna Change Management per vari enti formativi tra cui l’executive MBA della MIB Business School di Trieste
È fondatore di startup tra cui Commusications Rain Ltd a Londra e Tailor Music, entrambe nell’ambito della Musica per ambienti di lusso.
IL CAMBIAMENTO DEVE DIVENTARE UN GIOCO POP
Alessandro Lotto
Chi vuole cambiare? Tutti, se li coinvolgi nel gioco
C’è un’immagine, costituita da due vignette, che gira da molti anni nel web. Si potrebbe dire che si tratta di una specie di “meme ante-litteram”. Nella prima vignetta c’è una persona su un podio che chiede: “Chi vuole un cambiamento?”. Un gruppo di persone che lo ascolta davanti a lui alza la mano sorridendo. Nella seconda vignetta, invece, la persona in questione fa una seconda domanda: “Chi vuole cambiare?”. Al che le persone del pubblico guardano in basso con fare evasivo e rassegnato.
Di cambiamento si parla continuamente. Scherzandoci un po’ su, si potrebbe dire che è una delle poche parole che non cambia nel dibattito pubblico e manageriale. D’altronde, è un fatto che il mondo attorno a noi muti a una velocità vorticosa, e questo spinge gli individui e ancora di più le organizzazioni ad adattarsi e ad evolvere continuamente. Per questo nelle imprese da oramai diversi anni va per la maggiore il change management: un approccio per gestire al meglio il cambiamento nelle organizzazioni.
Tuttavia, come abbiamo più o meno tutti esperienza, alle parole e ai desideri spesso non seguono fatti e azioni. Secondo uno studio dell’Harvard Business School, in due casi su tre le strategie di change management non vengono mai messe in atto, e il 90% fallisce per via di una esecuzione carente. Il risultato, quindi, sono spesso solo mutamenti di facciata, oppure iniziative che si esauriscono presto. Nel primo caso si finisce per deludere chi è fuori dall’organizzazione, nel secondo per infastidire chi ne è all’interno.
Perché questo accade? Certo, c’è la forza dell’abitudine e la paura di ciò che è nuovo che si mettono di mezzo: ma basta questo per spiegare la difficoltà che hanno le organizzazioni a modificarsi e ad evolvere? Forse c’è qualcosa di più, e a mio modo di vedere ha a che fare con due fattori, intimamente collegati: la generale avversione al cambiamento e lo scarso o nullo coinvolgimento di tutti i membri dell’organizzazione nella sua progettazione e nella sua esecuzione.
Cambiare, si sa, è faticoso. Ma questo non vuol dire che non possa essere anche divertente. Prendiamo lo sport, che con il cambiamento condivide la necessità di obiettivi, costanza e resilienza. Decidere di affrontare una disciplina nuova è fonte sicura di frustrazioni e di dolorosi sforzi. Eppure, può essere anche eccitante e coinvolgente. A fare la differenza è la modalità con cui affrontiamo il processo di adattamento e apprendimento.
Se, per esempio, si tratterà solo di fare flessioni o ripetute di corsa, la motivazione e il coinvolgimento presto verranno meno. Fuori da un certo tipo di narrazione che definirei “da social media”, infatti, quasi nessuno ha una determinazione così forte da fare una cosa non solo dolorosa ma anche noiosa e frustrante a lungo. Se non altro perché dopo poco ci si comincia a domandare se non c’è un altro modo, quanto meno più interessante, di arrivare allo stesso obiettivo.
A fare davvero la differenza è il gioco: progettare un percorso che richieda creatività e stimoli la curiosità; che faccia leva su piccole ricompense di percorso e magari su strumenti ingaggianti; che sappia davvero coinvolgere i partecipanti in una competizione sana. Tramite il gioco, infatti, spesso si riesce a convincere le persone a misurarsi con compiti e situazioni che normalmente eviterebbero, nonché di farli cooperare con grande soddisfazione.
Giocare è una cosa molto seria. Si tratta infatti di una pratica essenziale di apprendimento e di sviluppo della socialità non solo per gli esseri umani, ma anche per molti animali. C’è un prerequisito, però: creare un contesto in cui i tradizionali ruoli di potere sono modificati o persino sovvertiti. È infatti proprio quando i soggetti possono vestire dei nuovi panni sentendosi sicuri di non essere per questo giudicati malamente o puniti che scatta quella curiosità e quell’audacia tipiche del gioco.
Il gioco, o meglio potremmo dire un approccio che si basa sulla gamification, è quindi particolarmente adatto per affrontare processi di cambiamento. Questo perché è in grado di far sentire tutti i partecipanti coinvolti nel processo; attori e non spettatori del cambiamento. Per innescare questa dinamica generativa, però, è necessario seguire tre fasi.
Fase n°1: Sospendere (temporaneamente) l’autorità
Ciò di cui abbiamo più spesso esperienza è che il cambiamento è imposto dall’alto: qualcuno che esercita una forma di autorità dice ad altri di fare qualcosa di nuovo, magari con la promessa che ciò porterà loro un vantaggio. Spesso però, come già visto, i risultati sono scarsi. Questo perché non basta che l’obiettivo del cambiamento sia desiderabile per innescare una vera attivazione, e quindi a fare in modo che le cose cambino davvero.
A favorire questo approccio “classico” non c’è solo la pigrizia o la ritrosia di chi è ai vertici nel rinunciare almeno in parte al proprio potere. Spesso si tratta anche e soprattutto di un problema di asimmetria informativa: i leader conservano per sé le informazioni chiave per fare una buona scelta, in quanto sentono di essere i più titolati o persino gli unici a poterle interpretare correttamente.
Questa dinamica può essere funzionale quando si tratta di mettere in atto processi semplici, non troppo lontani dalla routine, e quando la presa di responsabilità della leadership è chiara e prevedibile. Tuttavia, si rivela inadeguata e persino pericolosa quando c’è da mettere in atto cambiamenti profondi, che coinvolgono tutta una organizzazione o comunità, e i cui esiti non sono né chiari né scontati.
In questi casi aprire la porta della “sala dei bottoni”, esercitando quello che Marco Minghetti, nel Prolegomeno n°5, definisce “potere di convocazione” ovvero “invito attivo; suscitamento dell’iniziativa discorsiva dell’altro, a partire dal riconoscimento di principio della sua autorevolezza in quanto altro”, non vuol necessariamente dire perdere la propria autorità o autorevolezza. Quella “sala” è comunque parte di un “edificio”, e quindi le regole e i rapporti che la caratterizzano sottendono comunque alle leggi di un ambiente più grande. Coinvolgere nelle decisioni strategiche i membri dell’organizzazione è un chiaro segnale che esistono dei momenti e delle condizioni in cui la voce di tutti deve essere ascoltata. Ciò non solo migliora i rapporti tra i membri, ma rafforza anche la credibilità e l’autorevolezza della leadership.
Fase n°2: Attivare l’intelligenza collettiva
Una volta sospesa la tradizionale configurazione di autorità e diminuita l’asimmetria informativa è possibile accendere l’intelligenza collettiva di un’organizzazione. Per farlo però è necessario creare uno o più gruppi di lavoro in due sotto-fasi.
Il primo passo è quello della profilazione: tutti i membri dovrebbero avere chiaro qual è il loro ruolo nel processo, e questo ruolo dovrebbe essere il più vicino possibile alle loro inclinazioni personali e alle loro competenze. Anche in questo caso l’approccio della gamification può rivelarsi un grande valore aggiunto, in quanto in grado di impostare subito le dinamiche di interazione e di diminuire le resistenze che potrebbero avere alcuni membri a – letteralmente – “mettersi in gioco”.
Il secondo passo è il vero e proprio team building, inteso come la costruzione di un collettivo la cui intelligenza condivisa è essenziale per la costruzione di un piano d’azione davvero partecipato. La profilazione è funzionale sia alla composizione del team, sia a trovare le chiavi giuste per sviluppare il giusto affiatamento al suo interno, eliminando vincoli gerarchici o politici creando quello che nel Prolegomeno n° 13 viene definita “empatia sistemica”, una “impresa conviviale” il cui senso va ben al di là “dell’organigramma, degli ordini di servizio, della programmazione e sviluppo delle potenzialità e delle note caratteristiche”. Nel caso di team multipli, poi, si potrà dare voci anche a quelle community interne (vedi Prolegomeno n° 15) che sono sempre più essenziali per ogni organizzazione complessa.
Fase n° 3: Utilizzare la narrazione per generare azione
I team così costituiti possono portare un valore enorme: condurre un assessment dell’organizzazione davvero onesto e approfondito, perché basato sul giudizio e sull’esperienza di chi la vive dall’interno ogni giorno. Poiché però si tratta spesso di persone non avvezze a esercizi di analisi organizzativa, di nuovo la dinamica ludica può risultare decisiva. Essa consente di sviluppare un linguaggio comune tramite regole d’interazione condivise, così da individuare in maniera più precisa i punti di forza e di debolezza dell’organizzazione.
Svolto l’assessment, è infine possibile elaborare il piano d’azione. Anche in questo caso ci sono varie tecniche per produrlo, ma personalmente credo che quelle basate sullo storytelling siano di gran lunga le più efficaci. Da sempre, infatti, la curva della narrazione permette agli esseri umani di coordinarsi attorno a un’immagine di futuro persuasiva e attraente, trovando unità di intenti e forte motivazione nella costruzione di un percorso credibile per arrivare al risultato desiderato.
Il piano d’azione così prodotto sarà non solo il frutto dell’intelligenza collettiva dell’organizzazione (anzi dell’Intelligenza Collaborativa, nel linguaggio del Pop Management), ma sarà anche con ogni probabilità implementato con successo. Questo perché tutti i membri sono già stati coinvolti, e sentono che il cambiamento è in un certo senso anche loro. Seguendo questo processo è quindi possibile per le organizzazioni non solo rendere il cambiamento una pratica efficace ma, in un certo senso e paradossalmente, un’abitudine. Una cosa di cui abbiamo sempre più bisogno.
62 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
Puntate precedenti
1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI
52 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO ANTONINI
53 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA PILIA
54 – OPINION PIECE DI CLEMENTE PERRONE
55 – OPINION PIECE DI FABRIZIO RAUSO
56 – OPINION PIECE DI LORENZO TEDESCHI
57 – OPINION PIECE DI EUGENIO LANZETTA
58 – OPINION PIECE DI GIOLE GAMBARO
59 – OPINION PIECE DI DANTE LAUDISA
60 – OPINION PIECE DI GIAMPIERO MOIOLI
61 – OPINION PIECE DI GIOVANNI AMODEO