Il Pop Opinionist di turno è Fabrizio Rauso: appassionato di digitale e manager di lungo corso nel settore dell’ICT.
Giocatore di bridge e golf, appassionato di arte, propone una riflessione che incrocia Pop Art e Intelligenza artificiale.
POP Innovation: da Andy Wahrol all’AI
Fabrizio Rauso
Pop Art e AI
Sono un appassionato di Pop Art: ha rappresentato un punto di discontinuità importante.
Andy Warhol ha rivoluzionato l’arte utilizzando immagini ripetitive e tecniche meccaniche come la serigrafia, cercando di abbattere il confine tra l’arte alta e la cultura popolare.
Le sue opere su Campbell’s Soup e Marilyn Monroe sono esempi di come abbia elevato oggetti di consumo quotidiano e icone di massa al livello di arte.
Ha reso l’arte più “popolare” attraverso elementi in uso di tutti giorni, abbassando il livello così da renderla più comprensibile a tutti.
Il primo esempio di CX nel mondo dell’arte!
Infatti la ha messo in discussione la distinzione tra “creazione” artistica e “produzione”, anticipando così il futuro digitale dove la riproducibilità e l’interazione tra uomo e macchina diventano centrali.
Seguendo questo filo logico, l’AI rappresenta un nuovo capitolo nella storia dell’arte e della cultura pop.
Gli algoritmi sono in grado di generare opere d’arte, musica, testi e persino imitare lo stile di artisti celebri, creando così nuove forme di creatività “pop” (vedi su questo punto anche gli Opinion Piece di Alessio Mazzucco, Marco Milone e Riccardo Milanesi)
Creare immagini, scrivere sceneggiature o generare musica, spingendo avanti l’idea di una produzione artistica meccanizzata che era alla base delle creazioni di Warhol è diventato accessibile a tutti, quasi banale.
Questa fusione di AI e arte sta suscitando dibattiti su cosa significhi essere creativi, un tema che Warhol aveva già toccato con la sua pratica di delegare la creazione artistica ai suoi assistenti nella “Factory”.
L’innovazione è quindi POP per sua natura: fuori dagli schemi, coraggiosa, olistica.
Dal determinismo all’olismo
Mi voglio soffermare sull’ultimo punto, olistica: fino a poco tempo fa, da ingegnere quale sono, mal digerivo questo concetto.
L’avvento del quantum computing ha stravolto il concetto deterministico: non è mia intenzione qui fare il punto spiegando attraverso le leggi della fisica quello che sta succedendo; solo dire che per me è stato da una parte scioccante, dall’altra stimolante, per rimettere completamente in discussione dei miei punti fermi e passare quindi dai modelli deterministici a quelli olistici.
La fisica quantistica sfida le nozioni tradizionali di separazione e determinismo, l’olismo offre una visione del mondo in cui l’interdipendenza tra le parti e il tutto è fondamentale per comprendere i sistemi complessi.
Combinando questo con l’intelligenza artificiale abbiamo un mix esplosivo di possibilità e di nuovi modelli di funzionamento e di organizzazione da studiare.
Modelli che a differenza dei precedenti, non sono standardizzabili, ma ognuno avrà il suo secondo la propria cultura, scopo e conoscenza.
Prendendo come riferimento l’entaglement quantistico, l’interconnessione tra le particelle (per esempio le relazioni nel caso di una azienda) possono essere collegate in modo che il loro comportamento non possa essere spiegato guardandole separatamente, ma solo come un sistema interconnesso.
L’idea olistica che il tutto deve essere considerato per capire le relazioni tra le parti: per esempio la cultura di una azienda.
Cambiare si può
Come si può pensare di fare cambiamenti culturali se non si affronta tutto, a partire dal top, molto restio a farlo?
Un progetto di natura deterministica fallirebbe in partenza perché basato su obiettivi generalmente a medio/lungo termine, costretti a cambiare per la natura delle tecnologie in gioco oggi.
Come possiamo quindi aiutarci a trovare soluzioni in un modo complesso?
Innovando costantemente e lasciando a tutti lo spazio di farlo: come quando facciamo i Pop Corn, che esplodono in maniera sequenziale e poi tutti insieme.
Immagino quindi un’azienda fuori dagli schemi tradizionali dove tutte le persone sono in grado di portare un contributo, prima singolo, e poi collettivo migliorando ogni idea fino a portarla alla sua esecuzione.
Una leadership che metta al centro la collaborazione delle persone, agevolando attraverso una flessibilità totale, la possibilità di sfruttare tutte le unicità delle sue conoscenze mettendole a fattor comune, per esempio come descritto da Davide Genta nel suo Opinion Piece sulla leadership che sottolinea la sindrome del follower. Oggi l’innovazione nelle aziende è affidata ad un gruppo di innovatori, magari con un capo, magari con un po’ di budget a cui viene affidato l’onere (si avete letto bene) di sfidare lo status quo!
Una sfida persa in partenza: o ci si muove tutti insieme o nessuno si muoverà.
Nei sistemi complessi delle aziende il nodo centrale per me sono le persone: solo attivandole tutte insieme attraverso uno scopo comune e dando la possibilità di potersi esprimere, si possono ottenere risultati.
Si risultati, non obiettivi: gli obiettivi sono in-out, i risultati out-in e consentono tempi più brevi e modifiche in corso molto più comprensibili e rapide.
Gli adulti
Le aziende sono fatte di persone: una frase semplice che ne racchiude tutta la complessità; d’altronde se Netflix è diventata quello che è, lo deve principalmente alla sua attenzione principale alle persone, essere adulti è il loro mantra.
Questo è l’assioma principale: considerare le proprie persone adulte, soggetti, non risorse umane, oggetti.
Le parole contano e modificano quello che è l’atteggiamento rispetto al contesto. Come ha affermato Annamaria Gallo parlando di linguaggio: farsi capire e comunicare in maniera efficace non è più un’opzione.
Parto con un esempio: in passato ci dicevamo di non portare il lavoro a casa. Oggi nell’era del digitale e dell’AI direi portiamo la casa al lavoro, con questo stacco incredibile tra come noi lavoriamo a casa e in ufficio: una differenza dovuta essenzialmente alla flessibilità e alla consapevolezza di lavorare in smart.
Infatti a casa sembriamo dei talenti digitali tra device di ogni tipo; poi entriamo in ufficio e assumiamo una posizione davanti al computer… abbastanza statica.
Questo perché immediatamente in ufficio siamo inseriti in un sistema, un meccanismo rigido di procedure e controllo.
È necessario un ribaltamento delle condizioni fondamentali che abbiamo vissuto fino ad oggi: dobbiamo riappropriarci della condizione umana che è alla base della crescita del digitale.
Le aziende molte volte sono luoghi impersonali, autoreferenziali, sconnesse dal resto del mondo: autoreferenziali.
Dobbiamo invece immaginare di creare dei luoghi permeabili, di scambio e crescita reciproca, luoghi di conoscenza non di sofferenza.
Le aziende vivono perché sono fatte di persone. Le persone adottano le tecnologie, non il contrario.
Per l’innovazione POP non abbiamo bisogno di super eroi: ma di interconnessione e contaminazione reciproca: i social ne sono un esempio (purtroppo molte volte negativo) di successo.
L’innovazione è il cuore del cambiamento: occorre sperimentare, fare ricerca, commettere errori che sono la vera linfa dell’innovazione stessa.
Per avere successo, tutta l’azienda deve essere supportata da un processo di innovazione che passa attraverso l’insieme, garantendo quella “liquidità” necessaria a generare consenso e motivazione in tutte le persone.
Il risultato: è necessario trovare una formula che traduca gli sforzi in risultati: il valore è la leva del cambiamento personale, è quello che dal momento che fa muovere a seguire un esempio lo fa adottare.
La paura è l’ostacolo principale, passare da una situazione di controllo (ipotetica in molti casi) a un futuro “fuori controllo”, rende impossibile il cambiamento.
Per me questo è il punto centrale che trasforma la cultura delle persone, agire.
Magari divertendosi, come sottolinea Francesco Toniolo nel suo Opinion Piece sulla gamification e sull’apprendimento. Servono nuove modalità di collaborazione e di fruizione dei contenuti per motivare e coinvolgere le persone.
In conclusione, l’innovazione POP è forma e sostanza, non apparenza come qualcuno potrebbe obiettare pensando all’arte.
È profondamente interconnessa con tutti gli elementi di collaborazione e leadership POP, che diventano fattori abilitanti imprescindibili.
Ed infine: il POP è generato da persone adulte che sono motivate a formarsi e mettere a disposizione la loro conoscenza e collaborazione, per cambiare e innovare continuamente le aziende, anche quelle invisibili. Persone dotate di quella che Minghetti chiama Intelligenza Collaborativa.
55 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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