Multimedialità, crossmedialità, transmedialità – Alice annotata 30

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It’s my own invention…  Anche se il limerick è un’invenzione non originalmente carrolliana, facciamo ancora qualche considerazione su questo punto. E’ importante  notare  che gli strumenti di cui Lear si serve per creare il suo mondo poetico sono sia il testo scritto sia il disegno (cfr. il post I limerick di Twitter – Alice annotata 29), proprio come in Carroll (che gestiva con meticolosa attenzione il processo di illustrazione dei suoi libri, sia quando provvedeva in prima persona, sia quando si affidava a professionisti quali Tenniel) e come desidera Alice (“A che serve un libro senza immagini e conversazioni?”, cfr. la serie delle dodici Note dedicate al primo capitolo di Alice nel Paese delle Meraviglie: da Immagini e Conversazioni – Alice annotata 1 a La quintessenza dello humanistic management – Alice annotata 12).

Se il testo é fondamentale poiché guida e chiarisce i rapporti fra i personaggi e gli oggetti nell’ambiente narrativo, il disegno assume un ruolo di sicuro rilevante perché, senza di esso, i limerick di Lear sarebbero molto meno divertenti e perderebbero gran parte della loro carica nonsensica. Un mix di immagini e parole che ritroviamo  nelle vicende 2.0 relative allo scontro Moratti-Pisapia su cui siamo tornati la volta scorsa. L’esercizio stilistico di #morattiquotes  non solo è continuato anche su Facebook – una pagina come E’ tutta colpa di Pisapia  conta ancora oggi decine di migliaia di iscritti e vede riempire la bacheca generale di post altrettanto pungenti: c’è  chi è andato oltre usando Youtube. Un gruppo di giovani video maker ha deciso di scherzare sulle accuse mosse al candidato di centrosinistra raccogliendole in un corto dal titolo Il favoloso mondo di Pisapie, parafrando il titolo del noto film   di   Jean-Pierre Jeunet Il favoloso mondo di Ameliè.

Ma la fusione di “immagini e conversazioni” profetizzata da Alice ha raggiunto forse il suo acme con la creazione degli emoticon, che da trent’anni godono di grandissima popolarità (cfr. anche Alice annotata 19a). I detrattori dell’eccesso d’uso delle «faccine» sostengono che l’inserimento ripetuto in email ed sms non dipende solo dalla crescente velocità nella comunicazione, ma nasconde anche una crescente incapacità di usare il ricco vocabolario che ci fornisce la lingua italiana. Forse c’è anche questo, ma non è una mera “ironia della sorte”, che lo «smile» orizzontale nasca in un ambiente che illetterato proprio non dovrebbe esserlo, essendo quello universitario.  Coincidenza veramente straordinaria, fra l’altro, perché non solo si tratta di un ambiente simile a quello che frequentava Carroll, ma persino la discussione dell’esperimento scientifico che portò alla nascita degli emoticon sembra ripercorrere le prime pagine del Wonderland, dalla caduta nella tana del Bianconiglio fino all’approdo nella pozza di lacrime (e non manca persino l’accento alla metafora della fiamma della candela: “`in my going out altogether, like a candle. I wonder what I should be like then?’ And she tried to fancy what the flame of a candle is like after the candle is blown out, for she could not remember ever having seen such a thing”). 

La storia della faccina sorridente, infatti, inizia alle 11.44 del 19 settembre 1982 quando Scott E. Fahlman, ricercatore e professore d’informatica alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh (negli Stati Uniti), inventa l’emoticon per eccellenza. In un messaggio rivolto ai colleghi del Computer Science Department il professore usa i segni grafici 🙂 e :-(. «Alla Carnegie Mellon — racconta Fahlman al Corriere — avevamo una bacheca digitale in cui si discuteva di ogni sorta di argomento, con il tipico umorismo nerd. In una di queste discussioni ci chiedevamo cosa sarebbe successo, da un punto di vista scientifico, a una candela accesa, a un canarino e a una pozza di mercurio dentro un ascensore in caduta libera». Alle molte risposte serie, si aggiunse un commento umoristico che invitava a non usare uno degli ascensori dell’edificio «perché contaminato dal mercurio, danneggiato da piccoli incendi e pieno di uccelli morti». Non tutti capirono che si trattava di una battuta, continua Fahlman: «Uno dei tecnici, che non aveva seguito tutta la discussione pensò che fosse un vero allarme. A quel punto decidemmo di trovare un simbolo per gli scherzi e uno per i commenti seri e la mia proposta, quella delle faccine, venne accolta da tutti». Lo smile (il “sorriso”) è divenuto così un “successo all’interno del gruppo accademico che è poi diventato planetario”.[i] Già, proprio come il ghigno dello Stregatto è divenuto subito popolare nella community carrolliana e poi in tutto il mondo…

Tutto ciò ci porta ad un altro tema interessante e di questi tempi molto dibattuto: lo sviluppo della Multimedialità in Crossmedialità prima e Transmedialità poi. Un processo che connota fortemente l’esperienza dello Humanistic Management così come la fortuna di Alice, che dal primo manoscritto di Carroll è passata attraverso le più diverse forme di comunicazione: film, serie televisive, letture radiofoniche, musical, rappresentazioni teatrali,  cartoni animati,  videogiochi, solo per citarne alcune.

Il concetto di Multimedialità in senso stretto è antichissimo: pensiamo ad esempio ai codici miniati medioevali, dove le illustrazioni accompagnano e arricchiscono il testo originale. Una tradizione che arriva fino ai giorni nostri, passando attraverso la grande tradizione  dei libri illustrati e fotografici di cui i due libri di Alice sono esempi illustrissimi e in cui rientrano testi come L’Impresa shakesperiana e Nulla due volte.

Questo genere di opere tuttavia si caratterizzano per essere mono-canale (i diversi media cioè convivono sullo stesso canale, il libro stampato). Questa situazione non cambia in maniera sostanziale neppure con la nascita di Internet, anche se naturalmente le potenzialità del media-mix aumentano enormemente. Alla voce Multimedialità di Wikipedia leggiamo: “Si parla di “contenuti multimediali”, in ambito informatico, quando per comunicare un’informazione riguardo a qualcosa ci si avvale di molti media, cioè mezzi di comunicazione di massa, diversi: immagini in movimento (video), immagini statiche (fotografie), musica e testo. Ad esempio, un’enciclopedia multimediale (come la stessa Wikipedia), a differenza di una normale enciclopedia cartacea, permette di associare ad ogni voce non solo la sua spiegazione testuale, ma anche fotografie, disegni esplicativi, filmati, suoni, commenti audio ecc”.

La vera svolta si ha con la diffusione del concetto di Multicanalità (“La Multicanalità può esser definita come l’uso combinato di molteplici canali per creare relazioni, dialogare con il cittadino/utente e offrire servizi”, leggiamo sul sito UrpdegliUrp) oggi ormai affermatosi in Rete, come un recente Report di Global WebIndex ha certificato: “The internet now supports all content across multiple platforms. The view of the internet as a website sitting in a browser is now dead”.

Attraverso il concetto di Multicanalità si approda alla Crossmedialità (che, secondo Wikipedia, “si riferisce alla possibilità di mettere in connessione l’uno con l’altro i mezzi di comunicazione, grazie allo sviluppo e alla diffusione di piattaforme digitali,  dispiegando l’informazione nei suoi diversi formati e canali”) e alla Transmedialità (grazie alla quale, sempre secondo Wikipedia,  “la comunicazione, muovendosi attraverso diversi tipi di media, contribuisce ad ogni passaggio con nuove e distinte informazioni all’esperienza dell’utente. Usando diversi formati di media, si contribuisce a creare dei “punti di entrata” attraverso i quali l’utente può immergersi completamente nella narrazione. Vi sono due fattori prominenti che guidano la crescita della comunicazione transmediale. Il primo è la proliferazione dei nuovi media come i video games, internet e le piattaforme mobili con le loro applicazioni. Il secondo è l’incentivo economico per i creatori di media che abbassano i costi di produzione condividendo gli assets. La comunicazione transmediale spesso usa pratiche di creazione delle storie anche da parte di persone (co-creazione) che non hanno direttamente a che fare con la produzione principale”).

Una buona analisi  di quest’ultimo approdo della Multimedialità è offerta da Francesca De Rosa: “Il termine Transmedia nasce in ambito accademico. A usarlo per la prima volta è Henry Jenkins nel suo Cultura Convergente (cfrL’IMPRESA NELL’ERA DELLA CONVERGENZA).

Jenkins lo conia per descrivere le nuove possibilità di integrazione delle esperienze di intrattenimento che si generano grazie al ricorso a molteplici media. Questa narrazione pervasiva consente allo spettatore di sganciarsi definitivamente dal modello passivo che lo ha visto storicamente subire l’offerta dei broadcaster, trasformandolo in un soggetto attivo, che partecipa allo sviluppo della narrazione (il che constituisce l’essenza del web 2.0, come dicevamo nel post Verso la Corporate Social Identity,ndr.).

Il superamento della sovranità dell’offerta televisiva lineare (la TV di flusso, quella governata dalla logica del palinsesto) ha garantito agli individui un potenziamento delle occasioni di intrattenimento grazie al definitivo abbandono dell’ancoraggio all’hic et nunc: ora o mai più – la logica dell’evento – viene soppiantata dalla libertà a tutto tondo. Libertà di scelta del contenuto, della sua declinazione nella versione più affine alle esigenze del singolo, del momento che meglio s’incastra con il time budget di ognuno.

Ma se dal punto di vista dell’utenza l’esperienza transmediale è quanto di più duttile e “naturale”, dal punto di vista del produttore di contenuti appare invece quanto di più difficile si possa immaginare. Se ad oggi molti hanno frainteso, limitandosi a riproporre medesimi contenuti su piattaforme diverse (questa è semplice crossmedialità, nel senso sopra specificato, ndr.), è bene sottolineare che la strada non è così semplice. Come ama ribadire il guru del transmedia storytelling, Jeff Gomez, per la generazione di mondi “altri” su più piattaforme occorre garantire all’utente la sperimentazione di linee di narrazione aggiuntive, la fruizione di esperienze nuove, la possibilità di arricchire le informazioni a disposizione. Solo facendo gemmare la linea temporale narrativa grazie al ricorso a flashback e flashforward, sviluppando personaggi sino a quel momento marginali, creando storie parallele ma saldamente correlate al plot principale, sarà possibile garantire allo spettatore/utente una nuova, soddisfacente, esperienza di intrattenimento, che non depotenzierà l’interesse per l’offerta a tema sulle altre piattaforme ma che anzi servirà ad alimentare un virtuoso sistema di rimandi da un testo all’altro, da un medium all’altro”. Per inciso questo è il sistema di apprendimento tipico dei Nativi Digitali, come già rilevava Baricco nel suo saggio I Barbari del 2006 (cfr. Alice Nativa Digitale – Alice annotata 5).

Come dicevamo, il percorso dello Humanistic Management è segnato dalla transizione Multimedialità-Crossmedialità-Transmedialità. In progetti come Le Aziende InVisibili e ideaTRE60, la multicanalità de L’Impresa Shakespeariana e Nulla due volte diviene crossmedialità: i contenuti vengono declinati in maniera diversa a seconda del canale scelto. Nel caso de Le Aziende InVisibili la tradizionale forma-romanzo (sia pure collettivo ed illustrato), assume la connotazione di post sul blog di NOVA100 e di animazione virtuale nel contesto della Web Opera, dove le Città Invisibili di Calvino, divenute Aziende InVisibili nel romanzo collettivo, tornano ad essere visibili… nel mondo virtuale di Second Life!

La crossmedialità si trasforma infine in transmedialità con la piattaforma multicanale di Social Learning Alice Postmoderna e con il progetto La rivoluzione social e le aziende. Nel primo caso i membri della community sono incentivati ad interagire e a co-creare significato utilizzando canali diversi (la rubrica dedicata  nel blog di Nova100, la pagina Facebook, il Gruppo Facebook, il laboratorio di cineama.it), oltre che partecipando alle lezioni del corso di Humanistic Management 2011-2012). Nel secondo, è stata sviluppata una indagine sulla trasformazione in atto nelle organizzazioni, ormai irresistibilmente tese verso i nuovi modelli organizzativi 2.0, sempre fondata sui principi della interazione e della co-creazione di valore, che è stata così articolata:

  • Raccolta e analisi di Report, saggi, post, White Paper,  realizzati da Esperti o Istituzioni internazionali;
  • Delphi online La rivoluzione social e le aziende (che ha coinvolto una cinquantina di manager e consulenti);
  • Conversazioni di gruppo offline (animate da Kronos) con coloro che hanno partecipato al Delphi online;
  • Questionario strutturato (distribuito a diverse centinaia di aziende in collaborazione con Assochange);
  • Interviste a Top Manager di organizzazioni appartenenti a diversi settori di business;
  • Riscrittura di alcuni capitoli del volume Nulla due volte. Il management attraverso la poesia di Wislawa Szymborska, che ho realizzato in occasione della scomparsa della grande poetessa polacca.

 

Alice annotata  30. Continua

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[i] Ditelo ancora con l’emoticon, Corriere della Sera, 24 settembre 2011.