HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte prima: Introduzione ed Employer Branding

La Direzione HR come chiave di volta del cambiamento organizzativo 2.0

E' ormai sempre più chiaro che l'inevitabile passaggio da modelli e processi organizzativi tradizionali (Scientific Management) alle logiche dello Humanistic Management 2.0 non passa più solo, e neppure prevalentemente, attraverso l'introduzione in azienda di piattaforme tecnologiche collaborative o lo sviluppo del social media marketing: come da tempo andiamo dicendo (l'ultima volta nel post  Social Business Manifesto!), è giunto il momento che la Direzione HR scenda in campo. Può piacere o meno, ma fino a quando la Direzione HR non si sarà assunta la responsabilità del cambiamento, proponendosi come "regia tecnica" del processo di change management (o, peggio, fino a quando verrà utilizzata dal Top Management come strumento di difesa ad oltranza del modello "Comando e Controllo"), la vostra azienda è destinata a perdere terreno sul piano della innovazione e della competitività. Ma cosa significa essere "la regia tecnica del cambiamento"? Sostanzialmente due cose.

Da una parte, si tratta “ingaggiare” prima il Board e poi i diversi livelli aziendali aiutandoli a definire il posizionamento dell’organizzazione rispetto a logiche-processi di Management 2.0; ad avviare una  gap analysis; a stabilire una roadmap per un processo di sviluppo evolutivo;  a definire e implementare piani operativi di change management .

Dall’altra, occorre aggiornare i propri strumenti di employer branding, induction, gestione, formazione, sviluppo, knowledge management, comunicazione interna, rewarding alle nuove logiche 2.0. (cfr. Le aree d’intervento dello Humanistic Management 2.0) In questo quadro qualche utile suggerimento pratico viene dell'ultimo ebook proposto da Radian6: Social Media Strategy for Human Resources. 

Perchè occorre una social media strategy per le risorse umane

Gli autori del volumetto elettronico esordiscono osservando che nel 2010 solo il 6% delle aziende (americane) usava i social media per il reclutamento. Oggi, questa percentuale è passata all'89%. Per un motivo molto semplice: le persone di maggiore talento, competenza, creatività e capacità di innovazione sono molto attive sui social media e sono più attratte da quelle realtà che mostrano di possedere modelli culturali e operativi coerenti con il mondo 2.0. Senza contare che alle aziende si offre la straordinaria opportunità di conoscere,  in maniera anche approfondita e a costo pressocchè zero, le persone prima di assumerle, interagendo con loro in Rete.

Tuttavia, una organizzazione che decide di proporsi in questo modo non può bluffare: deve avere autenticamente avviato un cammino di trasformazione in social organization, sostenuto da una social media strategy per le risorse umane distintiva, ovvero in grado di differenziarla da tutti gli altri competitor in lizza per ottenere l'attenzione dei potenziali candidati tramite LinkedIn, Facebook, Twitter, i blog e molti altri canali social.

Purtroppo anche le aziende più avvertite si fermano qui, all'Employer Branding vissuto più come una sorta di propaggine di un social media marketing spesso arruffone e solo retorico, che come parte di una vera strategia  globale di HR 2.0. Viceversa è essenziale che anche dopo l'assunzione la persona si riconosca in un ambiente di lavoro in cui i social media costituiscano la spina dorsale di tutti i processi HR. Ciò che il nostro candidato ideale vuole davvero, affermano ragionevolmente gli autori del paper, non è solo uno stipendio, ma l'opportunità di svolgere un lavoro significativo in un ambiente piacevole, ovvero orientato da quei valori di trasparenza, reciprocità, fiducia, collaborazione, tipico delle comunità online. Radian6 propone quindi anche qualche spunto di riflessione per la definizione "social" delle attività di formazione, sviluppo, knowledge management.

Da dove partire? Prima ancora di iniziare a utilizzare i social media per promuovere posti di lavoro e trovare candidati, è importante verificare come si sta proponendo in Rete l'azienda. Che impressione ottengono i candidati quando visitano il sito web corporate e i relativi  profili sociali? Per verificarlo, gli esperti di Radian6 consigliano di valutare la capacità degli strumenti utilizzati di "mettere in vetrina" il modo di lavorare dell'azienda, le caratteristiche delle persone che già operano nell'organizzazione,  la  cultura d'impresa.

Mettere in vetrina il modo in cui si lavora

Ogni essere umano ha un profondo desiderio di essere parte di qualcosa di più grande di sé stesso: "di appartenere ad una squadra di supereroi capaci di cambiare il mondo insieme", scrive Radian6. Un'affermazione che fa sorridere forse, ma se pensiamo al successo planetario dei Vendicatori  (Thor, Hulk, Iron Man, Captain America e compagnia), tutto sommato la cosa è più seria di quanto possa sembrare. Bisogna convincersi che l'estetica postmoderna del web 2.0 è uno strano incrocio fra Peter Drucker e Stan Lee. Lo ricordavamo nel post Humanistic Management 2.0: la visione di Gary Hamel (parte seconda): "Nel quadro economico attuale, segnato dalla rivoluzione social ma anche da una profonda crisi a livello mondiale e dall’emergere di nuove modalità contrattuali, l’empowerment coniugato a forme flessibili di retribuzione, di orario, di organizzazione si ottiene solo se la persona trova consistenti ragioni di adesione psicologica alla mission della società di appartenenza.  Come già molti anni fa ha osservato Peter Drucker, sotto questo profilo, il modello di riferimento per le aziende profit dovrebbero essere le associazioni non-profit, che possono contare sulla risorsa più importante di tutte: l’entusiasmo. L’entusiamo è derivante dalla consapevolezza o, almeno, dalla fiducia nel fatto che l’organizzazione persegue un fine giusto, per cui è importante battersi… Per questo la rivoluzione social richiede un profondo ripensamento di comportamenti manageriali che mai come oggi devono essere ispirati da una forte visione etica. Ma si tratta di una visione che deve confrontarsi ancora una volta con prospettive nuove, come quella dell’etica hacker: una nuova concezione del lavoro che rigetta i valori tipici dell’etica capitalistica e li sostituisce con altri: passione, libertà, valore sociale, apertura, creatività (Bennato 2011, p. 131. Sul tema dell’etica hacker vedi anche Alice la Hacker – Alice annotata 9a.)”. Queste caratteristiche della vita Web-based, conclude Hamel, “sono inscritte nel DNA sociale della generazione Facebook, che però mancano completamente nel DNA manageriale della media delle società 'Fortune 500'”.

Figuriamoci in quello dei manager italici. Basta ricordare che  il nuovo Presidente di Confindustria per commentare la riforma del lavoro non ha trovato di meglio che citare Fantozzi ("E' una boiata!") per rendersi conto di quale è il gap culturale con cui dobbiamo fare i conti. E allora, lo storytelling del vostro sito web assomiglia ad una graphic novel della Marvel… o alle tragedie aziendali di Fracchia ? 

Ovviamente poi ripensare lo storytelling del sito corporate non basta. Occorre dare una seconda occhiata a tutti i materiali  che promuovono la vostra azienda. Ogni stampa, booklet, manifesto, spot  non deve essere pensato solo per i clienti, ma pure per i dipendenti  e i potenziali candidati. Quando parliamo di apertura dei confini organizzativi ci riferiamo anche a questo.

Il che sotto il profilo dei contenuti significa ad esempio incoraggiate le persone in tutta l'organizzazione a raccontare  le storie della loro vita lavorativa quotidiana e prendere nota di ciò che i dipendenti trovano interessante o magari anche eccitante nel loro lavoro: l'elenco potrebbe non essere identico a quello redatto dal Direttore Marketing. Sotto il versante della forma, è bene accertarsi di aver predisposto un pacchetto di materiale facilmente condivisibile in una varietà di media (vedi alla voce transmedialità). Ognuno di noi ha uno stile di apprendimento e di comunicazione diverso: è importante quindi che ciascuno possa esprimere la positività del lavoro che svolge in post, video, foto, interviste, ebook, e così via.

Mettere in vetrina le persone

I collaboratori sono il cuore e l'anima del marchio. Anche i manager 1.0 lo hanno capito da tempo, ma i risultati sono quelli retorici e paternalistici delle pubblicità televisive di Banca Intesa, tanto per fare un esempio. False come Giuda, inautentiche come le pseudo battute della Gialappa's, ridotta a campare della rendita di un passato glorioso, adatte del resto ad un mezzo televisivo sempre più in mano a  ultrasessantenni e fruito da un pubblico che mentalmente è rimasto al dopoguerra (il secondo in genere, ma spesso anche il primo).

In Rete le cose funzionano diversamente. Un modo per capire quale è la relazione effettiva fra i dipendenti e l'azienda  consiste nel visitare la pagina "About Us", presente in ogni sito corporate. Qui si può scegliere di mostrare solo i dirigenti di alto livello, alcuni impiegati modello o l'intera azienda. Si possono pubblicare solo i curriculum, oppure anche le foto o dei video o i link ai blog personali… Troppo spesso questo aspetto viene preso sotto gamba. Errore. La pagina "About Us" mostra  la cultura della vostra azienda e la sua personalità. E' importante costruirla in maniera attenta  perchè è il primo punto di sostegno di tutto il sistema di relazione online  che si sta cercando di edificare utilizzando i social media.

Con questa consapevolezza,  guardate ora la vostra pagina "About Us". Saprà ispirare i visitatori ad avviare un rapporto con il brand anche sui social media? Fa vibrare qualche corda interiore, fa provare qualche emozione? Ne esce una azienda  grigio scuro o colorata? E soprattutto, i sentimenti, le emozioni, i colori, sono autenticamente rispondenti allo spirito dell'impresa, alla visione manageriale, al clima interno?

Solo se la risposta è affermativa, si può passare allo step successivo: la condivisione di storie aziendali di successo su Facebook, alla viralizzazione di interviste ai dipendenti  su YouTube, alla premiazione dei più bei racconti sulla vita aziendale realizzati su Pinterest… e chi più ne ha, più ne metta.

Mettere in vetrina la cultura aziendale

La cultura aziendale dovrebbe essere una parte vitale della strategia di recruiting. Radiant6 propone come esempio Zappos, che ottiene 1.000 candidati per ogni posizione pubblicizzata. Perché? Per la loro buffa, deliziosa, improbabile cultura aziendale. Quante altre aziende hanno un proprio video musicale come quello che vedete sotto? Altro che Gialappa's!

Americanate? Mah. Deridere ciò che non si capisce non serve a molto. Resta il fatto che YouTube, Facebook e Flickr sono punti ideali in cui mettere in mostra le ragioni per amare la vostra azienda. E non c'è nulla nulla di così potente come lo spettacolo di dipendenti entusiasti dell'esperienza che stanno facendo lavorando per voi. Un entusiamo però che deve essere autentico, vero, sincero. Al più lontano sintomo di inautenticità (=presa per i fondelli) la reazione della Rete seppellirà voi e gli zombie del Marketing (spesso appartenenti a Società ed Agenzie di pubblicità dai nomi altisonanti) a cui vi siete rivolti.

Una social media strategy per le risorse umane 1 Continua


  • Roberto |

    Eccellente articolo (o, forse, dovrei dire serie di articoli) sul tema.
    Assolutamente d’accordo su tutto, ma mi sento di fare un’aggiunta: “fino a quando la Direzione HR non si sarà assunta la PROPRIA responsabilità del cambiamento”.
    Credo che un’impresa HR driven possa diventare efficiente, ma credo anche che per essere anche efficace debba essere guidata dal business.
    Non mi convince vedere un singolo reparto a guidare il cambiamento.

  • David Pinto |

    Bell’articolo. Chissà se un giorno le aziende (soprattutto quelle italiane) sapranno orientarsi verso un Marketing Olistico (di cui la componente web ne è una parte importantissima) nella sua accezione kotleriana. Vale a dire ogni persona all’interno dell’azienda responsabilizzata ed in grado di interagire con il cliente (soprattutto nei mercati B2C), in nome dell’azienda di cui si sente parte. Un beneficio per il cliente che si sentirà trattato come persona e non solo come fonte di guadagno, per il dipendente che si sentirà parte attiva nella grandezza della propria impresa e membro di un team (o di una tribù se preferiamo, esaltando il suo senso di appartenenza), per l’impresa stessa che vedrà esaltata la sua immagine e la sua struttura di formata da “microcellule” aziendali autosufficienti e in grado di autoregolarsi da sole in nome della grandezza del brand, tralasciando quelle orami obsolete e vetuste concezioni tayloristiche dell’organizzazione aziendale.

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