La conversazione in Rete: fra Regole, Netiquette, Policy ed Emoticon (Alice annotata 19a)

L’istituzione di ambienti sociali, insegna Weick, è un passaggio indispensabile nel processo di sensemaking. E’ una lezione che apprende presto anche Alice: dall’incontro con il Topo –  cfr. L’Ambiguità che favorisce la comunicazione (Alice Annotata 18a), Il Malinteso necessario per intendersi (Alice annotata 18b), Pillola rossa o pillola blu: le relazioni digitali sono “autentiche”? (Alice annotata 18c) – in poi tutte le tappe più rilevanti  delle sue avventure sono segnate da  scenette dialogiche, che rispecchiano e al tempo stesso rivoluzionano (il senso è nonsenso, il nonsenso è senso) le regole delle conversazioni fra adulti.

Come osserva Celati, dopo quella con il Topo, seguono le conversazioni “con gli altri animali della pozza delle lacrime, con la Duchessa, col Bruco, il Gatto del Chesire, il Cappellaio Matto e soci. Sempre discussioni, contrasti verbali. Dice Alice ad un certo punto: “E’ davvero un peccato come questa gente litighi sempre. Ce n’è abbastanza da farti diventare matta” (capitolo VI).

Se ci pensiamo bene, è lo stesso problema del management 2.0 (su questo vedi la serie di post su La social organization, relativamente alla centralità della community nel processo di “mass collaboration, quello su La rivoluzione social e le aziende: il problema della policy) e in generale del social networking: le conversazioni da molti a molti, peer to peer, eccetera, sono generative di significati nuovi ed alternativi, oltre le dicotomie imposte dagli Standard del Pensiero Unico dello Scientific Management, ma non di meno richiedono delle regole di conversazione per non degenerare nel caos. Di qui la NetiquetteCurioser and curioser, una parola portmanteau.

Sull’importanza del concetto di “pormanteau” in Alice siamo già tornati in diversi momenti – vedi le Note:

Contrazioni/Raddoppiamenti, 1 (Alice annotata 4a),    

Contrazioni/Raddoppiamenti, 2 (Alice annotata 4b),       

L’Identità Molteplice, Parte prima (Alice annotata 8a),      

Alice la Hacker (Alice annotata 9a),       

L’individuo-valigetta (Alice Annotata 9d).

Non a caso, perché si tratta di un concetto chiave dello Humanistic Management, strettamente correlato al tema della metadisciplinarietà. Nella Premessa del Manifesto, presentando il team di coloro che lo hanno co-creato,  in particolare troviamo quanto segue: “Un altro elemento fondamentale del gruppo di lavoro è la caratterizzazione dei suoi componenti. Se ognuno di loro, da una parte, rappresenta una punta di eccellenza in un campo disciplinare, un settore di attività specifico (la sociologia, l’epistemologia, il teatro, l’ICT, etc.), dall’altra è connotato da una forte attitudine alla polivalenza, alla metadisciplinarietà, alla contaminazione: un Direttore del personale/critico cinematografico/psicoterapista (Varchetta); un formatore/cabarettista/Assessore comunale (Bertolino); un antropologo/scrittore/tecnologo (Varanini); un sociologo/consulente/operatore culturale (De Masi); un pluridecennale osservatore del mondo imprenditoriale, quadricefalo come il Brahma Guardiano dei Veda (Varvelli); una personalità operante nel campo del management, ma anche delle arti visive e della matematica (Trupia); un docente universitario/professionista della comunicazione/manager a tempo (Azzoni); un ricercatore sociale/produttore di business television e teatro d’impresa (Notarnicola); un giornalista/super-esperto di Internet e dintorni/responsabile di aziende ad alta tecnologia (Costa); un Amministratore Delegato/educatore/saggista (D’Egidio); un epistemologo/direttore di riviste/auto-biografo (Demetrio); uno studioso che si è occupato presso le principali Università italiane di politica ed economia industriale, strategie d’impresa, reti e networking (Rullani).

In sostanza, persone portmanteau, simili alle portmanteau-words o mots-valises che furono introdotte nel linguaggio poetico da Lewis Carroll.[1]

L’analogia non è casuale. “Il linguaggio – sia quello standard comune, che quello poetico, ‘deviante’ ed originale – è un sistema di segni regolato da un codice che non si dà una volta per tutte, che non è una matrice chiusa, statica, bensì aperta, suscettibile di variare in relazione ai “bisogni” individuati. Se i bisogni cambiano, il codice si ristruttura adeguandosi alle nuove necessità. Si prenda ad esempio le “parole in libertà” dei futuristi: esse sono lo strumento linguistico per tradurre in modo efficace una nuova sensibilità formatasi sull’onda delle scoperte scientifiche come (l’elenco è di Filippo Tommaso Marinetti) il telegrafo, il telefono, il grammofono, il treno, la bicicletta, la motocicletta, l’automobile, il transatlantico, il dirigibile, l’aeroplano, il cinematografo ed il grande quotidiano, ‘sintesi di una giornata del mondo’. È l’affermarsi di un modo nuovo di sentire il mondo che alimenta e fa esplodere nei futuristi l’esigenza e l’urgenza di un nuovo linguaggio.”[2]

Se dunque vogliamo introdurre un nuovo discorso manageriale (cfr. anche il post Dalla prosa del taylorismo alla nuova poesia manageriale), è necessario esprimersi in un linguaggio diverso, che può essere parlato solo da chi è segnato nella sua stessa esperienza personale dalle regole e dai limiti di quella condizione che ha fatto emergere nuovi “bisogni” e il desiderio di esplicitarli.”

Ma torniamo alla Netiquette. Secondo Wikipedia, il termine, “derivato dalla sincrasi del vocabolo inglese net (rete) e quello di lingua francese étiquette (buona educazione), è un insieme di regole che disciplinano il comportamento di un utente di Internet nel rapportarsi agli altri utenti attraverso risorse quali newsgroup, mailing list, forum, blog, social network o e-mail in genere.” Inoltre ogni luogo di conversazione in Rete ha un suo preciso protocollo: si pensi ad esempio ai controlli cui vengono sottoposti i contenuti di Wikipedia o alla censura, spesso brutale e, bisogna ammetterlo, dai tratti persino orwelliani, cui vengono sottoposti gli utenti di Facebook qualora siano anche semplicemente sospettati di “spammare” o di postare contenuti illeciti (pornografici ad esempio).

Ma la Netiquette non incombe solo come una notte senza stelle sopra i cieli virtuali di piattaforme e siti; piuttosto, simile in questo alla legge morale kantiana, regola, o dovrebbe regolare, i comportamenti individuali, la cui correttezza in Rete è oggetto di valutazione pubblica anche molto di dettaglio, fino a toccare aspetti apparentemente marginali quali l’uso e l’abuso delle faccine: “Le emoticon danno calore a un tipo di comunicazione, quella online, che è fortemente verbale», dice il sociologo Alberto Abruzzese. La parola stessa, un mix dei vocaboli inglesi «emotion» e «icon» (dunque un’altra parola portmanteau, ndr), ne suggerisce significato e uso: una speciale combinazione di simboli per esprimere l’umore di chi scrive. Cadono i vincoli grammaticali e sintattici e il linguaggio diventa parola viva, cioè emoticon — continua Abruzzese —. Riscaldare un messaggio professionale non è molto semplice. Diciamo che l’emoticon rende il compito più facile. Ma l’eccesso non è fuori luogo, specialmente quando si parla di lavoro? «Il lecito — conclude Abruzzese — si forma attraverso l’uso, quindi…». Nel dubbio basta affidarsi alla «netiquette», il galateo della Rete. Che suggerisce di usare gli smile e affini con moderazione, tranne quando si fa una battuta che potrebbe essere equivocata, mancando nella email la possibilità di esprimere le sfumature. E se da un lato la policy di alcune società proibisce esplicitamente l’uso delle faccine nelle comunicazioni interne e verso l’esterno dei propri dipendenti, dall’altro ci sono multinazionali che inseriscono le emoticon (e non solo quelle più semplici) direttamente nella Intranet e nelle chat aziendali”. [3]

Alice annotata 19a. Continua.

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[1] E’ Humpty Dumpyt in Attraverso lo specchio ad accennare alla teoria delle parole “attaccapanni” per spiegare ad Alice il senso della poesia “Jabberwocky”, la cui prima strofa, nella traduzione di Giuliana Pozzo, suona così :”Era la brilla/e i fanghilosi tavi /Ghiravano e ghimblavano nel biava/Mensi e procervi erano i borogavi/E il momico rattio superiava”. Humpty Dumpty spiega il significato delle parole “difficili” della poesia. In alcuni casi, dice, sono due parole in una, come attaccapanni”. Nel caso di fanghilosi il significato è “fangosi e lisci”. Nella prefazione del poema The Hunting of the Snark (altra parola attaccapanni, composta da shark , pescecane, e snail, lumaca, o secondo altri, snake, serpente) Carrol aggiunge: “Questa mi sembra un’ottima occasione per parlare delle altre parole difficili presenti nel poema. La teoria di Humpty Dumpty, dei due significati impacchettati dentro una parola come in un baule, mi sembra la spiegazione migliore. Per esempio prendiamo le parole fuming e furious. Immaginate di voler dire tutte e due le parole, ma senza decidere quale delle due dovrà essere detta per prima….Se avete il raro talento di una mente perfettamente equilibrata, direte frumious”. (La caccia allo Snaulo, p. 21, Ed. Studio Tesi 1990).

[2] Paolo Albani in Parol, Quaderni d’arte e d’epistemologia, http://www2.unibo.it/parol/articles/albani.htm.

[3]  24 Settembre, 2011, CORRIERE DELLA SERA, Ditelo (ancora) con l’emoticon