Nel precedente post (L’Ambiguità che favorisce la comunicazione -Alice Annotata 18a) della nostra serie Alice annotata, avevamo lasciato Alice alle prese con un un terribile malinteso insorto nel corso del suo tentativo di entrare in comunicazione con il Topo. E la bambina non migliora certo le cose provando a spostare il discorso dal piano dei ruoli sociali a quello delle esperienze individuali: “And yet I wish I could show you our cat Dinah: I think you’d take a fancy to cats if you could only see her. She is such a dear quiet thing,’ Alice went on, half to herself, as she swam lazily about in the pool, `and she sits purring so nicely by the fire, licking her paws and washing her face–and she is such a nice soft thing to nurse–and she’s such a capital one for catching mice–oh, I beg your pardon!’ cried Alice again, for this time the Mouse was bristling all over, and she felt certain it must be really offended. `We won’t talk about her any more if you’d rather not.’ `We indeed!’ cried the Mouse, who was trembling down to the end of his tail. `As if I would talk on such a subject! Our family always HATED cats: nasty, low, vulgar things! Don’t let me hear the name again!”
Paradossalmente, tuttavia, proprio nel momento in cui il fallimento nel processo di sensemaking collaborativo sembra inevitabile, Alice scopre che l’ambiguità stessa, così problematica da gestire, “fluidifica”, facilita, la formazione sociale dei significati. Sperimenta direttamente che si può dire dell’ambiguità ciò che Baudelaire ha affermato del malinteso (che, in fondo, ne è uno degli esiti possibili): “Il mondo va avanti unicamente in base al Malinteso. Attraverso l’universale Malinteso tutti si trovano d’accordo. Poiché, se per disgrazia ci si capisse, non si potrebbe mai essere d’accordo”.
Alice capisce che conservare un certo margine di ambiguità è, in molte situazioni, una condizione indispensabile per giungere all’impressione di aver, consensualmente, ridotto quella stessa ambiguità che era stata l’origine di una qualche difficoltà. Ad esempio, se all’origine di un conflitto c’è una situazione ambigua, è spesso conservando un certo grado di ambiguità nella definizione delle reciproche posizioni che si può attenuare il conflitto stesso”[i]. Lo capisce, però, non prima che l’ostinazione a volersi “spiegare meglio”, per ridurre l’ambiguità della situazione, attingendo all’esperienza personale con la sua gattina Dinah, finisca per metterla in una posizione ancora più difficile. Del resto, Alice sembra inevitabilmente procedere verso il collasso comunicazionale del rapporto fra lei e il Topo, anche quando, nell’estremo tentativo di cambiare discorso, non trova di meglio che passare dai gatti ai cani: “I won’t indeed!’ said Alice, in a great hurry to change the subject of conversation. `Are you–are you fond–of–of dogs?’ The Mouse did not answer, so Alice went on eagerly: `There is such a nice little dog near our house I should like to show you! A little bright-eyed terrier, you know, with oh, such long curly brown hair! And it’ll fetch things when you throw them, and it’ll sit up and beg for its dinner, and all sorts of things–I can’t remember half of them–and it belongs to a farmer, you know, and he says it’s so useful, it’s worth a hundred pounds! He says it kills all the rats and–oh dear!’ cried Alice in a sorrowful tone, `I’m afraid I’ve offended it again!’ For the Mouse was swimming away from her as hard as it could go, and making quite a commotion in the pool as it went”.
Eppure, proprio nel momento in cui la crisi sembra irrevocabile, Alice trova un’insperata via d’uscita: “She called softly after it, `Mouse dear! Do come back again, and we won’t talk about cats or dogs either, if you don’t like them!’ When the Mouse heard this, it turned round and swam slowly back to her: its face was quite pale (with passion, Alice thought), and it said in a low trembling voice, `Let us get to the shore, and then I’ll tell you my history, and you’ll understand why it is I hate cats and dogs”. Il Topo finalmente si decide a cooperare al processo comunicazionale, capisce cioè che “quando ci troviamo entrambi in una situazione ambigua, io posso vederla e descriverla in un modo, tu puoi vederla altrimenti, e possiamo avere l’impressione di essere d’accordo su come percepire tale situazione perché vi è spazio per usare una varietà di interpretazioni e per consentire l’uno con l’altro, o avere un sentimento di consenso reciproco. Così andiamo avanti con quel che stiamo facendo. Dal punto di vista dell’evoluzione e dell’adattamento, ciò è molto funzionale, poiché se vediamo il mondo diversamente, se abbiamo diverse capacità e se pensiamo di essere d’accordo senza dover cambiare molto di noi stessi, allora per un certo periodo di tempo siamo in grado di tenere un elevato grado di diversità.”[ii]