Davide Genta, formatore e consulente, insegna strategia e organizzazione aziendale presso le Università di Torino, Milano Statale e Bicocca, la United International Business School (abbreviato UIBS) e SAE.
La leadership nell’era digitale: cecità acritica e ritorno alla scienza
DAVIDE GENTA
Leader… sheep?
Se persino i Pink Floyd hanno sbagliato (I’ve looked over Jordan, and I have seen/ Things are not what they seem/ What do you get for pretending the danger’s not real/ Meek and obedient you follow the leader: da Sheep, grandissimo brano, ma il concetto è pericoloso e fuorviante) vuol dire che il problema è grave.
Parliamo di Leadership: un concetto che ha affascinato l’umanità per secoli, ma, nell’era digitale, quello che possiamo considerare un pilastro sociale sembra vacillare, minacciato da una nuova forma di saramagica cecità.
Parliamo di Leadership Pop… di Hypermedia Platform e di Content Curation come forma di moderno management (Prolegomeno 32), quale soluzione o pericolo di un’incapacità diffusa di essere content creator aziendali (scrive Marco Minghetti: “se quello che comunichi non è farina del tuo sacco – farina sudata per almeno diecimila ore – le persone se ne accorgono subito e l’unico riconoscimento che potrai aspettarti è quello degli yes man e delle yes women di cui ti sarai circondato (ricetta antichissima e garantita per il fallimento, come manager e come persona. Lo scrive benissimo Shakespeare: «Con gli alberi si possono ingannare gli unicorni, con gli specchietti gli orsi, con le buche per terra gli elefanti, con le reti i leoni; per ingannare gli uomini, basta un po’ d’adulazione»)”.
E non per mancanza di innovazione, per l’esatto contrario (come evidente nel bell’Opinion Piece di Francesco Gori “Semplificare per trasformare la realtà”).
Perchè siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa ne penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono. (Cecità, Saramago)
Il proliferare di informazioni e la disintermediazione, lungi dal creare una società più consapevole, hanno invece generato una massa di follower acritici, incapaci di discernere la validità delle fonti e la qualità della Leadership. Per uscire da questa impasse, è necessario un ritorno alla scienza, un’analisi lucida e razionale in grado di guidare i follower verso una Leadership più consapevole e i leader verso una maggiore responsabilità.
“Who killed the Kennedys?” / When after all It was you and me (Sympathy for the Devil, Rolling Stones)
L’essenza della Leadership risiede nella sua natura binaria: non può esistere leader senza follower. Tuttavia, la narrativa contemporanea sulla leadership si concentra quasi esclusivamente sulla figura del leader, trascurando il ruolo cruciale dei follower. Questa asimmetria (ce lo dice Barbara Kellerman in molti suoi articoli), ha portato alla nascita di una vera e propria “industria della Leadership”, focalizzata sulla formazione di leader efficaci, ma silenziosa sul tema della Followership.
Infatti, chi comprerebbe un corso di Followership? Chi proverebbe ad asciugare il budget dell’HR con un bel corso sul “come dare le ferie ai team member senza scontentare nessuno” (la morte dell’Organizational Behavior – l’ho vista, me l’hanno chiesta – ho rifiutato). Non c’è un mercato della Followership, e quel che c’è è orribile (orientamento, lo chiamano).
Questa omissione rispetto ai follower è tanto più grave se si considera che, storicamente, il loro ruolo si è evoluto di pari passo con quello dei leader. Se in passato i follower si identificavano come subordinati, oggi, grazie all’influenza di fattori culturali e tecnologici, sono sempre più consapevoli del proprio potere e della propria capacità di influenzare le dinamiche di potere. Tuttavia, questa presa di coscienza non si è tradotta in una maggiore capacità critica.
Anzi, sembra che il QI, per quanto valga, sia in continua discesa.
L’avvento di Internet e dei social media ha creato un paradosso: la sovrabbondanza di informazioni, anziché favorire una maggiore apertura mentale, ha generato confusione e disorientamento. In questo contesto (e qui ce lo dice bene il Preside, Baricco, nel suo libro “The Game”), la verità è diventata “veloce”, superficiale, ridotta a slogan accattivanti e narrazioni semplicistiche che si adattano al ritmo frenetico del mondo digitale.
Fallo tu il leader senza verità fondata. Convinci senza una verità, guida (che sia il tuo momento o no, assecondando, si spera, la distribuzione di Leadership e non il carisma).
Anche solo Instagram e la claque di un post su LinkedIn spingono in questo contesto un soggetto a voler essere leader, in un’adverse selection comunicativa continua.
Fallo tu il leader in quella situazione. Mica facile. Più divertente, “Ah, what’s puzzling you/Is the nature of my game, oh yeah” (Stones, di nuovo).
La disintermediazione, inoltre, ha contribuito a creare un terreno fertile per la diffusione di fake news e disinformazione. Privati dei tradizionali punti di riferimento – giornali, esperti, istituzioni, financo preti detentori di una morale, forse Pop (o populista, vedi Prolegomeni 4 Ndr), gli individui si affidano sempre più spesso a fonti non verificate, amplificando la propria eco chamber e consolidando le proprie convinzioni, spesso acritiche, senza il beneficio di un’analisi critica e approfondita.
Lo sciamano diventa ministro, il terapeuta olistico con la musica chill-out scrive il bilancio e decide le operations.
Ti sarà anche più difficile scardinare le teorie del follower scarso, caro il mio leader del 2024.
Il risultato è una massa di follower che, come accecati, seguono i leader in modo acritico, attratti da promesse illusorie e narrazioni semplicistiche. Questa cecità acritica è evidente in diversi ambiti, dalla politica all’economia, dalla scienza alla cultura. La vittoria di movimenti populisti, la diffusione di teorie complottiste, il successo di influencer privi di reali competenze sono l’epifania del problema.
A partire dal follower, quello scarso, in azienda. Quello che pensa di essere parte del pop-management, ma è replica sterile di dettami fondati solo sulla ripetizione di narrazioni e mantra eterofornite alla e dall’azienda (pensiamo ai mille modelli gestionali che “ci porteranno al successo” perché lo dicono tutti… e sono tutti, alla radice, uguali- cambiano solo le parole per descrivere le azioni, tra loro identiche, che saranno intraprese, e i white-paper delle società di consulenza che li supportano, in un mondo rigidamente agile).
La soluzione è il ritorno alla scienza? Non si tratta di abbracciare una visione tecnocratica, ma di riscoprire il valore del pensiero critico, dell’analisi razionale, della verifica delle fonti. E del piacere di vedersi scardinare dai pari la propria teoria. Che non è sconfitta ma accrescimento. Ma è difficile, se poi si rovina la brand reputation.
Solo un approccio scientifico alla leadership può fornire ai follower gli strumenti per valutare la validità delle informazioni, la qualità della leadership e la bontà delle decisioni.
Questo approccio dovrebbe permeare anche il mondo della “pop culture”, che non può più permettersi di essere solo “popolare”, e rifugio di chi non ha capacità di muoversi nel mondo VUCA perché BANI, ma deve diventare anche “scientifico”. L’influenza di artisti, influencer e personaggi pubblici autorevoli dovrebbe essere accompagnata da una maggiore responsabilità nella diffusione di informazioni accurate e verificate.
Così in azienda.
Qualcuno che combatta il BANI perché capace di navigare nel VUCA, supportato da un minimo di pensiero critico (che peraltro, almeno alle nostre latitudini, non si studia come materia a sé, figuriamoci la complessità), deve esserci.
Come fare a rendere pop il pensiero critico e ridurre leader carismatici, che ottengono tutto quello che c’è in cima alla piramide di Maslow (che nei paesi ricchi si è pure ribaltata… si lotta per non mangiare e per non avere un tetto sulla testa) e pure il canone del telefono gratis insieme all’I-phone?
Per migliorare le qualità dei follower nell’era della disintermediazione la ricetta è complessa e pure non univoca. Potremmo dire che emerge la necessità di un approccio multiforme che tenga conto sia delle dinamiche di potere intrinseche alla Leadership, sia dell’impatto della rivoluzione digitale sulla formazione dell’opinione pubblica.
Nel contesto disintermediato i detentori del sapere, in qualità di esperti nei loro rispettivi campi, hanno la responsabilità di contrastare la disinformazione e promuovere un’analisi critica delle informazioni.
Ma la democratizzazione della conoscenza, lo si è già detto, non deve tradursi in una semplificazione eccessiva che svuoti il sapere della sua complessità. Al contrario, i detentori del sapere devono impegnarsi a tradurre la propria conoscenza in linguaggi chiari e comprensibili, senza rinunciare al rigore scientifico. Facendo riflettere, ma anche ridere. Rendere il sapere interessante, farlo tornare utile.
Ed occorre anche insegnare ai follower a pensare criticamente. Riconoscere l’importanza di una “Followership” consapevole e responsabile.
Sapere verificare le fonti, analizzare il contesto, formulare giudizi autonomi. Capacità perse ad ogni livello. Long life learning necessario.
In azienda ciò vuol dire non “command and control”, con gran cazziaton se qualcosa non va, ma dialogo e dibattito.
Mantenere il potere di intermediazione non significa tornare a un modello di comunicazione verticale e unidirezionale. Al contrario, i detentori del sapere devono adottare le nuove tecnologie per raggiungere un pubblico più ampio e diversificato. Piattaforme digitali, social media, podcast: gli strumenti a disposizione sono molteplici e vanno utilizzati in modo strategico per creare un dialogo costruttivo con i follower.
In conclusione, il ruolo dei detentori del sapere nell’era della disintermediazione è cruciale. Per contrastare la “cecità” acritica e migliorare la qualità dei follower, è necessario un impegno costante nella diffusione del sapere, nell’insegnamento del pensiero critico e nell’utilizzo strategico delle nuove tecnologie.
Solo così sarà possibile creare una società più consapevole e informata, in cui la Leadership sia esercitata con responsabilità e i follower siano cittadini attivi e critici.
Have some courtesy
Have some sympathy, and some taste
Use all your well-learned politesse
Or I’ll lay your soul to waste, um yeah
38 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
Puntate precedenti
1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO