Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 34 – Organizzazione Pop. Verso l’Hypermedia Platfirm (Convivialità)

 

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                I valori della Pop Economy: Convivialità.

Nel 1973 Ivan Illich pubblica il libro La Convivialità, all’interno del quale presenta alcune critiche al modello industriale tayloristico e ne ipotizza il possibile superamento.

Per esempio, l’eccesso di produttività produce crisi economiche legate all’eccessiva disponibilità di beni, oppure la larga diffusione di automobili crea il traffico, che riduce significativamente la velocità media degli spostamenti rendendo controproducente l’utilizzo dell’auto. Così  – secondo Illich – è necessario ritracciare i contorni della nostra società riconoscendo l’esistenza di scale e di limiti naturali e tenendo a mente che l’equilibrio della vita si dispiega tra il fragile e il complesso ma senza mai oltrepassare alcune soglie. Oltrepassata la soglia, la società diventa scuola, ospedale, prigione e comincia la reclusione sociale in cui i luoghi e gli spazi sostituiscono le finalità, caratterizzati dalla specializzazione dei compiti, dalla istituzionalizzazione dei valori, dalla centralizzazione del potere: l’uomo diviene l’accessorio della megamacchina, un ingranaggio della burocrazia (come accade con lo Scientific Management, massima espressione di quella che Bauman chiama «la modernità solida»).

Alla società della «produttività» Illich contrappone la società della «Convivialità». Se nella società produttiva i valori sono la conoscenza tecnica e il bene materiale, nella società conviviale i valori sono l’etica e il bene realizzato. Illich chiama società conviviale una società in cui la tecnologia sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività e non riservata a un gruppo di specialisti che la tiene sotto il proprio controllo. Conviviale per Illich è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di usare lo strumento tecnologico per realizzare le proprie intenzioni. L’uomo a cui pensa Illich è un uomo che vive non solo di beni e servizi, ma della libertà di modellare gli oggetti che gli stanno attorno, di conformarli al proprio gusto, di servirsene con gli altri e per gli altri. Nei Paesi ricchi i carcerati dispongono spesso di beni e servizi in quantità maggiore delle loro famiglie, ma non hanno voce in capitolo riguardo al come le cose sono fatte, né diritto di interloquire sull’uso che se ne fa: degradati al rango di consumatori utenti allo stato puro, sono privi di convivialità.

Un punto di vista ancora attuale, come spiega il documento Convivialità e dialogo tra i popoli presentato al G7 svoltosi nel maggio 2024: in un mondo in cui crescono povertà e insicurezza, è indispensabile conservare un nucleo dialogico, orientato al confronto tra punti di vista diversi: concetti sottolineati in occasione dell’evento anche dal Presidente del Consiglio italiano.

L’impresa dello “stare insieme per”

Nel contesto dello Humanistic Management, la riflessione sulla Convivialità, lo abbiamo visto in Prolegomeni 30, parte dal Convivio platonico come luogo dominato dall’eros e dalla cooperazione discorsiva, regolata da un simposiarca. Modello cui può ispirarsi l’impresa dello “stare insieme per” e della valorizzazione delle persone, che è raccontata in molti Episodi del romanzo collaborativo Le Aziende InVisibili.

Sembrava impossibile che dietro gli specchi del bazar delle illusioni potesse esserci tutta quella vita vera e palpitante che si dava appuntamento per non dimenticare il bello e il buono dell’umanità […] senza saperlo molti si ritrovavano lungo quella rotta e la sosta in quelle notti significava, per tutti, cambiare abitudini e avere voglia di non dimenticare la forza di quegli incontri. (Dall’Episodio N° 33, Il bazar delle visioni scritto da Giovanni Anversa).

Così Piero Trupia, che ha introdotto il concetto di Convivialità nel modello dello Humanistic Management,  ha commentato questo brano: «uno dei motori narrativi de Le Aziende in-Visibili è la metamorfosi di oggetti, persone, situazioni, ambienti, una precisa diegesi, classica nella narrazione e apicale in Ovidio. Nel romanzo a colori, con il favore della concisione, assume una forza trascinante inusitata. Nell’episodio citato si passa dalla “società di merda” alla “società perfetta dei narratori” con la forza aggiuntiva della contestualizzazione notturna. Si perviene così allo “essere preziosi in quel contesto” in ragione della unicità delle  “vite raccontate. Vite illustri e meno illustri, note e sconosciute, ma tutte degli autentici capolavori umani per la forza che emanavano e per il coinvolgimento che procuravano.” Si giunge, alla fine, “a perdere il contatto con il proprio io, per immergersi nella vita degli altri”».

Il personigramma

Il modello conviviale dell’impresa è l’attualizzazione del potere di parola e d’iniziativa attribuito a tutti i soggetti attivi nel “personigramma”[i]. Se l’“organigramma” è una macchina, il “personigramma” è un Mondo Vitale. Le caselle dell’organigramma sono cittadelle più o meno fortificate per la difesa e per l’attacco. Al contrario, i flussi del personigramma sono umori di un melting pot e scambi discorsivi di un convivio. Il cuore (auspicato) del postmoderno è la persona, la sua logica la relazione tra soggetti che esprimono iniziativa e la sviluppano nella cooperazione.

Ha detto ancora Trupia: «È la vita stessa che pone il dilemma: o si è attori o si è comparse. La terza posizione, quella di semplice spettatore, non esiste, se non per le cose che non sono di nostro interesse. Sia come attori sia come comparse o come spettatori il luogo della vita è teatro, vale a dire un esporsi alla vista, indifferente o critica, del mondo. La scelta umanamente più degna è l’attorialità. Essere attori è in primo luogo essere autori delle proprie azioni, responsabili del proprio comportamento. Se possibile, lasciare un segno del proprio passaggio nel mondo. Studiare il copione, ascoltare il regista, essere in sintonia con gli altri attori e, alla fine, produrre la propria asserzione autoriale–attoriale di contenuto e di recitazione. Il personigramma è, pertanto, una sceneggiatura, da aggiornare continuamente, in relazione all’esercizio interattivo dell’iniziativa personale»: non a caso l’esperienza seminale dello Humanistic Management è stata costituita dalle conversazioni svolte nell’ambito di Hamlet, la rivista AIDP da me fondata che sovvertiva i canoni tradizionali della letteratura manageriale, avviando il dialogo metadisciplinare fra uomini d’azienda ed esperti delle più diverse discipline umanistiche e scientifiche. Un’esperienza durata sette anni sintetizzata nel volume  L’impresa shakespeariana– vedi anche Prolegomeni 5 – Leadership Pop (lezioni shakespeariane).

«È a questo livello che si sviluppa la vera socialità d’impresa» concludeva Trupia. Ed è qui che risiede la vera forza competitiva dell’organizzazione: in questo senso, i Social Media sono lo strumento più adeguato a rafforzarla, giusto il sottotitolo de L’impresa shakespeariana: “Protagonisti reali e virtuali sulla scena aziendale” .

Organizational Network Analysis 

La rete di relazioni formali e informali che esistono all’interno dell’azienda rappresentano come l’azienda stessa funziona veramente: ogni organizzazione ha una struttura formale, da cui si può desumere chi occupa quale posizione e chi riferisce a chi; ma quando si cerca di capire come realmente funzionino le cose, scopriamo una rete completamente diversa: le persone sanno a chi rivolgersi nella realtà per prendere decisioni rapide ed efficaci, indipendentemente da ciò che dice l’organigramma. Ognuno sa a chi rivolgersi se deve raccogliere informazioni aggiornate su una tecnologia o sul mercato dei prodotti. Questa rete di relazioni, di intelligenze individuali potenziate dal loro porsi in un connessione grazie alla forza dell’empatia sistemica, è ciò che oggi dobbiamo liberare se vogliamo sfruttarlo a nostro vantaggio.

Come ha ricordato anche il Pop Opinionist Alessio Mazzucco in un post dal titolo Intelligenze collettive, creatività, influenze culturali, il concetto di intelligenza generato dallo scambio e dalle relazioni non è nuovo nelle teorie sociali e organizzative: l’anima vivificante del Pop Management del resto è quell’Intelligenza Collaborativa che sviluppa concetti precedentemente introdotti da studiosi come de Kerchove, Levy e Goleman, a cui Mazzucco aggiunge  gli studi di Alex Pentland, con la sua opera seminale Fisica Sociale, gli studi delle relazioni organizzative di Rob Cross sulla collaborazione e la comunicazione tra colleghi, le analisi  sulle dinamiche di influenza culturale interna alle aziende  di Michael Arena. In ciascuno di questi casi, la matrice è sempre la stessa: la relazione umana è ciò che dà valore al singolo e non viceversa. Lo studio di queste relazioni prende il nome di Network Analysis, più specificamente Organizational Network Analysis (ONA). Nella branca di studio delle organizzazioni, tendenzialmente inserita sotto il cappello della disciplina People Analytics, la ONA ha preso il ruolo di analisi organizzativa tramite le reti, i cui dati sono raccolti tramite survey (ad esempio Con chi collabori? Con chi comunichi? A chi ti rivolgi se hai bisogno di risolvere un problema?).

Oggi, però, si sono aperte nuove opportunità. Dalla pandemia del 2020 in poi, la remotizzazione del lavoro, e poi l’adozione pervasiva dell’uso di strumenti digitali per il lavoro sincrono (call, meeting) e asincrono (gestione e lavoro su documenti, processi), ha spostato il lavoro dal fisico (qualcuno ricorda ancora le sale meeting con le lavagne e i pennarelli?) al virtuale. Per dare un’idea precisa, basti pensare all’adozione di Teams (O365, Microsoft), nelle aziende: solo nel 2020, gli utenti sono poco più che raddoppiati rispetto all’anno precedente, passando da 20 a 44 milioni a marzo, quindi a 75 milioni ad aprile, continuando a crescere fino ai 270 milioni del 2022 e 300 milioni del 2023.

Cosa significa? Secondo Mazzucco, “principalmente dati. Dati passivi per la precisione: digital footprint, tracce lasciate dalla nostra vita quotidiana sulle piattaforme lavorative (con chi parlo, a chi scrivo, da chi ricevo la mail, in quanti lavoriamo su un documento e chi, di quale ufficio, con quale ruolo e con quale seniority aziendale…). La domanda da porsi diventa quindi: cosa faccio con questi dati? Sempre dal 2020, il mondo del lavoro è stato in notevole fermento. Se prima la sperimentazione del remote work, poi di forme più o meno libere di hybrid work, oggi è il ritorno negli uffici a lanciare sfide interessanti per le organizzazioni. Con persone che, a vario titolo, hanno appreso metodi di lavoro cognitivo più efficiente (esempi: meeting più facilmente organizzabili e gestibili da remoto, meno costi di coordinamento nello svolgimento delle proprie attività), le aziende si sono ritrovate a gestire nuove criticità sistemiche emergenti: clusterizzazione sempre più spinta delle proprie relazioni sul lavoro (in sintesi, effetto campana di vetro, bolla), allontanamento dei team aziendali e diminuzione della probabilità di incontri casuali da cui far scaturire scintille di confronto e innovazione (serendipità by design), uffici da ripensare e ri-razionalizzare, con postazioni mobili, spazi ridisegnati e abitudini (e necessità) nuove per i lavoratori.

Le possibilità di analisi sulle dinamiche informali e organizzative interne si moltiplicano in questo contesto. Tenendo ferma l’utilità di chiedere alle persone con chi collaborano, magari per certe necessità specifiche (decisioni, processi, confronto), con i dati passivi a disposizione possiamo verificare come le aziende cambiano nel tempo, come si sviluppano fenomeni interni (creazione di community, disfacimento di team, uscite più o meno previste di colleghi e colleghe rilevanti per il buon fluire delle informazioni e per il raggiungimento degli obiettivi aziendali,…). Il dato diventa oggettivo, le metriche statisticamente rilevanti per creare modelli previsionali, simulare modifiche organizzative, integrazioni, soppressioni di aree per verificare come le abitudini, i processi e le relazioni si trasformano, si creano o si cancellano.

In questo la ONA interviene: potendo dare una vista privilegiata, dall’alto, di tutte le relazioni esistenti, più o meno nascoste, delle community interne, dei nodi da sciogliere per il giusto fluire delle informazioni, e potendo anche ragionare per scenari (what if?) crea uno strumento di riflessione organizzativa ideale per pensare il cambiamento, o comprendere le reali dinamiche interne».

Le pietre e l’arco

La Convivialità Pop, in conclusione,  è una traduzione sistemica della cooperazione attiva integrale, condizione essenziale della qualità totale e dell’innovazione continua. L’impresa diviene così un Mondo Vitale[ii] non prescritto, non predeterminato, transeunte e infinitamente mutabile, che il management legge, interpreta, ascolta, non solo per i suoi fini, ma anche per i fini di coloro che ha associato e cooptato – in cui dunque non è ammesso «nessuno degli abilitati a pronunziare un veto, a formulare o ad imporre (altrui) il dettame della legge: padri, pedagoghi, poliziotti, pompieri, bambinaie, maestri, sacerdoti, filosofi, suocere, ufficiali di picchetto, guardie daziarie, ronde e pattuglioni ad hoc, moralisti vari, ecc. ecc., o addirittura il governatore di Maracaibo» per dirla con il Gadda de L’Adalgisa.

L’impresa sognata da Olivetti e Mattei, ma anche da Brunello Cucinelli[iii]: soprattutto, da centinaia di piccoli imprenditori (due fra tutti: il designer Eugenio Perazza, il fondatore di Magis, da cinquant’anni azienda leader nel mondo dell’arredamento[iv]; Carlo Urbinati, Presidente e Fondatore di Foscarini[v]) e startupper italiani contemporanei[vi].

La differenza che passa fra l’Ordine di Servizio, con cui i dipendenti di una organizzazione tradizionale vengono inseriti in una unità, una funzione o un Team di progetto, e la Value Proposition con cui il Community Manager attira a sé i talenti d’impresa necessari a realizzare gli obiettivi del lavoro collaborativo, configura una nuova forma di social leadership, quella convocativa, che si costruisce nell’esercizio, anzi nel tentativo di esercitarsi. Le altre forme di potere invece – il prestigio, la tradizione, l’autorità… – sono pre-date: sono già costituite prima del loro esercizio.  Di pre-dato in questa c’è solo la volontà di esercitarla. Il prestigio viene esibito, l’autorità esercitata: la convocazione discorsiva viene costruita nell’interazione  e  in cooperazione con l’altro. «Il ponte non è sostenuto da questa o da quella pietra, ma dalla linea dell’arco che esse formano», ricorda Calvino: è il costruire relazioni “erotiche” tra chi è parte dell’azienda il primo passo per il lavoro di squadra prima, il raggiungimento degli obiettivi d’impresa poi. Job Crafting

Un esempio pratico lo ha proposto Davide Genta (spoiler: la sua Pop Opinion sarà pubblicata il 30 settembre) in un post intitolato Cartun 737[vii]. «Wiebke Doden, Uta Bindl e Dana Unger si pongono la seguente domanda: “In che modo i comportamenti di job crafting bottom-up interagiscono con il job design top-down per migliorare l’efficacia dei dipendenti, considerando variabili come l’energia e la performance sul lavoro?”

Per chi non si diletta con il tema, per job-crafting si intendono quei comportamenti proattivi e auto-iniziati dai dipendenti per modificare e ridefinire il proprio lavoro in modo da soddisfare le proprie esigenze e interessi (ad esempio: la modifica delle interazioni sociali, delle responsabilità lavorative o dell’ambiente di lavoro) mentre per Job Design Top-Down intendiamo l’approccio formale e strutturato progettato dall’organizzazione con cui i manager definiscono le mansioni, le responsabilità e le interazioni sociali dei dipendenti (di norma imposto dall’alto e teso a ottimizzare l’efficienza e la produttività).

Per rispondere conducono 2 studi di campionamento dell’esperienza su 10 giorni lavorativi con dipendenti a tempo pieno (Studio 1: N=845, Studio 2: N=793).

Scoprono che:

– Il job crafting orientato alla promozione è associato positivamente alla performance dei compiti, aumentando i livelli di energia, specialmente in contesti di bassa interdipendenza dei compiti.

– Ma, il job crafting quando orientato alla prevenzione, può esaurire l’energia in contesti di bassa interdipendenza dei compiti, tuttavia la aumenta in contesti di alta interdipendenza.

– L’efficacia delle diverse forme di job crafting dipende dal contesto del design del lavoro, in particolare dall’interdipendenza dei compiti.

– La teoria della conservazione delle risorse (COR) spiega come il job crafting influisce sui livelli di energia e, di conseguenza, sulla performance dei compiti.

Cosa si deve dunque fare in azienda?

– I dipendenti dovrebbero adottare un approccio proattivo per interagire con i colleghi, specialmente in contesti di lavoro con bassa interdipendenza dei compiti.

– Le organizzazioni possono supportare queste iniziative creando opportunità sistematiche per interazioni sociali formali e informali.

– In contesti di alta interdipendenza dei compiti, i dipendenti possono limitare le interazioni per preservare l’energia. Le organizzazioni dovrebbero comprendere e supportare questa scelta per prevenire l’esaurimento dovuto a richieste relazionali eccessive.

– I dipendenti devono adattare le loro strategie di job crafting alle esigenze del contesto lavorativo per mantenere alti livelli di benessere e prestazioni.

Come al solito, interazione, interazione, interazione tra le parti. Finale: performance».

Un buon lavoro secondo Charles Bukowski

Coloro che vivono in mezzo ai mille meschini conflitti che deturpano le relazioni umane in tutti i contesti organizzativi, dai più piccoli ai più grandi, sanno bene come sia oggi più che mai necessario trovare delle modalità diverse di interagire: modalità conviviali, tali per cui il luogo di lavoro viene dominato dall’eros e dalla cooperazione discorsiva. Dove si realizza  l’attualizzazione del potere di parola e d’iniziativa attribuito a tutti i soggetti-persone presenti nel sistema. Dove al modello del “comanda e controlla”, si sostituisce la logica della delega e dell’attribuzione di responsabilità. Dove, come insegna Karl Weick, il “significato” dell’esperienza lavorativa non è imposto a priori dall’alto ma è ricostruito a posteriori dai singoli individui che vi hanno partecipato. Su questo torneremo approfondendo il concetto di sensemaking.

Certo, si potrebbe osservare, è facile proporre questo modello per attività creative come quelle svolte in un laboratorio di ricerca, o uno studio di consulenza, o un team di progetto, o una rock band. Ma che dire della realtà di uno stabilimento industriale, di un call center, di un cantiere edile, tanto per fare qualche esempio? Credo che un buon modo per affrontare tale domanda sia quello di affidare la risposta ad un personaggio che sicuramente è lontano da ogni retorica manageriale: Charles Bukowski.

Riprendo qui un discorso accennato in Prolegomeni 7. Bukowski, che nella sua vita di mestieri ne ha fatti  tantissimi (anche perché lo cacciavano o si faceva cacciare da tutti i posti in cui lo accettavano), di lavoro, specie di quello faticoso, sporco, mal pagato, se ne intendeva. Come direbbe Lou Reed, di passeggiate on the wild side dei contesti organizzativi, oltre che della vita in generale, se ne è fatte  parecchie. Ne parla in opere come Post office e Factotum (da cui è stato tratto anche un buon film con Matt Dillon nel 2005), oltre che in versi come quelli di Chiedere la carità:

Ho fatto così tanti lavori che

mi sento come se

mi avessero sventrato e avessero buttato

le mie budella al vento.

Tuttavia, ha scritto anche una poesia, intitolata Un buon lavoro, illuminante e carica di speranza. Inizia così:

Certi mestieri non sono male,

c’è un che di

puro, di gentile,

in alcuni.

Incoraggiante, no? Ma probabilmente, pensiamo, si riferisce ai medici, ai giardinieri e agli insegnanti che Wislawa Szymborska, nel discorso pronunciato in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Letteratura, sono ricchi del senso dettato dall’ispirazione di chi li svolge. «L’ispirazione non è un privilegio esclusivo dei poeti o degli artisti in genere. C’è, c’è stato e sempre ci sarà un gruppo di individui visitati dall’ispirazione. Sono tutti quelli che coscientemente si scelgono un lavoro e lo svolgono con passione e fantasia. Ci sono medici siffatti, ci sono giardinieri siffatti, ci sono pedagoghi siffatti e ancora un centinaio di altre professioni». Macché:

come quando

scaricavo dai vagoni merci

il pesce

surgelato.

E la job description immediatamente successiva conferma che il vecchio “Hank” sta parlando di un compito durissimo:

il pesce arrivava imballato

in confezioni grosse quanto casse

da morto

stupendamente

pesanti e

quasi

impossibili da spostare

per svolgere il quale gli addetti possono fare conto unicamente sulla loro forza fisica:

ti davano dei guanti spessi

e un uncino,

dovevi arpionare uno

di quei maledetti affari

e sbatterli giù

sul pavimento facendoli scivolare

fuori, fino a dentro

il camion

che aspettava.

Poesia? Sensemaking? Pop management?

Ma lasciamo stare, viene da dire. E invece, proprio arrivati a questo punto, cominciamo a trovare una serie di conferme al fatto che è possibile operare in una logica diversa da quella dello Scientific Management anche in condizioni estreme. Bukowski si accorge che in quel lavoro c’è qualcosa di anormale:

la cosa strana è che non c’era

nessun caporeparto.

ci lasciavano semplicemente

a noi stessi, lì dentro,

sapendo che avremmo

fatto ciò che dovevamo.

Dunque, i lavoratori vengono lasciati soli, senza nessun controllo. Vengono responsabilizzati sul risultato finale. Viene data loro quella fiducia che spesso è negata agli impiegati, e persino ai quadri e ai dirigenti, dotati di un livello di istruzione superiore nelle grandi aziende. Ma come utilizzano questa fiducia Bukowski e i suoi accoliti? E qui sembra cascare l’asino:

spedivamo

sempre qualcuno

dei ragazzi a prendere

un’altra bottiglia

di vino.

Sento già il sogghigno dello Scientific Manager: ecco cosa succede quando manca il controllo. Se ne approfittano subito, i bastardi. Ma Bukowski lo zittisce subito. Il vino è necessario per scaldarsi e non morire assiderati:

quelle celle frigorifere

erano fredde

e scivolose.

I nostri uomini cominciano così a lavorare di buona lena, quasi allegramente:

tiravamo fuori

quel pesce surgelato

ci scolavamo il vino

e le stronzate

volavano.

Succede quello che Weick ritiene indispensabile a produrre senso: si crea un ambiente sociale conviviale. Non siamo nell’aristocratico Simposio platonico e neppure in una miniera disneyana a fianco dei setti nani: ma c’è cordialità, amicizia, collaborazione. Certo,

ogni tanto ci scappava

qualche rissa.

Ma

mai niente di davvero

violento.

E succede un’altra cosa sorprendente: io, afferma con orgoglio Bukowski, l’uomo che in vita sua ha litigato con chiunque gli sia capitato a tiro,

ero quello

che metteva pace.

basta con queste cazzate! portiamo questo

pesce fuori

di qua! dai!

poi riprendevamo

a ridere

e a sparare

stronzate.

Bukowski scopre in sé una autorevolezza fondata, per una volta, sulla sua personalità e non sulla sua abilità pugilistica; una potenzialità di leadership carismatica; una possibilità esistenziale che non si sarebbe attualizzata mai più in seguito, facendo altri mestieri anche meno faticosi. Perché scaricare il pesce è pesantissimo:

verso sera

diventavamo tutti silenziosi.

il pesce ci sembrava

sempre più pesante.

i polpacci cedevano,

le ginocchia

si riempivano di lividi

e il vino

nello stomaco

si faceva sentire.

e quando

arrivavi all’ultima cassa

la scaraventavi

fuori

solamente con la forza

dei nervi.

quando timbravi

l’uscita

anche il cartellino

ti sembrava

pesante.

Non solo, ma l’aver trascorso la giornata in un ambiente lavorativo umanamente confortevole lascia intatti i problemi della vita:

ti ritrovavi poi

nella tua vecchia macchina

e tornavi

a casa,

alla tua baracca,

chiedendoti

se quel che

ti aspettava

era una bella serata

o l’inferno.

E c’è da pensare che, con ogni probabilità, si sarebbe concretizzata la seconda alternativa. Eppure, non può fare a meno di ricordare Bukowski,

tutto quel lavoro

col pesce

surgelato,

era un pensiero

gradevole

e confortante.

Un’altra conferma delle indicazioni di Weick che riprenderemo: nel sensemaking è centrale la retrospettività, consistente nel rielaborare l’esperienza lavorativa a posteriori, raccontandola, facendone oggetto di una storia “degna di nota”, viva, interessante, da cui trarre quel senso che diventa fonte di motivazione per il futuro.

Anche la nostra poetessa preferita, Wislawa Szymborska (insieme a Emilly Dickinson), ha notato Gammaitoni, spesso «scrive di come vivere attraverso il come si è vissuto. Al bambino – figura frequentemente corrente nelle sue poesie – si insegna a camminare senza indicare dove le gambe lo porteranno, ma gli si insegna a non cadere, a guardarsi intorno e a raggiungere un obiettivo: le braccia aperte di un parente. Solo in un secondo momento si danno si trovano i perché». Come accade a Bukowski, il quale scopre solo pensandoci sopra dopo che

saresti tornato

a farlo ancora,

ad arpionare

e trascinare quelle casse.

E che così conclude la narrazione di quella giornata particolare:

la notte

scendeva

e tu accendevi

i fari

e in quel momento

esatto

il mondo non era

niente male.

(Charles Bukowski, Spegni la luce e aspetta, Minimum Fax)

34 – continua

[i] Il personigramma è stato proposto nel 1996 da Piero Trupia, come alternativa “umanistica” all’organigramma, con un cambiamento di paradigma dall’impresa come insieme di organi all’impresa come insieme di persone, fino ad insiemi di persone che possono perfino andare oltre le organizzazioni stesse. Cfr: http://www.marcominghetti.com/humanistic-management/le-parole-chiave-dello-humanistic-management/personigramma/.

[ii] Cfr: http://www.marcominghetti.com/humanistic-management/le-parole-chiave-dello-humanistic-management/mondo-vitale/.

[iii] Cfr.: https://www.brunellocucinelli.com/it/humanistic-capitalism-and-human-sustainability.html.

[iv] Cfr.: Marco Minghetti, Magis: innovazione etica e poetica, 3 agosto 2015, NOVA100 .

[v] Cfr.: Marco Minghetti, Foscarini: l’innovazione come serendipity creativa, 16 Ottobre 2015, NOVA100

[vi] Cfr: https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/category/genius-loci-e-sregolatezza/.

[vii] Cfr.: https://www.linkedin.com/posts/davide-genta-74612392_jobcrafting-jobdesign-performance-activity-7226082025894514688-8QLZ

34 – continua

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE  POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO