Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 27 – Storytelling Pop. Opinion Piece di Luca Cavallini

Luca Cavallini è Managing Partner di Arteficegroup e portavoce del Branding HUB di UNA, l’Associazione delle Aziende di comunicazione, il cui obiettivo è costruire e diffondere la cultura di marca, portando al centro di ogni strategia di marketing, o attività di comunicazione, la marca, i suoi valori, la sua essenza, il suo impegno etico e sociale, il suo ruolo guida strategico.

 

Dall’identità di marca al Branding

Luca Cavallini

La vera storia delle  M&M’s

Nel 1938, Forrest Mars, figlio del fondatore dell’azienda dolciaria Mars, dopo un litigio con il padre decise di trasferirsi in Europa. Durante quel breve soggiorno lavorò per Nestlè e Tobler Company, fondò la Food Products Manufacturing, lanciò la Uncle Ben’s Rice line e la linea di pet food Pedigree.

Nel 1940 Forrest Edward Mars decise di tornare negli Stati Uniti e insieme a Bruce Murrie, figlio del presidente della compagnia dolciaria americana Hershey, la più grande compagnia statunitense nella produzione di cioccolato, fondò la M&M Limited, per dare vita ai famosi cioccolatini M&M’s. L’idea per questo prodotto gli venne (o almeno così narra la storia aziendale) osservando alcuni soldati spagnoli mangiare cioccolatini ricoperti di glassa di zucchero durante la Guerra civile spagnola. Così nel 1941 nacquero le M&M’s che ebbero un enorme successo tra i soldati durante la Seconda guerra mondiale.

Lo slogan per il lancio fu affidato a Rosser Reeves, uno dei pubblicitari più famosi della storia. Reeves è l’inventore del concetto di “Unique selling proposition” (Usp), ovvero la tecnica di basare la pubblicità sull’affermazione del singolo elemento che rende unico il prodotto rispetto alla concorrenza. Per le M&M’s, Reeves inventò uno degli slogan più famosi di tutti i tempi: “Melts in your mouth, not in your hands”, ovvero “Si sciolgono in bocca, non nelle mani”.

Gli M&M’s caratterizzati dalle diverse colorazioni della glassa esterna e dalla celebre lettera “m” impressa sulla superficie, oltre ad essere uno dei prodotti di consumo più famosi del mondo, sono anche un caso di successo nella storia della pubblicità ogni volta che si parla di Usp. Ciò che spesso non si dice, però, è che la unique selling proposition delle M&M’s non è mai stata davvero unica. I cioccolatini ricoperti di zucchero che Forrest Mars aveva visto tra le mani dei soldati durante la Guerra civile spagnola altro non erano che delle Smarties.

Ciò che ha reso famosi gli M&M’s non è un’innovazione di prodotto, ma un gentleman agreement tra Mars e George Harris, uno dei dirigenti della Rowntree, la società produttrice delle Smarties, per spartirsi i mercati.

Col passare del tempo e l’apertura dei mercati, M&M’s e Smarties hanno finito per entrare in competizione diretta non solo tra loro, ma anche con le nuove Skittles, confetti di zucchero alla frutta, inventate nel 1974 e distribuite sempre dall’azienda Mars. Tre prodotti, stesse caratteristiche: dolcetti i ripieni, ricoperti di cioccolato e zucchero.

Il valore della marca

Cosa rende questi prodotti diversi tra loro? Cosa li rende unici e distintivi?  Qual è allora la unique selling proposition?

La domanda non è affatto così scontata. Oggi sul mercato esiste una grande quantità di prodotti simili, la maggior parte dei quali non ha nulla di realmente unico o distintivo a livello di ingredienti, materiali, tecniche di produzione, o funzioni specifiche.

Ci sono ovviamente delle differenze di prodotto, ma sono quasi sempre troppo piccole per riuscire a definire una Usp valoriale e influenzare le scelte dei consumatori. C’è qualcosa oltre al prodotto…

Cosa rende diverse Pepsi e Coca-Cola, ad esempio? In un assaggio alla cieca distinguere le due bevande risulta molto difficile (anche per chi lavora in quelle aziende, come ha mostrato in maniera divertente il documentario di Netflix “Pepsi, Where’s My Jet?”).

Negli anni ‘80 la PepsiCo lanciò la Pepsi Challenge, una campagna marketing per promuovere la propria bevanda attraverso un blind test in cui venivano fatte assaggiare ai partecipanti due bevande di cola, senza svelare la marca e senza far vedere le lattine del prodotto.

Pepsi notò una cosa interessante e alquanto preoccupante: quando chiedeva ai consumatori se preferissero Coca-Cola o Pepsi, la maggioranza dichiarava di preferire la bevanda della Coca-Cola. Tuttavia, nei blind test (prove di assaggio alla cieca) la Pepsi risultava essere la bevanda cola preferita dalla maggioranza dei consumatori! L’obiettivo dell’esperimento, che era aumentare l’awareness e le quote di mercato di Pepsi nei confronti del diretto competitor e leader di mercato, in realtà dimostrò che le persone affermano di preferire Coca-Cola perché sono influenzati dal “potere” del brand, non dal gusto.

Nota storica: in risposta alla Pepsi Challenge, temendo che tali indagini potessero avere un effetto negativo sulle vendite e sulla sua quota di mercato, Coca-Cola decise di rivedere la sua formula originale, e di lanciare un nuovo prodotto, dal sapore più dolce e più simile a Pepsi, e che avrebbe dovuto sostituire la Coca-Cola a cui tutti erano affezionati. La New Coke venne lanciata ufficialmente il 23 aprile 1985. I pessimi dati di vendita della New Coke e le continue proteste dei consumatori costrinsero la multinazionale a tornare alla formula originale, ribattezzata “Coca‑Cola Classic”, dopo soli settantanove giorni dal suo lancio.

L’unicità del brand

Questi esempi aiutano a sottolineare l’importanza del legame tra il valore di marca, la percezione di marca e la sua Usp: in un mondo di infinite scelte e promesse simili, quando tutti cercano di distinguersi allo stesso modo, nessuno spicca davvero. Come possiamo differenziarci in un’epoca dove la maggior parte dei prodotti è intercambiabile e niente resta unico a lungo?

Con la diffusione di internet e dei social network «il processo di evoluzione dei media spinge la società verso una crescente confusione tra il reale e l’immaginario», ha scritto Vanni Codeluppi nel suo Opinion Piece. E oggi le intelligenze artificiali rendono ancora più confuso lo scenario: «Le aziende possono non solo prevedere le tendenze, ma anche personalizzare le esperienze dei consumatori e anticipare le future ondate culturali», ha scritto il Pop Opinionist Marco Milone in Prolegomeni 17

In questo scenario, l’esperienza della Pepsi Challenge ci insegna che la differenziazione avviene molto più facilmente al livello di identità del brand che a livello di prodotto: il branding diventa quindi uno strumento fondamentale per definire l’identità della marca, i suoi valori portanti, i benefit emozionali associati che possono influenzare l’esperienza e le preferenze dei consumatori, per renderla unica e rilevante per il consumatore.

Valorizzare la differenza e l’unicità del brand apre scenari nuovi per definire cosa la rende distintiva, e come questi elementi di differenziazioni siano rilevanti per le scelte del consumatore.

Quando parliamo di branding dobbiamo analizzare la marca in modo molto più ampio e approfondito: i riferimenti non sono più solo i concorrenti, le quote di mercato e le caratteristiche di prodotto. Nel contesto attuale la marca deve saper comunicare in modo coerente ai diversi target e alle diverse community di consumatori e utenti, i propri  valori, gli obiettivi di purpose (un concetto molto più allargato che non si riferisce solo ai temi della sostenibilità ambientale), di condivisione, inclusione e uguaglianza sociale, il proprio  impegno sociale e l’impatto sulla comunità in cui opera.

Secondo John Locke, un filosofo empirista, l’unicità della persona è basata sulla continuità dei ricordi e delle esperienze: secondo lui, la memoria gioca un ruolo cruciale nel mantenere l’identità individuale nel tempo. Accade lo stesso con i brand e la loro storia. Pensate a come i brand di moda abbiano costruito un immaginario nella mente dei consumatori trasformando in icone prodotti come i bauli Louis Vuitton, la borsa Birkin di Hermès, o il profumo Chanel No. 5.

Un altro esempio arriva dai filosofi esistenzialisti come Jean-Paul Sartre, secondo i quali l’unicità deriva dalla libertà di scelta. Ogni persona è unica perché prende decisioni diverse, crea il proprio percorso e assume la responsabilità delle proprie azioni. Anche in questo caso possiamo tracciare un parallelo con il branding: oggi sempre più scelte d’acquisto avvengono a livello valoriale, premiando i brand che si comportano in maniera virtuosa nei confronti dell’ambiente o delle persone, e su temi come la diversità o la parità di genere.

Questi esempi dimostrano come l’unicità di un brand possa essere definita da fattori molto più ampi e complessi rispetto alle caratteristiche del prodotto. Il vero successo del branding sta proprio nella capacità di trovare quegli elementi di differenziazione, i valori, la purpose e il posizionamento della marca nel mercato, di creare una storia e uno stile narrativo che risuona con i consumatori, e che costruiscono una relazione di fidelizzazione fino a farli diventare brand ambassador.

Il cambio di paradigma e il branding allargato

Arteficegroup, il gruppo di comunicazione di cui sono Managing Partner, ha fatto di questo approccio il proprio elemento distintivo. Il nostro obiettivo è guidare i nostri clienti attraverso ogni aspetto strategico dei loro brand: “Branding the difference” è il nostro metodo e approccio strategico per l’analisi e la costruzione degli elementi che definiscono l’identità di marca e che siano capaci di differenziarla nel mercato, per andare oltre la funzionalità del prodotto e costruire una relazione unica con il consumatore, per affermare l’identità di marca attraverso la  sua eredità valoriale e l’impegno verso valori profondi e duraturi, e comunicare in modo coerente in tutti i canali.

Non tutte le marche, i prodotti o servizi hanno una USP da poter esibire come se fosse un elemento di unicità: ciononostante tutte le marche hanno la necessità di costruire la loro unicità, la loro ragione d’essere, gli elementi di differenziazione e di coinvolgimento sul quale costruire un rapporto con i propri target e le comunità in cui operano e comunicano. In questo processo di definizione dell’identità di marca è diventata ancora più importante la costruzione di un linguaggio proprietario che sia impattante e simbiotico con i pubblici di riferimento. Che sia capace di favorire la conoscenza, di implementare la collaborazione, di creare un’esperienza coerente e positiva per il cliente in ogni interazione con la marca o l’azienda (vedi su questo il post di Marco Minghetti: Tempo di Total Communication Strategy!)

Non è un caso che i nuovi target abbiano cambiato radicalmente il proprio orientamento di scelta dei brand che li rappresentano a favore di valori, condivisione, inclusione. Una marca oggi non può non tenere conto di questo cambio di paradigma.

Non si tratta di non valutare l’importanza del prodotto – che resta anzi un cardine delle nostre strategie – ma di riconoscere che avere il miglior prodotto non è garanzia di successo. Bisogna rendere quel prodotto diverso, unico e rilevante attraverso il branding, ovvero costruendo una storia e una narrazione autentica e credibile attorno all’azienda, alla marca o al prodotto.

L’ obiettivo del nostro lavoro è costruire e diffondere la cultura di marca, per aiutare le aziende e i loro manager a sviluppare strategie adattative volte a mantenere una comunicazione efficace e coerente in maniera continuativa nel tempo, a diffondere in maniera ottimale i contenuti e i messaggi verso tutti gli stakeholder e verso i consumatori. E affrontare gli sviluppi dei canali di comunicazione e il contesto competitivo e di oggi e di domani (spero di condividere presto un progetto davvero ambizioso, che abbiamo chiamato Brand Reference, che vuole offrire alle aziende e ai managers tutti gli strumenti utili per la costruzione della marca).

«Il prodotto si costruisce nella fabbrica. La marca si costruisce nella mente» (David Ogilvy, Confessioni di un pubblicitario). Come ha scritto Matteo Lusiani nel suo Opinion Piece: “Il modo in cui i brand contribuiscono alla cultura è immettendo al suo interno delle storie”. Perché secondo Lusiani i brand non sono solo entità commerciali, ma narratori. E il processo di branding è l’insieme di attività strategiche e operative che contribuiscono alla costruzione e alla gestione della marca e all’autenticità della sua narrazione.

Il Manifesto del Pop Management che uscirà dai contributi che Marco Minghetti sta raccogliendo dovrà tenere conto anche del ruolo, della capacità delle marche e delle loro storie di unire e mantenere unite le persone, sia all’interno delle aziende che all’esterno, tra i consumatori.

La sfida è definire l’unicità e costruire gli elementi di differenziazione che rendono unica la narrazione della propria storia nel tempo. Così unica da poter gestire, interpretare e adattarsi all’impatto che l’Ai e i Big Data possono avere sulle scelte dei consumatori.

Concludo citando ancora Marco Milone: «l’uso dell’Intelligenza Artificiale nel Pop Management apre un mondo di possibilità per innovare e connettersi con i consumatori e costruire relazioni di fiducia e trasparenza con i clienti».

E questo compito appartiene al concetto più ampio di branding, che credo debba diventare una delle abilità più importanti richieste a un Pop Manager, di oggi e domani.

27 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti:

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI