Pubblico con piacere il contributo del Pop Opinionist Alessio Mazzucco, amico e collega in OpenKnowledge. Alessio ha oltre dieci anni di esperienza in consulenza e pubblica acute analisi sulle trasformazioni del presente guardando ai trend che attraversano la società nella sua newsletter,The Alchemist’s Gate.
Il pezzo, incentrato sull’impatto delle Pop Technology sulle organizzazioni, si pone in linea di ideale continuità sia con la precedente analisi di Marco Milone, che si soffermava su AI e Big Data, sia sull’ampia discussione in corso sulle nuove modalità aziendali di Collaborazione Pop.
L’impatto delle Pop Technology sulle Organizzazioni
Alessio Mazzucco
L’ergonomia cognitiva come leva di transizione verso il Pop Management
Ricordate la serie Bored Monkey? Nel 2022, NFT, OpenSea, MetaMask e il metaverso erano sulla bocca di tutti. La blockchain, una tecnologia complessa con già una decina di candeline spente, era improvvisamente al centro dell’attenzione, trasformandosi in un fenomeno pop grazie agli NFT. Non serviva conoscere i dettagli tecnici della blockchain per capire il valore di un NFT: si sapeva che Bored Monkey erano pezzi unici da collezione, e questo bastava a rendere il concetto accessibile e popolare (finché la moda è passata).
Con l’IA stiamo assistendo a un fenomeno simile. Midjourney e DALL-E hanno reso la Generative AI un argomento di discussione comune: la GenAI ha democratizzato l’accesso a tecnologie complesse, permettendo a chiunque di creare, ad esempio, grafiche artistiche senza dover comprendere le intricate basi teoriche delle reti neurali (o anche gli stili artistici e creativi del momento). Quello che un tempo era dominio di esperti accademici ora è alla portata di tutti: l’IA è in qualche modo diventata Pop.
Questi esempi evidenziano un principio chiave: la tecnologia diventa Pop quando è cognitivamente ergonomica. L’ergonomia cognitiva si riferisce a quanto uno strumento riesce a inserirsi e incasellarsi nei nostri schemi mentali, rendendosi semplice da adottare e usare. I social network ne sono un esempio perfetto: hanno puntato tutto sulla semplicità e sull’accessibilità, diventando così parte integrante delle nostre vite quotidiane.
Cito i social network non a caso.
In una riflessione-chiacchierata con Massimo Lupi, Professore di Learning&Development presso la Statale di Milano e Organizational Behaviour presso il GSOM del Politecnico di Milano, proposta nell’articolo L’IA ci impoverirà intellettualmente?[1], notavamo come la dinamica d’influenza che le aziende hanno avuto sulla società nel secondo Novecento si sia improvvisamente invertito: oggi non è più l’azienda, con il marketing, i prodotti e la propria immagine a dettare usi e costumi sociali, ma è la società a prendere d’assalto le strutture organizzative.
Come dicevo, i social network sono un esempio. Riprendendo la riflessione iniziata su questo blog sul tema Community aziendali[2], l’adozione di uno strumento/metodo di collaborazione social in ambito organizzativo ha una conseguenza importante: «poter usare funzioni specifiche che mutuano le caratteristiche dal mondo dei social network (prima) e dei social media (ora) significa usare strumenti che hanno superato la prova del tempo, dell’adoption e dell’ingaggio di miliardi di persone nell’arco degli ultimi vent’anni […]: parliamo di hashtag per indicare gli argomenti, o di menzioni (@) per richiamare l’attenzione di un/a collega, parliamo di CTA per ingaggiare e di reaction per comprendere se un tema ha attratto o meno l’attenzione dei nostri lettori (like, commenti, condivisioni)»[3]
Oggi, questa penetrazione Pop della tecnologia sta trasformando anche le aziende, ben oltre le community aziendali. Comunichiamo con like ed emoji, scriviamo su Teams come se fosse WhatsApp, abbandonando formalismi e abbracciando un linguaggio più immediato e informale, fatto di modi di dire, neologismi, memi[4]. Le subculture nate sui social network stanno cambiando il modo in cui lavoriamo e interagiamo all’interno delle organizzazioni, con cui ci rapportiamo con i nostri superiori o i nostri riporti, con cui gestiamo riunioni o progetti.[5]
Questa evoluzione non è solo una questione di linguaggio, ma riguarda l’adozione di pratiche e strumenti digitali che favoriscono una maggiore fluidità e immediatezza nelle comunicazioni e attitudini diverse alla collaborazione. Strumenti come Slack e Microsoft Teams, con le loro interfacce intuitive, hanno rivoluzionato il modo in cui gestiamo progetti e interagiamo con i colleghi; non è stato solo il modo di utilizzo, ma l’intensità a mutare: dopo la grande ondata di adozione di O365 e Microsoft Teams nel periodo pandemico, il trend già consolidato di aumento della collaborazione continua (meglio dire sincrona) è esploso, mutando profondamente la natura stessa del lavoro dei knowledge worker, costretto a lavorare in modalità collaborative per l’85% del proprio tempo[6]. Non possiamo farne a meno: è la social-culture che ha catturato le strutture lavorative e collaborative aziendali.
Come può rispondere l’azienda tradizionale allo tsunami Pop?
Non potendo fermare il vento con le mani, né avrebbe senso farlo, la domanda che un management deve porsi è cosa farne, o come rapportarsi, con la permeabilità delle proprie strutture organizzative all’ondata Pop delle tecnologie.
Propongo tre risposte, fra le molte possibili.
La prima: intercettare i trend esterni (tecnologia) e interni (modalità d’uso). Secondo un recente studio di Microsoft e LinkedIn, entro il 2028 86% dei dipendenti userà strumenti di IA nel proprio lavoro, e già oggi il 75% lo fa, utilizzando strumenti non in perimetri aziendali (con conseguenze su sicurezza, privacy, gestione dei dati,…). Il fenomeno BYOAI (Bring Your Own AI [at work]) è già consolidato e funziona oggi per la GenAI, ma anche per altri strumenti come, ad esempio, Whatsapp per le comunicazioni one-to-one.[7] Perciò, nei progetti di adozione di Copilot (la GenAI integrata nell’ecosistema O365 di Microsoft), OpenKnowledge, l’azienda per cui lavoro, parte sempre dalla raccolta, analisi e sintesi degli use case aziendali per capire come inserire lo strumento al meglio nell’operatività quotidiana.
La seconda: capirne i reali benefici. Che l’IA, e la sua declinazione accessibile di GenAI, siano strumenti che aiutano i dipendenti con la produttività è ormai assodato; che questa maggiore produttività abbia un impatto aziendale rilevante è ancora tutto da dimostrare.[8] In primo luogo, così come nella società il contributo dei singoli non equivale a un risultato sistemico pari alla loro somma (ma più o meno a seconda dei moltiplicatori e degli effetti complessivi), in un’azienda non è detto che sintetizzare le minute in pochi secondi dia un contributo sistemico all’intera organizzazione; in secondo luogo, ponendo che l’adozione dia risultati positivi e renda i singoli individui autonomi, l’organizzazione deve capire come strutturarsi per far sì che queste autonomie non siano in contrasto con il disegno aziendale complessivo (mi spiego: se la GenAI permette l’accesso a dati complessi con relativa estrazione di insight, professionisti senza specifiche competenze di analisi dei dati potrebbero essere autonomi nella lettura e nell’analisi dei fenomeni aziendali, con impatti conseguenti sulle strutture e i processi decisionali).
La terza: comprendere, in termini più generali, come l’ingresso di tecnologie ergonomiche porterà le attitudini cognitive dei knowledge worker a cambiare mutando, di conseguenza, capacità, competenze e attività al di là di ciò che possiamo immaginare oggi. Verranno meno percorsi standard di crescita professionale, si potrà accedere a segmenti di mercato precedentemente preclusi (alcuni aspetti dell’ambito creativo o analitico, per riprendere due esempi menzionati in precedenza), e si renderà necessario lo sviluppo di un diverso tipo di competenze (LinkedIn le etichetta come AI Attitude[9]).
Per concludere, le Organizzazioni oggi non dettano le regole sociali, al netto di quelle Big che creano le tecnologie (Apple, Google, Meta, OpenAI, Microsoft,…), ma le subiscono. È la regola del Pop: non è diffuso ciò che necessariamente è bello, o utile, ma ciò che piace ed è facilmente adottabile: riconoscerne portata, rischi e complessità è la sfida contemporanea di ogni manager.
[1] L’IA ci impoverirà intellettualmente?, The Alchemist Gate, 22 aprile 2024, LINK
[2] Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 12 – Collaborazione Pop. L’irresistibile ascesa delle community aziendali interne, 3 giugno 2024, LINK
[3] Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 14 – Collaborazione Pop. Le community aziendali: uno stato dell’arte, parte prima, Marco Minghetti, 10 giugno 2024, LINK
[4] Ne parliamo nell’allegato Harvard Business Review Italia a firma OpenKnowledge Parole, Segni, Culture e, in particolare, nell’articolo Memare. Memare sempre. Memare ovunque, a cura di Sara Cristani, Alessandra Giulia Ferrari, Silvia Ferrari, Alessio Mazzucco, Massimo Tanganelli, dicembre 2022
[5] Se ne parla già in Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 7 – Leadership Pop. Apertura, Agio, Autonomia, Auto-espressione, Marco Minghetti, 16 maggio 2024
[6] Ne parlo in Collaboriamo Troppo?, The Alchemist Gate, 9 aprile 2024, LINK. Cfr. anche How to Fix Collaboration Overload, Rob Cross, Michael Arena, Greg Pryor, Rebecca Hinds, e Tim Bowman, HBR, 9 dicembre 2022, LINK
[7] AI at Work Is Here. Now Comes the Hard Part, Microsoft and LinkedIn, 2024 Work Trend Index Annual Report, LINK
[8] Ne parlo in Useremo l’IA per scrivere le minute?, The Alchemist Gate, 16 maggio 2024, LINK, e in Con l’IA rischiamo la disoccupazione tecnologica?, The Alchemist Gate, 10 giugno 2024, LINK
[9] Cfr. nota 4.
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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