Oggi è il turno del “Pop Opinionist” Alessandro Giaume, innovatore seriale e autore, fra l’altro, di AI Brands. Ripensare le marche nell’economia algoritmica e Human Capital 4.0 (con Alessia Canfarini).
Nell’impresa algoritmica gli innovatori sono incubatori di se stessi
Alessandro Giaume
Diamo tranquillamente per scontato che anche (soprattutto?) nella gestione dei processi che sostengono l’innovazione sistemica occorra accettare la necessità di utilizzare nuovi paradigmi che siano di volta in volta in grado di intercettare la complessità evolutiva del mondo odierno. Dobbiamo essere in grado di cogliere gli aspetti di valore che la storia della scienza del management dell’innovazione, attraverso i suoi più importanti esponenti, ci ha portato, per trasformarli negli strumenti che ci rendano capaci di condurci dove il pensiero vorrebbe portarci.
Le organizzazioni odierne, immerse in una economia capitalistica, non si sono potute (o volute, la responsabilità condivisa attraverso il gioco dei budget è di fatto una non responsabilità) liberare dallo scafandro del predict and control, certamente utile per rimanere ancorati alle profondità del proprio presente, ma inutile, e anzi dannoso, nel momento in cui la sfida si giochi sulla “galleggiabilità” organizzativa.
Non necessariamente o unicamente il sense and respond, caro alle Teal Organization di Frederic Laloux[1], sarà la strada che ci sentiremo di intraprendere sempre e comunque. Anche questi modelli, per quanto affascinanti e di sicuro adatti a fasi trasformative, non sono in grado di assicurare la navigabilità quando la zona di comfort va in realtà ricercata nel disordine[2]. Occorrono nuove competenze che ci rendano capaci di unire i puntini in modo flessibile, intendendo con questo capaci di cambiare se stessi con la stessa facilità con la quale il solo pensarlo lo rende compiuto. E occorrono nuovi spazi dedicati allo sviluppo e alla gestione dell’innovazione, abilitando processi e pensieri altrimenti non perseguibili se non a costo di pesanti implicazioni personali.
Questo non significa la necessità di far cessare l’esistenza di regole, ma piuttosto lo sviluppo di una attitudine che consenta di cambiarle al minimo segnale di stanchezza o di impauperimento del ragionamento critico e collettivo. Insomma, per dirla con i fautori delle Exponential Organizations[3], nessuna inerzia attiva a sostegno di uno status quo certamente utile alla sopravvivenza dell’organizzazione come la si conosce oggi, ma anche ostativa nei confronti dell’innovazione.
Vijay Govindarjan, in un suo testo storicamente denso di significato[4] ha delineato quali dovessero essere i contesti nei quali fosse possibile sviluppare innovazione. Che fosse dentro, fuori o attraverso, una cosa avevano in comune i tre loci dell’innovazione, una “scatola”: gestire il presente, creare il futuro, riorganizzare l’organizzazione, questi i tre macro ambiti di riferimento, con un punto fermo, ovvero la separazione delle attività di innovazione dal business principale.
L’innovazione è una cosa seria e per realizzarla davvero occorrono una struttura separata, con risorse dedicate e un focus specifico sulla creazione di futuro.
In tal senso si realizza adesso la necessità di avere campo libero nella revisione dei paradigmi che regolano il business corrente, contrastandolo da un punto di vista intellettuale, ma senza metterlo in difficoltà da un punto di vista operativo.
Non cambierà mai il fatto che in qualunque tipo di organizzazione serve un fortissimo coinvolgimento del top management nell’attuazione dell’innovazione sistemica. Ma lo stile di management che è richiesto in queste circostanze si allontana dai canoni istituzionalizzati del dirigismo sempre e comunque, per atterrare su quanto anticipato nel capitolo 1 di questi Prolegomeni dal loro autore “un Top Manager Pop in quanto espressione di uno stile manageriale aperto, fondato sulla condivisione di informazioni, opinioni ed esperienze con tutti gli stakeholder”.
Tagliatele la testa! urlò la Regina con quanta voce aveva. Ma nessuno si mosse. – Chi si cura di te? – disse Alice – Tu non sei che la Regina d’un mazzo di carte.
I nuovi leader sono sempre più delocalizzati rispetto alla centralizzazione gerarchica del potere, influencer capaci di far fruttare (non sfruttare) le logiche della social technology, e di moltiplicare così il numero di “seguaci” riconoscenti nei confronti di chi è in grado di materializzare le proprie aspettativa in una concreta operatività. E la loro trasparenza non farà che aumentare la valenza di un insieme di stakeholder, ecosistemici aggiungerei, capaci di contribuire a una innovazione non più elitaria e per pochi, ma aperta a tutti colori i quali abbiano voglia e desiderio di farne parte e a tutti coloro che ne vogliano accogliere i risultati e i vantaggi. Come scrive Marco Minghetti, «chi vuole avere dei “followers” che siano veramente coinvolti (engaged) sugli obiettivi d’impresa deve cioè essere più simile a un influencer di TikTok o Instagram che a un capitano d’industria tradizionalmente concepito: un Top Manager Pop in quanto espressione di uno stile manageriale aperto, fondato sulla condivisione di informazioni, opinioni ed esperienze con tutti gli stakeholder – clienti, partner, dipendenti, fornitori, comunità locali, associazioni, fondazioni (Total Experience)».
Dicevamo degli spazi dedicati a uno sviluppo e una gestione dell’innovazione, disegnati per essere in grado di abilitare nuovi processi e soprattutto di consentire una sperimentazione costante, non intimoriti dal sempre possibile insuccesso, ma spinti dal desiderio di partecipazione e apprendimento continuo. Senza correre il rischio di essere esclusi dai processi che regolano il mantenimento dello status quo, ma contributivi nei confronti di quei processi dedicati alla ricerca di nuovi core business.
La permeabilità delle barriere organizzative di cui ci dice Chesbrough[5] vale in ogni possibile senso, ed è da intendersi applicata anche ai processi che regolano l’innovazione, trasformandosi in uno strumento concreto per abbattere le barriere dei silos organizzativi e per consentire l’attivazione di nuove energie e stimoli.
La conseguente diffusione delle leadership organizzative ha benefici effetti sull’innovazione, abilitando la capacità di delineare una nuova visione del business in linea con i principi delle organizzazioni “agile”. All’intersezione con le operazioni che supportano lo status quo, l’innovazione diventa sempre più espressione dell’accettazione da parte delle persone di una forte responsabilità personale (cfr. Human Capital 4.0)[6], condizione necessaria per lo sviluppo di quell’autonomia auspicabile nelle organizzazioni odierne, costrette a rispondere ai colpi dell’imprevedibilità e della ambiguità dei mercati e più in generale della contingenza.
La gestione dell’innovazione deve rappresentare una alternativa alla costruzione di valore così perseguita dall’azienda nella sua struttura organizzativa.
Le attitudini che quotidianamente l’organizzazione dimostra di avere nella gestione dello status quo non possono essere prese come riferimento anche per il governo dell’innovazione.
Quali possono essere allora gli strumenti a disposizione di chi si occupi di innovazione per affrontare il processo di abbandono delle prassi gestionali, necessario per consentire una reinvenzione delle pratiche manageriali? Ma soprattutto, da dove iniziare a compiere questo processo di “hackeraggio”(cfr.[7]) dell’impianto manageriale, “reo” di applicare anche all’innovazione tipici strumenti di inerzia attiva?
Il leader pop sarà consapevole della necessità di abilitare un diverso modo di sviluppare innovazione sistemica, e lo farà lasciando che sia coinvolto il maggior numero possibile di stakeholder. La rilevanza che gli ecosistemi assumono nello sviluppo della Pop Innovation, dopo un avvio incerto, si sta rapidamente trasformando in uno degli elementi maggiormente differenzianti e premianti nei confronti di una strategia dell’innovazione consistente e capace di reale generazione di valore.
Chi abbia la responsabilità di orchestrare il contributo che gli ecosistemi portano all’innovazione deve certamente evitare che i processi di gestone del business quotidiano possano influenzarne il funzionamento, così da consentire che gli ecosistemi dell’innovazione possano svolgere il ruolo al quale sono istituzionalmente chiamati: un supporto fattivo alla sperimentazione al trasferimento dei risultati conseguiti all’interno dell’impianto operativo delle organizzazioni.
Anche la comunicazione gioca un ruolo cruciale, sia nella sviluppo della cultura dell’innovazione, sia nella diffusione dei principi emergenti che la concretezza progettuale incoraggia. Entrepreneurship e propensione alla gestione del rischio sono tra questi certamente i più rilevanti, e dei quali beneficia l’intera organizzazione.
Questa attività contribuisce inoltre a sostanziare la capacità dell’organizzazione di proiettare verso l’ecosistema un’immagine costruttiva di sé, attirando talenti ed eccellenze.
La comunicazione verso l’interno, svolgendo il compito di informare i dipendenti sul successo della macchina di innovazione, certamente funge da elemento chiave per lo sviluppo di programmi attuativi e contribuisce in modo significativo a diffondere la cultura dell’innovazione propria dell’organizzazione.
Emerge netta una proposta per una possibile via alla Pop Innovation: rendere il team preposto al governo dell’innovazione un incubatore in se stesso di nuove opzioni organizzative, capace di traghettare l’intera organizzazione, stanti i gradi di libertà che evidentemente deve avere per poter funzionare davvero, verso funzionamenti agili e de-burocratizzati. Un nucleo organizzativo in forma di MVP di ciò che l’intera organizzazione un giorno auspicabilmente prossimo potrà essere.
[1] Frederic Laloux, Reinventing Organizations, Nelson Parker 2014
[2] The Uses of Disorder, Richard Sennet, Knopf 1970
[3] Salim Ismail, Peter H. Diamandis et al., Exponential Organizations ExO 2.0, Ethos Collective 2023
[4] ViJay Govindarajan, The Three Box Solution: A Strategy For Leading Innovation, HBR Press 2016
[5] Richard Cesbrough, Open Innovation, Harvard Business School Press 2006
[6] Human Capital 4.0, A. Canfarini, A. Giaume, FrancoAngeli 2021
[7] Humanocracy, Gary Hamel Michele Zanini, Harvard Business Review Press 2020
11 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
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