L’Opinione Pop di oggi è firmata da Alessandro Antonini, un professionista che opera in ambito Human Resource per società di consulenza e organizzazioni internazionali.
Attualmente è impegnato in attività divulgativa per la diffusione di pratiche manageriali evidence-based, con la sua rubrica LinkedIn “Keep Evolving Yourself”. Svolge anche attività editoriale in ambito educativo-formativo e collabora con Università, Business School, società di formazione. Nel quadro del Pop Management per HR propone una riflessione a partire dal “sensemaking” inteso come quel processo (serie di attività) tramite cui le persone condividono il senso che attribuiscono personalmente alle cose e all’esperienza, per costruire insieme significati (rappresentazioni) condivisi. Il sensemaking così definito è il risultato delle interazioni che le persone hanno all’interno dell’organizzazione, secondo principi di collaborazione e attenzione alla sostenibilità (in senso ampio).
Cultura come “Sensemaking Pop”
Alessandro Antonini
Un processo dinamico di interazione continua
Parlare di ‘sensemaking’ senza cadere nella tentazione di seguire un principio di godimento del pensiero che si piega su se stesso, esprimendo nel migliore dei casi speculazioni filosofiche (o pseudo-tali) oppure, all’altro estremo, elucubrazioni finalizzate alla vendita di sé, della propria offerta e del proprio brand, è molto difficile in questo momento storico.
In questo mio tentativo, fedele al principio ispiratore del Pop Management di rivolgersi a tutti –dunque anche ai ‘non addetti’ – (Prolegomenti 1) propongo di considerare il “sensemaking” come quel processo (serie di attività) tramite cui le persone condividono il senso che attribuiscono personalmente alle cose e all’esperienza, per costruire insieme significati (rappresentazioni) condivisi.
Il sensemaking così definito è il risultato delle interazioni che le persone hanno all’interno dell’organizzazione, secondo principi di collaborazione e attenzione alla sostenibilità (in senso ampio). Attraverso l’interazione e la condivisione continua, viviamo esperienze che ci connettono e che ci consentono di stabilire e rafforzare i legami sociali, le relazioni tra le persone, grazie al senso di fiducia e alla comunione di interessi (coalizione).
Queste condizioni sono possibili però solo se noi, in quanto individui consapevoli e responsabili, abbracciamo una comunicazione aperta, trasparente e rispettosa, utilizzandola come mezzo di contribuzione alla vita e al benessere reciproco e dell’organizzazione (generazione di valore).
A mio avviso, gli elementi di questo processo dinamico e continuo sono tre:
- Il top management, con la sua attività di indirizzo (directing) strategico ed esemplificazione della cultura organizzativa vigente (e/o desiderata);
- Il management intermedio, tra business, line e people manager, nella gestione efficace delle dinamiche politico-relazionali interne (ed esterne) tra ricerca dell’equilibrio e innovazione continua, tra protezione dello status quo e desiderio di cambiamento;
- Le persone nella/dell’organizzazione (chiamate ancora: employee, workforce), nel rendere viva l’organizzazione attraverso la gestione e realizzazione delle attività operative (operations), progettuali (projects) e la partecipazione attiva (proposals, ideas) alle scelte e decisioni organizzative, ove possibile (e concesso).
Nella prospettiva che vorrei condividere con voi, il coinvolgimento di tutti i livelli aziendali e la comunicazione bottom-up sono essenziali per costruire una comunità lavorativa coesa, innovativa e sostenibile. Sicuramente questo processo avviene in maniera diversa in ciascuna realtà organizzativa, anche considerando le tipicità dei settori, le dimensioni di organico e la cultura attuale. Dove la vita organizzativa è articolata in piccoli gruppi, senza eccessivi vincoli e stratificazioni di natura strutturale e processuale (formalità), la comunicazione può essere più fluida e creativa.
Dal punto di vista del top management
Il sensemaking organizzativo è un processo che viene espresso (impresso) ad alto livello dal top management, ma non si esaurisce con una spinta top-down. Nella loro essenza, gli organismi di indirizzo strategico (es. Board, Leadership Team) hanno il compito di fornire una cornice di significato (possibilmente condivisa tra i loro membri), che faccia da scenario, da prospettiva con cui guardare e dirigere (directing) l’azienda tra passato, presente e futuro (atteso).
La leadership contemporanea, in linea con i principi del Pop Management, abbraccia una comunicazione più diretta e accessibile, utilizzando riferimenti culturali condivisi e familiari. Non solo la visione, la missione e la strategia, ma anche il piano devono essere ormai resi accessibili e comprensibili a chiunque all’interno dell’organizzazione, perché siano reali fonti di ispirazione e consentano di guidare e focalizzare obiettivi e sforzi.
Questo è vero e necessario oggi più che mai, perché il mare del business è tempestoso e ricco di cambiamenti e sfide. L’unico modo per navigarlo al meglio è farlo insieme, con obiettivi ed energie condivisi non solo nelle intenzioni o dichiarazioni (Prolegomeni 28). Alla base di questo cambiamento c’è la partecipazione a un “perché” che non è assegnato o attribuito (calato dall’alto), ma anche uno spazio per la costruzione collaborativa del “cosa” (piano) e del “come” (approccio e metodo).
Quest’ultimo si realizza con due ingredienti fondamentali:
- l’apertura all’ascolto, oltre l’azienda, oltre il “Board”, oltre i livelli gerarchici. Qui faccio riferimento al concetto di “empatia sistemica” nel paradigma dell’Intelligenza Collaborativa (Prolegomeni 13);
- l’umiltà di riconoscere che la posizione gerarchica non corrisponde sempre al grado di ‘ragione’ o ‘competenza’ che si ha.
In pratica ciò si esprime in un cambiamento culturale che va oltre l’idea dell’organizzazione come sistema di potere, che si regge sull’organizzazione dei ruoli e delle responsabilità nella gestione delle risorse utili a generare valore attraverso i processi di business. Da un modello politico, burocratico e meccanicistico a una concezione organica e sistemica dell’azienda, quale comunità e rete di persone e relazioni. Attuare questo cambio di mentalità significa considerare la gestione delle persone, la diversità, l’innovazione e il miglioramento continuo elementi di base, fondanti e non più secondari o ‘commodity’ (asset standard) in un’arena competitiva che vive di trend, best practice e paragoni.
Per quanto ci possa essere consapevolezza e buona volontà, purtroppo la resistenza al cambiamento è un fenomeno con cui tutte le figure di ‘guida’ devono confrontarsi. A mio avviso, il primo passo è mettere da parte il proprio ‘ego’ e investire individualmente (e come azienda) sulla comunicazione trasparente e continua, non celando le difficoltà e celebrando i successi, per costruire fiducia, senso di partecipazione alla vita organizzativa e momentum trasformativo positivo.
Dal punto di vista dei/delle “manager intermedi”
Sebbene tra business e letteratura accademica la corsa a nuovi modelli e tipologie di leadership sia oggi più incalzante che mai, un denominatore comune è emerso con prepotenza: chi ‘guida’ non può (non dovrebbe) più farlo con il comando e controllo, ma con la facilitazione. La postura mentale ed etica è cambiata. Dall’imposizione, addestramento e istruzione, a una sorta di maieutica applicata, che vede nell’ascolto attivo, nella conoscenza propria e altrui, nella sensibilità, consapevolezza e rispetto, nell’arte di saper porre le ‘giuste’ domande, gli ingredienti essenziali. Non esistono più “capitani isolati”, ma facilitatori di dialogo e partecipazione collettiva, che devono valorizzare la molteplicità delle prospettive.
Una gestione “Pop” considera il middle management e gli HR manager come figure di interfaccia, nodi relazionali di integrazione tra sensi personali e significati condivisi, operando come connettori culturali che mettono le persone in contatto con l’organizzazione. In quanto tali, saper adottare un approccio gestionale (managing) ‘che connette’, anziché impositivo, che genera ‘strappi’, è fondamentale. Dove si generano distacchi, separazioni, strappi o tagli che siano, non può esistere una cultura del rispetto, dell’apertura, del dialogo e quindi dell’innovazione.
Oggigiorno purtroppo sono ancora frequenti le situazioni in cui si sentono manager di ogni genere alzare i toni con pure finalità auto-affermative (ego?): “Sono il tuo/la tua manager, fai come ti chiedo”. Comportamenti di questo tipo sono all’ordine del giorno, sia fuori che dentro la funzione HR. Riporto questo ‘caso’ perché per noi HR/People Manager, la fatica è doppia. Dobbiamo essere al contempo facilitatori/-trici delle nostre persone, ma anche degli/delle altri/e manager. Quasi vivendo lo stesso dilemma di chi è al contempo ‘cliente e fornitore’, ‘medico e paziente’, ‘psicologo e utente’, ‘controllore e passeggero’, ecc. Implica una consapevolezza e una capacità di gestione di sé che va ben oltre la tanto proclamata ‘intelligenza emotiva’. Si tratta infatti di avere una visione d’insieme e integrata di diverse prospettive quali:
- Rapporto tra manager e collaboratore;
- Rapporto tra organizzazione e persona/e;
- Rapporto tra funzioni centrali e locali, di staff e di business line;
- Rapporto tra ricerca della performance, engagement (ingaggio, motivazione) e benessere;
- Rapporto tra pensiero, emozioni, stress-ansia tra sé e con gli altri;
- …
A mio avviso, il compito del management intermedio è quello di mediare sì tra interessi aziendali e individuali, ma bilanciando i diversi bisogni organizzativi e personali, al fine di incentivare una partecipazione e contribuzione attiva al benessere (valore) dell’intera azienda. In breve, per dirla con termini ‘eleganti’, si tratta di bilanciare coinvolgimento, partecipazione ed efficienza decisionale ed esecutiva. Tradurre le direttive strategiche in azioni quotidiane è possibile solo se si pone cura nella comunicazione e gestione delle dinamiche del team, mettendo al centro un reale e autentico interesse per le persone in quanto tali. Nel farlo, ognuno/a di noi troverà con creatività la propria modalità e soluzioni (Prolegomeni 35).
Questo compito è attualmente ancora più complicato, perché ci richiede di ragionare secondo un piano che è ormai ibrido, in cui fisico e virtuale sono perfettamente interconnessi e integrati, e la distanza geografica e temporale non hanno più lo stesso peso che in passato (pre-Covid). In risposta, alcune aziende hanno già applicato delle modifiche ai propri processi di performance management, trasformando la valutazione annuale in un momento ricorrente, periodico di confronto, conversazione e scambio di feedback in cui manager e collaboratori/-trici lavorano insieme per apprendere e migliorarsi.
Dal punto di vista dei/delle “dipendenti”
In questo contesto, il sensemaking rappresenta il processo attraverso il quale essi danno significato alle loro esperienze lavorative e comprendono il contesto in cui operano. Grazie a esso le persone possono capire e sentirsi ‘in potere’ (empowerment) di esprimere se stesse personalmente e professionalmente, contribuendo in maniera attiva e creativa. Solo creando tali condizioni si potrà rendere l’organizzazione un ecosistema fluido e dinamico, una comunità viva, che cambia e apprende, in grado di fare leva sulla generazione di idee e la creatività diffusa.
Far sentire le persone coinvolte nella vita organizzativa non è solo una questione di pratiche formali, ma un vero e proprio cambio culturale. Devono fiorire gli spazi e le opportunità di dialogo aperto, trasparente e rispettoso, moltiplicarsi le occasioni di creatività collaborativa (es. progetti) (Prolegomeni 42) ed emergere, rendere evidenti (riconoscendoli) i contributi condivisi. Questo perché quando ci si sente responsabili del successo organizzativo, ci si sente meglio, più coinvolti e connessi.
Sicuramente costruire e predisporre piattaforme e spazi virtuali (es. digital community) può essere un buon medium, un mezzo per abilitare, ma non basta. Il cambiamento deve essere espresso e vissuto nel quotidiano con i comportamenti che agiamo tutti noi. Dobbiamo passare dal ‘fare’ all”essere’ il cambiamento. “Be the change you want to see in the world” vale per tutti, nessuno/a escluso/a.
Attenzione, il cambiamento deve essere sostenibile. Qui mi rivolgo in particolare a due dimensioni del termine sostenibilità:
- sostenibilità per il business;
- sostenibilità per le persone.
Se sul primo punto la letteratura di qualità abbonda, sul secondo c’è ancora molta incertezza. Essendo le organizzazioni comunità di persone che lavorano insieme per uno scopo, il cambiamento, nella sua direzione (perché), modalità (come) e contenuto (cosa) deve essere intellegibile, comprensibile e percepito come frutto di uno sforzo collettivo, perché sia concepibile come possibile, desiderabile e realizzabile con successo. Questo aspetto non va mai sorvolato o preso con leggerezza.
Conclusione
Il sensemaking nelle organizzazioni è un processo trasversale tra politica, gestione ed esecuzione. Senza eccessivi tecnicismi, il management pop è ciò che ci consentirà di trarre il meglio per noi, il business e la società, lavorando principalmente di consapevolezza e rispetto. L’apertura (vedi Prolegomeni 7) che ne deriverà sarà carburante per l’innovazione e rete di resilienza, perché il coinvolgimento ci rende più agili e pronti ad affrontare le sfide. Il futuro del lavoro richiede un approccio collettivo. Non possiamo più considerarci solo come individui che lavorano in un’organizzazione, ma come una comunità interconnessa, dove ogni voce conta.
52 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
Puntate precedenti
1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA
29 – UN PUNTO NAVE
30 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CURA)
31 – OPINION PIECE DI NICHOLAS NAPOLITANO
32 – LEADERSHIP POP. VERSO L’YPERMEDIA PLATIFIRM (CONTENT CURATION)
33 – OPINION PIECE DI FRANCESCO TONIOLO
34 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVIVIALITA’)
35 – OPINION PIECE DI LUANA ZANELLATO
36 – OPINION PIECE DI ANDREA BENEDETTI E ISABELLA PACIFICO
37 – OPINION PIECE DI STEFANO TROILO
38 – OPINION PIECE DI DAVIDE GENTA
39 – OPINION PIECE DI ANNAMARIA GALLO
40 – INNOVAZIONE POP. ARIMINUM CIRCUS: IL READING!
41 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CONVOCAZIONE)
42 – OPINION PIECE DI EDOARDO MORELLI
43 – ORGANIZZAZIONE POP. VERSO L’HYPERMEDIA PLATFIRM (CO-CREAZIONE DI VALORE)
44 – OPINION PIECE DI MARIANNA PORCARO
45 – OPINION PIECE DI DONATO IACOVONE
46 – OPINION PIECE DI DENNIS TONON
47 – OPINION PIECE DI LAURA FACCHIN
48 – OPINION PIECE DI CARLO CUOMO
49 – OPINION PIECE DI CARLO MARIA PICOGNA
50 – OPINION PIECE DI ROBERTO RAZETO
51 – OPINION PIECE DI ALBERTO CHIAPPONI