Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 29 – Un punto nave

(On air: Il rock di Capitan Uncino)

 

Tutti sul ponte per un rapido punto nave!

Ci siamo? Bene, procediamo con ordine.

La navigazione di questo blog verso la terra incognita del Pop Management è iniziata il 15 Aprile, in coincidenza con la data dell’affondamento del Titanic (una buona metafora dell’organizzazione tradizionale, “scientifica”, del lavoro, i cui epigoni stanno danzando il loro ultimo giro di valzer – almeno si spera).

Abbiamo tracciato la nostra rotta sulle base di un’intuizione: «oggi la cultura d’impresa attualizza, spesso inconsapevolmente, la Filosofia Pop di Deleuze, che non si limita a semplificare le domande sempiterne dell’umanità rendendole comprensibili a un pubblico di massa, ma produce nuovi paradigmi che articolano la complessità del mondo contemporaneo. Se l’azienda vuole ascoltare ed essere ascoltata dai propri stakeholders, interni ed esterni, deve essere in grado di competere con tutto ciò che oggi assume le forme (i format) della Cultura Pop: un podcast, un videogioco, una serie tv, un reel. Ogni contenuto o strumento o processo aziendale che richieda un’attenzione diversa giunge da un’altra epoca e lo condanna definitivamente» (Prolegomeni 1).

Ma non è semplice, anche se pensiamo al solo marketing (magari tramite la rilettura dei contributi offerti dai Pop Opinionist Luca Monaco, Matteo Lusiani e Luca Cavallini) che, pure, è naturalmente immerso nella Popular Culture – come  rende manifesto la mostra fotografica di Opificio Italia che ripercorre il made in Italy in un carosello di duecento scatti: dalla prima pubblicità dei Pavesini allo spot tv anni Ottanta della Cinghiale con l’imbianchino che blocca il traffico trasportando un pennello gigante[i].

«Per diventare POP ci vuole coraggio: per anni abbiamo lavorato per aziende abituate a creare piani media e campagne creative seguendo degli schemi prestabiliti: spesso molto ripetitivi e ormai entrati a far parte della consuetudine» commenta Stefano Pagani, autore del volume La seconda legge dei POP Brand[ii]. «Diventare un brand realmente POP significa mettere in discussione quei canoni e lavorare seguendo uno schema nuovo, diverso, capace di ascoltare le persone, cogliere il loro sentire e lavorare insieme a loro per propagare un messaggio di marca più forte, efficace e duraturo».

La transizione al Pop Management è tuttavia irrevocabilmente già in atto e riguarda tutta l’azienda. Come fa Alessandra Stranges, si potrebbero citare le prassi formative da molto tempo  essenzialmente basate sulla cosiddetta gamification, ossia l’applicazione di elementi e meccanismi tipici dei (video)giochi a contesti non specificamente ludici: risultano essere i più efficaci in quanto contribuiscono  a determinare l’ergonomia cognitiva di strumenti disegnati per essere intuitivamente adattati al nostro modo di agire nel quotidiano secondo le modalità tipiche del digitale. Oppure i modelli organizzativi e i processi di innovazione emergenti (ad esempio studiando i contributi di Nello Barile, Vanni Codeluppi, Francesco GoriAlessandro Giaume). O ancora il “fenomeno AI”, di cui hanno parlato, sotto diversi punti di vista, Davide Catania, Marco Milone e Riccardo Milanesi: come ha scritto Alessio Mazzucco «ciò  che un tempo era dominio di esperti accademici ora è alla portata di tutti: l’IA è diventata Pop… questa penetrazione Pop della tecnologia sta trasformando anche le aziende. Comunichiamo con like ed emoji, scriviamo su Teams come se fosse WhatsApp, abbandonando formalismi e abbracciando un linguaggio più immediato e informale, fatto di modi di dire, neologismi, memi. Le subculture nate sui social network stanno cambiando il modo in cui lavoriamo e interagiamo all’interno delle organizzazioni, con cui ci rapportiamo con i nostri superiori o i nostri riporti, con cui gestiamo riunioni o progetti».

(On air: Tu Grillo Parlante)

 

Proseguendo su questa strada, guardiamo ai modelli di Leadership che si stanno affermando in quelle che ormai sono Social Organization, ovvero imprese il cui cuore è costituito da una rete di community (come da mia profezia espressa nel libro Intelligenza Collaborativa. Verso la Social Organization del 2013, da vero Grillo Parlante), complice anche la pandemia, che le ha introdotte definitivamente nelle prassi aziendali anche delle realtà più resistenti al cambiamento. Formative, informative, di pratica o d’innovazione, interamente digitali o ibride, supportate da piattaforme diffuse come quelle M365 (Teams, Yammer) o da CMS custom, quando non importate direttamente dal più Pop dei social media, Facebook, attraverso partnership con Meta, consentono alle aziende di progettare e accompagnare la propria evoluzione culturale, abilitando logiche partecipative di inclusione, innovazione e scambio mutuate dai social.

Si tratta di un contesto organizzativo (e più in generale socio-economico) favorevole all’affermazione della Leadership convocativa, nella peculiare interpretazione offerta dal Pop Management del modello originalmente proposto da Piero Trupia (in Potere di convocazione. Manuale per una comunicazione efficace, Liguori, 2002). Una Leadership che oggi si guadagna o si perde sul terreno dell’attenzione – come già aveva intuito nel settembre del 1969, durante una conferenza tenuta in Pennsylvania, Herbert Simon, che nove anni dopo avrebbe ricevuto il Premio Nobel per l’economia, parlando con decenni di anticipo dei pericoli che una gestione non consapevole della tecnologia e dell’informazione avrebbe potuto comportare sull’evoluzione delle società (oggi sono ormai innumerevoli le ricerche che sottolineano i pericoli della “distrazione di massa”, ovvero i rischi legati all’essere connessi costantemente che ci distoglie continuamente da quello che stiamo facendo). Chi vuole avere dei “followers” che siano veramente coinvolti (engaged) sugli obiettivi d’impresa deve cioè essere più simile a un influencer di TikTok o Instagram che a un capitano d’industria tradizionalmente concepito: un Top Manager Pop in quanto espressione di uno stile manageriale aperto, fondato sulla condivisione di informazioni, opinioni ed esperienze con tutti gli stakeholder – clienti, partner, dipendenti, fornitori, comunità locali, associazioni, fondazioni (Total Experience).

Abbiamo visto (Prolegomeni 5) come l’apprendimento manageriale di una Leadership Pop è resa possibile dalla lettura dei classici del Grande Bardo, in quanto raccolgono e combinano al loro interno una vasta quantità di archetipi che consentono un’interpretazione sempre attuale dell’essere umano. E Joseph Sassoon ha indicato la via che collega l’illustrazione shakespeariana della Leadership nelle sue varie forme con la nota teoria dei “Brand Archetypes”, originalmente ideata da Margaret Mark e Carol Pearson per lo studio e l’orientamento della comunicazione di marca.

In termini meno teorici e più concreti (per quanto condivida l’assunto kantiano secondo cui «non c’è nulla di più pratico di una buona teoria») ne hanno parlato nell’ambito di questi Prolegomeni Roberto Veronesi, Riccardo Maggiolo e Roberta Profeta; ma si pensi all’esempio di personalità come Brunello Cucinelli, vincitore del Premio Einaudi 2024 «in ragione della coerenza di una vita spesa nella diffusione di alti principi etici di libertà e responsabilità nel solco degli insegnamenti di Luigi Einaudi». Un’idea come quella di tenere un «Simposio itinerante di tecnologia dell’anima»  con «i miei amici della Silicon Valley» – ovvero «Jeff» (Bezos di Amazon), «Marc» (Benioff di Salesforce), i fondatori di Instagram e tanti altri – è un grande esempio di Pop Leadership, all’insegna di un ibrido non solo fra tecnologia e persone/società, ma anche con l’anima, il trascendente[iii].

E se scorriamo i nomi dei Cavalieri nominati dal Presidente della Repubblica il 2 giugno 2024 troviamo la crème de la crème del Pop: la cantante, produttrice discografica e talent scout Caterina Caselli, la stilista e scrittrice Chiara Boni, l’attrice e produttrice Raffaella Leone, il Presidente di Unipol, Carlo Cimbri, noto tanto per il suo ruolo da protagonista nelle vicende economiche del Paese quanto per le sue perizie di velista (come vedremo fra poche righe, il “velista prestato all’economia”, così ama auto-definirsi Cimbri, ha molto da insegnare ai nuovi leader Pop).

(On air: Mangiafuoco)

 

Non dimentichiamo, tuttavia, di sottolineare il lato oscuro della Pop Leadership: il populismo. Un esempio: l’articolo apparso il 20 Luglio 2024 su La Repubblica intitolato Schlein diventa Elly leader pop che si prende la piazza. Questo l’attacco: «Sì, qualcosa è cambiato. All’improvviso, ecco Schlein che diventa Elly. Balla e canta su un carro del Pride. Elly e Annalisa. Elly ed Elodie. Jeans e camicetta, stile pop tra le icone del pop. E una carrellata di foto sui social, Schlein tra la gente, i selfie, gli abbracci, i sorrisi, tanti sorrisi. E tanti alleati, pronti ad accorrere alla prossima foto…. E invece Giorgia – un tempo fortunata protagonista del tormentone “Yo soy Giorgia” – si melonizza, perde la patina pop…».

Che tristezza. Vengono in mente le parole della vecchia canzone di Bennato:

«Tutti i capi di partitoE su in alto MangiafuocoMangiafuoco fa le scelteMuove i fili e si diverte…»

L’appiattirsi sull’adesione acritica alle parole d’ordine del Pensiero Unico dell’iperpoliticamente corretto, metastasi letale ormai diffusa nel corpo sociale contemporaneo, è la “banalità del Bene”, come la definisce un personaggio di Ariminum Circus Stagione 1, che poi aggiunge: «Il politicamente corretto ha generato l’obbrobrio del politicamente abietto: un fanatico negazionismo dei valori tradizionali, paradossale paio di tutte le iconoclastie che in nome di un passato idealizzato affliggono la contemporaneità come catastrofi apocalittiche – eco-vandalismi, abbattimenti di statue e monumenti, distruzione terroristica di grattacieli, neo-luddismi di ogni tipo –, per il quale gli obesi, i bianchi, gli eterosessuali sono diventati i nuovi eretici da combattere. La vera uguaglianza può sorgere solo annaffiando il terreno delle differenze». Il clima neo-orwelliano di caccia alle streghe e agli stregoni del pensiero critico che si respira nella società e quindi nelle aziende rende oggi pertanto indispensabile un equilibrato approccio narrativo all’interpretazione e alla gestione dell’impresa, proprio in quanto solo così è possibile conferire dignità e significato al lavoro.

Per cogliere la vera natura della Leadership Pop, dunque, meglio tornare alla grande letteratura. A quella conradiana, ad esempio. «Secondo Italo Calvino, il midollo del leone della narrativa di Joseph Conrad è “una integrazione nel mondo conquistata nella vita pratica, il senso dell’uomo che si realizza nelle cose che fa, nella morale implicita nel suo lavoro, l’ideale di saper essere all’altezza della situazione, sulla coperta dei velieri come sulla pagina”. Lo scrive in un articolo su L’Unità del 1954 (I capitani di Conrad); lo aveva affermato con altre parole qualche anno prima nella sua tesi di laurea proprio su Conrad e lo ribadirà nella sua ultima opera, Lezioni americane.

Calvino si riferisce soprattutto a opere come La linea d’ombraGioventùTifoneAl limite estremoL’avventurieroLord JimCuore di tenebra, dove il protagonista deve affrontare tempeste di mare, bonacce senza fine, ma anche i propri, a volte irrimediabili, errori. Rasentando l’abisso senza caderci dentro, come scrive Calvino – e questo vale per il Marlow di Cuore di tenebra –, o cercando disperatamente di risalirlo, per recuperare il proprio onore perduto, come farà Jim. A volte i capitani coraggiosi di Conrad superano la prova, come avviene al capitano MacWhirr di Tifone, che salva nave, equipaggio e coolies (lavoratori cinesi) stipati nella stiva, e al capitano Allistoun di Il negro del Narciso; altre volte vengono sconfitti nonostante lottino con tenacia sino alla fine, come il vecchio lupo di mare Peyrol di L’avventuriero, che lascia la tranquilla vita sulla costa che si era conquistato dopo anni di navigazioni da corsaro, e riprende il mare per difendere il suo Paese, e l’anziano capitano Whalley di Al limite estremo, che non si arrende alla sua infermità per dare un avvenire alla figlia.

(On air: Nel covo dei pirati)

 

L’importante, lascia trasparire tra le righe Conrad, è non arrendersi mai alle avversità e alla sfortuna, per senso di responsabilità verso se stessi e verso gli esseri umani di cui si condivide il destino. I veri sconfitti sono coloro che perdono la testa nel momento del pericolo, che tradiscono i propri principi per un momento di viltà, come il protagonista di Lord Jim, o per un gesto d’ira, per quanto comprensibile, come il giovane ufficiale Leggatt di Il compagno segreto. Sia Jim sia Leggatt sono dei one of us, fanno parte di una schiera di uomini di mare che credono sin da ragazzi nel coraggio, nella lealtà, nella generosità verso i compagni e verso gli altri esseri umani a loro affidati, ma alla prima vera prova perdono il timone della propria vita»[iv].

In altre parole, ancora una volta occorre coraggio, quello che Bennato attribuisce alla Wendy di Peter Pan:

Tu invece sei la sola che va così sicuraSul trampolino di Capitan UncinoMa dimmi come fai a non aver paura

L’invito a a non chiudersi in se stessi ma ad aprirsi senza paura alle molteplici avventure della vita «vale per ciascuno di noi quando affrontiamo la prima linea d’ombra, e tutte le altre che verranno dopo. Conrad continua a dircelo con le parole del capitano MacWhirr “C’è una certa quantità di uragani in giro per il mondo, e non di più; è giusto passarci attraverso. Prua al vento, sempre prua al vento… Lei è un marinaio giovane. Metta la prua al vento. E testa a posto” e con il passo d’addio dell’avventuriero Peyrol “Questo è l’ultimo ordine che ti do. Ora vai a prua, e non aver paura di niente”»[v].

Abbiamo visto che questo obiettivo può essere realizzato grazie alla capacità di connettersi con il nuovo e il diverso, impostando relazioni, online e offline, ispirate all’“empatia sistemica” (componente essenziale dell’Intelligenza Collaborativa). Sotto questo profilo, Alice, la nostra eroina Pop prediletta, è senza dubbio abilissima nel costruire relazioni empatiche. Nonostante la stranezza dei personaggi con cui ingaggia complicati dialoghi (parafrasando il Cluetrain Manifesto, potremmo dire che le “avventure di Alice sono conversazioni”) e che in prima battuta le sono spesso ostili, la bambina impara rapidamente a evitare le situazioni di scontro (cfr. l’analisi del suo primo incontro con un abitante di Wonderland, il Topo descritta in Il malinteso necessario per intendersi) e dimostra di avere un talento innato nel porsi come interlocutrice: curiosità, capacità di ascolto, rispetto dell’interlocutore (che sia un Cappellaio Matto, una bislacca coppia di gemelli cantastorie o uno strampalato millepiedi) sono le caratteristiche che le consentono di trasformare ogni incontro in una ricca esperienza relazionale.

La difficoltà di vedere nel diverso da sé un’opportunità e non un rischio, la dimostra bene l’Unicorno (una endiadi mitologica, che noi umani tendiamo a considerare mostruosa), quando, incontrando Alice nel Paese Al di Là dello Specchio commenta: «Una bambina? Ma io ho sempre pensato che fossero solo dei mostri favolosi!». La stessa opinione che hanno gli scientific manager rispetto a tutti i portatori di differenze. Le organizzazioni tradizionali, nonostante le dichiarazioni di facciata,  non cercano individui di talento, personalità originali, ma dei cloni, dei ripetitori razionali di compiti e mansioni. In cambio della propria individualità le persone ottengono la sicurezza derivante appunto dalla omologazione di tutti a codici di comportamento chiaramente definiti e sempre uguali; anche i prodotti che queste organizzazioni propongono al cliente generano questo senso di sicurezza.

(On air: L’isola che non c’è)

 

Nel ventennale del Manifesto dello Humanistic Management (EGEA, 2004), fondato sulla grande tradizione dell’umanesimo europeo e aperto all’apporto di ambiti che l’impresa aveva spesso considerato a sé estranei, come la filosofia, la letteratura, il cinema, il teatro, ma anche di strumenti innovativi come il networking multimediale, la business television, l’edutainment, nasce così l’esigenza di ragionare intorno a un nuovo Manifesto: il Manifesto del Pop Management.

La nuova piattaforma progettuale avrà la forma di un Atlante warburghiano[vi]. Ovvero, di una mappa intesa come «uno strumento per compilare inventari straordinari» che può «comprendere concezioni escatologiche, principi di astronomia, cenni a teoria e pratica del golf, nozioni di botanica, saggi di critica letteraria» – «un sistema di correlazioni morfologiche fondato sull’analogia tra i soggetti più diversi della storia universale: la pittura olandese e la geometria euclidea, il fatalismo millenaristico e il jazz».[vii]

Ma con quale equipaggio compiere il viaggio? Gli ardimentosi esploratori del Pop Management  dovranno essere, abbiamo detto, manager-portmanteau, i cui tratti essenziali possono essere sintetizzati nell’accorta combinazione tra razionalità ed emotività, nell’equilibrio fra morale individuale ed etica collettiva, nella cura di ciascuno verso il proprio autosviluppo e verso gli altri, nell’approccio narrativo ispirato alla generazione individuale e collettiva di senso, nell’enfasi sulla leadership convocativa e  sulla metadisciplinarietà[viii].

(On air: Il gatto e la volpe)

 

Per reclutarli mi sono avvalso del social network più adatto allo scopo: LinkedIn.

Qui ho diffuso i post pubblicati su questo blog,  ottenendo in pochi giorni oltre 100.000 visualizzazioni e centinaia di Like e commenti, pubblici e privati.

Ma, soprattutto, ho lanciato una Call for Action (#IntelligenzaCollaborativa), in base alla quale sono salite a bordo numerose personalità, che hanno contribuito a arricchire la riflessione con propri Opinion Piece: docenti universitari (Vanni Codeluppi, Alessandra Mazzei, Nello Barile, Ricccardo Milanesi, Francesco Gori), artisti (come Davide Catania, che sta attualmente esponendo alla Biennale di Venezia), esperti e opinionisti (Riccardo Maggiolo, Alessandro Giaume, Joseph Sassoon, Luca Monaco, Francesco Varanini, Alessio Mazzucco, Alessandra Stranges, Marco Milano, Matteo Lusiani, Luca Cavallini, Roberta Profeta, Roberto Veronesi).

Ultimi ma non meno importanti, manager di aziende come Eni, Snam, Unipol, Danone, Carrefour e molte altre si stanno riunendo in eventi fisici per approfondire le ricadute concrete del Pop Management: fra i tanti cito Isabella Pacifico (Carrefour), Valentina Uboldi (Eni), Alessandra Cappello (Unipol), Giovanna Di Bacco (E.ON), che con il loro fattivo apporto hanno consentito di produrre alcuni output concreti, fra cui un White Paper sul tema delle community aziendali.

(On air: Il Rockcoccodrillo)

 

Tutti questi materiali stanno definendo le dimensioni del Pop Management in cui sono articolati questi Prolegomeni, ovvero:

  1. Cenni introduttivi
  2. Leadership Pop
  3. Collaborazione Pop
  4. Organizzazione Pop
  5. Sensemaking Pop
  6. Engagement Pop
  7. Innovazione Pop
  8. Storytelling Pop.

Forti di questi primi risultati, a settembre riprenderemo insieme la nostra crociera, pronti per nuove avventure… con il vento in Pop, naturalmente (spoiler: la prima consisterà nell’affrontare il passaggio dell’Organizzazione Pop da Media Company a HyperMedia Platfirm).

Fino ad allora, buona estate a tutte voi che seguite questo blog: persone poco serie, suppongo, devianti, se non abnormal nel senso melbrooksiano del termine (del resto, «chi è normale non ha molta fantasia», recita il menestrello napoletano in Venderò)!

Sotto l’ombrellone, su una barca a vela, in cima a una montagna – dovunque voi siate, insomma – ascoltate Bennato, recitate a voce alta versi di Shakespeare o, in religioso silenzio, leggete Conrad: ma va benissimo anche il Wodehouse di Alla buon’ora Jeeves, appena riproposto con una nuova traduzione da Sellerio. Io ho scoperto i libri dell’umorista inglese all’età di otto anni circa e da allora non mi stanco mai di tornare alla loro spensierata leggerezza, specie quando sono un pò giù di corda, magari in seguito alla lettura dei quotidiani nazionali, che mi ostino a frequentare – con un certo masochismo, lo ammetto. Purtroppo, per sottrarmi allo stato di leggera depressione che ogni volta mi provocano (con i telegiornali sono riuscito a smettere, ormai sono fuori dal tunnel), non dispongo della capacità di visione di un Enrico Bertolino, che una volta mi disse: «Io sono un pò come Michelangelo. Lui guardava un masso e ci vedeva la scultura. Io apro un giornale e trovo la cazzata». Non intendo in alcun modo glorificare terrapiattisti, negazionisti et similia, ma mi piace immaginare un mondo in cui circolino liberamente un numero di critiche ai mass media proni al Pensiero Unico Dominante pari anche solo alla metà delle condanne sommarie delle (pretese?) fake news circolanti in Rete (ma demonizzare l’avversario, si sa, è la strategia preferita dai pre-potenti).

In alternativa, o a integrazione delle attività sopraddette, sparatevi una playlist di film politicamente scorretti del vecchio Walt Disney, cominciando dalla rassegna di follie (che pure, direbbe Polonio, hanno un metodo) rappresentata in  Alice nel Paese delle Meraviglie fino al pericolosissimo Biancaneve, con la scena scandalosa (per i mandarini della cancel culture imperante) del “bacio non consensuale” imposto alla protagonista.

Rilassatevi e divertitevi, insomma, che il Tempo, come la giovinezza, fugge via: tic toc, tic toc, tic toc …

29 – continua

[i] Luca Zanini, Il made in Italy in 200 scatti, Corriere della sera 27 Luglio 2024:  La mostra è aperta fino al 21 agosto 2024. Questo è un possibile itinerario del viaggio: si parte con “Logos Opificio” che racconta la trasformazione del marchio in un logo grafico, quando ancora il prodotto era più importante del brand. In “Interno Opificio” invece le immagini ci fanno entrare negli antichi magazzini, nelle officine, negli stabilimenti, nei ricoveri per i mezzi di trasporto, tra i grembiuli delle donne operaie e le tute da lavoro degli uomini. Mostrano i bambini in posa che abbracciano nuovi macchinari come persone di famiglia, e lavoratori e fondatori si confondono attorno alle macchine perché il lavoro suggerisce lo stesso impegno. In “Esterno Opificio” infine è racchiuso il mostrarsi al mondo, farsi vetrina. I prodotti escono dai capannoni, diventano strumenti per conquistare il mercato. Sono le immagini delle pubblicità, tra bozzetti, claim, slogan e cartoline, gli stampi e i registri, i diplomi e i francobolli, le sponsorizzazioni sportive. Tra le tante immagini, il “Poveri ma belli” di Carrera Jeans, il frame dello spot tv più longevo di Pennelli Cinghiale “per dipingere una parete grande…”, il poster della prima dinamo di Tre spade, i bozzetti per i videogames Atari di Publitrust.

[ii] Fausto Lupetti Editore, 2022.

[iii] Vedi: https://www.brunellocucinelli.com/it/technology-humanism-and-artificial-intelligence.html

[iv] Giuseppe Mendicino, Conrad, linee d’ombra e capitani coraggiosi, Doppiozero, 20 Luglio 2024:

[v] Ibidem.

[vi] Aby Warburg (1866-1929), storico della cultura e investigatore partecipe della storia dell’arte, inaugura con le sue ricerche un metodo per la storia della tradizione classica, proponendo una mappa delle costanti della memoria occidentale – miti, figure, parole, simboli – in un campo di indagine che si apre sulle risonanze culturali tra Rinascimento, Antico e Contemporaneo. Il suo Mnemosyne è un atlante figurativo (Bilderatlas) composto da una serie di tavole, costituite da montaggi fotografici che assemblano riproduzioni di opere diverse: testimonianze di ambito soprattutto rinascimentale (opere d’arte, pagine di manoscritti, carte da gioco, etc.); ma anche reperti archeologici dell’antichità orientale, greca e romana; e ancora testimonianze della cultura del XX secolo (ritagli di giornale, etichette pubblicitarie, francobolli).

[vii] Ariminum Circus Stagione 1,  pp. 62-63.

[viii] Vedi la lista di parole chiave dello Humanistic Management.

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

 

Puntate precedenti

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI
21 – ORGANIZZAZIONE  POP. COMANDO, CONTROLLO, PAURA, DISORIENTAMENTO
22 – OPINION PIECE DI ROBERTO VERONESI
23 – OPINION PIECE DI FRANCESCO GORI
24 – OPINION PIECE DI NELLO BARILE
25 – OPINION PIECE DI LUCA MONACO
26 – OPINION PIECE DI RICCARDO MILANESI
27 – OPINION PIECE DI LUCA CAVALLINI
28 – OPINION PIECE DI ROBERTA PROFETA