Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 21 – Organizzazione Pop. Comando, Controllo, Paura, Disorientamento

Servi e padroni

Il  Quarto Capitolo di Alice nel Paese delle Meraviglie si apre con il Coniglio Bianco angosciato per le conseguenze che potrebbero scaturire dall’irritazione della Duchessa a causa del ritardo che sta accumulando (il taglio della testa). «Era il Bianconiglio, che trottava lentamente indietro e si guardava attorno con ansia, come se avesse perso qualcosa; e lo sentì mormorare tra sé: “La Duchessa! La Duchessa! Oh, mie care zampe! Oh, la mia pelliccia e i miei baffi! Mi farà giustiziare, sicuro come i furetti sono furetti! Dove posso averli lasciati, mi chiedo?”».

Ma il rapporto servo-padrone si rovescia immediatamente: il Coniglio confonde Alice con la sua cameriera e comincia a impartire ordini: «Alice indovinò subito che il Coniglio stava cercando il ventaglio e i guanti bianchi di capretto, e con molta buona volontà si mise a cercarli anche lei; ma non si vedevano in nessun posto: tutto pareva cambiato dopo la nuotata nel laghetto, e l’ampio vestibolo, con il tavolino di vetro e la porticina, era scomparso del tutto. Ben presto il Coniglio notò Alice che frugava qua e là, e le disse forte, con asprezza: “Ehi, Marianna, che ci fai qui? Corri subito a casa e portami un paio di guanti e un ventaglio! Su, sbrigati!”». Alice spaventata obbedisce e si precipita a una casetta sulla cui porta «c’era una targa di ottone lucido con il nome B. CONIGLIO inciso sopra»: qui farà la conoscenza del lucertolino Bill, sorta di manovale tuttofare, chiamato perché scenda dal camino per verificare cosa blocca la porta (è Alice, diventata gigantesca dopo aver mangiato un biscotto, ma lui non lo sa). Sfortunatamente, basta un calcio della bambina per farlo volare fuori dall’abitazione, incolume solo grazie a un atterraggio di fortuna.

Fermiamoci ora a riflettere. Qual è il paradigma organizzativo in cui si sta muovendo Alice? È  connotato da una rigida gerarchia (che dalla Duchessa passa per il Coniglio e arriva ad Alice); dal modello prescrittivo-direttivo del Comando e Controllo; da un clima di Paura (il Coniglio è angosciato, Alice è spaventata, Bill – dopo l’incontro ravvicinato del terzo tipo con Alice – sarà «troppo agitato per raccontarlo»); dal valore primario dell’Efficienza (l’incubo perenne del ritardo aleggia ogni volta che appare il Coniglio, la cui figura assomma metaforicamente in sé tre “marchi”, in senso kiplinghiano, della Modernità S(t)olida: l’Ansia, il Disorientamento, l’Agitazione (scambiata per azione); dalla rigida classificazione delle persone in base al ruolo: Alice-cameriera, Coniglio Bianco-Padrone-ma-anche-Servo-della-Duchessa, ovvero impiegato, quadro intermedio (con la sua bella targhetta), top management (Regina-Duchessa). Insomma, uno  specchio perfetto delle tradizionali organizzazioni aziendali fondate sui caposaldi dello Scientific Management: standardizzazione, efficienza, trionfalismo funzionale, (così come descritto nel Manifesto dello Humanistic Management e in Nulla due volte), che a sua volta si riflette nelle modalità conversazionali Pop di segno opposto con cui si confronta Alice durante il suo viaggio (giusta l’ambiguità letteraria e ontologica del Wonderland, analoga a quella di altri capolavori della modernità a partire dall’Elogio della follia di Erasmo e dall’Utopia di Thomas More), quali la convivialità stralunata del Cappellaio Matto o la convocatività esotica del Brucaliffo.

Una contrapposizione che ne Le Aziende InVisibili viene descritta attraverso le Sette Parole Chiave Boatz (Forza, Efficienza, Standardizzazione, Produzione Di Massa, Quantificazione, Precisione, Uniformità e Controllo), caratteristiche del taylorismo, alternative alle Sette Parole Chiave Jakin (Amenità, Erotismo, Gioco, Incontro, Agio, Cura e Territorialità[i]), tipiche della Social Organization come è interpretata dallo Humanistic Management: siamo all’Episodio 107, nel corso del quale Fordgates e Deckard osservano fra le altre cose «Prismi, Cristalli e Frattali moltiplicarsi a partire dall’Orlo del Caos», mentre esplode la Guerra dei Talenti, con schiere di Cloni che lottano contro i pochi  Mutanti sopravvissuti[ii].

Leggiamo poco oltre: «Old economy, new economy, information age economy, net economy, web economy, blur economy, shock economy, economy of happiness… A mano a mano che Fordgates scorre le pagine del catalogo, il solido universo aziendale si liquefa nella Complessità trasmutandosi in labirinto, romanzo, ipertesto, multimedia, videogioco, partitura musicale, rappresentazione teatrale, film, palinsesto televisivo, blog, web-opera».

Cronometri e sveglie

Mentre gli adulti come Fordgates e Deckard “vedono”, limitati da schemi mentali ormai in loro consolidati (e lo stesso potrebbe dirsi degli archetipi letterari che fondano la modernità, la cui inesausta sete di conoscenza, di bellezza e di libertà conduce al fallimento sotto forma di follia, uccisione per mani altrui o suicidio – penso ai modelli offerti da personaggi quali Don Chisciotte, Amleto, Madame Bovary o Achab, che esauriscono la loro parabola ideale nella buffonesca immobilità già cadaverica di Vladimiro ed Estragone in attesa della Morte-Godot), Alice sognando pre-vede in assenza di ogni concetto di passato, essendo ancora bambina, con una curiosità ben diversamente vitale e autenticamente creativa.

Anche sotto questo aspetto la “postmodernità liquida” di Alice è in netta contrapposizione con il pensiero di Taylor, basato sul concetto di pianificazione e sull’individuazione di Best Practices che ripetono all’infinito una perfezione trovata una volta per sempre nel passato considerato prototipo di un futuro destinato a ripetere un presente eternamente uguale a se stesso (per inciso, stando ai suoi critici questo sarebbe anche il limite della più generativa fra le Intelligenze Artificiali), in particolare attraverso la misurazione accurata di ogni micro-azione (e si capisce perché il Coniglio sia ossessionato dall’Orologio, che anticipa la presenza incombente del Gigantesco Cronometro in un film visionario come Metropolis e che campeggia nell’immagine introduttiva di Tempi Moderni  – fino a decadere nella tragica sveglia di Fantozzi, degna icona nella nostra grottesca epoca[iii]).

Aggiungo che la prospettiva postmoderna di Alice non ha nulla a che fare con la cupio dissolvi spesso evocata da Maurizio Ferraris in polemica con Baudrillard: ad esempio, il 26 maggio 2024 su La Lettura del Corriere della sera, in un articolo intitolato Negare la realtà è la passione dei postmoderni. Al contrario, anticipa il moltiplicarsi di piani ontologici in cui oggi viviamo: tutti realissimi, anche se connotati da uno status esistenziale diverso come già aveva visto Levy ne Il virtuale. Sarà questo il tema di Ipercomunicazione, di Vanni Codeluppi, primo saggio ancora inedito della serie che nel suo insieme costituirà il Manifesto del Pop Management, anticipato dall’Opinion Piece dal titolo Vivere nell’era dei media digitali: naturalmente, se accetterà la sfida del Pop Management un editore coraggioso e lungimirante  – e non a pagamento: by the way, in Italia ce ne sono ancora? Sembra di no: ad oggi, ho proposto la pubblicazione di questi Prolegomeni  sotto forma di saggio a cinque diverse case editrici, piuttosto note. Tutte si sono complimentate per i contenuti, ma si sono dette disponibili alla pubblicazione solo previo acquisto di qualche centinaia di copie. E poi ci lamentiamo del fatto che le librerie siano piene di spazzatura e che la gente non legge (vedi su questo il Bonus Track di Ariminum Circus Stagione 1)!

Empatia sistemica e Banalità del Bene

Anche per quanto detto sopra non concordo con Francesco Varanini quando, nel suo Opinion Piece, scrive di ritenere «pericoloso» fondare il percorso del Pop Management sull’intuizione pop-filosofica di Deleuze, sulla base di due ragionamenti. Il primo: il riferimento al pensatore francese «funge da comoda legittimazione per chi pretende di sostituire le relazioni sociali tra esseri umani con connessioni tra agenti, che possono essere indifferentemente umani e macchine. In effetti oggi sono in tanti a dirlo: non c’è distinzione tra esseri umani e macchine, si tratta in ogni caso di macchine a-significanti; programmabili. “L’unica cosa che conta è chiedersi: funziona?”. Deleuze, in questa maniera, apre la strada al funzionalismo. Chi oggi sostiene che si può comparare una cosiddetta ‘intelligenza artificiale’ ad un essere umano, trova una comodissimo sostegno nelle parole di Deleuze. Non so, alla fine, cosa ne pensa Marco. Cita nei Prolegomeni del Manifesto “le discussioni intorno alla superiorità dell’automatico sull’antropico che si svolgono fra i personaggi di Ariminum Circus”. Intende forse Marco guardare dall’esterno l’“incontro-scontro fra Intelligenze (naturali e artificiali)”?».

In maniera peraltro non chiarissima – almeno per le mie capacità di comprensione: mi sfugge in particolare il collegamento Deleuze-Popfilosofia-funzionalismo attraverso l’inserimento nel sillo(paralo?)gismo del concetto di “macchina desiderante” come termine medio, connettivo, poiché a. mi pare del tutto fuori luogo, o quantomeno una forzatura strumentale (neoluddista?), utile solo a fini (poco utilmente?) polemici; b. andrebbe ricontestualizzato, ricordando che si tratta di un’idea mutuata da Nietzsche proprio per ribaltare la sua idea di volontà di potenza, Francesco verticalizza sul tema specifico  il più ampio dilemma così articolato da Flaubert: «Quale forma bisogna adottare per esprimere talvolta la propria opinione sulle cose di questo mondo, senza rischiare di passare, più tardi, per un imbecille? Ecco un grosso problema». Lo scrittore francese prosegue: «Mi sembra che il modo migliore sia di dipingerle, così come sono, queste cose che vi esasperano[Lettera a George Sand del 18-19 dicembre 1867.]», ma questo approccio rischia di sottrarre chi lo assume alla responsabilità di una presa di posizione. Meglio allora ricorre al noto motto di Einaudi: occorre conoscere per deliberare. Il mio primo sforzo di fronte a interrogativi quali “cosa ci rende umani?” dunque è quello di mettere a confronto le diverse opzioni disponibili utilizzando la narrazione saggistica (in Ariminum Circus) o la saggistica narrativa (Pop Management) – ho già più volte denunciato la mia allergia ai generi letterari.

Il che non mi esime dall’esprimere una mia opinione: come ad esempio faccio quando scrivo in Prolegomeni 3: «qualsiasi sia la forma di Intelligenza Artificiale cui vogliamo fare riferimento, la nostra Pop community sarà una realtà profondamente umana (ovvero fondata sull’empatia sistemica quale condizione ineludibile per costituire delle community virtuali come “Mondi Vitali”: sulla questione mi sono espresso in tempi non sospetti nel mio saggio online Il Mondo Vitale di Facebook), per quanto potrà essere aperta anche a chi voglia stringere relazioni o creare conversazioni con forme di pensiero stocastiche (magari per “aggiornare la molteplicità impermanente del proprio io a statistica robotica”, come scrivo in Ariminum Circus Stagione 1). In ogni caso, non va sottovalutata l’utilità dall’Intelligenza Artificiale, soprattutto quella Generativa, al servizio dell’umano: non passa solo dagli automatismi possibili in un ambiente virtuale (e d’altronde la community del Pop Management non sarà mai uno spazio esclusivamente virtuale), ovvero dal mondo dei suggerimenti e delle notifiche, ma piuttosto dal mondo del community management, dei nudge d’ingaggio, in cui è decisiva la capacità di tenere aggregata una community intorno a conversazioni rilevanti, o alla sintesi delle condivisioni svolte (tutte modalità utili a rafforzare il “potere di convocazione” già al centro dello Humanistic Management). Alla fine, una community è una rete di conversazioni tra umani con due requisiti: che vi siano contenuti interessanti e che le persone percepiscano il beneficio del farne parte. Un supporto che simula un intervento umano nell’aiutare tutti a rimanere aggiornati e a produrre co-generazione di significati può essere una ricchezza da sfruttare». Un passaggio, questo, perfettamente coerente con quanto espresso da Alessio Mazzucco nel suo Opinion Piece, rispetto al quale invece Francesco esprime il suo «assoluto disaccordo».

Il secondo ragionamento proposto da Francesco che merita una replica è il seguente: «torno in conclusione alla frase dove Deleuze conia l’espressione pop’philosophie. Dice Deleuze che la pop’philosophie si rivolge ai ragazzi tra i quindici o vent’anni. Si può intendere il ‘rivolgersi’ in due modi: il libro racconta ciò che Deleuze e Guattari hanno appreso dai ragazzi, oppure il libro vuole educare, dare la linea ai ragazzi.

Mi pongo la stessa domanda a proposito del Pop Management. E’ un’apertura di spazio per gli abitatori delle organizzazioni o l’espressione del nuovo, forse più moderno o post-moderno, pensiero di una élite?».

Questa la mia risposta. Qui non si tratta di «aprire o chiudere spazi», effettuare o negare concessioni e via dicendo, ma semplicemente registrare i mutamenti in atto: mettendo in evidenza le potenzialità positive radicate nella Cultura Pop (o Pop-Pop), ma anche denunciandone tutte le possibili derive omogeneizzati e totalitaristiche, a partire da quella Banalità del Bene già denunciata in Ariminum Circus Stagione 1: con ciò intendendo il cocktail abietto e fanatico di cancel culture, neopuritanesimi e militanze cieche che in nome dell’iperpolitically correct produce eco-vandalismi, abbattimenti di statue e monumenti, distruzione terroristica di grattacieli, neoluddismi di ogni tipo, processi a Walt Disney per questioni ridicole tipo «il bacio non consensuale di Biancaneve» e per il quale gli obesi, i bianchi, gli eterosessuali sono diventati i nuovi eretici da combattere. Come ho scritto, questo «cancro, che sta infiltrandosi  come una metastasi in tutti i gangli della società e quindi nell’organismo delle imprese, è il punto più basso e letale toccato da un nazional-populismo spacciato per Pop Culture». La denuncia senza paura di intimidazioni e minacce del clima di caccia alle streghe e agli stregoni che, strumentalizzando la giusta battaglia a favore dell’inclusione e della diversità (che sono l’esatto opposto dell’uguaglianza massificante che vorrebbero gli Scientific Manager), sta divenendo il manganello ideologico per eliminare qualsiasi sacca di pensiero critico nelle aziende e in generale nella società è a mio avviso oggi impellentemente necessaria – e mi sembrano ben pochi i coraggiosi disposti a sostenerla a viso aperto.

21 – continua

[i] Per capire meglio questo passaggio ricordo quanto scrivo nell’introduzione a Le Aziende InVisibili. «Dato che il tema centrale delle nostre riflessioni è il Mutamento (non a caso abbiamo costituito la Living Mutants Society), ho ritenuto interessante abbinare a ciascuno dei 128 episodi una chiave di lettura tratta da uno dei 64 esagrammi    degli I Ching – Il Libro dei Mutamenti per antonomasia di volta in volta nella versione Boaz o Jakin, i due pilastri dell’Albero della Vita che sorgevano all’entrata del tempio  del re Salomone e che, secondo la Cabala, rappresentano i principi opposti del movimento vitale, maschio-femmina, pieno-vuoto, luce-giorno (64 x 2 fa appunto 128).

Qui l’ispirazione è venuta da uno dei più famosi romanzi di P.K. Dick, The Man In The High Castle (non dimentichiamo che il nostro Deckard deve il suo cognome all’eroe di Blade Runner) in cui si immagina che la Seconda guerra mondiale sia stata vinta dai tedeschi e dai giapponesi, il che comporta, fra le altre cose, che i manager delle grandi Corporation utilizzino per prendere le più importanti decisioni appunto Il   Libro dei Mutamenti – I Ching.

Le due colonne dell’Albero della Vita sono poi rappresentate frequentemente nei Tarocchi, carissimi al Calvino del Castello dei Destini Incrociati – ad esempio sono i due pilastri tra cui troneggia il secondo Arcano Maggiore, la Papessa, davanti a un velo che nasconde l’ingresso del santuario, e che fiancheggiano il trono della Giustizia (Arcano numero 8) ornati di mezzelune bianche e verdi, mentre nell’Arcano 12, l’Appeso, il corpo dell’Impiccato penzola nel vuoto a testa in giù, fra di esse, in una ieratica posa a gambe incrociate».

[ii] Le Aziende InVisibili, cit., pp. 324-325.

[iii]Rileggendo questa frase mi sono reso conto di essere caduto in una trappola tipica della Cultura Pop: la frase fatta. Flaubert nel suo celebre Dizionario dei luoghi comuni alla parola EPOCA annota: «EPOCA. La nostra. Inveire contro di essa. Lamentarsi perché non è poetica». Dapprima ho pensato di cancellare la frase, ma poi ho deciso di tenerla, proprio perché è un buon esempio del sottile discrimine fra Cultura Pop e “saggezza popolare” – quella per cui, per intendersi, «campa cavallo (animale notoriamente erbivoro) che l’erba cresce».

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti:

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA
15 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE SECONDA
16 – OPINION PIECE DI MATTEO LUSIANI
17 – OPINION PIECE DI MARCO MILONE
18 – OPINION PIECE DI ALESSIO MAZZUCCO
19 – OPINION PIECE DI ALESSANDRA STRANGES
20 – OPINION PIECE DI FRANCESCO VARANINI