Immagine di Marcello Minghetti per Ariminum Circus Stagione 1

Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 15 – Collaborazione Pop. Le community aziendali: uno stato dell’arte, parte seconda

Seconda parte delle riflessioni sullo stato dell’arte e le prospettive evolutive delle community interne fra alcune importanti realtà aziendali (Carrefour, Danone, E.ON, Eni, Snam, Unipol) che OpenKnowledge (Gruppo Bip) in collaborazione con la Direttrice del CERC (IULM) di Milano, Alessandra Mazzei, ha promosso con l’obiettivo di realizzare uno studio sull’evoluzione delle aziende verso il modello della social organization che era già stato descritto nel volume Intelligenza Collaborativa. Verso la social organization, EGEA 2013 (edizione internazionale Cambridge University 2014).

In particolare, ci siamo confrontati con

Isabella Pacifico  Internal Communications Manager di Carrefour;

Valentina Uboldi, Global Head of Internal Communications di Eni;

Giovanna Di Bacco, Corporate Communication Manager di E.ON;

Marialaura Agosta HR & Internal Communication Manager Diversity, Equity, Inclusion Champion di Danone Italia;

Alessandra Cappello, Responsabile internal communication and digital workplace, e Vittorio Verdone, Direttore Communication and Media Relations di Gruppo di Unipol;

Davide Ciullo, Senior Manager Internal Communication & People Engagement, e Ornella Castellano, Diversity, Equity & Inclusion Expert di Snam.

 

In che modo le modalità di lavoro ibride degli ultimi anni hanno condizionato le dinamiche di ingaggio delle vostre Community interne? E qual è la direzione che vedete da questo punto di vista?

Alessandra Cappello, UNIPOL Inizialmente, nel periodo post pandemico, le nostre Community sono nate come risposta alla necessità di restare connessi in un momento in cui il lavoro in remoto era l’unica opzione possibile.

Questi ambienti sono diventati un’importante risorsa per mantenere i legami e il senso di appartenenza con (e tra) i nostri dipendenti, offrendo uno spazio virtuale dove poter condividere idee, esperienze e supporto reciproco durante un periodo di grande incertezza.

Oggi, mentre assistiamo a una transizione verso un modello di lavoro che è ritornato alla presenza fisica in ufficio, le Community interne continuano a svolgere un ruolo fondamentale nel nostro ecosistema aziendale. Nonostante questo ritorno alla normalità, è evidente che le distanze geografiche e le modalità di lavoro ibride rimarranno una realtà: da questo punto di vista, cerchiamo di orientare le nostre Community in modo da offrire un mix di interazioni fisiche e digitali, sfruttando al meglio le potenzialità delle piattaforme tecnologiche per supportare e arricchire i momenti di contatto più informali.

Isabella Pacifico, Carrefour È vero, le dinamiche di ingaggio delle community sono molto cambiate negli ultimi anni: la consuetudine acquisita con le modalità di lavoro ibrido e l’uso di strumenti digitali hanno senza dubbio favorito e velocizzato l’adozione di un canale come Workplace e le persone avvertono come sempre meno indispensabile la diretta partecipazione fisica. Anche per questo motivo gli scambi in presenza hanno acquisito un valore maggiore e vengono riservati alle attività e ai momenti di condivisione più rilevanti.

In un’azienda di grandi dimensioni e dislocata sul territorio, come Carrefour, uno sviluppo per il futuro è offerto dalle modalità phygital, che coniugano variamente partecipazione in presenza e collegamento online a seconda delle necessità e delle disponibilità.

Valentina Uboldi, Eni Siamo un’azienda globale quindi abituati a restare in contatto con formule ibride, sebbene avere delle occasioni di incontro dal vivo resta sempre una fonte di motivazione che non dobbiamo trascurare. La  digitalizzazione e modalità sempre più originali di ingaggio offrono un indubbio vantaggio competitivo nella creazione di nuovo modello relazionale interno; penso però che oggi dovremmo porci il tema dell’overload di esperienze digitali e di una certa stanchezza dei colleghi sempre più bombardati da stimoli “da tastiera”. Noi comunicatori interni possiamo essere una bussola per l’organizzazione per trovare un equilibrio sano ed efficace nel mix di iniziative digitali versus quelle in presenza.

Giovanna di Bacco, E.ON Sì, è importante combinare la modalità fisica di incontro e scambio, magari sotto forma di workshop o discussione, con una modalità online, esattamente come si è abituati nel day by day. Ma soprattutto è essenziale far sì che gli strumenti utilizzati siano fruibili sia da chi è fisicamente presente al meeting, sia da chi è collegato da casa (es: lavagne interattive). Infine, è fondamentale assicurarsi che i membri che lavorano da remoto non si sentano isolati o meno coinvolti, ripensando quindi le modalità di ingaggio della community stessa.

Davide Ciullo, Snam La modalità da remoto, quando svolta con modalità ingaggianti, ha avvicinato le persone abbattendo le distanze; preferibilmente, tuttavia, optiamo per modalità ibride che consentano alle persone di non rinunciare all’esperienza in presenza pur permettendo a tutti, potenzialmente, di prender parte alle iniziative. Questo vale in generale per tutte le iniziative di engagement rivolte alle nostre persone.

Marialaura Agosta, Danone La nostra è un’organizzazione che già da anni lavora sulla creazione di un’ambiente di lavoro che si basa su due elementi: il fisico e il digitale.

Sicuramente è cambiato il contenitore, inteso come spazio dove si possono creare momenti di condivisione, ma non il contenuto. Abbiamo creato una modalità di lavoro inclusiva, che tiene conto delle diverse esigenze delle nostre persone. In questo senso, sia che si tenga un webinar sia altre attività di ingaggio, garantiamo sempre la doppia modalità di partecipazione, in presenza e da remoto.

Marco Minghetti Le vostre considerazioni confermano quanto già scrivevamo nella Nona Variazione Impermanente del Manifesto dello Humanistic Management:  «Nel simposio aziendale del XXI secolo, il modello generale di creazione e diffusione della conoscenza è la relazione a rete, in cui gli attori si legano, tramite strumenti condivisi, in network specifici di comunicazione». Tutto ciò però non deve lasciare in secondo piano la rilevanza del faccia a faccia. Poiché il lavoro cognitivo non si concentra in luoghi fisici designati, tendenzialmente separati dalla società, è difficile immaginare che, in quanto tale, possa agire come nucleo di processi di aggregazione sociale. È significativo che la possibilità della teleconferenza non abbia determinato la fine dei viaggi d’affari. C’è un rapporto funzionale stretto tra comunità virtuale e cenacolo fattuale. Quelle virtuali non sono comunità ma semplici collegamenti – non di rado maniacali – se non generano o se non sono complementari al contatto diretto, al lavoro gomito a gomito”.

Una riflessione che precede di decenni l’attuale dibattito sul lavoro ibrido, così come gli studi sul telelavoro di Domenico De Masi hanno precorso con abbacinante lungimiranza quelli attuali sullo smart working.

In che modo le motivazioni psicologiche personali e/o gli aspetti del contesto aziendale e della cultura organizzativa possono influenzare l’ingaggio nelle Community aziendali, magari portando a una partecipazione meno attiva dei dipendenti? Come si possono affrontare queste sfide?

Valentina Uboldi, Eni La cultura di un’azienda influenza sempre le dinamiche interne, così come la cultura che ogni membro di un’organizzazione ha in sé può essere allineata a quella aziendali, e quindi produrre effetti benefici a entrambi, oppure al contrario generare un allontanamento. La Internal Comms Global Community è nata proprio per consolidare la cultura dell’inclusione, del dialogo, dello scambio, con colleghi di estrazione molto differenti tra loro e proprio per questo perfetti per creare solide basi di valore.

Anche i leader hanno un ruolo determinante nell’influenzare positivamente i membri di una community: i leader sono l’esempio e devono essere sempre più consapevoli della rilevanza del loro ruolo come comunicatori, come agenti della cultura aziendale, come portatori di trust e di valori che generano poi un ritorno in termini di produttività e motivazione … anche su questo stiamo lavorando a piccoli passi.

Sulle motivazioni psicologiche credo che chi fa il mio mestiere riesca ad incidere fino a un certo punto:  se siamo in presenza di un disagio o di un disengagement così alto da compromettere il buon funzionamento di una community forse significa che è necessario rivedere la composizione della community stessa che ha bisogno di elementi motivati e ingaggiati. Io lo faccio, ogni tot mesi verifico il grado di ingaggio dei membri e valutiamo se sono ancora portatori di entusiasmo.

Alessandra Cappello, UNIPOL Le motivazioni psicologiche personali e gli aspetti del contesto aziendale e della cultura organizzativa sicuramente impattano sul livello di ingaggio delle persone.

Nel nostro contesto aziendale, dove la cultura organizzativa è fortemente orientata al raggiungimento dei risultati di business, occorre lavorare anche sul tema della collaborazione attraverso la costruzione di network.

Abbiamo infatti compreso che la partecipazione attiva nelle Community interne può portare vantaggi concreti, che partono dalla condivisione di conoscenze e dallo sviluppo di nuove competenze per gli employee.

Si tratta di un tipo di ROE (Return of Engagement), che misura il valore generato attraverso l’interazione e l’impegno degli stakeholder interni ed esterni: un alto ROE indica un ambiente lavorativo positivo, in cui i dipendenti sono motivati, collaborativi e orientati al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Affrontare queste sfide richiede un approccio olistico che tenga conto sia delle motivazioni individuali dei dipendenti che degli elementi culturali e organizzativi: in poche parole, è necessario fornire ai dipendenti incentivi e motivazioni personali per partecipare attivamente alle Community, ad esempio riconoscendo e premiando il contributo individuale, creando spazi per l’innovazione e per lo sviluppo personale e professionale all’interno delle Community stesse, così da poter dare voce a tutti i livelli dell’organizzazione.

Marialaura Agosta, Danone Valorizzare le persone in quanto appartenenti a una “categoria” è il primo passo per favorire una partecipazione attiva, così come garantire alle persone la possibilità di esprimersi liberamente.

Un altro elemento fondamentale è il coinvolgimento della leadership aziendale per valorizzare l’attività ed essere d’esempio per le persone.

Ornella Castellano, Snam Con riferimento agli ERG, le motivazioni personali sono la prima leva che porta le persone ad avvicinarsi e a sentirsi rappresentate. Di grande importanza è poi la cultura organizzativa: quanto più le proposte riescono a trovare un supporto e uno spazio reale di implementazione, tanto più le persone si sentono ingaggiate nel partecipare.

Isabella Pacifico, Carrefour Le dinamiche di lavoro nella Grande Distribuzione, soprattutto nei punti vendita, possono essere molto sfidanti in termini di orari e disponibilità, compromettendo a volte gli sforzi dell’azienda per garantire il benessere e il work-life balance delle persone. Questo, insieme a un contesto di mercato non sempre favorevole, può portare a una diminuzione dell’ingaggio, che si traduce in una partecipazione meno attiva alle iniziative aziendali, comprese quelle promosse dalle Community.

Ciò che possiamo fare è perseverare nel nostro impegno a promuovere il wellbeing in azienda attraverso provvedimenti concreti nei nostri negozi. Dobbiamo usare tutti i canali a disposizione, in primis le Community, per mantenere saldo il filo diretto tra organizzazione, top management e collaboratori, condividendo l’andamento dell’azienda e motivando le scelte strategiche, anche quelle che possono apparire impopolari. Inoltre è fondamentale sfruttare ogni occasione per comunicare la gratitudine dell’azienda nei confronti dei dipendenti per il lavoro svolto quotidianamente.

Marco Minghetti Oggi si parla molto di purpose, di value proposition, di definizione o ri-definizione del posizionamento strategico dell’azienda. Nel suo Opinion Piece Riccardo Maggiolo ha scritto: «Le organizzazioni senza persone sono nulla – e le persone senza organizzazioni non possono nulla. Le organizzazioni devono essere centri attrattivi, e quindi “pop” nel senso più pieno di “popolari”; diventare spazi di fiducia atti a svolgere quel ruolo di luogo d’incontro e di coordinamento sociale che istituzioni e media non riescono più a esercitare. Costruire mappe per ridisegnare territori e trovare anzitutto sé stesse. Per questo sviluppare una nuova cultura del lavoro non è più una scelta, ma una vera e propria esigenza per ogni realtà organizzativa.

Attenzione, però: questo non vuol dire che le organizzazioni dovrebbero parlare fino alla nausea di “valori” e di “purpose”, offrendo piani di welfare o integrazioni di stipendio; né che i capi debbano tutti trasformarsi in “leader gentili” e in popolari raccoglitori di like sui social media. Tutte queste cose (se fatte in maniera seria e non fatua) possono essere utili o persino necessarie, ma non sono sufficienti. Perché il punto è che in un mondo complesso, incerto, mutevole, tutti – e in particolare i più giovani – sono alla ricerca di autenticità. E l’autenticità, nelle organizzazioni, si origina nell’autorevolezza».

Quell’autorevolezza che, in una social organization, si traduce nella capacità di esercitare quel “potere di convocazione” che così viene definito nel Manifesto dello Humanistic Management: “La convocazione è invito attivo; è suscitamento dell’iniziativa discorsiva dell’altro, a partire dal riconoscimento di principio della sua autorevolezza in quanto altro. È lo sviluppo di relazioni dialogiche, che si prendano carico non solo di usare utilmente un rapporto dato, ma di costruirne/ricostruirne le premesse. La cognitivizzazione del lavoro organizzato, definitivamente sancita dall’avvento di Internet, rende ancora più plausibile questo modo di intendere l’organizzazione».

Giovanna di Bacco, E.ON Sicuramente le community riflettono la vita e il purpose aziendale: se il valore dell’ingaggio e dell’ascolto non è insito nella cultura e nel way of working è molto complicato replicare questa dinamica all’interno della community. Inoltre, anche il coinvolgimento attivo dei leader/top management aziendale porta i community members a impegnarsi in maniera più o meno attiva. Infine, la gestione dei premi, ricompense e riconoscimenti è un altro aspetto da tener presente per favorire la partecipazione attiva e costante nel tempo.

Dal vostro punto di vista e partendo dalla vostra esperienza, quali dinamiche sociologiche sono essenziali per promuovere un coinvolgimento significativo all’interno di una Comunità di ingaggio?

Marialaura Agosta, Danone Volendo rispondere per punti-elenco a una domanda che richiederebbe ovviamente molto spazio, indicherei i seguenti:

  • Inclusione;
  • Condivisione;
  • Leadership partecipativa;
  • Sviluppo;
  • Fiducia e libertà di espressione;
  • Senso d’appartenenza;

Davide Ciullo, Snam Volendo integrare questi spunti, parlerei anche di identità di gruppo, da stimolare attraverso iniziative di comunicazione, socializzazione, team building, e di partecipazione attiva e coinvolgimento, che valorizziamo attraverso decisioni collegiali, progetti partecipati e riconoscimento dei contributi, come già detto in precedenza.

Valentina Uboldi, Eni Tra le tante dinamiche sociologiche citerei il senso di coesione che facilita l’influenza tra i membri. Quando la coesione è forte i membri accettano più volentieri gli scopi, gli obiettivi e le norme dettate dal leader e o dagli altri membri. Occorre che i membri si sentano utili e importanti , quindi è indispensabile affidare loro uno scopo di valore e gli strumenti per poterlo raggiungere. In questo quadro credo sia decisivo agire sull’apertura al nuovo, sul coraggio di cimentarsi in nuove esperienze, su nuova capacità che esulano dal ruolo predefinito, sulla voglia di qualcosa di diverso e di cui essere un ingranaggio in un disegno più alto, ma sempre concreto, tangibile

Alessandra Cappello, UNIPOL Provo ad esplodere qualcuna delle suggestioni elencate.

Innanzitutto, noi crediamo che sia fondamentale creare un senso di appartenenza e identità comune all’interno della Community, incoraggiando la condivisione di valori, obiettivi e interessi condivisi tra i membri. Ad esempio, all’interno di UniWall i nostri colleghi si riuniscono giornalmente in un luogo virtuale in cui si raccontano la vita in azienda e, attraverso le loro passioni, approfondiscono e valorizzano le realtà in cui Unipol è presente.

Inoltre, riteniamo che la costruzione di relazioni autentiche sia cruciale per stimolare l’interazione e il coinvolgimento attivo: questo significa favorire la creazione di spazi di dialogo ibridi, aperti e inclusivi, dove i membri si sentano ascoltati e incoraggiati a contribuire con le proprie idee e prospettive, ad esempio dei caffè virtuali o delle pause pranzo organizzate in Community.

Infine, crediamo che sia essenziale promuovere una cultura di collaborazione e supporto reciproco all’interno della Community: incentivare la condivisione di conoscenze, esperienze e risorse tra i membri favorisce la costruzione di legami solidi e facilita la crescita collettiva.

Giovanna di Bacco, E.ON Di certo è essenziale favorire il senso di appartenenza e fare in modo che i membri della comunità si sentano parte di un gruppo che condivide interessi, obiettivi e identità comuni. A ciò si aggiunge la valorizzazione delle differenze all’interno della community, che portano differenti punti di vista e quindi occasioni di scambio e discussione. Infine, anche dare dei riconoscimenti e delle premialità possono portare i membri della community a rimanere ingaggiati e volenterosi nel prendervi parte.

Isabella Pacifico, Carrefour Tra le dinamiche sociologiche più importanti per promuovere un coinvolgimento significativo all’interno di una Comunità di ingaggio possiamo individuare diversi elementi fondamentali.
In primo luogo l’identità e l’appartenenza sono cruciali. Le persone tendono a partecipare attivamente a comunità in cui si sentono parte di un gruppo e dove l’identità individuale è in sintonia con quella collettiva. Una Community come quella di Workplace va esattamente in questa direzione, favorendo un senso di inclusione e appartenenza.
L’ascolto è un altro aspetto essenziale. È importante misurare costantemente il sentiment delle persone sui principali indicatori. Carrefour lo fa sia tramite survey periodiche sia tramite indagini estemporanee su argomenti specifici, garantendo che la voce dei dipendenti venga ascoltata e presa in considerazione.
La partecipazione attiva a progetti e a decisioni condivise è fondamentale. Le Community di Workplace possono essere utili nella creazione di team trasversali in cui ciascuno porta le proprie competenze e conoscenze in progetti e conversazioni stimolanti, andando oltre le attività più ordinarie.
L’amplificazione delle connessioni esistenti nella comunità fisica è un altro punto chiave. Un social network aziendale offre uno spazio virtuale per condividere idee e risorse, promuovere le attività e gli eventi della comunità, coinvolgendo un pubblico più ampio e facilitando il networking e lo scambio. Esempi di questo sono il gruppo dei Superheroes, figure di punto vendita attive nella promozione di eventi e iniziative di sostenibilità, e il gruppo della Scuola dei Leaders, il programma di formazione dedicato ai futuri leader Carrefour. Entrambi hanno trovato uno spazio di espressione comune su Workplace.
Infine, la creazione di comunità a partire da quelle virtuali è un altro aspetto rilevante. Grazie allo spazio virtuale offerto da Workplace, persone con interessi simili possono incontrarsi e dare vita a nuove community, che possono anche trasformarsi in realtà fisiche. Esempi di questo sono i gruppi “Sostenibilità” e “Digital Transformation”, nati inizialmente come comunità virtuali e che possono evolversi in comunità fisiche. Questi elementi combinati possono contribuire a creare un ambiente di lavoro più coeso e coinvolgente, promuovendo un forte senso di comunità e appartenenza tra i collaboratori e le collaboratrici

In che modo la vostra organizzazione misura l’impatto e il valore generato dalle Community interne? In che modo si può valutare la maturità o la salute di una comunità di ingaggio e quali sono gli indicatori chiave da monitorare?

Alessandra Cappello, UNIPOL La misurazione dell’impatto e del valore generato dalle Community interne non è semplice e dipende da una serie di fattori peculiari. Il monitoraggio viene sviluppato attraverso una combinazione di indicatori chiave di utilizzo e adozione degli ambienti virtuali sviluppati su Viva Engage (es: numero post pubblicati, letture, commenti, reactions etc), ma soprattutto tenendo conto degli obiettivi principali che sostanziano l’esistenza della Community stessa.

Inoltre, ne valutiamo la maturità e la salute attraverso l’analisi della qualità delle interazioni, della consistenza dei contenuti e della crescita della base di utenti attivi. Sulla base di quanto raccogliamo, sosteniamo attivamente lo sviluppo di piani editoriali efficaci e incentiviamo la partecipazione dei colleghi, incoraggiando la spontaneità nella creazione di contenuti.

Una Community in salute è certamente una Community viva, che si alimenta di contenuti spontanei direttamente dai partecipanti, ma è prima di tutto uno spazio utile e che è capace di creare valore aggiunto per il collega che la utilizza.

Giovanna di Bacco, E.ON Anche noi principalmente monitoriamo la partecipazione (% e tasso di partecipazione agli incontri e alle occasioni di scambio); la crescita della stessa (se prevista – in altri casi sono community a numero chiuso); l’impatto sui KPI aziendali (ad esempio con l’introduzione di progetti pensati e sviluppati dalla community stessa); l’innovazione e la capacità della community di resistere ai cambiamenti esterni e ai cambiamenti organizzativi.

Valentina Uboldi, Eni Su Workplace misuriamo il tasso di attivazione dell’account, per noi molto importante da monitorare vista anche la forte presenza di personale in siti industriali che rappresenta un target sfidante; poi l’interazione e la proattività dei membri con il dato sulle reaction, sul numero di commenti e di condivisioni, oppure andando ad analizzare la creazione spontanea di contenuti; il numero di domande che vengono poste è indice di partecipazione; e poi ci sono le survey per misurare il gradimento del piano di ingaggio della community. Sicuramente l’Intelligenza Artificiale potrebbe ad esempio aiutarci a capire di tipo di linguaggio viene utilizzato dai membri, molto interessante per poter fare delle considerazioni nel campo dell’inclusione.

Per la Internal Comms Global Community misuriamo il raggiungimento degli obiettivi che affidiamo ai membri, come la partecipazione alle riunioni di redazione, la creazione di storytelling nei Gruppi di consociata su Workplace, l’adesione e la diffusione di campagne Global, la capacità di coinvolgimento del proprio management…

Marialaura Agosta, Danone Aggiungerei le indagini di Clima, che permettono di indagare l’ingaggio, il tasso di inclusione, il wellbeing e molto altro.

Davide Ciullo, Snam  Al netto dello strumento principale di ascolto della popolazione aziendale, l’engagement survey, che traccia puntualmente il grado di soddisfazione sui temi citati da Marialaura, rispetto alle attività più specifiche promosse dalle community interne, un indicatore chiave è sicuramente la percentuale di persone che partecipano attivamente alla vita della community, oltre che il numero di idee e iniziative proposte.

Isabella Pacifico, Carrefour  Provo a declinare la nostra esperienza con un linguaggio tecnico. Nella prima fase di adozione di Meta Workplace ci siamo concentrati sulla misurazione dell’activation rate, che ad oggi è del 67,8% su tutta la popolazione aziendale. Ed è un buon risultato, considerando il fatto che la maggior parte del personale di punto vendita deve usare il proprio Smartphone privato per collegarsi. L’obiettivo che ci siamo dati per il 2024 è arrivare al 75%.

Un altro indicatore importante per misurare la maturità della community è quello dell’engagement dei post (#commenti/#post) che ad oggi è del 140%, mentre dovrebbe essere almeno del 300% per garantire l’efficacia degli scambi.
Infine la partecipazione agli eventi aziendali: poiché i principali momenti di condivisione interna sono trasmessi in diretta su Workplace monitoriamo costantemente il numero di persone che si collegano per seguirli e conduciamo periodiche indagini di gradimento per progettare nuovi format o rivedere il mix dei contenuti.

Abbiamo inoltre da poco lanciato un pilota per coinvolgere i nostri Imprenditori: essendo un primo esperimento aspettiamo di vedere il comportamento prima di darci dei KPI, ma data la crescente importanza del canale Franchising l’adozione di Workplace da parte degli Imprenditori darà un grosso contributo in termini di allineamento e condivisione tra Franchisor e Franchisee.

Valentina Uboldi ha accennato ai possibili sviluppi futuri dell’Intelligenza Artificiale all’interno delle Community aziendali. In che modo pensate che l’AI possa influenzare la dinamica di ingaggio e collaborazione tra i membri?

Vittorio Verdone, UNIPOL Faccio una breve premessa. Se parliamo di AI in senso di potenza di calcolo su dati strutturati e non, le community nel mondo virtuale ne han fatto largamente uso da diversi anni (e penso alle raccomandazioni di Facebook, o X, o Instagram, alla capacità degli algoritmi di predire – o spingere – un interesse specifico o mostrare un contenuto in target); se parliamo di GenAI, e quindi dell’interazione basata sul linguaggio, penso che una community sia una realtà in sé stessa profondamente umana, e che nessuno vorrebbe stringere relazioni o creare conversazioni con un pensiero statisticamente probabile.

C’è un aspetto, però, dove vedo un’applicazione concreta legata alle community.

Poco tempo fa, The Economist scriveva: «Tutte le organizzazioni devono affrontare il problema della raccolta e del trasferimento della conoscenza […] Una workforce che invecchia crea un’urgenza ulteriore nel formare i nuovi assunti prima che la vecchia guardia abbandoni gli uffici». Il grande shift tra boomers, generazione X e Millennials e GenZ porterà a una potenziale perdita diffusa di conoscenze informali generate dall’esperienza dei primi a sfavore dei secondi, e la conoscenza tacita (esperienze, pratiche, conoscenze specifiche) è una tipologia di conoscenza che difficilmente può essere codificata e formalizzata se non, appunto, attraverso le community aziendali.

Pensare a una IA che, tra dieci anni, possa sintetizzare, clusterizzare e riprodurre in un formato facilmente accessibile (il linguaggio naturale) la conoscenza stratificata e condivisa nelle community, credo sia una ricchezza enorme per aziende come la nostra, dove quasi un quarto dei dipendenti di oggi saranno in età pensionabile nei prossimi dieci-dodici anni.

Valentina Uboldi, Eni Vedo la AI in un prossimo futuro come un potente abilitatore di un modo più efficace di gestire i processi più operativi di comunicazione interna. Ci consentirà di essere più veloci sulle attività tecniche del nostro mestiere  e di dare così più spazio a strategia, creatività e innovazione di pensiero.

La AI potrà anche aiutarci a misurare meglio le interazioni nella community, a estrapolare kpi qualitativi significativi come sentiment a partire dal linguaggio, come stavo dicendo prima… Penso, inoltre, che la AI possa portare nuova linfa alle community, innovare il modo di stare insieme, potrà farci “giocare” e sperimentare approcci nuovi e questo genererà nuova curiosità, nuova motivazione e voglia di far parte della community.

Isabella Pacifico, Carrefour Carrefour ha già testato l’uso dell’intelligenza artificiale nel proprio e-commerce e sta sperimentando un chatbot all’interno del proprio gestionale HCM per rispondere alle domande di collaboratori e le collaboratrici sui temi HR.

Al momento non sono previsti sviluppi di intelligenza artificiale nella community di Workplace, ma indubbiamente questi potrebbero avere impatti significativi in futuro. Innanzitutto, l’I.A. potrebbe migliorare la personalizzazione dell’esperienza utente. Attualmente, la configurazione della propria timeline è gestita direttamente dall’utente, attraverso la scelta dei gruppi da seguire e l’impostazione delle notifiche, oppure dal setting automatico del sistema, che ordina e seleziona i post visualizzati e gli utenti seguiti. Con l’introduzione dell’I.A., questi aspetti potrebbero essere adattati in base ai singoli interessi degli utenti, aumentando così il loro coinvolgimento.

Inoltre, l’I.A. potrebbe migliorare la qualità dei contenuti visualizzati, identificando i gruppi più attivi e gli utenti più esperti. Questo permetterebbe di mettere in evidenza contenuti di maggior valore e rilevanza per ogni utente, migliorando l’esperienza complessiva nella community. L’uso di chatbot e assistenti virtuali potrebbe velocizzare ed efficientare la ricerca di informazioni, superando le limitazioni di un semplice motore di ricerca. Questi strumenti potrebbero fornire risposte immediate e personalizzate, migliorando l’accessibilità alle informazioni aziendali. Infine, l’automatizzazione di compiti ripetitivi come la moderazione dei gruppi e dei post da parte degli amministratori potrebbe essere notevolmente migliorata dall’I.A. Questo permetterebbe agli amministratori di concentrarsi su compiti più strategici, mentre l’I.A. gestirebbe le operazioni di routine, garantendo una gestione più efficiente e tempestiva della community.

In sintesi, l’implementazione di tecnologie di intelligenza artificiale nella community di Workplace potrebbe portare a una maggiore personalizzazione, qualità dei contenuti, efficienza nella ricerca di informazioni e automatizzazione di compiti ripetitivi, migliorando significativamente l’esperienza degli utenti e il funzionamento complessivo della piattaforma.

Davide Ciullo, Snam L’IA ha sicuramente il potenziale di trasformare le community aziendali, migliorando l’engagement e la collaborazione attraverso una personalizzazione delle esperienze, una comunicazione più efficiente, una formazione mirata e il supporto alle decisioni. Questi sviluppi possono contribuire a creare ambienti di lavoro più dinamici e inclusivi, in cui ogni membro si senta valorizzato e supportato. Oltre all’opportunità di liberare risorse ed energie per attività a valore aggiunto.

Giovanna di Bacco, E.ON In sintesi, possiamo dire che l’AI può lavorare in due direzioni principali: quella dell’automazione e quella della personalizzazione. Per quanto riguarda l’automazione, l’AI può supportare all’analisi dei dati e dei sentiment che emergono, può catalogare le idee, può programmare eventi, raccogliere iscrizioni, può fornire quadri di trend e tendenze aziendali e del mondo su determinati temi. Rispetto alla personalizzazione, invece, potrebbe fornire ai community members percorsi di formazione personalizzati, strumenti per l’acquisizione di skills specifiche, oltre che esempi di progettualità già esistenti su argomenti specifici.

Alessandra Mazzei, Direttrice CERC (Centre for Employee Relations and Communication) Università IULM Ringrazio tutti per il generoso contributo a questa conversazione sulle comunità di ingaggio. La raccolta di esperienze e di riflessioni che ne è scaturita consente davvero di avere una comprensione di un fenomeno nuovo con radici profonde.

Ho imparato molto attraverso questo confronto e propongo alcune sottolineature.

Le comunità di ingaggio che si stanno diffondendo oggi sono fortemente supportate dalle tecnologie che le rendono possibili e danno loro forma. Nella discussione è emerso il ruolo della tecnologia come abilitatore, idea che condivido in pieno e alla quale aggiungo che dovrebbe abilitare modelli di lavoro pensati dalle organizzazioni che le adottano. Il rischio è che le tecnologie disponibili offrano soluzioni che diventano dei paradigmi e che possano portare a una omologazione delle comunità nelle diverse organizzazioni. L’ideale sarebbe quello di partire da una chiara strategia e col supporto della tecnologia dare alle comunità la configurazione più adatta al contesto specifico.

Le tipologie di comunità attivate sono variegate e questo evidenzia una duttilità di questo strumento e la sua capacità di supportare aziende che una popolazione molto ampia, eterogenea e diffusa capillarmente.

Le comunità di ingaggio sono molto complesse, possiamo associarle a degli organismi in continuo adattamento ed evoluzione che vanno alimentati. I vari interventi hanno evidenziato la necessità di sostenere la vitalità e la continuità, è stata usata la bella espressione di “nutrire”. Emerge quindi la rilevanza di un approccio strategico alla loro creazione e gestione: definire una architettura, progettare azioni a supporto, animare, monitorare e misurare. Le comunità per essere tali hanno bisogno di spontaneità, autenticità, caratteristiche che emergono da specifiche azioni. Vanno seminate e coltivate.

Le esperienze raccolte sottolineano vari benefici come ingaggio, ambassadorship, scambio di conoscenze e molti altri. Ciò che vorrei sottolineare è che secondo me una delle chiavi per il successo sostenibile nel tempo è che le comunità offrano ai loro membri dei benefici percepibili già nel breve periodo e legati al loro lavoro oppure a una causa di particolare valore per le persone che se ne occupano. In un contesto di ritmi e tempi di lavoro molto intensi, il valore aggiunto di ogni attività deve essere percepibile nell’immediato.

Le comunità di ingaggio sono praticamente sempre ibride, il che le rende uno strumento essenziale nei nuovi contesti di lavoro che integrano gli spazi presso le sedi aziendali, gli spazi privati degli employees e appunto gli spazi virtuali dei digital workplace. Emerge che le community sono un elemento di questa nuova sfera di lavoro, non più solo il luogo fisico del posto di lavoro. In questa sera di lavoro le comunità rafforzano il dominio relazionale cruciale per la creatività, la fiducia, la cultura, il capitale sociale con le sue reti di relazioni.

Oggi uno dei tempi cruciali nelle organizzazioni è il benessere. Dalla conversazione emerge un nesso tra comunità e benessere, che come spesso accade è duplice: in una azienda dove prevalesse un senso di malessere organizzativo le comunità non potrebbero decollare. Allo stesso tempo laddove un’azienda ha un buon livello di benessere organizzativo, l’opportunità delle comunità potrebbe essere un elemento di rafforzamento.

L’Intelligenza Artificiale è una nuova frontiera, apre strade che non sono stati ancora percorse e di cui non immaginiamo l’esistenza. Gli interventi in questo blog hanno ben evidenziato gli apporti possibili e auspicabili. Quello che mi sento di aggiungere è l’auspicio che l’AI (di ogni tipo) nelle comunità di ingaggio sia al servizio del loro uso. Allo stesso tempo auspico che la caratteristica di comunità faccia in modo che esse siano il terreno per la libera creatività umana, quella che esula dal dominio del probabile e sconfini continuamente nell’imprevedibile, nell’impossibile, nella fantasia, nel sogno. Credo che questo bisogno diventerà sempre più forte via via che si diffonderà l’AI: a questa il prevedibile a noi esseri umani il superamento continuo dei confini della conoscenza.

Infine un interrogativo di più largo orizzonte: possono le comunità organizzative sostenere il percorso – oggi molto accidentato – volto a capire e a dare un senso al lavoro delle persone nelle organizzazioni?

14 – continua

Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)

Puntate precedenti:

1 – DALLO HUMANISTIC AL POP MANAGEMENT
2 – MANIFESTI, ATLANTI, MAPPE E TERRITORI
3 – IL MANAGER PORTMANTEAU
4 – WHICH WAY, WHICH WAY?
5 – LEADERSHIP POP (LEZIONI SHAKESPEARIANE)
6 – OPINION PIECE DI RICCARDO MAGGIOLO
7 – LEADERSHIP POP (APERTURA, AUTONOMIA, AGIO, AUTO-ESPRESSIONE)
8 – OPINION PIECE DI JOSEPH SASSOON
9 – OPINION PIECE DI CESARE CATANIA
10 – OPINION PIECE DI VANNI CODELUPPI
11 – OPINION PIECE DI ALESSANDRO GIAUME
12 – COLLABORAZIONE POP. L’IRRESISTIBILE ASCESA DELLE COMMUNITY INTERNE
13 – COLLABORAZIONE POP. L’EMPATIA SISTEMICA
14 – COLLABORAZIONE POP. LE COMMUNITY AZIENDALI: UNO STATO DELL’ARTE, PARTE PRIMA