La Buona Educazione nell’era del Societing – Alice annotata 19b

Il discorso relativo alle caratteristiche delle conversazioni digitali in Internet, che abbiamo avviato nel post La conversazione in Rete: fra Regole, Netiquette, Policy, Emoticon (Alice annotata 19a), ha scatenato un vivace dibattito sulla nostra pagina di Alice annotata e meriterebbe una lunga serie di approfondimenti.

Mi preme per il momento sottolineare che si può  dire del perfetto membro di un social network quello che Empson dice di Alice: “Alice is very respectful to conventions and interested to learn new ones; indeed the discussions about the rules of the game of conversation… put the tone so strongly in favor of the conventions that one feels there is nothing else in the world”. E’ importante ricordare l’aspetto giocoso e in perenne bilico fra l’adultità e l’infantilismo tipico di Wonderland delle conversazioni condotte da Alice: esattamente lo stesso può dirsi di moltissimi social network a partire da Facebook, un mondo in cui si alternano goliardate da nerds a serissimi gruppi di studio e a community dedite a cause umanitarie. Anche qui cade bene la descrizione che Empson fa degli abitanti di Wonderland: come molti appassionati di social networking “the creatures are always self-centered and argumentative… childish”.[i]

Celati trova particolarmente significativo a questo proposito l’episodio della pozza delle lacrime. Qui, dice, c’è una vera conversazione da salotto. Il fatto che avvenga tra “animali con nomi insoliti” viene letta come una sorta di “animalizzazione dell’umano”. A me sembra più interessante  osservare che le identità degli esseri con cui Alice dialoga non sono più bizzarre di quelle che si potrebbero trovare in Second Life, in Habbo o in un qualsiasi mondo virtuale. A riprova di quanto ha dichiarato Tim Burton nell’intervista rilasciata a La Repubblica del 18 marzo: “Si è detto spesso dei miei film che sono soltanti personali fantasmi, senza legami con la realtà. Io invece non faccio che immergermi nei miei sogni per aiutarmi ad attraversare la quotidianità e non vedo in cosa sogno e realtà potrebbero opporsi: anzi sono convinto che il sogno è realtà. Per questo esistono fiabe come Alice nel Paese delle Meraviglie”.

In ogni caso, prosegue Celati commentando il dialogo che si svolge sulla riva del lago di lacrime, tutta la situazione può essere letta come un atto d’accusa al discorso adulto, “una sonorità vuota per mantenere le distanze dagli altri. Ognuno deve restare al suo posto, nel suo isolamento”. E’ il fenomeno caratteristico delle società regolate secondo il canone dello scientific management, che nel Manifesto dello Humanistic Management definiamo “trionfalismo funzionale”. Nel contesto fordista di cui la catena di montaggio resta l’archetipo di riferimento, ognuno deve svolgere specifici compiti senza relazionarsi con gli altri. I rapporti sono regolati unicamente dalla gerarchia, dall’anzianità, dagli “ordini di servizio” emessi dal Padrone del Linguaggio (e della fabbrica: cfr. Hard Boiled Alice (Alice annotata 15a).

In questa luce, l’analisi di Celati è perfetta. “Qui ci sono alcune regole. Regola del rapporto tra aggressività e buona educazione. Il Topo si sente aggredito dai lapsus di Alice. La Gazza si sente insultata perché Alice le parla di gatti. Cosa bisogna dire e cosa non dire? Perché il Lorichetto si offende e risponde: ‘Io sono più vecchio di te e certamente ne so di più’? E’ tutto un gioco a intendersi-fraintendersi. Di cosa si sta parlando? Non si sa. Tutti non fanno che chiedersi scusa, I beg your pardon, scambiarsi formule di cortesia per tenere in piedi una conversazione vuota.” Proprio come negli ambienti sociali pre-determinati e pre-costruiti dai pianificatori del taylorismo: così perfettamente sensati, da risultare del tutto folli. Mobbing (vedi il post Wislawa Szymborska: felicità individuale e invidia collettiva, nevrosi, depressioni, persino suicidi (chi si ricorda il caso di Telecom France?, ne parlavamo anche in La dittatura dello Standard e il Nonsenso di Alice (Alice Annotata 17b): questi sono i frutti del buon senso dello scientific manager. E c’è chi ha il coraggio di accusare Carroll di schizofrenia (vedi il post The Dark Side of Alice (Alice annotata – 9b)… critici letterari o psicologi che evidentemente non hanno mai frequentato una azienda e i suoi top manager.

Tuttavia la Rete in quanto tale non è la soluzione a tutti i problemi. Ad esempio è interessante notare che lo scorso sabato 17 marzo il Corriere della Sera abbia pubblicato un articolo dal titolo Mediocri, fuori tema, con riferimento ai commenti che si trovano in Rete. Ne riporto l’incipit: “L’idea che i commenti nei blog potessero «catturare l’intelligenza dei lettori»? Era in voga fino a pochi anni fa, ma è stata travolta dalla realtà di pagine e pagine di reazioni fuori tema, prolisse, «tossiche» ai post e agli articoli online. «I commenti su internet si sono rivelati un fallimento». È arrivato a questa conclusione Nick Denton, il 45enne «mercante di pettegolezzi» (così si definisce su Twitter) che sui commenti dei lettori ha costruito la fortuna del suo impero di blog da 500 milioni di «pagine viste» al mese: otto siti, tra cui il primogenito (nel 2002) Gawker, ovvero «il guardone», e il tecnologico Gizmodo, il più cliccato (quello che pubblicò il prototipo dell’iPhone 4G dimenticato da un ingegnere della Apple al bar). Le ragioni del «fallimento» dei commenti, non solo nei suoi blog ma anche nei siti web dei grandi giornali, secondo Denton, non sono tanto i «troll», e cioè i provocatori che amano suscitare la rabbia altrui e sbranarsi: quelli possono essere bloccati. «La vera tragedia è il trionfo della mediocrità», l’appiattimento dei contenuti, il fatto che «per ogni due commenti interessanti, anche se critici, ce ne sono otto che sono fuori tema o tossici». «L’idea di catturare l’intelligenza dei lettori oggi suona come uno scherzo»”.

Paradossalmente, l’articolo ha prodotto una miriade di commenti  in Rete. A dimostrazione del fatto che l’analisi di Denton è per molti versi valida, ma solo se si limita il campo ai blog, che rappresentano ancora una forma 1.0 di comunicazione in Rete, ovvero da uno a molti,  dove il blogger, da vero Humpty Dumpty postmoderno, fa il bello e il cattivo tempo. Ma quando si passa a quello che in tempi non sospetti ho definito il mondo vitale di Facebook e più in generale al social networking, le possibilità di valorizzare l’intelligenza collettiva aumentano vertiginosamente: chi ne dubita è invitato a dare un’occhiata ai commenti collazionati sulla nostra pagina di Alice annotata, colonna portante del progetto di Education 2.0 multipiattaforma e multicanale di cui questo blog è solo uno degli elementi costitutivi, non a caso riconosciuto come benchmark dalla stessa Agenzia per l’Innovazione.

Il nostro progetto rappresenta la dimostrazione che, nel quadro ben delineato anche da Gino Tocchetti nel primo paragrafo del suo post  Il “social” come cura disintossicante per il “business” (e più estesamente da Luigi Ferraris nel volume L’Impresa nell’Era della Convergenza), sono maturi i tempi per quello che lo scomparso Gianpaolo Fabris aveva definito Societing, un neologismo proposto in prima battuta per una radicale rifondazione del marketing. “Di quella funzione cioè che ha sempre presieduto ed ottimizzato gli interventi dell’impresa sui mercati. Una disciplina ancora improntata a una filosofia di stampo fordista/taylorista dell’epoca che ne ha costituito il terreno di coltura, dei grandi mercati di massa che l’ hanno vista nascere e consacrato i suoi successi. Da allora il contesto a cui il marketing deve applicarsi, e il sistema di prodotti e servizi che deve promuovere, è profondamente cambiato. E’ una società nuova dove produzione e consumo vedono abbattere i tradizionali steccati, e l’abituale separatezza, per divenire due facce di una medesima realtà”[ii].

Ma le analisi di Fabris vanno al di là del ristretto ambito del marketing, poiché Societing significa porre l’ enfasi su questi incisivi cambiamenti e sottolineare

che il mercato è parte della società (lo scientific management quindi non è solo un modo di produrre, è un modo di pensare e agire che attraversa tutta la società: cfr. Alice, la humanistic manager (Alice annotata 10), è un suo subsistema e non un hortum clausum di esclusiva pertinenza degli aziendalisti (ecco dunque l’importanza della Metadisciplinarità  e la critica a tutti gli Esperti del Pensiero Unico: cfr. Wislawa Szymborska: dalla prosa del taylorismo alla nuova poesia manageriale);

che il capitale intangibile di una impresa (cui il Manifesto dello Humanistic Management dedica uno specifico capitolo) e i significati intangibili simbolici delle merci prevalgono largamente sugli aspetti strumentali, performativi. L’Invisibile determina sempre più il Visibile, tema centrale del Romanzo collettivo Le Aziende InVisibili;

che il consumatore ha ormai acquisito un potere ed una discrezionalità che contrasta sempre più vistosamente con gli stereotipi della sua tradizionale subalternità e che porta ai nuovi concetti di co-creazione di valore e collaborazione di massa;

che i mercati sono ormai divenuti “luoghi di conversazione” (questo ci riporta a quanto dicevamo all’inizio): in transizione da mercati di massa a una massa di mercati (Anderson) composti da tante nicchie, al limite formati da singoli individui, in cui si frammenta oggi la domanda. Capire come interagire con tutti gli stakeholder in quello che il Manifesto dello Humanistic Management definisce il “Simposio del XXI secolo“, diviene una sfida cruciale del nuovo Management 2.0.

Alice annotata 19b. Continua.

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