«La filosofia è in un rapporto essenziale e positivo con la non-filosofia: essa si rivolge direttamente ai non-filosofi». Lo diceva Gilles Deleuze che, nel 1977, coniò il termine pop’philosophie.
La Popsophia all’alba del nuovo millennio ha conosciuto un grande ritorno di interesse, generando discussioni, pubblicazioni e persino un Festival dedicato. La curatrice Lucrezia Ercoli nel 2014 scriveva: «La Popsophia assiste le vittime dell’erudizione accademica – che ha trasformato la filosofia, come temeva Hegel, in una “scienza superfluissima e noiosissima” – e le ricovera nella popular culture. Ma la Popsophia – come l’Essere di Aristotele – “si dice in molti modi” e si espone alle contraddizioni, alle critiche e ai fraintendimenti. Le contaminazioni prodotte dalla Popsophia hanno generato un terremoto che ha costretto anche gli studiosi più cauti e diffidenti a sporcarsi con i mille piani sdrucciolevoli della realtà contemporanea. Cos’è la Popsophia? La domanda attira interpretazioni diverse e contrastanti: un vaso pieno di aghi di ferro su cui la Popsophia agisce come un magnete capace di attrarre rappresentazioni inedite e inaspettate ma tra loro dialetticamente inconciliabili. La Popsophia significa ritorno all’origine autentica della filosofia prima della sua codificazione accademica, oppure rappresenta una vera novità che scaturisce dai cambiamenti veicolati dalla società di massa? Stiamo parlando della necessaria riconfigurazione di una disciplina che deve semplicemente ripensare i suoi presupposti o, rischio ben più grave, di un declino spettacolare sul crinale populistico di argomenti prêt-à-porter?»[1]
Io sono dell’avviso che la Popsophia non si limita a semplificare gli interrogativi sempiterni della filosofia rendendoli comprensibili a un pubblico di massa, ma, come scrive Ercoli, “produce nuovi paradigmi che articolano la complessità del mondo contemporaneo”. E se uno di questi paradigmi fosse il Pop Management?
La domanda sorge spontanea, anche considerando che nel 2024 cade il ventennale del Manifesto dello Humanistic Management,[2] fondato sulla grande tradizione dell’umanesimo europeo e aperto all’apporto di ambiti che l’impresa aveva spesso considerato a sé estranei, come la filosofia, la letteratura, il cinema, il teatro, ma anche di strumenti innovativi come il networking multimediale, la business television, l’edutainment. Si tracciava così il possibile percorso di un management che non teme di utilizzare tutte le risorse prodotte dalle nuove ICT, ma per il quale la poesia, l’arte, la filosofia si traducono in catalizzatori capaci di favorire l’integrazione organizzativa, di sviluppare nuove modalità di gestione del personale, di innovare la cultura d’impresa.
Era questo l’acme delle pionieristiche sperimentazioni avviate quando, giovanissimo responsabile della Comunicazione Interna (Agip, prima, Eni, poi), aggregai un gruppo di personalità, che si fece via via sempre più numeroso, intorno a una serie di iniziative innovative, partendo nel 1994 da volumi quali Le cose e le parole, libro-inchiesta scritto con Giorgio Del Mare su prassi e strumenti per lo sviluppo della comunicazione aziendale, e il miscellaneo La metamorfosi manageriale.[3] Le coincidenze non sono mai casuali: la mia lettera d’assunzione nel Gruppo ENI (aprile 1988) fu firmata dal romagnolo Pier Luigi Celli, allora Direttore HR e Humanistic Manager ante litteram (dirigente d’azienda, saggista e scrittore italiano è stato Direttore Generale della Luiss e della Rai, membro dei consigli di amministrazione di Illy e Unipol).
Qui va ricercata l’origine del Pop Management, la cui genesi (per utilizzare la distinzione di Walter Benjamin ripresa e discussa anche da Enzo Melandri nel breve saggio I generi letterari e la loro origine[4]) attraversa i trent’anni successivi, segnati da progetti editoriali (fra tutti le riviste Hamlet realizzata per AIDP, Associazione Italiana per la Direzione del Personale[5], e Personae, per il Gruppo ENI, quest’ultima connotata dal raffinatissimo progetto grafico)[6]; ma anche multimediali, come Alice Postmoderna[7]; romanzeschi, da Le Aziende InVisibili[8] (riscrittura collettiva delle Città Invisibili calviniane) al suo sequel, La Mente InVisibile[9]; digitali (il blog per Nova100-Il Sole 24 Ore[10]); ibridi (la Web Opera costituita da una decina di cortometraggi realizzati sia con tecniche tradizionali sia in Realtà Virtuale[11]); saggistici (L’Impresa shakespeariana[12], Nulla due volte[13], Intelligenza collaborativa[14]). In sintesi, è stato un percorso all’insegna del Pop, con il coinvolgimento di artisti come Milo Manara, Luigi Serafini, Wislawa Szymborska (e tanti altri), che hanno ripensato l’azienda alla luce dei testi di Shakespeare, Carroll, Calvino…[15]
La pubblicazione di Ariminum Circus Stagione 1[16] (firmato con lo pseudonimo Federico D. Fellini) celebra questa presa di coscienza. Il primo punto del Test d’ammissione introduttivo recita: «Il Lettore Ideale attualizza la Filosofia Pop di Deleuze: leggere un libro, oggi, equivale ad ascoltare un canale di Spotify, consultare una voce di Wikipedia, disputare una sfida su una piattaforma di giochi online, interagire con una serie tv in streaming, immergersi nella Realtà Virtuale di un quadro digitale, sperimentare un mondo simulato da un’Intelligenza Artificiale. “Ogni atteggiamento di fronte a un libro che richieda un’attenzione diversa giunge da un’altra epoca e lo condanna definitivamente”».[17]
Ma non è semplice: anche se pensiamo al marketing, che pure, è naturalmente immerso nella Popular Culture. «Per diventare POP ci vuole coraggio: per anni abbiamo lavorato per aziende abituate a creare piani media e campagne creative seguendo degli schemi prestabiliti: spesso molto ripetitivi e ormai entrati a far parte della consuetudine» commenta Stefano Pagani, autore del volume La seconda legge dei POP Brand. «Diventare un brand realmente POP significa mettere in discussione quei canoni e lavorare seguendo uno schema nuovo, diverso, capace di ascoltare le persone, cogliere il loro sentire e lavorare insieme a loro per propagare un messaggio di marca più forte, efficace e duraturo».
La transizione al Pop Management è tuttavia irrevocabilmente già in atto e riguarda tutta l’azienda. Pensiamo ai modelli di leadership, all’esempio di personalità come Brunello Cucinelli, vincitore del Premio Einaudi 2024 «in ragione della coerenza di una vita spesa nella diffusione di alti principi etici di libertà e responsabilità nel solco degli insegnamenti di Luigi Einaudi». Un’idea come quella di tenere un «Simposio itinerante di tecnologia dell’anima» con «i miei amici della Silicon Valley» – ovvero «Jeff» (Bezos di Amazon), «Marc» (Benioff di Salesforce), i fondatori di Instagram e tanti altri – è un grande esempio di Pop Leadership, all’insegna di un ibrido non solo fra tecnologia e persone/società, ma anche con l’anima, il trascendente. A cui poi si aggiunge il fascino glamour del fashion d’alto bordo: «Il cashmere ha “la consistenza dell’opulenza e la morbidezza dei sogni”, per citare Nicoletta Polla-Mattiot su Brunello Cucinelli nel libro Sogni su Misura (Luiss University Press 2023). Polla-Mattiot, a tale proposito, sottolinea la doppia natura del cashmere, rustica e delicata, che racconta l’origine bucolica di un lusso senza tempo, da riutilizzare all’infinito e rattoppare. Cucinelli, infatti, è convinto che gli oggetti in cashmere dovrebbero far parte dei beni materiali da tramandare in famiglia. Forse è proprio questa la base del silent luxury, il valore etico che si aggiunge a quelli estetici ed economici».
E se scorriamo i nomi dei Cavalieri nominati dal Presidente della Repubblica il 2 giugno 2024 troviamo la crème de la crème del Pop: la cantante, produttrice discografica e talent scout Caterina Caselli, la stilista e scrittrice Chiara Boni, l’attrice e produttrice Raffaella Leone, Marina Berlusconi, il presidente di Unipol, Carlo Cimbri, noto tanto per il suo ruolo da protagonista nelle vicende economiche del Paese quanto per le sue avventure di velista e motociclista…
Oppure, guardiamo alle pratiche formative: da molto tempo ormai sono essenzialmente basate sulla cosiddetta Gamification, ossia l’applicazione di aspetti propri del gioco – elementi e meccaniche di gioco, tecniche di game design – a contesti non specificamente ludici, che risultano essere le più efficaci. Mi spiego meglio attraverso alcuni esempi pratici, tratti dalla mia esperienza come consulente in OpenKnowledge. Il primo: la Corporate Academy di Assicurazioni Generali ha trasformato la formazione digitale in un momento di entertainment, sia dal punto di vista dei formati utilizzati, sia dal punto di vista della creatività e dello storytelling. Dopo aver costruito un modello di fruizione dei contenuti basato su quello di Netflix e delle più moderne piattaforme di streaming, abbiamo lavorato per catturare l’attenzione degli utenti con riferimenti culturali a loro familiari, ispirandoci alla storia del Mago di Oz, rivisitandola per rendere i personaggi, i colori, il tono di voce, adatto a un contesto multiculturale e per permettere agli oltre 70mila utenti di tutto il mondo di riconoscersi nei protagonisti. L’obiettivo? Portare l’intera popolazione aziendale ad acquisire le competenze di base in ambito digital, in particolare quelle relative ai principali trend e cambiamenti in ambito assicurativo.
Altro caso, il percorso di adoption degli strumenti digitali di Edison che, come da manuali del Change Management, prevedeva il coinvolgimento di un gruppo di champion. Dov’è il Pop? Questi champion si sono presentati ai propri colleghi in azienda con un video che replicava gli schemi e le dinamiche di una diretta Facebook. Con emoticon, commenti, live reaction. Non solo: tutte le comunicazioni di progetto, dalle DEM alle news sulla Intranet, ai poster, richiamavano nella grafica e nel tone of voice i principali social media (Facebook, , Instagram, Linkedin).
Terzo esempio: un videogioco ideato per Fondazione Vodafone dedicato ai neet, persone tra i 18 e i 25 anni, non occupate, né impegnate nello studio o altri percorsi formativi. Abbiamo proposto loro un’app, disponibile sia per iOS che per Android, con la finalità di aumentare le loro competenze digitali, stimolarli e renderli più interessati e qualificati a entrare nel mondo del lavoro utilizzando una metodologia di apprendimento basata sul gioco. Abbiamo creato uno storytelling che mantenesse alto l’ingaggio degli utenti e allo stesso tempo gli permettesse di vivere in prima persona le avventure all’interno del gioco. Il percorso è stato suddiviso in diversi livelli supportato da un meccanismo a episodi ricco di contenuti sempre differenti (video, infografiche, quiz e sfide) e dalla possibilità di entrare in una community per permettere un continuo scambio alla ricerca di risorse utili per superare le prove e quindi i livelli di gioco.
Ecco allora la necessità di un nuovo Manifesto, il Manifesto del Pop Management, che ne illustri esperienze e potenzialità, partendo dalla rivisitazione dei progetti realizzati nell’arco di tre decenni, per arrivare al panorama di metodi e strumenti di cui oggi si nutre la cultura aziendale e guardando al futuro con un nuovo sguardo, a dispetto della pletora di snob che dalla cultura Pop prendono schifiltosamente le distanze – come la scrittrice americana Ottessa Moshfegh, che ha dichiarato al New York Times: «Trovo irrilevanti i libri che hanno successo e non leggo fiction». Evidentemente, non la sfiora minimamente il dubbio di essere in contraddizione con se stessa, in quanto autrice di svariati bestseller, nonché fornitrice a getto continuo di dichiarazioni a quotidiani e riviste mainstream[18]. Atteggiamento tipico di una Pop star.
1 – continua
[1] Lo spettro della Popsophia in Lo Sguardo – rivista di Filosofia, N. 16, 2014 (III), p. 7.
[2] Le nuove frontiere della cultura d’impresa. Manifesto dello Humanistic Management, a cura di Marco Minghetti e Fabiana Cutrano, ETAS, 2004. Contributi di Giampaolo Azzoni, Enrico Bertolino, Paolo Costa, Franco D’Egidio, Domenico De Masi, Duccio Demetrio, Andrea Notarnicola, Enzo Rullani, Piero Trupia, Francesco Varanini, Giuseppe Varchetta, Laura, Luca, Maria Ludovica e Riccardo Varvelli. Postfazioni di Mario Morcellini e Ugo Volli.
[3] I volumi facevano parte di una collana di libri che avevo creato in coedizione con Sperling & Kupfer e Jaca Book: La Biblioteca Agip. Si tratta del primo tentativo nato in ambito imprenditoriale di rinnovare l’esperienza delle Edizioni Comunità di Olivetti, di con-fondere autori specialisti in management con poeti e romanzieri di tutto il mondo, di sperimentare quella “conversazione permanente tra passione e ragione che deve andare insieme alla ricerca di quanto vi è di buono nelle altre civiltà”, posta da Edgar Morin come priorità etica. Le esperienze di quegli anni sono ripercorse anche nel volume The Red Sign of Change, di Francesco Samorè (EGEA, 2019, pp. 31-32), a partire “dalla creazione dal nulla” della prima unità di Comunicazione Interna di Agip nel 1992, fino al 2000-2005, quando in Eni realizzo “l’integrazione di decine di piccole intranet aziendali che confluiscono nel primo Digital Workplace italiano, MyEni. La trasformazione digitale è la base per realizzare con strumenti nuovi, storicamente inediti, una comunità fondata su quella cultura d’impresa che successivamente Minghetti descriverà nel volume Intelligenza Collaborativa”.
[4] Quodlibet, 2014.
[5] Cfr. http://www.marcominghetti.com/chi-sono/hamlet-e-l%e2%80%99impresa-shakespeariana/
[6] La scelta del formato quadrato (che tornerà a distanza di vent’anni in Ariminum Circus), la stampa su una carta Flora, il coinvolgimento per ogni numero dei migliori illustratori italiani e stranieri, ne hanno fatto un oggetto prezioso che ha avuto anche menzione al Compasso d’Oro dell’Adi nel 2004. Fra gli artisti che hanno partecipato al progetto ricordo: Manuela Bertoli, Guido Scarabottolo, Julia Binfield, PierLuigi Longo, Francesca Bazzurro, Beppe Giacobbe, Michele Tranquillini, A+E Balbusso, Steven Guarnaccia, Paolo Guidotti, Valeria Petrone, Adelchi Galloni e Nora Krug.
[7] Cfr.: http://www.marcominghetti.com/chi-sono/alice-postmoderna-e-multipiattaforma/. Il Progetto fu segnalato come “unico vero spunto di riflessione costruttiva realizzato relativamente a talento individuale ed intelligenza collettiva” in un Report contenente le proposte emerse da Innovatori Jam 2011 all’allora Ministro dell’Istruzione e della Ricerca Francesco Profumo, a capo dell’Agenzia per l’Innovazione della Presidenza del Consiglio, poi confluita nell’Agenzia per l’Italia digitale.
[8] Di Marco Minghetti & The Living Mutants Society. Con 190 illustrazioni di Luigi Serafini. Libri Scheiwiller, 2008.
[9] Marco Minghetti & The Living Mutants Society (Limited Edition), La Mente InVisibile. Ilmiolibro, 2011.
[10] https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/
[11] http://www.marcominghetti.com/opere/le-aziende-invisibili/la-web-opera/i-video-della-web-opera/
[12] L’impresa shakespeariana. Protagonisti reali e virtuali sulla scena aziendale. Di Marco Minghetti. Illustrazioni di Milo Manara. Etas, 2002, pp. 400. Traduzione inglese a fronte.
[13] Marco Minghetti, Nulla due volte. Il Management attraverso la poesia di Wislawa Szymborska. Libri Scheiwiller 2006. Con foto di Fabiana Cutrano.
[14] Marco Minghetti, Intelligenza collaborativa. Verso la Social Organization, EGEA, 2013. Postfazione di Michele Tiraboschi. Edizione inglese: Collaborative Intelligence: Towards the Social Organization, Cambridge Scholars, 2014.
[15] Così il mio indimenticato Maestro Piero Trupia, nel Capitolo intitolato A beautiful network del suo Cento Talleri di verità (Mediascape edizioni, 2005), ha descritto l’esperienza: «Se la malattia sociale del nostro tempo è la difficoltà di creare e mantenere relazioni stabili, produttive, conviviali, Marco Minghetti è il medico senza frontiere di questa malattia. L’ho conosciuto a metà degli anni Novanta…. Marco stava mettendo insieme una Community di esperti e cultori nel campo della gestione delle risorse umane e dell’organizzazione aziendale. Disponendo di potere di convocazione ante litteram, trovò il numero sufficiente di persone, una dozzina, e le costituì in comunità fattuale e virtuale allo stesso tempo. La comunità viveva in rete, senza escludere qualche contatto personale soprattutto attraverso l’animatore della Community, lo stesso Marco. Il progetto era di creare una rivista bimensile dal titolo Hamlet-Bimestrale di riflessione sui paradossi del nostro tempo, editore AIDP (Associazione Italiana Direttori del Personale), campo d’intervento le problematiche del post-industriale. Il titolo Hamlet era giustificato dall’ipotesi, formulata da Marco, che nella sua opera William Shakespeare avesse configurato una grandiosa epitome di tutte le possibili vicende degli uomini in azione. La progettualità che si scontra con lo stato delle cose, la volontà prometeica ostacolata, più che da altre volontà, dalla solida, collosa, meschina routine, un’attorialità ampia, drammaticamente ostacolata, fino alla paralisi, da una soggettività angusta. Marco, non soltanto ha creato la Community, ma l’ha tenuta in vita con quattro mosse vincenti. Il referente Shakespeare; il carattere tematico di ogni numero, configurato come una alternativa, ad esempio Cloni o mutanti? (novembre 2000); non un orientamento ma una semplice ispirazione ai contributori di ogni numero, attraverso un lungo editoriale di suo pugno e fatto circolare in anticipo. Nessun intervento censorio o correttivo, né della direzione né dell’editore. Hamlet è rimasta in vita sette anni, dal marzo 1997 al luglio 2003. Ha fatto tendenza, ha influito sull’evoluzione della cultura delle risorse umane e dell’organizzazione aziendale».
[16] Federico D. Fellini (aka Marco Minghetti) Ariminum Circus Stagione 1. Illustrazioni di Marcello Minghetti. Luoghi Interiori, 2024.
[17] Cit., pag. 6.
[18] Non mi piace la cultura Pop, La repubblica (su licenza del New York Times), 18 marzo 2024.
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)