HR vs Facebook (ancora!): se la funzione HR è old normal

Ho seguito con molto interesse  la due giorni dello Iab Forum conclusasi ieri, incentrata sul tentativo di definire in cosa consiste la "nuova normalità" per le imprese. Ne è uscito l'affresco di un paradigma "new normal" in cui le tecnologie dell'informazione legate al web 2.0 coprono un ruolo centrale e decisivo. Un paradigma di cui le organizzazioni pubbliche e private non possono non tener conto se vogliono generare innovazione o, più semplicemente, sopravvivere.

In questo quadro mi ha colpito la relazione  di Andrea Di Maio, vice presidente e analista presso la Gartner Research, che ha ribadito quanto già emergeva da una ricerca Gartner di due anni fa e di cui ho dato conto su questo blog (Facebook vs HR): se le aziende non si decidono a portare  al tavolo dell'innovazione   la funzione HR, sono inevitabilmente condannate a rimanere confinate (e a morire)  nel paradigma "old normal". 

"Durante le riunioni in cui si tratta di questi temi nelle organizzazioni, anche quelle sulla carta più ben intenzionate a rivedere radicalmente i propri processi alla luce della nuova realtà 2.0- ha detto Di Maio – manca sempre un interlocutore: il Direttore HR. Nel migliore dei casi, arriva con mezz'ora di ritardo, si siede per cinque minuti pensando ad altro, e poi se ne va". Il risultato è che l'organizzazione finisce per fare magari enormi investimenti in comunicazione 2.0 verso l'esterno, che saranno in gran parte vanificati dal fatto che la cultura interna rimane ancorata a pratiche e, più in generale, a modelli operativi e mentali 1.0 (se non 0.0, o peggio). "Solo quando – ha concluso Di Maio – la rivoluzione 2.0 sarà al primo punto delle agende delle funzioni HR potremo avere la speranza che il paradigma "new normal" diventi effettivamente la normalità, consentendo lo sprigionamento delle enormi potenzialità di sviluppo e innovazione del 2.0".

Fra l'altro, stiamo parlando di enormi potenzialità  anche dal punto di vista del taglio dei costi. Estremamente significativo l'esempio proposto da Di Maio di un ente della Pubblica Amministrazione canadese. Qualche tempo fa un impiegato (certo non il Direttore del Personale, ha specificato ironicamente il Vice Presidente di Gartner)   ha scoperto che alcuni dipendenti postavano su LinkedIn un cv molto più accurato e dettagliato di quello archiviato sul costosissimo e complicatissimo sistema HR interno. Ha convinto quindi l'organizzazione a stimolare i dipendenti ad utilizzare LinkedIn. Il risultato è che non solo oggi quell'ente dispone di una conoscenza molto più significativa del proprio capitale umano, ma ha deciso di utilizzare LinkedIn anche per gestire tutto il processo di mappatura e miglioramento delle competenze, a costi infinitamente inferiori ai precedenti e con risultati estremamente più accurati.

Perchè allora, ci si può domandare, le aziende continuano pervicacemente ad inserire nelle posizioni chiave HR quelli che in un altro post ho definito i "brontosuari dello scientific management", del tutto refrattari alle nuove logiche della Wikinomics, che oggi è stata giustamente rinominata Socialnomics? E parlo non solo di manager ultrasessantenni: spesso si tratta di trenta-quarantenni, magari  allevati presso le miglior business school del mondo ma nati (mentalmente) già vecchi.

La risposta è semplice: la stragande maggioranza dei Top Manager, talvolta dietro lo schermo di una elegante retorica aziendale politically correct,  è ancora legata allo  schema tayloristico e fordista del "Comando e controllo". Che richiede nella funzione HR  non un coach, un educatore o un manager in grado di promuovere i talenti interni, ma un cane da guardia o, come scrivevo tempo fa, un "Blade Runner", uno sterminatore di chiunque si opponga all'omologazione massificante e a sistemi gestionali spesso basati unicamenti sulla salvaguardia di micro o macro zone di potere personale (a partire ovviamente da quello dello stesso Direttore HR).

Lo sviluppo di sistemi di comunicazione, di education, di change management che facesse un uso estensivo e appropriato del social networking comporterebbe la revisione radicale non solo degli strumenti, ma della stessa cultura aziendale. Occorrerebbe uno stile di leadership del tutto nuovo, basato sull'ascolto e non sull'imposizione di militareschi (e quasi sempre incomprensibili, ma funzionali alla salvaguardia dello status quo)  "ordini di servizio"; su un modello gestionale fondato non più su obsolete famiglie professionali o su rigide strutture organizzative, ma su learning communities in grado di autofertilizzarsi;  su una popolazione di quadri e dirigenti in grado di mantenere la guida perdendo il controllo, come da anni sostiene  Kevin Kelly. C'è qualche Amministratore Delegato capace di accettare la sfida? Si attendono risposte.

MARCO MINGHETTI

 

 

  • billy de vita |

    Grazie per la segnalazione Marco, la mia condivisione è totale. Se una impresa è organizzazione di competenze e risorse, chiedersi come mai la funzione HR sia almeno secondaria, ma potremmo anche dire svuotata spesso di ogni contenuto che non sia di “contabilità del personale”, rischia di diventare esercitazione di stile, vista la cronica mancanza di una reale funzione che si dedichi alla Organizzazione. Quante aziende hanno un Responsabile Organizzazione? Una funzione che si nutra del contributo dell’HR come delle strutture informatiche, delle direzioni di linea di produzione, e sieda ai tavoli dove si decidono le strategie aziendali? Ops, scusate..”strategie aziendali” ci sposta off topic verso scenari Asimoviani!
    Un amico già Project Manager in una grande impresa italiana con responsabilità HR, poi inviato a gestire una controllata in GB, ebbe a dirmi che “In italia gli HR si occupano di permessi e ferie e sindacati e leggi, in GB studiano!” Ora è docente universitario e ha una sua società di consulenze organizzative.
    Comunque nessun problema: siamo, noi che ne parliamo e ce ne occupiamo, in anticipo di vent’anni sulla realtà e in ritardo di vent’anni sulle definizioni già sperimentate e acclarate come utili.
    Taylor è morto ma vive tra noi!
    Cosa fare?..Beh..mi è cara una affermazione del vecchio McKinsey: “Nessuno ti chiederà mai di rivoluzionare una azienda, tu fallo e basta!”. Direi che più che Manager Zen occorrono Samurai Organizzativi 🙂
    Saluti a voi..o forse dovrei dire “Osu”?!
    http://it.wikipedia.org/wiki/Rei_(saluto)

  • Marco.Minghetti |

    Alessandro,
    grazie per la tempestiva risposta!
    Sono naturalmente d’accordo con te, ma è un po’ il gatto che si morde la coda: la proattività della funzione HR è cieca senza il commitment (reale, non solo dichiarato) del Top Management, così come la volontà del Top Management è vuota senza la capacità di implementare il 2.0 dell’HR. Tanto per rendere concretamente l’idea, copioeincollo una mail che mi è arrivata pochi secondi fa da un Direttore HR della Divisione di una grande multinazionale dell’elettronica: credo dica tutto!
    “Caro Marco,
    non posso che esprimere ammirazione per la tua nota e confermata capacità comunicativa.
    Purtroppo gran parte dei colleghi del ns mestiere in Italia, cercano solo “replicanti” alla faccia delle tante ed inutili parole sulla diversity, rappresentano quindi un vincolo al cambiamento non solo x l’azione dell’oggi ma per la scelta delle persone che sarà la base del domani.
    Hr deve contaminarsi in modo esagerato con chi è più esposto all’esterno, sales&marketing in testa
    2 anni fa ho messo in piedi un sistema SKILLS PORTFOLIO per la vendita delle competenze sul mercato dei ns clienti, basato su piattaforma wiki, semplicissimo a costo quasi zero e dove l’interesse dei singoli colleghi (opportunità di mercato esterno) ad avere un CV aggiornato ogni 3 mesi sulla base dei progetti fatti è del tutto allineato con quello dell’azienda (opportunità di mercato interno). Arrivato HR della grande corporation, ha bloccato tu in quanto troppo smart e non in linea con le policies di gruppo
    Per un vero cambio di mentalità, approccio ed azione di HR, temo non sia una questione anagrafica ma piuttosto la necessità di avere CREDIBILITA’ e FIDUCIA alla base di un nuovo CORPORATE STYLE.
    PS purtroppo ho un figlio 18enne che studia da 3 anni in UK che sintetizza così: papà ti conosco troppo bene, xche fai questo mestiere, da noi è chiaro a tutti, HR è roba da sfigati!!”

  • Alessandro Cravera |

    Marco, condivido totalmente la tua analisi. La Direzione HR dovrebbe essere il motore di una serie di cambiamenti nei sistemi e nella filosofia di gestione. In realtà molto spesso è un freno. Probabilmente non è un tema di competenze, ma di cultura aziendale. Per la mia esperienza personale, nelle aziende guidate da un vertice moderno, curioso, innovativo, aperto al cambiamento e all’ascolto, si trova generalmente un eccellente HR Manager. Quello di cui forse abbiamo bisogno è di un maggior coraggio da parte dei Direttori del Personale. Molti sono consapevoli dell’importanza dei nuovi strumenti di comunicazione e della rivoluzione positiva che potrebbero portare in azienda ma si limitano a fare i custodi dell’ortodossia. Talvolta la spinta a cambiare e ad aprire gli occhi dovrebbe partire dai reponsabili HR e non dai vertici dell’azienda. Abbiamo bisogno di proattività, non solo di reattività.

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