Nursery Crymes – Alice annotata 9c

La breve disamina proposta in The Dark Side of Alice – Alice annotata 9b, mostra quanto nel corso del tempo il processo nativamente “transmediale”, come lo definirebbe Jeff Gomez [i] (per cui i giochi delle carte e degli scacchi si trasformano nei libri di Alice, che a loro diventano illustrazioni, rappresentazioni teatrali, film, sceneggiati televisivi, videogiochi, videoclip….), ha fatto sì che gli aspetti oscuri, dionisiaci, di Alice siano venuti sempre più emergendo nella cultura popolare a discapito di quelli più aprichi e solari (testimoniati ad esempio dalle celebri illustrazioni della Atwell, risalenti al 1910 [ii]).

Un processo involontariamente testimoniato da Lella Costa che così chiude la sua recente prefazione all’edizione Baldini e Castoldi di Alice nel Paese della Meraviglie: “Un viaggio meraviglioso e meravigliante che comincia un giorno di tanto tempo fa, e comincia con un buco nella terra che conduce in un luogo sotterraneo pieno di simboli misteriosi e di personaggi inquietanti.

E se comincia così, i casi sono due: o è la Divina Commedia oppure è Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”. [iii] Il percorso delle interpretazioni diretto al cuore di tenebra che batte nel corpo mutante di Alice ha, paradossalmente, ma neanche tanto, nelle parole di una attrice comica il suo punto di arrivo: il viaggio di Alice in Wonderland è definitivamente diventato un viaggio negli inferi. Anche sotto questo profilo si annuncia interessantissima la mostra dedicata all’universo figurativo partorito dalla mente di Carroll, alla Tate Liverpool dal 4 novembre, che presenta i disegni dell’autore e le rielaborazioni successive realizzate dalle mani di grandi artisti: da Salvador Dalì, a Peter Blake e René Magritte[iv].

In campo musicale, un risultato artisticamente rilevante lo hanno conseguito i Genesis di Peter Gabriel con il loro meraviglioso album del 1971, significativamente intitolato Nursery Cryme (ricordo che The Nursery Alice era il titolo della versione delle avventure di Alice semplificata per i bimbi più piccoli pubblicata nel 1890). È il terzo lavoro dei Genesis ed il primo inciso nella formazione storica, che resterà immutata fino all’abbandono da parte di Peter Gabriel nel 1975 (tutti i loro dischi sono stati prodotti fino al 1978 dalla casa discografica Charisma Records,  il cui logo era un Cappellaio Matto molto simile a quello disegnato da Tenniel).

Tutto l’album si snoda in un’atmosfera carrolliana che ne enfatizza le potenzialità più macabre. Il titolo allude alle nursery rhymes (filastrocche per bambini molto diffuse nel mondo anglosassone che in Alice sono spesso oggetto di una feroce parodia, come avremo modo di vedere meglio più avanti) e gioca con l’assonanza di rhyme (rima) con  crime (crimine): di qui la particolare grafia di cryme.

Il riferimento è al brano di apertura The Musical Box [v] (è un caso che Carroll fosse un collezionista di “musical box”?), oggetto della celebre copertina [vi] realizzata da Paul Whitehead (autore anche del logo della Charisma Records) e ispirata al bizzarro gioco a cui Alice sfida la Regina Rossa con mazze-fenicottero e palline-riccio, rivisto alla luce delle vicende narrate nella canzone del gruppo ingleseuna storia di bimbi, uno dei quali viene “decapitato con grazia” da una coetanea durante una partita di croquet…

Un commento testuale a The Musical Box recita:”While Henry Hamilton-Smythe minor was playing croquet with Cynthia Jane De Blaise-William, sweet-smiling Cynthia raised her mallet high and gracefully removed Henry’s head” (“Mentre il piccolo Henry Hamilton-Smythe giocava a croquet con Cynthia Jane De Blaise-William, Cynthia dal dolce sorriso sollevò in alto la sua mazza e graziosamente decapitò Henry”). [vii]

E’ questa forse la prima volta che il biblico fantasma del taglio della testa si traduce in un atto concreto in un contesto ispirato ad Alice, mentre nei libri di Carroll viene evocato spesso ma  non è mai agito in pratica, a parte le auto-decapitazioni che  si infligge lo Stregatto nel corso delle sue apparizioni e sparizioni appunto fantasmatiche (ma anche previdenti. E’ per questa sua abitudine che il boia si rifiuta di decapitarlo: “The executioner’s argument was, that you couldn’t cut off a head unless there was a body to cut it off from”). E’ dunque un sintomo significativo del sempre più marcato tono horror preso dalle rivisitazioni di Alice nel corso del tempo: diciassette anni dopo il disco dei Genesis, l’orrendo Coniglio Bianco del film di Jan Svankmajer, armato di un terrificante paio di forbici nere, mozza la testa di Cappellaio Matto, Lepre Marzolina e soldati di carta con una furia omicida che di dolce non ha più nulla [viii]. Di qui allo splatter di  American McGee’s Alice [ix] il passo non è poi così lungo.

Certamente, come spesso è stato osservato,  su questo processo di “darkizzazione” di Alice ha influito molto la pessima stampa di matrice freudiana di cui ha goduto Lewis Carroll a partire dal famigerato articolo del 1933 ad opera di A. M. E. Goldschmidt, Alice in Wonderland Psychoanalized, più tardi rafforzato dal saggio di Paul Schilder scritto nel 1936 e pubblicato con il titolo Psychoanalytic Remarks on Alice in Wonderland and Lewis Carroll  [x], per arrivare a scritti come quello di  Phyllis Greenacre  Swift and Carroll: A Psychoanalytic Study of Two Lives  (1955).

I freudiani trovano esplici riferimenti sessuali ad ogni passo: la caduta nella tana è per loro “evidentemente” una metafora dell’atto sessuale, la porticina che Alice incontra alla fine del tunnel non è che la sua piccola vagina coperta dai vestitini come l’accesso al giardino incantato è velato da un tendaggio, e via dicendo. Oggi forse troviamo tutto questo un po’ ridicolo, ma di sicuro per decenni ha contribuito a rafforzare la leggenda di un Lewis Carroll-Mr Hyde, cui inutilmente una altrettanto forte tradizione esegetica ha contrapposto la figura di un Charles Dodgson-Dr Jekill [xi]. La schizofrenia di Alice messa in scena da American McGee’s Alice è in parte dipendente da questa tradizione secolare, anche se si fonda indubbiamente su elementi ben presenti nei testi originali: la scissione della bambina in due o più personalità è un filo rosso costante di tutte le sue avventure.

Ai nostri fini, importa rilevare come, in termini letterariamente più importanti rispetto ai plot dei videogames che abbiamo analizzato nella Nota precedente, il rischio della “morte per dissoluzione” che corre la polimorfa Alice (come dicevamo, i fotogrammi più scioccanti del trailer di Manson indugiano su immagini di busti umani senza arti, uno spezzettamento del corpo che allude senza andare troppo per il sottile alla frammentazione psichica di Alice), è testimoniato dal quarto romanzo di Don DeLillo, La stella di Ratner, scritto nel 1976  e da poco tradotto in italiano, “forse l’oggetto più misterioso della sua produzione”.

Scrive Antonio Tricomi Saturno (Il Fatto Quotidiano): “Al centro della narrazione c’è Billy Twilling, quattordicenne geniale capace di destreggiarsi con naturalezza nelle zone più estreme della matematica. Tanto che un manipolo di «scienziati pazzi» decide di rivolgersi a lui per decifrare un messaggio alieno proveniente, appunto, dalla stella di Ratner. L’ingresso nel centro di ricerca sarà per Billy il primo passo nell’assurdo, in un mondo dove ognuno sembra voler piegare la realtà alle proprie regole e dove, alla fine, a dominare non può essere altro che il caos. Le avventure di Billy  nel mondo del non-senso sono quelle di una Alice nel paese delle meraviglie postmoderna, e lo stesso DeLillo si diverte a seminare indizi che riportano a Lewis Carrol: a partire dai titoli delle due sezioni che compongono l’opera, Avventure e Riflessi”.

A questi probanti indizi, si aggiunge il fatto che oltre ad essere “romanzo di formazione, satira sociale, riflessione filosofica, fiaba esoterica (come i libri di Alice, ndr), La stella di Ratner è anche un’appassionante storia della matematica, una disciplina che – ci rivela DeLillo con il suo approccio stralunato ma sempre esatto – con la narrazione ha legami insospettabilmente stretti”: proprio ciò che  pensava Carroll. Rivela De Lillo: “Ci sono voluti due anni di studi approfonditi per mettere insieme La stella di Ratner: ho provato a scrivere un romanzo che non solo avesse la matematica tra i suoi argomenti, ma che, in un certo senso, fosse esso stesso matematica. Doveva incarnare un modello, un ordine, un’armonia: che in fondo è uno dei tradizionali obiettivi della matematica pura”. Come a dire che nel senso emergente dal nonsenso di Wonderland ciascuno deve trovare una armonia fra le varie parti del sé simile a quella della matematica, una armonia spirituale analoga a quella che regola la musica delle sfere di Platone e che nella contemporaneità deve confrontarsi con le nuove tecnologie della comunicazione, che ad essa devono tanto (sia sufficiente pensare agli algoritmi che determinano il successo di un motore di ricerca come Google).

Alice annotata 9c. Continua

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[i] http://narrativedesign.org/2009/09/creators-of-transmedia-stories-3-jeff-gomez/

[ii] http://www.facebook.com/media/set/?set=a.291872817492109.80395.255825387763519&type=3

[iii] http://www.wuz.it/articolo-libri/4348/alice-paese-delle-meraviglie-prefazione-lella-costa.html

[iv] http://www.tate.org.uk/liverpool/exhibitions/aliceinwonderland/default.shtm

[v] http://www.facebook.com/video/video.php?v=2467448411647

[vi] http://www.facebook.com/media/set/?set=a.292330597446331.80504.255825387763519&type=3

[vii] http://www.facebook.com/video/video.php?v=2467451651728

[viii] http://www.facebook.com/video/video.php?v=2461321218471

[ix] http://www.facebook.com/media/set/?set=a.289506327728758.79909.255825387763519&type=3

[x] Nel Journal of Nervous and Mental Diseases, Vol. 87, No. 2, del Febbraio 1938 (pp. 159-68).

[xi] Cfr. Broker, cit. Introduction: a mess  of souvenirs.