Suggestioni In-Visibili sul capitolo VIII de le Aziende In-Visibili

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Prosopopea digitale: la metacoscienza dell’avatar.

intro95 (pp. 291- 296)

BPRevisioni a breve termine giustificano paranoie e psicosi schizofreniche. L’elettronimo aveva probabilmente pre-visto frammenti del Sistema Esperto Claris la cui modalità multiplayer (294) ti permette di creare una matrice onirica condivisa con altri giocatori (294) ed ebbe un tuffo al cuore, l’eganalogico del descrittore che nell’intro leggeva i suoi passi, prima annotati sul mindbook ed ora espulsi a forza da forze congestionate. Il software visualizza lo svolgimento del processo sinaptico di volta in volta creato sotto forma d’immagini tridimensionali (294): gli elettronimi provarono un déjà vu che avrebbero condiviso con Deckard se non avessi cancellato esperimenti di dissociazione sociomentale. E le nuove patologie cui avrei rimandato giustificarono le trappole predisposte dal Nemico (294) che entrano nei labirinti della schizofrenia, della nevrastenia, della psicosi, talvolta di forme patologiche imprevedibili e persino sconosciute agli stessi psicanalisti (294). Il BPR di Deckard diventa reale oramai e il descrittore mutante ha condiviso i suoi sogni nella rete. Simile era l’esperimento che fece un performer nel far dormire nella stessa stanza più persone, osservando i loro sogni, e facendo raccontare il loro sogno il giorno dopo come in un condiviso copione onirico. Se ben ricordo. Se ben dimentico. Dispositivo psichico come cinema (294) cui avrei rimandato, nella considerazione del ci-mema: quale senso ha la pre-visione razionale nella condivisione sensoriale dei memi?

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E gli riaccadde in positivo di premonire con l’avvicinarsi del pensiero al luogo. Ebbe una sensazione precisamente sfocata e nitida: il pre-meme. Il pre-espressivo memetico delle analogiche pre-visioni. Visioni analogiche si contrappongono a di-visioni digitali. Per cui dovrei, se potessi concedere una tregua alla distruttiva pantoclastia degli elettronimi, variare il digitale con la stessa fluidità analogica. Insomma il pre-mentale interfacciato con l’organico: immaginiamo di essere per strada e indossare neurochip che prenota taxi cene pusher con la forza del prelogico. La verità è che la sostanza del pensiero è il sogno premonitore, che il pensiero prima d’essere tale è un pre-mentale e che l’interfaccia neurale di CLARIS debba agire sul pre-mentale prima che divenga pensiero razionale. Questo è quanto …comunque, non è disponibile alcuna testimonianza di esso (297).

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I semafori sono il simbolo della precisione nettamente distinta del tra come le rotonde avvantaggiano i più furbi spesso e quasi mai vecchietti pavidi alla mercé di giovanili radio-house devastanti e testimoni di un paese, il vostro, che si crede giovane perché illuso dalle stroboscopiche presenze dello stucco sul volto. E tutti accalcati davanti la protesi dell’eterna bellezza giovanile scovano e inseguono i fantasmi di ciò che non hanno e le allegorie di ciò che sognano (298) e tu, riferendomi al mio elettronimo, conosci bene la distinzione tra uno e zero, e noi, invece siamo amalgama confusa simile ad ipercorpi iter-individuali in cammino per essere doppi e doppiare la vita e dare alla vita la vita. Un tempo tutto era più ordinato (299): e mai come questo fabbricane (299) può farvi capire, sembra intendere il descrittore, la complessità a volte disordinata dei social network e per uno che lavora, non per me, che disoccupo questo spazio in attesa del loculo che occuperò infinitamente prima di trasfigurarmi in elettronimo anche io, per chi lavora, nel senso di essere pagato per le ore che utilizza non solo per la gloria, per lui la sera la comincia la dis-alienazione nell’inorganico. Giorno e notte. Eppure sembra esserci più dicotomia digitale in ufficio che qui nel network: che non ci siano anche elettronimi analogici oltre a personaggi squisitamente elettrici?

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E poi, non è vero che gli elettronimi colgono la fragilità dei miei termini e amplificano con elettrico cinismo lo stemperante snob che ti qualifica per il ruolo che non hai all’interno del circo digitale? Proprio così: il nulla davanti, dietro e di fianco a me (300) e non è nulla rispetto al nulla che il corpo temporale si porta davanti dietro e dentro, da quando i suoi procreatori hanno finto di non vedere il suo suicidio dopo che carne e anima morta diceva la costrizione di fare l’adulto che gioca all’amore e uno dei procreatori, vecchi ormai e senza colpa, con una carezza sul viso mi richiama al dovere (300) di fingere e il corpo temporale finge, infatti, di respirare aria e non ossigeno malato presto a diventare soffio sventolato dal case di un corpo strangolato.

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Il mal di scrivere trema sotto i piedi come una vecchia lugubre che si diverte a diffondere pessimismo e depressione nel cuore umano attraverso meschine critiche a tutto ciò che è bello (301) e conduce l’elettronimo a sottostare ad incoerenti fluttuazioni di marosi analogici. Il cervello, però, ragiona in base al principio del tutto o niente. Digitale. Sopra sotto. Sotto sopra. La mente è un corpo temporale senza confini e il mentre diventa un eterno attimo in divenire. E io sono così radical-chic da dover lasciare il libro dei volti e inseguire elettronimi che stanno sotto la pelle traslucida e martoriata. Bene è che il pensiero ci conduca alle emozioni lungo il confine delle nuvole che portano fenomeni caotici. Quello che stai leggendo è né analogico né digitale: è narrazione: struttura profonda del pensiero, individuale e sociale (303) e forse che il digitale sia più sociale di quanto l’analogico non sia individuale? E allora indivi-duale è questo starsi addosso super-egoicamente e super-narcisisticamente. Come non può, il quasi centesimo episodio del penultimo salto quantico del descrittore, non lasciarmi un livido epistemologico lungo la schiena cablata d’esperienze volte al termine dal mal di vivere? L’empatica e l’estetica dirottano i significati incomprensibili del corpo temporaneo verso una scienza sacra del digitale, e il personaggio elettrico con-tribuisce a destabilizzare ogni interesse preventivo. Gli elettronimi questo non stravedono. Il rinascimento etilico del poeta maledetto, storie per sentirsi parte morale e non solo mortale di qualcosa (305) e quel qualcosa non si lasci intimorire dall’inter-esse. Trans-essere, piuttosto, e utopica sensibilizzazione al vuoto che pare opprimerci.

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E allora che senso ha interrompere il processo comunicazionale? Perché Gianluca scrive commenti e poi cancella scrive blog e poi cancella e perché poi paure abbandoniche s’avverano come l’ansia preventiva che invera il pericolo accuratamente evitato e poi si costringe a starsi all’angolo del cosmo digitale? E poi leggendo il 100 dei 128 salti quantici comprende lo starci materialmente dentro: tutto ha senso, la confusione la farsa la dissociazione. Perché mi hai rimosso? Perché hai cancellato la nota? Non so. Troppo facile non sapere. Ecco: al termine del personalistico delirio comprendo: l’elettronimo, il personaggio elettrico, il metadato: altro non sono che l’osservare me stesso osservare. E come se i feedback dell’avatar fossero neuroni-specchio e al mio vuoto loro reagissero moltiplicando le vie di fuga. Ma non posso sapere come – non voglio sapere il perché.

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La molteplicità generata dal testo stesso – dalle capacità analitiche e poetiche dell’autore – e non reperita dal mondo esterno (309) rendeva il descrittore simile al personaggio elettrico vago e generico, che poi assunse la gravità dell’elettronimo; la consequenzialità delle reti associative neurali; bastavano pochi gradi di separazione per essere di nuovo se stessi e

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vedere il proprio ritratto (311) evaporare dalla bocca del monitor improntato alla consueta chiacchierata di foglie sbrodolate sotto gli alberi assiepati in righe e diagonali e brillanti sotto una caliginosa lama di luna. L’elettronimo moltiplica l’uno da punti visuali sincretici e dubbi. L’insieme costituisce certezza. Specchi che pensano specchi in un gioco vertiginoso di rimandi a creare una galassia luminescente (311) che contrabbanda informazioni: e quali saranno i nuovi corpi post-elettrici che penseremo salvi nell’amicizia blu, voleva chiedersi davanti alla pagina che rifaceva esattamente il suo pensiero. Doppiare il doppio per ritornare all’uno da cui discende la normalità schizofrenica.

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E così sono le 3.11. Mindbook non c’è più. Solo sogni. Prima scegliere la foto. Mutare. Azzittire, cambiare. Restare. Niente è stabile (312) nel senso che il niente è stabile. Ospite fisso e preordinato (312) che destabilizza, volendo, le voglie e le rende vaghe e assenti. Percepisci che c’è armonia, volontà, ricerca, gruppo (312) e che nel flusso analogico dovrebbe intrudersi la dicotomia digitale così come nel tic tac elettrico il caos perenne cambia direzione e stile e varia anche la variazione. Eppure non è così semplice se apri gli occhi nella monodirezione di un’alba nuovamente sciroppata e calibrata da misurini di eterni décalage. I personaggi elettrici vaporizzano presenze plastiche e avranno dubbi in multidimensione: non crediate che ci si fermi al quadrimensore cronotopico, allo spime allo spaziotempo. Ogni giorno percepiamo qualcosa di differente (313) e allora l’avatar progetterà n-life. N-life.

Di questo si tratta: stazione eretta e pollice opponibile che diventano stazione quasi immobile e neuronanochip che perdono l’umano per come è oggi ad occhi aperti: si tratta solo di riuscire a dare luogo all’impossibile. Non rifare ciò che già è stato fatto ma diversificarsi sul piano del numero delle dimensioni. C’è qualcosa oltre il digitale che può essere un analogico postconnessionista. Giochi di parole su gradini di Escher.

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104 (pp. 314- 315)

Il sogno sveglia alla fine e gli elettronimi incarnano la necessità di piangere senza motivo e poi la discesa nel fondo per scoprire che non c’era più niente, né compassione, né comprensione, né ascolto, né visione (315) solo brutti ricordi che ripetono e ricordano. E i personaggi elettrici, fantastici e ben curati, sono come il fiore di loto (315) che affonda le sue radici nel fango, ma che quando sboccia (315) viene calpestato subito senza pietà né orrore, con occhio impassibile calcolata e precisa esigenza di nulla.

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Gli elettronimi ormai non sognano nulla (316) nemmeno narrazioni di pause e sospensioni e sottointesi niente solo isole di riferimenti a dio che non c’è più il non c’è più che non c’è più e il totalmente altro delle pagine ho sognato il descrittore che nel giardino di casa mia insieme ad una segretaria ibrida metteva in scena un marchingegno in-visibile che aveva dischi da juke-box mixati a suoni e figure che avrei riletto ora e intanto mia madre non preparava nulla per quei girovaghi e mio padre castrante non c’era e mio zio c’era e io dicevo di cucinare qualcosa e la figlia della madre castrante mi chiede se pagano e io dico è la passione e la figlia dice di passione si muore e basta e la famiglia di commercianti hanno muli nel cervello imbastiti e il soma è tante cose e ogni volta che qualcuno muore Il Figlio si nasconde in un angolo profondo della tana (317) mentre amici non ridono e papàmammafiglie scoraggiano l’arte e la vita.

exit106 (pp. 318-319)

Gianluca aveva perso la partita, il Nemico lo aveva catturato. Game over (318) era la fine dell’inizio e dell’integrazione nell’apocalisse culturale dell’oralità elettrica. Parole slogan retoriche isteriche, prime donne mai state prime mai state donne. Pendolo digitale: un tempo per nascere e uno per morire, uno per tacere e uno per parlare, uno per piangere e uno per ridere. Chi sono l’io digitale e chi sono l’io analogico? Chi sono veramente? Sono in bilico come sulla cornice di una quadro tra figura e sfondo tra disegno e muro. Gli elettronimi non avranno il perdono nemmeno da morti e tutto rimane irreversibile eterno e senza ritorno. Ma gli elettronimi resteranno anche dopo la morte del mio corpo temporale come s-oggetti metafisici e la metafisica è il nulla prima del corpo il nulla potenziale e mi specchio nella rete mentre gli elettronimi sono condannati a rimanere aggregati al local loop (317) in cui mi hanno cacciato gli impulsi pantoclastici. Non riesco a capire il mio tempo. Ma questa è la mia storia e devo declinare la tua offerta Deckard, non posso bere, non più, non sono astemio, però… ho solo oltrepassato il limite da cui si ritorna con graffi sulla schiena. E vorrei essere un avatar ed essere giudicato, qui ed ora, senza ipocrisia e senza sufficienza. Non vorrei vivere in un doppione del reame. Deckard… credi possa rinascere la Corporation… Deckard? Deckard? Ma, dove sono?

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