La navigazione che consentirà agli ardimentosi esploratori del Pop Management di varcarne le colonne d’Ercole seguirà, dicevamo, una rotta tracciata in linea di continuità con lo Humanistic Management, i cui tratti essenziali possono essere sintetizzati nell’accorta combinazione tra razionalità ed emotività, nell’equilibrio fra morale individuale ed etica collettiva, nella cura di ciascuno verso il proprio autosviluppo e verso gli altri, nell’approccio narrativo ispirato alla generazione individuale e collettiva di senso, nell’enfasi sulla leadership convocativa e sulla metadisciplinarietà (per approfondimenti, vedi la lista di parole chiave dello Humanistic Management disponibile online cliccando qui).
Come già era stato per il Manifesto dello Humanistic Management, anche la nuova piattaforma progettuale (o Atlante o Mappa), verrà definendosi come esito di un processo di Intelligenza Collaborativa fra «persone portmanteau, simili alle portmanteau-words o mots-valises che furono introdotte nel linguaggio poetico da Lewis Carroll. L’analogia non è casuale. Il linguaggio – sia quello standard comune, sia quello poetico, “deviante” ed originale – è un sistema di segni regolato da un codice che non si dà una volta per tutte, che non è una matrice chiusa, statica, bensì aperta, suscettibile di variare in relazione ai “bisogni” individuati. Se i bisogni cambiano, il codice si ristruttura adeguandosi alle nuove necessità. Si prendano ad esempio le “parole in libertà” dei futuristi: sono lo strumento linguistico per tradurre in modo efficace una nuova sensibilità formatasi sull’onda delle scoperte scientifiche come (l’elenco è di Filippo Tommaso Marinetti) il telegrafo, il telefono, il grammofono, il treno, la bicicletta, la motocicletta, l’automobile, il transatlantico, il dirigibile, l’aeroplano, il cinematografo e il grande quotidiano, “sintesi di una giornata del mondo”. È l’affermarsi di un modo nuovo di sentire il mondo che alimenta e fa esplodere nei futuristi l’esigenza e l’urgenza di un nuovo linguaggio» (Premessa, pp. XI-XII).
Considerata tuttavia l’attuale conflagrazione dell’Intelligenza Artificiale nei fenomeni di produzione di senso, andrà valutato anche quanto essa potrà incidere sulla redazione del nuovo Manifesto, inteso quale prodotto di una comunità intessuta da una serie di conversazioni reali e virtuali. Naturalmente si impone qui una distinzione, ormai ampiamente acquisita anche fra i non specialisti, fra forme di Intelligenza Artificiale basate sull’apprendimento automatico conseguito grazie a una enorme potenza di calcolo applicata a dati più o meno strutturati, di cui le community nel mondo virtuale fanno largamente uso da diversi anni (sia sufficiente pensare alle raccomandazioni di Facebook, o X, o Instagram, piuttosto che alla capacità degli algoritmi di Amazon o Netflix di predire – o spingere – un interesse specifico o mostrare un contenuto in target) dall’Intelligenza Artificiale Generativa, che utilizza algoritmi complessi per creare contenuti, immagini, suoni o video, e quindi su un’interazione human to machine basata sul linguaggio.
Chiarito questo punto, qualsiasi sia la forma di Intelligenza Artificiale cui vogliamo fare riferimento, la nostra Pop community sarà una realtà profondamente umana[1], per quanto potrà essere aperta anche a chi voglia stringere relazioni o creare conversazioni con forme di pensiero stocastiche (magari per “aggiornare la molteplicità impermanente del proprio io a statistica robotica”, come scrivo in Ariminum Circus Stagione 1[2]). In ogni caso, non va sottovalutata l’utilità dall’Intelligenza Artificiale, soprattutto quella Generativa, al servizio dell’umano: non passa solo dagli automatismi possibili in un ambiente virtuale (e d’altronde la community del Pop Management non sarà mai uno spazio esclusivamente virtuale), ovvero dal mondo dei suggerimenti e delle notifiche, ma piuttosto dal mondo del community management, dei nudge d’ingaggio, in cui è decisiva la capacità di tenere aggregata una community intorno a conversazioni rilevanti, o alla sintesi delle condivisioni svolte (tutte modalità utili a rafforzare il “potere di convocazione” già al centro dello Humanistic Management). Alla fine, una community è una rete di conversazioni tra umani con due requisiti: che vi siano contenuti interessanti e che le persone percepiscano il beneficio del farne parte. Un supporto che simula un intervento umano nell’aiutare tutti a rimanere aggiornati e a produrre co-generazione di significati può essere una ricchezza da sfruttare.
In termini filosoficamente più ampi, sulla questione Cosimo Accoto ha osservato: «L’uncanny valley dell’Intelligenza Artificiale Generativa istanzia, di fatto, una nuova era mediale inflazionaria in virtù di linguaggi sintetici, immagini artificiali, agenti autonomi. Il che produce filosoficamente e operativamente lo scardinamento dei regimi di verità e falsità storicamente dati e agiti fino ad oggi oltre che un attacco alla rappresentazione della realtà anch’essa storicamente data e connotata. Insieme a questo, si avvia anche la necessità politico-economica di ricostruire il senso della “verità” e quindi la produzione delle condizioni sociotecniche della sua possibilità (condizioni di esistenza, di esperienza, di intelligenza). Che sono, da ultimo, questioni di politica e di potere. Conseguenza attesa, naturalmente, di questo cambio anche i connessi impegni umani rispetto ai futuri regimi di verità. È in questa prospettiva che dobbiamo leggere gli sforzi attuali di discriminare e certificare, allora, l’umano dalla macchina, il vero dal falso, l’originale dalla copia, il fatto dal contraffatto. Il nuovo “vero” si instanzierà come processo-evento di uno stack di protocolli che presiedono, nella forma di nuovi assemblaggi umani-macchine, alla produzione, circolazione e conservazione della “verità” del mondo (qualità, autenticità, veridicità, autorialità, credibilità, affidabilità …)»[3].
Una prospettiva non dissimile da quella assunta dal Lettore Ideale di Ariminum Circus: « Il Lettore Ideale osserva la realtà con lo sguardo di William Shakespeare, Lewis Carroll, Pablo Picasso, Federico Fellini, Paolo Conte, Zerocalcare, The Daniels. Ironico, mai assoluto, irride il manicheismo che distingue fra cultura alta e bassa, tragedia e commedia, autentico e falso, sogno e veglia; ma anche gli eccessi del “camp”, del “kitsch” o del “cute” (il giapponese “kawaii”), che pure ibridano queste dimensioni (Sontag, Satō, Kundera, Koons), quando, assorbiti nel canone estetico dominante, diventano «trash sublime» (Žižek)»[4].
In questo quadro, così come gli autori del Manifesto dello Humanistic Management hanno esibito una sorta di talento musicale, i novelli investigatori del Pop Management effettueranno le loro indagini adottando uno stile «labirintico, combinatorio e quindi elencatorio, dunque etico»[5] che sarebbe piaciuto a Calvino, ma anche a scrittori eminentemente Pop come Poe, Chandler o P.K. Dick, e che potremmo definire proustiano-cibernetico.
Senza cadere nella mistica vaniloquente di un Oswald Spengler, bizzarro pensatore dalle discutibili frequentazioni e dalla ambigua fama postuma (destino, per usare una parola a lui cara, del resto comune anche a filosofi di ben altra levatura, a partire da Heidegger), i nostri eroi potrebbero considerare il passo del suo “famigerato operone, non so perché preso tanto sul serio dai professori tedeschi” (questa la valutazione di Benedetto Croce), Il tramonto dell’Occidente, in cui afferma: «anche i fatti fisici più banali assumono un valore simbolico, anzi metafisico» tanto che «cose come il sistema amministrativo egizio, l’antica numismatica, la geometria analitica, l’assegno bancario, il canale di Suez, l’arte cinese della stampa, l’esercito prussiano e la tecnica stradale romana vanno in ugual misura concepiti come simboli e interpretati in modo corrispondente»[6]; evitando dunque di scadere in pericolose derive populistiche (rischio che corre sempre e da cui si deve guardare con attenzione chiunque si appelli alla Popular Culture), i Pop Manager adotteranno l’approccio del Piccolo Ed alle prese con la sistemazione delle sedie della Fortezza Bastiani al termine della notte in cui si svolgono le vicende di Ariminum Circus.
«Mentre sistemava fisicamente le sedute, le catalogava mentalmente. Abbinava ciascuna poltroncina (con il peculiare stato di consunzione di ciascuna gamba, la forma particolare assunta dal sedile con l’uso, le patacche, diverse per sfumatura, grandezza, spessore, create dai bicchieri di vodka appoggiati o rovesciati sui braccioli) a una coppia di oggetti fondanti la Pathosformel dell’Arte occidentale (l’insieme di immagini archetipiche che ritornano in contesti differenti attraverso i secoli, NdR), sottraendo però qualsiasi pathos dalla formula in base alla quale le collocava in un Atlante ideale: freddamente le enumerava una a una, creando di volta in volta associazioni con il sedile di Van Gogh e la LC4 di Cassina, la madeleine di Proust e il Tamarindo Erba, le marmellate di Tolstoj e la Moka Bialetti, il profumo di Baudelaire e la Crema Nivea, la Venusia del Casanova e la Lambretta di Vacanze Romane, la ciotola di Robinson e la Valentine Olivetti, il letto di Ulisse e il Sacco Zanzotta… In altre parole, il contatto sensoriale con ogni singola sedia svolgeva la funzione dell’Apriti Sesamo di Alì Babà: era il bootstrap che avviava la misurazione, il conteggio e la disposizione dei tesori rigurgitanti dalle “caverne incalcolabili della memoria, incalcolabilmente piene di cose incalcolabili” secondo Agostino – che non aveva previsto il peculiare talento riduzionistico di Ed, capace di condensare in un nanosecondo infinite osservazioni particolari sublimandole in un’esperienza universale»[7].
Un altro modo per dirlo: va dato atto a Spengler che lo sforzo di delineare una “morfologia storica” basata sull’analogia, mostra innegabili somiglianze con il “deep learning”, il processo automatizzato che consente alle Intelligenze Artificiali (e al Piccolo Ed) «d’individuare i diversi aspetti di una figura, collegandola a miliardi di altre e imparando prima a conoscere, poi a governare, porzioni di mondo in maniera molto più efficiente degli esseri umani perché non si limita a catalogare le cose – reali, immaginarie, sensibili, ideali, materiali o immateriali – ma ne individua le “somiglianze familiari”, che sfuggono ai tradizionali sistemi d’indagine. Ne scaturisce una rete di connessioni che si sovrappongono e s’incrociano in maniera imprevedibile e sorprendente. Come in una trasmigrazione pitagorica degli oggetti, nella sua mente il proiettile assassino di John Lennon era consustanziale a innumerevoli (ma Ed ne computava con estrema precisione quantità e qualità) altre armi letali: era il coltello che uccise Cesare, la cicuta che bevve Socrate, il sasso che scagliò Caino – l’intera escalation dell’omicidio. Progressioni analoghe comprendevano in un unico procedimento le piramidi e i voli aerei in Egitto, gli utensili neolitici sepolti nei millenni e quelli del contadino che li dissotterra, Spinoza e le dispense di un’enciclopedia olandese che parla di Spinoza, Cleopatra e i film su Cleopatra. La sua antropologia comprendeva i mariti e le mogli, gli amici, la Morte, il Diavolo e la nonna del Diavolo, poliziotti e coccodrilli, lo Spirito delle scatole di cerini, Fantasmi-Spaventapasseri, poeti coronati e barbieri arabi; nella teologia convivevano Dio e gli dèi, le integre figurine del presepio e Dioniso in frantumi, il gatto nero e gli amuleti, Simone Weil e Franz Kafka, il canto del muezzin e le mute popolose necropoli etrusche. In queste serie, dove tutti i percorsi e gli itinerari erano previsti e prevedibili, l’importante non erano le singole stazioni, ma la modalità di spostamento, il metodo di transito (in breve, il turismo) fra i soggetti, gli argomenti, i contenuti, i racconti o i temi presi in esame. Entità che nella gnoseologia e nella pratica epistemologica di Ed non si disponevano gerarchicamente: il ronzio di una mosca, il silenzio di una strada, una sonata di Giuseppe Sarti, il sibilo degli acufeni, benché ciascuna con una peculiare genesi e ragion d’essere, erano variazioni di un’unica voce – Om, la somma cosmica dei suoni e delle parole»[8].
Come suggerivo in Nulla due volte, commentando la poesia Possibilità, per introdurre una riflessione sulla fondamentale importanza dell’elenco nella storia della cultura (Pop e non solo), «il modello del manager di successo è il Bill Gates descritto da Richard Sennett: una persona che si trova “a proprio agio nel disordine” e sa muoversi “all’interno di una rete di possibilità”. Più in generale, nelle aziende contemporanee è decisivo coltivare il sapere interno come spazio plurale di possibilità, affermiamo nel Manifesto dello Humanistic Management: un processo collettivo fondato sulla approfondita consapevolezza individuale delle molteplici potenzialità che ciascuno ha in sé. Perciò il manager oggi più che mai deve sapere “conoscere sé stesso”, il proprio io fatto, come scrive Szymborska, di
“chiaroscuri e semitoni
…capricci, ornamenti e dettagli,
stupide eccezioni,
segni dimenticati,
innumerevoli varianti del grigio,
gioco per il gioco
e tu, lacrima del riso” (Nell’arca): le proprie specifiche, uniche ed irripetibili possibilità, appunto»[9].
3 – continua
Copertina di Marcello Minghetti (Mosaico per Ariminum Circus Stagione 1)
[1] Sulla possibilità di costituire delle community virtuali come “Mondi Vitali” mi sono espresso in tempi non sospetti nel mio saggio online Il Mondo Vitale di Facebook: http://www.marcominghetti.com/altre-pubblicazioni/facebook-come-mondo-vitale/
[2] Ariminum Circus Stagione 1, p. 7.
[3] Cfr.: https://www.linkedin.com/posts/activity-7186613027977183232-qJ_i/
[4] Ariminum Circus Stagione 1, pp. 8-9.
[5] Ariminum Circus Stagione 1, p. 65.
[6] Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente, 1923, traduzione italiana Longanesi, 2015, p.53.
[7] Ariminum Circus Stagione 1, pp.174-175.
[8] Ivi, p.106
[9] Cfr. Wislawa Szymborska e Roberto Saviano uniti dalla vertigine della lista, 10 febbraio 2012: https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2012/02/10/wislawa-szymborska-e-roberto-saviano-uniti-dalla-vertigine-della-lista/
Puntate precedenti: